Confratelli
Breve saio a costoro, un berretto di cuoio, una cintura, non camicia, non targa, calzati d'uose e scarponi, lo zaino sulle spalle col cibo, al fianco una spada corta e acuta, alle mani un'asta con largo ferro, e due giavellotti appuntati, che usavan vibrare con la sola destra, e poi nell'asta tutti affidavansi per dare e schermirsi. I lor condottieri, guide piuttosto che capitani, chiamavansi anche con voce arabica Adelilli. Non disciplina soffrian questi feroci, non avean stipendi, ma quanto bottino sapessero strappare al nemico, toltone un quinto pel Re; né questo medesimo contribuivano quand'era cavalcata reale, ossia giusta fazione. Indurati a fame, a crudezza di stagione, ad asprezza di luoghi; diversi, al dir degli storici contemporanei, dalla comune degli uomini, toglieano indosso tanti pani quanti dì proponeansi di scorrerie; del resto mangiavan erbe silvestri, ove altro non trovassero: e senza bagagli, senza impedimenti, avventuravansi due o tre giornate entro Terre de' nemici: piombavano di repente, e lesti ritraevansi; destri e temerari più la notte che il dì; tra balze e boschi più che in pianura.
Questo era il documento - redatto in bella calligrafia da Michele Amari - affisso sulla porta della Gilda degli Assassini di Casale Monferrato.
Varie organizzazioni rientravano in questo tipo di gilda. Tra le altre, tra le più importanti, vi era la Fratellanza, una famosa compagnia di ventura.
Cos'erano le compagnie di ventura? Semplicemente delle truppe mercenarie il cui unico obiettivo era quello di arricchirsi. Ciò spiegava le nefandezze che con estrema indifferenza commettevano e di cui si gloriavano, cercando di aumentare, così, da una parte il proprio prestigio militare e dall'altra il terrore indotto ed esaltato della loro ferocia nei territori occupati e verso i nemici.
Giovanni Fortebraccio camminava con passo sicuro lungo le stradine di Casale.
Era un giovane di bell'aspetto, forte nel corpo e svelto di mente.
Aveva capelli castani e due profondi occhi blu. Quegli occhi, in ventitre anni, avevano visto più cose di quanto si potesse immaginare.
Giovanni era entrato a far parte della Fratellanza all'età di tredici anni e si era subito distinto per la sua abilità con la spada. Aveva dovuto faticare molto per apprendere tutti i meccanismi e le tattiche di guerra. C'era stato un momento in cui aveva pensato di mollare. Ma la Fratellanza non poteva essere mollata. Così aveva continuato ed era diventato uno dei migliori assassini di Casale.
Anche Facino Cane, uno dei capitani di ventura, lo aveva riconosciuto e per questo gli aveva affidato missioni importanti, l'ultima delle quali riguardava l'eliminazione di Ambrogio Moriale.
Giovanni guardò compiaciuto il sacco con i soldi che gli aveva dato Teodoro II per la riuscita "commissione".
Bisognava sapere che all'epoca, il marchese di Casale - Teodoro II - era in guerra (non ancora apertamente dichiarata) con Amedeo VIII di Savoia. Questo scontro, ovviamente, giovava alle compagnie di ventura che avevano più commissioni e quindi più denaro del solito.
«Ci si arricchisce, eh?» disse all'improvviso, avanzando sorridendo, un ragazzo dai capelli biondo cenere.
«Mai quanto te, Andrea» gli rispose Giovanni.
«Non so cosa tu intenda».
«Io credo di si, amico mio».
Andrea de' Pozzo, oltre ad essere un membro della Fratellanza, era a capo di un'associazione che gestiva - illegalmente - il traffico di rinomati tessuti.
I due giovani risero.
«Ehi, ma quello non è Luca Guareschi? Fa ancora il filo a tua sorella?».
Poco più in là da dove si trovavano i due assassini, un ragazzo alto dai capelli corvini conversava amabilmente con una bella fanciulla dai lunghi capelli castani raccolti in una treccia.
