Epigrammi d'amore
I raggi del sole filtravano dalla finestra illuminando il bel volto di Angelica, distesa sul letto intenta a leggere gli Epigrammata di Marziale, poeta latino del I secolo d.C.
Il libro era finemente decorato con fiori rossi e foglie d'argento. Era molto bello, ma soprattutto molto importante per lei. Glielo aveva infatti regalato suo fratello quand'erano ancora dei bambini. Era stato uno dei primi doni che le aveva fatto.
Non poté non sorridere al ricordo.
«Ridi da sola?» disse l'inconfondibile voce di Giovanni. Questi era appoggiato allo stipite della porta, con le braccia conserte.
«Può darsi. Forse sto diventando matta» rispose scherzosamente.
«Oh che bello. La mia amata è una pazza» rise suo fratello stendendosi sul letto e poggiando la testa sulla sua pancia.
«Mi usi come cuscino?».
«Si, sei così morbida».
Lei gli diede un buffetto sulla guancia ed entrambi scoppiarono a ridere.
«Vorrei fosse sempre così» sospirò Giovanni a un certo punto. «Vorrei che non fossimo costretti a tenere nascosto il nostro amore, vorrei poterlo gridare a tutto il mondo».
Angelica rimase in silenzio. Anche lei avrebbe voluto poter esprimere liberamente i propri sentimenti, senza preoccuparsi del pensiero degli altri, senza pensare alle convenzioni, alle regole, al giusto e allo sbagliato. Avrebbe voluto confidare alle sue amiche l'amore profondo che nutriva per Giovanni, ma non poteva. A parte Guenda, nessuna di loro avrebbe capito. Forse nemmeno Fiammetta. La dolce e gentile Fiammetta l'avrebbe guardata con imbarazzo, con vergogna.
Perché un sentimento così puro doveva provocare tanto dolore?
Guardò il libro che teneva tra le mani e i suoi occhi furono attratti da un epigramma. Senza rendersene conto, incominciò a leggere ad alta voce:
«Quod spirat tenera malum mordente puella, quod de Corycio quae venit aura croco;
vinea quod primis cum floret cana racemis,
gramina quod redolent, quae modo carpsit ovis;
quod myrtus, quod messor Arabs, quod sucina trita,
pallidus Eoo ture quod ignis olet;
gleba quod aestivo leviter cum spargitur imbre,
quod madidas nardo passa corona comas:
hoc tua, saeve puer Diadumene, basia fragrant.
Quid, si tota dares illa sine invidia?».
Giovanni sorrise, ripensando a quando da piccoli trascorrevano le giornate a leggere gli antichi autori latini. Con nostalgia, cominciò a tradurre: «Il profumo che emana quando una tenera fanciulla morde una mela, l'aroma che proviene dal croco coricio, l'odore di una vigna quando fiorisce, argentea, dei primi grappoli, il sentore dell'erba appena brucata dalle pecore, l'effluvio del mirto, del raccolto dell'Arabo, di pezzetti di ambra, del fuoco che impallidisce per l'incenso orientale, l'odore della terra leggermente bagnata dalla pioggia estiva, quello di una corona che è stata su chiome profumate di nardo: questa è la fragranza dei tuoi baci, o Diadumeno, crudele fanciullo. Oh, se me li dessi tutti senza farmeli desiderare!».
«Vuoi un bacio, Angelica?» domandò, girandosi a guardarla.
Lei non rispose, ma portò il viso vicino al suo e sfiorò con dolcezza le sue labbra.
Rimasero a guardarsi in silenzio per lunghi minuti, poi Giovanni disse: «Penso che Bruto sappia di noi. Non so davvero come abbia fatto a scoprirlo».
«Girano delle voci».
«Come?» domandò stupito.
«Madonna Lucilla mi ha raccontato di aver sentito dalle sue serve che qualcuno qui a Casale ha intrapreso una relazione incestuosa. Parlavano di noi, ovviamente».
«Com'è possibile che si sia sparsa questa voce?».
«Temo che qualcuno ci abbia visti» sospirò Angelica. «Anzi no, altrimenti avrebbero detto che si trattava di noi».
«Allora può essere che sia stato Bruto a mettere in giro queste voci. Non capisco però perché non abbia fatto i nostri nomi».
«Dobbiamo tenere gli occhi aperti, più del solito. Non permetterò che qualcuno si frapponga tra noi».
Giovanni si tirò leggermente su e guardò sorpreso sua sorella. Lei gli fece una carezza e sorrise.
«Non lo permetterò neanch'io» disse con convinzione.
Doveva scoprire chi stava diffondendo quelle voci.
Doveva combattere, ormai era evidente. Non avrebbe potuto chiedere aiuto a nessuno. Doveva confidare solo sulle sue forze.
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