THE ORIGINS

Francesca

Stavo rientrando nella mia camera, ma la mia mente continuava a tornare a lei, a quella figura enigmatica. Cleopatra. Se nessuno la conosceva, voleva dire che era entrata di nascosto. Ma come era possibile? E perché? La sua presenza mi turbava, mi lasciava con un senso di inquietudine che non riuscivo a scacciare.

Camminavo lungo il corridoio, i miei passi risuonando leggermente sulle pietre fredde del pavimento. L'indomani sarebbero iniziati gli studi, e io non mi sentivo affatto pronta. Avevo evitato di parlare a chiunque del mio desiderio di lasciare i Melior. Ero soffocata da quel mondo, da quelle aspettative. Ma forse, più di tutto, ero confusa. Non avevo mai sentito un legame così forte, una curiosità così insistente come quella che provavo verso Cleopatra.

Arrivai davanti alla porta della mia camera e la aprii con una leggera esitazione. Ma la sorpresa mi colpì come un fulmine: Cleopatra era lì. Ancora sporca come quella mattina, stava spolverando un mobile con gesti lenti, quasi rituali.

Il mio cuore saltò un battito, e per un istante, rimasi senza fiato. «Chi sei tu?» le chiesi, la mia voce tremante, incapace di nascondere il nervosismo.

Cleopatra si fermò, come se il mio timore l'avesse bloccata. Si girò lentamente verso di me, e i suoi occhi, quegli occhi che avevo già notato per il loro strano magnetismo, si fissarono nei miei. «Altezza,» disse con un inchino, mantenendo lo sguardo abbassato.

Ma non parlò oltre. La stanza sembrava stringersi intorno a noi, e il silenzio divenne opprimente. Avevo quasi paura di lei. C'era qualcosa di profondamente disturbante in quella giovane donna, qualcosa che non riuscivo a capire, ma che mi teneva in uno stato di tensione costante. Chi era veramente Cleopatra? E cosa voleva da me?

All'improvviso, Cleopatra parlò, interrompendo il silenzio che riempiva la stanza. La sua voce era bassa, quasi un sussurro, ma ogni parola sembrava risuonare con una strana forza.

«Altezza, so che siete spaventata,» disse, mantenendo lo sguardo basso ma fermo, «ma non dovete avere paura di me. Ero una vostra amica... nell'altra vita, e sono qui per aiutarvi.»

Rimasi pietrificata. Nell'altra vita? Quelle parole risuonarono nella mia mente, sconcertandomi. Cosa intendeva? C'era qualcosa di terribilmente familiare e al tempo stesso estraneo in quello che diceva. Forse... forse lei sapeva della maledizione che aveva afflitto la mia famiglia.

Non riuscivo a formulare una risposta. La mia bocca si aprì, ma nessuna parola ne uscì. Mi limitai a guardarla, cercando di decifrare il suo volto, ma Cleopatra continuò, come se leggesse la mia mente, anticipando ogni mia domanda.

«Leggo nella tua mente, altezza,» confessò, il suo tono diventando più intimo, quasi cospiratorio. «E col tempo, ho imparato a leggere anche nella mente degli uomini.» Un sorriso enigmatico si formò sulle sue labbra, e i suoi occhi sembrarono brillare di una luce che non avevo mai visto prima. «Mi si è aperto anche il terzo occhio,» aggiunse, ridacchiando tra sé e sé, come se trovasse divertente il mio stupore.

Mi scosse un brivido lungo la schiena. Quella rivelazione era troppo. Non poteva essere possibile, eppure, in qualche modo, tutto ciò sembrava avere un senso oscuro. La maledizione, la mia attrazione verso Cleopatra, la sua comparsa misteriosa...

«Tu... sei una strega?»

Le parole uscirono dalle mie labbra prima che potessi fermarle, quasi come un riflesso involontario. Non era una domanda, ma una constatazione, una presa di coscienza di qualcosa che fino a quel momento avevo rifiutato di vedere.

Cleopatra smise di sorridere, i suoi occhi si fecero più seri, quasi tristi. «Forse è quello che pensi,» rispose, mantenendo il suo sguardo fisso sul mio, «ma la verità è molto più complessa di quanto tu possa immaginare.»