Giovanni corse. Non sapeva perchè lo stesse facendo. Quello che era certo era che non sopportava che quel damerino parlasse con Angelica. In realtà, non tollerava che nessuno dell'altro sesso si intrattenesse con sua sorella.
«Guareschi» disse con aria di sfida.
Il moro si girò.
«Oh, non ti avevo visto arrivare. É da un po' che non ci si vede».
«Già, gran peccato».
«Davvero».
«Giovanni...» tentò di dire Angelica, ma suo fratello la fulminò con uno sguardo.
«Va bene, vi lascio. Ho un incontro importante con il conte d'Alba. Incantato di averti rivisto, Angelica» affermò Luca, baciando la mano della fanciulla.
Fatto ciò salutò con un cenno il giovane Fortebraccio e si allontanò.
«L'ho incontrato per caso» disse subito Angelica.
Giovanni la guardò storto e sibilò: «Entra in casa».
Il suo sguardo non ammetteva repliche.
La ragazza percorse lentamente il giardino di fronte alla propria abitazione e poi entrò.
Suo fratello la seguì.
I servi non c'erano. Erano tutti al lavoro.
Silenzio.
Angelica prese coraggio ed esclamò: «Davvero, l'ho incontrato per caso».
«Non esiste il caso. Non con Luca Guareschi».
«Oh, insomma! Perchè avrebbe dovuto venire fin qui?».
«Non lo immagini?».
Sua sorella arrossì.
«Ti piace?» chiese Giovanni di punto in bianco.
«N-non è un cattivo ragazzo».
«Non è una risposta».
Le dita gli fremevano.
«É un r-ragazzo a modo».
«Certo. Infatti tutte le sere frequenta il bordello della città».
«Lo fai anche tu, se per questo» rispose Angelica più acida di quanto avesse voluto.
Giovanni la prese per il polso e la sbatté contro il muro.
Lui le era completamente appoggiato addosso, il bacino contro il suo, un ginocchio fra le sue gambe per impedirle qualunque via di fuga.
Non erano mai stati così a stretto contatto.
«Non paragonarmi a lui» le sussurrò all'orecchio.
Poi la lasciò andare.
A malincuore.
Si voltò e si avviò verso l'uscio.
«Non mi piace» sussurrò Angelica.
«Luca non mi piace» ripeté a voce più alta.
Giovanni si fermò un attimo e sorrise inconsciamente.
Si girò appena e sogghignando disse: «Per forza, con me come termine di paragone...».
Si fermò.
Cosa stava dicendo?
Cercò lo sguardo di sua sorella, ma lei stava fissando per terra.
Gli sembrò che le sue guance si fossero lievemente colorate di rosso.
Sorrise di nuovo.
Ma c'era davvero da sorridere?
*
Cinguettio di uccellini.
Brezza che muoveva le foglie degli alberi.
Nessun altro rumore.
Ore di attesa.
Zoccoli di cavallo in lontananza.
Qualcosa stava per accadere.
Due uomini procedevano al trotto, spadoni alla cintura.
Procedevano con tranquillità.
Una freccia sibilò accanto a loro.
Era una freccia nera.
Significava morte.
Prima che potessero fare qualcosa, i due cavalieri furono attaccati da quattro uomini sbucati, all'improvviso, dai cespugli.
Giovanni ne trascinò a terra uno e lo colpì più volte al volto con l'elsa della spada che si colorò di rosso. Non soddisfatto, estrasse il pugnale e lo conficcò nel petto del malcapitato.
Andrea aveva fatto la stessa cosa.
«Questo non mi piace. Vi siete divertiti solo voi» brontolò un omaccione dalla carnagione olivastra.
«Puoi appenderli tu all'albero, Bruto» gli rispose, condiscendente, Giovanni.
«Non è la stessa cosa».
«Allora lo faccio io» si intromise un piccoletto dalla faccia scarna che fino a quel momento era rimasto in disparte.
