A volte ritornano

Splendeva il sole a Casale Monferrato.

Gli uccellini cinguettavano allegramente.

In strada si udiva il classico brusio delle persone affaccendate nelle loro attività.

Nel giardino del palazzo del duca Guarnieri, marito di Guenda, si erano riunite Angelica e alcune fanciulle dell'alta società per conversare amabilmente di letteratura.

Benché la giovane Fortebraccio non fosse di famiglia nobile – era difatti figlia di mercanti, seppur molto agiati e di fatto più ricchi di molti nobili – prendeva sempre parte a questi circoli letterari.

I suoi genitori avevano deciso di impartire la medesima istruzione a lei e a Giovanni.

Pertanto Angelica conosceva il latino e tutte le opere dei poeti classici e contemporanei.

Quel giorno il tema centrale – dopo quelli del tempo, del viaggio e della storia – era l'amore.

Lucia cominciò a leggere la poesia di Guido Guinizzelli presa in esame:

Lo vostro bel saluto e 'l gentil sguardo

Che fate quando v'encontro, m'ancide:

Amor m'assale e già non ha riguardo

S'elli face peccato over merzede,

chè per mezzo lo cor me lanciò un dardo

ched oltre 'n parte lo taglia e divide;

parlar non posso, chè 'n pene io ardo

sì come quelli che sua morte vede.

Per li occhi passa come fa lo trono,

che fer' per la finestra de la torre

e ciò che dentro trova spezza e fende:

remagno como statua d'ottono,

ove vita né spirto non ricorre,

se non che la figura d'omo rende [1].

«Non so voi, ma io la trovo davvero triste» disse Guenda.

«Concordo. A differenza di molti altri sonetti in questo il Guinizzelli non celebra l'amore come fonte di beatitudine. Anzi, qui la bellezza della donna genera nell'io lirico sbigottimento e angoscia» asserì una giovane donna dai capelli color del grano.

«Avete ragione, madonna Fiammetta» assentì Lucia.

Nonostante molte di loro si conoscessero fin dall'infanzia, in contesti formali come quello, il 'voi' era d'obbligo.

«E voi Angelica, che cosa ne pensate?» domandò una fanciulla di nome Matilde.

«Ecco io... Io penso che questo componimento mostri tutte le sofferenze dell'amore. L'apparizione della donna amata e la sua bellezza colpiscono l'innamorato come un fulmine che attraversa gli occhi e raggiunge il cuore. Ma tutto ciò non ha un effetto positivo. Direi che l'amore viene quasi percepito come un qualcosa di minaccioso o pericoloso».

«È, forse, in certi casi lo è» aggiunse sottovoce.

«La vera essenza dell'amore consiste nell'abbandonare la coscienza di sé, nell'obliarsi in un altro se stesso e tuttavia nel ritrovarsi e possedersi veramente in quest'oblio. Quanto mi piacerebbe provare qualcosa di simile!» sospirò Lucilla, una donna dai folti capelli rossi e gli occhi verdi.

«Vostro marito, il conte Faresi, non vi soddisfa?» domandò, con una punta di sarcasmo, Matilde.

«Pensa solo alla caccia e al cibo. Se non fosse per i doveri coniugali, non mi noterebbe nemmeno».

«Amor amara dat [2]» sorrise Lucia.

«Ma quale amore! Non so nemmeno cosa sia e nemmeno lui!».

«Secondo me, il vostro stalliere lo sa» continuò Lucia.

Lucilla arrossì.

Le fanciulle risero, divertite.

Tutti sapevano della relazione clandestina tra la contessa e lo stalliere Pietro. Tutti tranne il conte Faresi, ovviamente.

«Che mi dite di voi, Lucia? Si mormora che siate solita accogliere più di un uomo tra le vostre braccia e tra quelli, so per certo, che non c'è il vostro promesso sposo» disse indispettita Lucilla.

«Cosa volete. Mi godo i piaceri della vita prima che svaniscano».

«Ma al vostro promesso sposo non dispiace?» domandò, timidamente, madonna Fiammetta.

«Lui fa altrettanto, mia cara».

«Oh, mi dispiace».

Lucia rise.

«Non dispiacetevi. Non ce n'è assolutamente alcun motivo».

La bionda fanciulla annuì.

«Ditemi un po', quale dei vostri amanti vi soddisfa di più?» domandò poi, curiosa, Matilde.

«Ognuno ha le sue qualità. Però devo dire che uno di loro mi piace particolarmente».

«Chi? Avanti, non teneteci sulle spine» affermò Lucilla.

«Non so se posso rivelarvelo. Manterrete il segreto?».

«Certo!» annuirono tutte.