Sentii un nodo stringersi nel mio petto. La paura, la confusione, e una strana curiosità si mescolavano in me, creando un tumulto di emozioni che non riuscivo a controllare. Non sapevo se fidarmi di lei o se scappare il più lontano possibile. Ma una cosa era certa: Cleopatra non era semplicemente una serva o una donna qualunque. C'era qualcosa di antico, di arcano in lei, qualcosa che legava il nostro destino in modo che ancora non riuscivo a comprendere.

Volevo disperatamente capire di più, e Cleopatra sembrava essere la chiave per svelare i segreti che mi tormentavano da sempre. Sentivo il cuore battere forte mentre cercavo di raccogliere i pensieri e trovare le parole giuste. Chiusi gli occhi per un attimo, cercando di calmare l'ansia che mi attanagliava.

Quando li riaprii, il mio sguardo si fissò su Cleopatra. «Che ne dici se prendiamo il tè insieme e parliamo di questa faccenda?» proposi, tentando di mantenere un tono di voce calmo e deciso, nonostante il tumulto che provavo dentro di me.

Cleopatra mi osservò per un istante, come se stesse valutando la mia offerta. Poi, un sorriso le si dipinse sulle labbra, un sorriso caldo ma enigmatico. Scosse leggermente la testa, e con un tono gentile ma sicuro, rispose: «È un piacere, vostra altezza.»

Quel sorriso mi rassicurò un po', anche se sapevo che ciò che stava per essere rivelato avrebbe potuto cambiare tutto. Feci un cenno e mi avvicinai alla campanella d'argento sulla mia scrivania, facendola suonare per chiamare una serva.

Mentre aspettavamo che il tè venisse servito, Cleopatra si avvicinò alla finestra della mia stanza, guardando fuori verso i giardini oscurati dal crepuscolo. C'era una quiete quasi surreale nell'aria, interrotta solo dal leggero fruscio delle tende che si muovevano con la brezza.

Finalmente, la porta si aprì e una delle serve entrò con un vassoio d'argento, portando una teiera fumante e due tazze di porcellana. Mi sedetti alla piccola tavola vicino al camino e Cleopatra mi seguì, sedendosi di fronte a me. La serva versò il tè e, dopo un inchino, lasciò la stanza, chiudendo la porta dietro di sé.

Rimanemmo in silenzio per un attimo, osservando il vapore che si alzava dalle tazze. Finalmente, presi un sorso di tè, sentendo il calore diffondersi in me, come un preludio alla conversazione che stava per avvenire.

«Cleopatra,» iniziai, fissando i suoi occhi scuri che ora sembravano quasi riflettere il bagliore delle fiamme nel camino, «se quello che dici è vero, se la maledizione è reale, ho bisogno di sapere tutto. Qual è il nostro legame? E perché sei qui ora?»

Lei posò la tazza, guardandomi con un'intensità che mi fece venire i brividi. «La maledizione è reale, altezza,» disse con una calma inquietante, «ma non tutto è come sembra. Sono qui per proteggerti, per guidarti attraverso ciò che sta per accadere. Il nostro legame... è molto più antico di quanto tu possa immaginare.»

Le sue parole erano avvolte in un mistero che solo lei poteva svelare. La tensione nella stanza era palpabile, eppure, non potevo fare a meno di sentire che finalmente ero vicina a conoscere la verità, per quanto terribile potesse essere.

Bevvi un altro sorso del tè, cercando di mantenere la calma nonostante le rivelazioni inquietanti di Cleopatra. Sentivo un formicolio lungo la spina dorsale, un misto di paura e curiosità che mi spingeva a voler sapere di più.

«Cosa dice la maledizione?» chiesi, la mia voce appena un sussurro. Avevo bisogno di risposte, anche se temevo ciò che avrei potuto scoprire.

Cleopatra mi guardò, il suo sguardo era serio e carico di una saggezza antica. «Devo portarti un libro,» disse lentamente, come se stesse valutando le sue parole con attenzione. «È un libro che ho conservato con cura per anni. La biblioteca che è bruciata... l’ho bruciata io stessa, perché conteneva cose false su Cesca.»

