Capro espiatorio

Una fine nebbiolina avvolgeva Casale Monferrato. Il paese era in lutto, o almeno doveva fingere che lo fosse.

I funerali di Gian Giacomo si erano svolti quella mattina. Il suo corpo era stato trovato una settimana prima da un venditore di ortaggi. Quando il conte aveva visto in che modo era stato conciato il figlio aveva cominciato a inveire contro tutti e aveva obbligato Teodoro II ad avviare delle indagini per trovare il colpevole. Fino a quel momento, tuttavia, non era ancora stato trovato.

Era stata mobilitata anche la Fratellanza, con grande disappunto di Facino Cane.

Quest'ultimo continuava a camminare avanti e indietro per la Gilda, chiedendosi fino a quando avrebbe dovuto sprecare il suo tempo e i suoi uomini per un caso impossibile da risolvere. C'erano questioni più importanti di cui occuparsi, ma con il conte tra i piedi era impossibile pensare di fare qualcosa.

Doveva trovare una soluzione.

Guardò irritato le carte che aveva sul tavolo e sorrise. Ora sapeva che cosa doveva fare.

Mandò a chiamare Giovanni e Bruto.

«Forza, forza. C'è del lavoro da fare» disse non appena entrarono.

«Se vi riferite al colpevole dell'assassinio di Gian Giacomo non lo troveremo mai. È come cercare un ago in un pagliaio» sbuffò il giovane Fortebraccio.

«Può darsi, ma...» sorrise enigmaticamente.

«Avete in mente qualcosa».

«È così. È come quando vuoi mangiare delle pere, ma non essendocene ti devi accontentare delle mele».

I due membri della Fratellanza lo guardarono interrogativi.

«Se non possiamo trovare il colpevole, allora ne creeremo uno» spiegò sogghignando.

«Mi sembra un'ottima idea. Così finalmente la finiremo con questa buffonata» approvò Bruto.

«Però, la persona che sceglieremo farà una brutta fine. Il conte sicuramente...» esitò Giovanni.

«Non è il momento di provare compassione. Non possiamo fare altrimenti. Abbiamo una guerra da portare avanti e non possiamo indugiare ulteriormente» lo interruppe il capitano di ventura.

Il giovane Fortebraccio sospirò. Benché Gian Giacomo non gli andasse a genio e non fosse dispiaciuto per la sua morte, trovava ingiusto che qualcuno venisse accusato arbitrariamente del suo assassinio. Però sapeva anche che era inutile opporsi a Facino Cane. Ormai aveva deciso e nessuno sarebbe riuscito a fargli cambiare idea. L'unica soluzione, pertanto, era trovare un degno colpevole ed evitare di creare dispiaceri.

«Io avrei un po' di persone da suggerire» rise cupo Bruto.

«Non ce n'è bisogno. Ho già deciso chi sarà» affermò Facino indicando un nome.

Era Edmondo, mercenario e assai losco figuro.

Il capitano aveva fatto un'ottima scelta: tutti infatti a Casale sapevano che tra Edmondo e Gian Giacomo non correva buon sangue. Secondo quanto si diceva, il mercenario aveva stuprato e poi ucciso la donna che il figlio cadetto di Federico di Saluzzo amava e avrebbe voluto sposare. Si diceva anche che fosse stato proprio il conte a pagare Edmondo per fare una simile cosa, in quanto la ragazza non era di famiglia nobile né benestante a sufficienza da poter maritare un uomo d'alto rango come Gian Giacomo.

Giovanni e Bruto, insieme ad altri tre uomini, si diressero quindi a casa di Edmondo e con la forza lo trascinarono dai soldati del conte. Questi lo legarono e lo portarono nei sotterranei della residenza di Federico II che lo fece torturare fintantoché non confessò quei peccati che non aveva mai commesso. Fu impiccato l'indomani in pubblica piazza e il suo cadavere fu lasciato appeso per tre giorni alla mercé dei corvi.

«Se non altro, Gian Giacomo è stato vendicato» disse Angelica sedendosi vicino a suo fratello.

«Si, se così si può dire». Si morse il labbro non appena si rese conto delle parole che aveva appena pronunciato.

Sua sorella si alzò di scatto, scura in volto.

«Era innocente...».

Giovanni non rispose.

«Punire una persona per un crimine che non ha commesso è una cosa disgustosa. Che il Signore possa perdonarvi!».

«Amen».

«Non è divertente. Per quanto non amassi Gian Giacomo, non trovo giusto che il vero colpevole sia rimasto impunito e che un innocente abbia pagato al suo posto».

«Non potevamo fare altro».

«Queste sono menzogne. Se lo si vuole, una soluzione si trova sempre».

«Non in questo caso. Non con una guerra in corso, non con un uomo come Facino».

«Stai solo cercando scuse» sputò arrabbiata Angelica.

Giovanni la prese per mano. «Ti prego, finiamola qui. Non voglio litigare con te».

Sua sorella lo guardò imbronciata, ma poi il suo volto si distese.

«Va bene. Promettimi però che non permetterai mai più che accada una cosa del genere» disse.

«Sai che non posso farlo. Però posso provarci».

Angelica appoggiò la testa sulla sua spalla e sussurrò: «Per il momento mi basta questo».

Nel frattempo, in una stanza rischiarata da un'unica candela un uomo sorrise. Il primo passo era stato fatto. Presto il suo piano si sarebbe compiuto.


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