«Giovanni Fortebraccio!».

Angelica per poco non si strozzò con la ciliegia che stava mangiando.

«Ahi, ahi» sussurrò Guenda.

«Ma è il fratello di Angelica!» esclamò stupita Fiammetta.

«Già. È una persona favolosa oltreché un amante eccezionale» continuò Lucia.

Tutte guardarono Angelica.

Come erano finite a parlare di queste cose?

Come avevano fatto ad arrivare alle relazioni clandestine di Lucia da una poesia di Guinizzelli?

Ma, soprattutto, perché Giovanni era tra i suoi amanti?

L'aveva sempre sospettato in realtà.

Però aveva creduto che...

Aveva creduto cosa?

Suo fratello aveva ventitre anni: era normale che facesse certe cose.

E allora perché le dava così fastidio?

Era forse gelosa?

No, non poteva essere.

«Fortis est ut mors dilectio, dura sicut infernus aemulatio [3]» sentì sussurrare a Guenda.

Si morse un labbro.

Il pensiero di Lucia e Giovanni insieme le fece stringere il cuore.

Perché?

Perché provava quella strana sensazione allo stomaco?

Perché il suo cuore batteva così forte?

Perché suo fratello l'aveva baciata?

L'aveva fatto prima di partire, pensando che lei dormisse probabilmente.

Ma lei non dormiva.

Quel bacio era stato dolce.

Delicato.

Al ricordo di ciò, il suo cuore cominciò a battere ancora più forte.

"Mi è piaciuto" pensò.

"Mi è piaciuto il bacio di mio fratello".

Fratello.

Erano fratelli.

Non poteva pensare a certe cose.

Era stupido.

Non era giusto.

Non era giusto che Lucia potesse avere tutti i baci di Giovanni e lei no.

Si portò una mano alla bocca.

Cosa aveva appena pensato?

Scosse la testa.

Non doveva più pensarci.

Erano fratelli e questo diceva tutto.

«Giovanni ha occhi solo per Angelica».

Si riscosse dai suoi pensieri.

Cosa aveva appena detto Fiammetta?

«È la verità. Non guarda nessun'altra come guarda lei. L'ho notato quando c'è stato il banchetto a casa del duca Palazzi».

«Sono fratelli, è normale che dimostri un certo attaccamento nei suoi confronti. Non è così, Angelica?» domandò Matilde.

Angelica si alzò.

«Vogliatemi scusare, ma si è fatto tardi. È ora che torni a casa. Grazie per l'ottima compagnia» disse.

«Grazie a te. Ci vediamo presto» sorrise Guenda.

«A presto» annuirono le altre.

Angelica uscì con il cuore che le batteva più forte che mai.


*


Lungo la strada di casa, Angelica intravide Luca Guareschi.

Da quando suo fratello era partito, quell'uomo aveva trovato ogni scusa possibile per passare del tempo con lei.

Non ne poteva più.

Non doveva assolutamente farsi vedere, altrimenti non se lo sarebbe più scrollato di dosso.

Si guardò intorno, cercando un luogo dove nascondersi.

Intravide una porta aperta e senza pensarci entrò.

Avvertì un leggero odore di letame mischiato a fieno.

Era in una stalla.

Non poteva scegliere luogo migliore: di sicuro Guareschi non sarebbe mai entrato lì dentro.

Era un posto troppo poco nobile per lui e quell'odore gli avrebbe fatto storcere il naso tanto da mandarlo all'altro mondo.

Angelica rise tra sé.

«Cosa ci fa una madamigella come voi in un posto come questo?» domandò una voce.

La fanciulla si girò di scatto.

«Oh, siete voi Bruto. Mi avete fatto spaventare».

«Non era mia intenzione. Ma, ditemi, cosa ci fate qui?».

«Se vi dicessi che volevo respirare aria diversa, mi credereste?».

«Crederei a qualsiasi cosa voi diciate».

Angelica sorrise.

A dispetto del suo aspetto, Bruto era una persona gentile.

Da quando suo fratello era partito, si era fermata molte volte a parlare con lui. Spesso l'aveva trovato in compagnia di Rosalina e tutti e tre avevano conversato amabilmente.

Non capiva proprio come a Giovanni potesse non piacere.

«Fate attenzione a dove mettete i piedi, potreste sporcarvi il vestito» le consigliò l'omaccione.

«Certo, grazie del suggerimento».

«Posso farvi una domanda?».

«Ditemi pure».

«Non vi sentite sola? Voglio dire, alla vostra età la maggior parte delle fanciulle sono già maritate».

«Il matrimonio non è nelle mie opzioni e nemmeno in quelle di mio padre».