Le sue parole mi colpirono come un fulmine. La biblioteca... le fiamme che avevano divorato quel luogo pieno di conoscenza. Ero rimasta devastata dalla perdita, ma ora sapevo che dietro quel disastro c'era un motivo più profondo. Cleopatra non era solo una cameriera; era una protettrice delle Francesca avvenire.

Cleopatra mi fissò per un istante, i suoi occhi scuri brillavano di una luce che non riuscivo del tutto a decifrare. C’era un’intensità, una passione quasi palpabile nella sua voce mentre parlava di Cesca. «Cesca era la figlia non riconosciuta dell’imperatore,» ripeté, come se ogni parola portasse con sé un peso ineluttabile. «Avrebbe dovuto governare, ma è stata privata del suo potere. Il suo destino fu rubato, e la sua storia... cancellata o distorta. Ma io, io ho mantenuto viva la verità.»

Quelle parole mi colpirono più di quanto avrei voluto ammettere. Cesca, la donna dimenticata dalla storia, il cui nome era stato sporcato e la cui memoria era stata quasi cancellata. Avevo sentito parlare di lei, vagamente, come di una figura controversa, una che aveva separato gli imperi, ma non avevo mai dato troppo peso a quelle storie. Ora, con Cleopatra davanti a me, la verità sembrava diversa, più complessa e, in qualche modo, più pericolosa.

Sorseggiai il mio tè, cercando di mantenere il controllo. Non volevo mostrare alcuna debolezza, non davanti a lei. Dovevo capire di più, ma al mio ritmo, senza fretta, perché la fretta è nemica del potere.

«Cleopatra,» dissi con una calma che nascondeva l’urgenza dentro di me, «non voglio scoprire tutto quello che dice la maledizione e la storia di Cesca oggi. Non sono pronta.» La guardai dritto negli occhi, cercando di trasmettere la mia determinazione. «Domani, portatemi quel libro.»

Cleopatra annuì lentamente, un accenno di sorriso che increspava le sue labbra. «Come desiderate, vostra altezza,» rispose con la stessa deferenza di prima, ma c'era qualcosa di più nel suo tono, qualcosa che non riuscivo del tutto a cogliere.

«No,» la corressi, inclinando appena la testa con un’aria di superiorità che non cercai nemmeno di nascondere, «chiamatemi Franny. Sono una vostra amica da tanto tempo, vero?» Le mie parole erano intrise di una sorta di condiscendenza. Non mi ero mai sognata di chiamare una serva con quel tono, ma in quel momento, Cleopatra non era più solo una cameriera, era una chiave per il mio futuro.

Lei sorrise, un sorriso che sembrava nascondere molto di più di quello che mostrava, e io risposi al suo sorriso. Non ero sicura se quel sorriso fosse un atto di sincera amicizia o un sottile gioco di potere, ma decisi di accoglierlo lo stesso. Cleopatra era utile, e questo era ciò che contava.

Non avevo mai sentito parlare di Cleopatra fino a quel momento, eppure la sua presenza adesso sembrava inevitabile, come se fosse sempre stata lì, in attesa che io aprissi gli occhi. Alcuni, sicuramente, avrebbero potuto non crederle, ma io... io non ero come gli altri. Io sapevo riconoscere la verità quando la vedevo, e c'era qualcosa in Cleopatra, un'energia, una sicurezza, che mi spingeva a crederle, nonostante tutto.

Mentre Cleopatra si allontanava per preparare il libro, io rimasi seduta, assaporando quel momento. Ero abituata ad ottenere ciò che volevo, e questa volta non sarebbe stato diverso. La verità su Cesca, la maledizione, il mio destino: tutto sarebbe stato rivelato e, in qualche modo, sapevo che alla fine sarei emersa vittoriosa. Dopotutto, chi altro, se non io, era degna di conoscere la verità e sfruttarla a proprio vantaggio?

Domani avrei avuto quel libro. Domani avrei iniziato a svelare i segreti di Cesca.