«Eh già Ruggero, così a me non rimane più niente da fare» sbuffò Bruto.
«Mi sembrava che non ti andasse...».
«In mancanza d'altro, me lo faccio andare bene. Ma, badate bene» disse rivolgendosi a Giovanni e ad Andrea «I prossimi li faccio fuori io!».
«Saranno tutti tuoi» sorrisero i due.
«Potete giurarci. Altrimenti vi farò pagare una multa salatissima!».
«Idea brillante Bruto, davvero» lo schernì Ruggero.
L'omaccione lo guardò malissimo.
«Mi credi fesso, eh? Lo so anch'io che sono pieni di soldi quei due! Tra bottini e eredità di famiglia potrebbero quasi rivaleggiare con Teodoro II. No, con "multe" non mi riferivo al denaro. Mi riferivo allo scoparmi Angelica e Rosalina!».
«Tu mia sorella non la tocchi neanche con un dito!» esclamò arrabbiato Giovanni.
"Qui si mette male" pensò Ruggero.
«Perchè no. Dopotutto ha ventuno anni e non è ancora maritata. Un giretto con me le farebbe solo bene!».
«Brutto pezzo di...».
«Per favore, vediamo di darci tutti una calmata» cercò di salvare la situazione Andrea.
«E dopo Angelica, mi faccio Rosalina. Magari anche più di una volta. Ha l'aria di una che ci sa fare».
Giovanni e Ruggero dovettero trattenere de' Pozzo, prima che saltasse addosso a Bruto.
Rosalina era la sua innamorata e, di certo, non aveva nessuna intenzione di condividerla con qualcuno, men che meno con quel rozzo di Bruto.
«Magari potrei scoparmele tutte e due insieme».
I due giovani partirono all'attacco.
Ruggero si batté una mano sulla faccia, disperato.
La zuffa ebbe inizio.
Bruto colpì con un potente destro Giovanni al viso e sferrò un calcione nello stomaco di Andrea.
Non c'era niente da fare, nel corpo a corpo l'omaccione era praticamente imbattibile.
«Non c'è motivo...» tentò di dire Ruggero, prima di beccarsi una corda in faccia.
"Le corde no" pensò.
«Vergognatevi» sibilò una voce.
Tutti si immobilizzarono.
Erano nei guai, in grossi guai.
Facino Cane li osservava con aria truce.
«É così che ci si comporta tra confratelli?».
Silenzio.
«Ho detto, è così che ci si comporta tra confratelli?».
«No, capitano!» risposero tutti all'unisono.
«Se lo sapete, allora perchè vi stavate azzuffando?».
Di nuovo silenzio.
«Molto bene. Se succede nuovamente una cosa come questa, sapete che cosa vi aspetterà. Nessuno sconto».
«Ehm...» si schiarì la voce Ruggero. «Io non ho fatto niente».
«Appunto. Un confratello che non impedisce una zuffa o non interviene a separare i suoi compagni è colpevole tanto quanto gli altri» gli rispose secco Facino Cane.
«Ma...».
Il capitano di ventura lo guardò col suo tipico sguardo da far accapponare la pelle.
Ruggero capì che non valeva la pena insistere.
«E ora, per l'amor del cielo, appendete quei cadaveri!» continuò Facino.
Fatto ciò, umilmente, Bruto chiese di avere subito la ricompensa.
Facino Cane scoppiò a ridere.
Era una risata crudele la sua.
«Ricompensa, eh? Molto divertente, davvero».
«Non volevo essere divertente, capitano».
«Bruto, avvicinati».
L'uomo fece come gli era stato ordinato.
Sbam.
Si beccò in pieno volto un pugno.
Sangue gli usciva dal naso.
«Questa è la tua ricompensa! Qualcun altro la vuole?».
Silenzio.
«Molto bene. Tornatevene a casa. E ricordatevi, la riunione è fissata per l'alto della meridiana tra due civette».
Bruto sputò per terra e mormorò qualcosa.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top