«Forse adesso, ma in futuro...».

«Che cosa state cercando di dire?» domandò con tono stizzito.

Perché, tutto d'un tratto, Bruto le faceva quelle domande?

«Che, forse, avete bisogno di qualcuno che vi insegni un po' di cose».

«Quali cose?».

L'uomo poggiò al muro il forcone che teneva in mano.

Senza sapere bene il perché, Angelica fece un passo indietro.

«L'arte di amare, per esempio» rispose Bruto con un sorriso che alla giovane non piacque per niente.

«N-non credo che voi siate adatto. Ora, se volete scusarmi, dovrei proprio andare».

«Non così in fretta, mia signora».

L'uomo fece un balzo in avanti prima che Angelica potesse raggiungere la porta.

«Non vorrete andarvene sul più bello» disse.

«P-per favore, lasciatemi passare».

«Passerete, ma non ora».

Bruto la afferrò per un braccio e la sbatté violentemente contro il muro.

Premette il suo corpo contro quello di Angelica e cominciò a baciarle il collo.

La giovane tentò di respingerlo, ma non ci riuscì.

«L-lasciatemi...» implorò.

L'uomo, però, non sembrava particolarmente propenso a darle ascolto.

Ora capiva perché a suo fratello non piaceva.

Se lui fosse stato lì, questo non sarebbe mai successo.

Ma lui non c'era.

Doveva cavarsela da sola.

Non poteva permettere a Bruto di farle quello che stava per fare.

Vide il forcone.

Non era troppo lontano. Se avesse allungato un po' il braccio sarebbe riuscita a prenderlo.

Doveva tentare.

Si sporse un po' e riuscì ad afferrarlo.

Con tutta la forza che aveva in corpo, lo picchiò sulla schiena di Bruto.

Lui gridò e poi la lasciò andare.

Angelica non perse tempo: corse subito in direzione della porta.

Ma non fece in tempo ad arrivarci: Bruto l'aveva afferrata per il vestito.

Cercò di colpirlo nuovamente con il forcone, ma lui glielo strappò di mano.

«Qualcuno vi deve insegnare le buone maniere» le disse, intrappolandola contro la parete.

Iniziò poi a tirarle su il vestito e a slacciarsi i pantaloni.

«Vi prego! Vi prego, lasciatemi!» urlò disperata Angelica.

«Non è ancora arrivato il momento di urlare. Risparmiatevi perché vi farò gridare parecchio».

«Tu non farai gridare proprio nessuno!» disse una voce.

Bruto si girò e si beccò un pugno in piena faccia.

«Tu!» esclamò adirato.

«Si, proprio io».

L'omaccione – tiratosi su i pantaloni – si lanciò contro il suo avversario con un furioso ruggito, caricandolo di pugni.

I due lottavano avvinghiati, indietreggiando di tanto in tanto solo per lanciarsi l'uno contro l'altro con rinnovato vigore.

A un certo punto, Bruto fece oscillare il braccio per tirare un poderoso gancio con il destro, ma il giovane sconosciuto fece un passo avanti e il colpo passò oltre la sua spalla, facendo precipitare in avanti l'avversario che finì lungo disteso.

«Ringrazia che non posso ucciderti, altrimenti saresti già morto!».

Detto questo, il misterioso uomo tirò altri due o tre calci nello stomaco di Bruto.

Poi si avvicinò ad Angelica, la prese in braccio e uscì.

Si fermò in un vicoletto, lontano da occhi indiscreti, e la fece delicatamente scendere.

Le asciugò le lacrime con un dito.

«Ora che sono tornato, non permetterò a nessuno di farti una cosa simile» le sussurrò.

Lei gli gettò le braccia al collo.

«Giovanni, io...».

Suo fratello la strinse forte a sé, accarezzandole la testa.

«Mi sei mancata».

«Anche tu».


[1] Il vostro grazioso saluto e il nobile sguardo che mi volgete quando v'incontro, mi uccidono; Amore mi assale e non si preoccupa per niente se egli mi reca danno o piacere, perché mi lanciò una freccia in mezzo al cuore, che lo taglia e divide da parte a parte; non posso più parlare, perché io brucio in sofferenze, così come colui che vede (giungere) la propria morte. (Amore) passa attraverso i miei occhi come fa il fulmine che colpisce con forza attraverso la finestra della torre e spezza e distrugge ciò che trova dentro: rimango allora immobile come una statua di ottone, nella quale non c'è vita né anima, salvo che riproduce la sembianza di un uomo.

[2] L'amore da amarezze (Plauto).

[3] L'amore è forte come la morte, la gelosia dura come l'inferno.


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top