***
E

ra un altro giorno nel castello, e la luce del mattino inondava le stanze fredde e austere. Non vedevo l'ora di allenarmi, ma prima volevo fare colazione con Elisabeth. La vidi in giardino, seduta in una zona ombreggiata, intenta a sorseggiare il suo caffè. Come al solito, nostro padre era immerso nei suoi infiniti affari di corte, quindi la colazione era un affare tutto nostro. Avevo il mio arco con me, un segno del mio impegno costante per migliorare le mie abilità, ma per il momento lo posai accanto a me.


Elisabeth indossava un abito che sembrava uscito dalle fiabe, una meraviglia in velluto blu scuro, decorato con intricate trame dorate. Le spalline e il colletto del vestito erano ornati da ricami che imitavano le foglie d'oro, dando l'impressione che fosse stata appena incoronata dalla natura stessa. I suoi lunghi capelli biondi, ricci e lucenti, scendevano fino alla vita, incorniciando il suo viso delicato con una grazia che solo poche potevano vantare. Una visione di nobiltà, davvero.

Mi avvicinai e mi sedetti di fronte a lei. «Buongiorno, sorella,» dissi, cercando di trattenere un sorriso. Non era da me essere particolarmente affettuosa, ma con Elisabeth non potevo fare a meno di essere un po' più dolce.

Lei mi guardò con i suoi occhi brillanti, un sorriso che sembrava illuminare l'intero giardino. «Buongiorno a te, sorellina,» rispose dolcemente, portando la tazza di caffè alle labbra.

Notai subito un che di diverso in lei, qualcosa di più radioso del solito. «Cosa c’è che hai oggi?» chiesi, leggermente sospettosa. «Perché sei così allegra?» La sua allegria era quasi irritante, ma la mia curiosità aveva la meglio.

Elisabeth sospirò profondamente, con quel modo melodrammatico che solo lei poteva fare sembrare naturale. «Mi sono innamorata,» disse, la sua voce un sussurro quasi timido. «E non mi succedeva da tre anni.»

La sorpresa mi colpì come una freccia. Non riuscivo a immaginare Elisabeth di nuovo innamorata. Dopo la morte del signor Santo, l’unico uomo che avesse mai davvero amato, era caduta in una profonda depressione. Lui, un ministro stimato di nostro padre, aveva ceduto alla peste, lasciandola devastata.

«Chi è?» chiesi, il mio interesse finalmente sincero. «Raccontami tutto.» Avevo bisogno di sapere chi fosse riuscito a risvegliare il cuore di mia sorella.

Elisabeth si bagnò le labbra con un ultimo sorso di caffè, un gesto deliberato, forse per prepararsi a ciò che stava per rivelare. Poi, con un leggero tremore nella voce, disse: «Il tuo cacciatore.»

Il mio sorriso svanì all'istante, come se qualcuno avesse spento una luce dentro di me. La parola "Demon" rimbombava nella mia testa, confondendomi, facendomi sentire come se il mondo intero avesse appena cambiato forma sotto i miei piedi.

«Demon?» ripetei, incredula. Lo sguardo di Elisabeth era illuminato da una nuova luce, una sorta di dolcezza che non le avevo mai visto prima. Mi sentii improvvisamente gelosa, un sentimento amaro che non riuscivo a controllare. Non mi aspettavo che mi piacesse tanto, ma Demon era... beh Demon.

Cercai di recuperare la compostezza, cercando di non mostrare troppo il mio disappunto. «Non ti sembra un po’... povero, Demon?» domandai, con un tono che cercava di essere distaccato ma che forse risultava più pungente di quanto volessi.

Elisabeth mi guardò, con quel suo sorriso dolce, così irritante. «La sua condizione non mi interessa, Franny,» rispose, con una sincerità che mi colpì. «È l'uomo che mi importa, non le sue ricchezze o il suo titolo.»

Quelle parole mi infastidirono ancora di più. Era come se Elisabeth volesse dimostrarmi che lei era più nobile di me, più capace di vedere oltre le apparenze. Ma la verità era che non potevo tollerare l’idea che lei provasse qualcosa per lui, che ci fosse una competizione, una rivalità tra noi, e per Demon di tutti gli uomini.

Tentai di nascondere il mio fastidio dietro un sorriso falso. «Sei sempre stata così romantica, sorella,» dissi, cercando di non far trasparire troppo il sarcasmo. «Ma spero che tu sappia quello che stai facendo.»

Presi una tazza di caffè e lo sorseggiai lentamente, lasciando che il calore del liquido mi calmasse mentre osservavo Elisabeth che si godeva la sua colazione. Il giardino era tranquillo, un’oasi di pace prima che la giornata iniziasse davvero. Mi accarezzai il mento pensierosa, il mio sguardo che vagava tra i fiori che ondeggiavano leggermente alla brezza mattutina.

All'improvviso, i miei occhi colsero un movimento al di là della siepe. Fiona stava avanzando verso di noi con la solita arroganza che la caratterizzava. Il suo abito, uno splendido esempio di opulenza, era lungo e voluminoso, di un verde pallido che si fondeva con l'oro scintillante delle decorazioni che correvano lungo l'ampia gonna. I dettagli ricamati a mano rendevano il vestito un vero capolavoro d'artigianato, quasi troppo sontuoso per un semplice incontro mattutino.

La veste era completata da un corpetto aderente, che metteva in risalto la sua figura slanciata, e le maniche ampie si aprivano in elaborate pieghe che lasciavano intravedere una sottoveste decorata con filigrana dorata. Il capo di Fiona era ornato da una cuffia ricamata, che incorniciava il suo volto severo e accentuava l'espressione decisa dei suoi occhi.

Si fermò a pochi passi da noi, mettendosi le mani sui fianchi in un gesto che trasudava autorità. La guardai per un attimo, ponderando il motivo della sua intrusione. Poi, senza fretta, posai la tazza sul tavolo di fronte a me, fissandola con calma.

«Che cosa c'è, Fiona?» chiesi, mantenendo un tono volutamente distaccato, come se la sua presenza fosse solo un altro piccolo fastidio della giornata.

Fiona mi restituì un sorriso freddo, come se le mie parole fossero una sfida da accettare. «Il vostro cacciatore vuole allenarvi,» disse con un tono che lasciava trasparire una punta di soddisfazione.

Le sue parole mi sorpresero, ma non diedi segno di ciò. Il mio cacciatore, aveva detto. La mente mi tornò subito a Demon, al suo sguardo enigmatico, al suo modo di muoversi.

«Molto bene,» replicai, alzandomi dalla sedia e lisciando le pieghe del mio abito con un gesto studiato. «Allora non facciamolo aspettare.»

Con un ultimo sguardo a Elisabeth, che mi osservava con un’espressione attenta, mi voltai e mi avviai verso il campo di allenamento, lasciandomi alle spalle Fiona e la sua presenza ingombrante. Dentro di me, sentivo crescere l’impazienza, ma anche un’inquietudine che non potevo ignorare.

Arrivai al campo di allenamento con un’allegria che non riuscivo a spiegare. Forse era la tensione dell'incontro con Demon, forse era solo l’euforia di essere fuori al sole dopo una colazione tranquilla con Elisabeth. Ma appena lo vidi, quell’allegrezza iniziò a svanire. C’era qualcosa nel suo sguardo che mi metteva a disagio, qualcosa che mi faceva sentire che ogni mio passo era sotto esame.

Demon era già lì, con l’arco in mano, lo sguardo serio e penetrante come sempre. Non appena i nostri occhi si incontrarono, sentii quella sottile tensione che sembrava esserci sempre tra di noi, una tensione che non riuscivo a spiegare. Forse era dovuta al modo in cui mi aveva trattata al banchetto, o forse perché non riuscivo a capire come Elisabeth potesse essere attratta da lui.

«Vedo sorrisi oggi,» disse lui, la sua voce profonda che rimbombava tra le mura di pietra intorno a noi. «Un buon modo per iniziare la giornata.»

«Sì, forse,» risposi con un accenno di sorriso, ma il tono delle mie parole tradiva la mia incertezza. Ricordai ciò che Elisabeth mi aveva detto, ma mi era difficile immaginare di amare quest'uomo. Mi era stato presentato solo due giorni prima, e finora non avevo visto altro che un guerriero rude, distante e talvolta scortese.

Concentrandomi sul mio allenamento, misi una freccia sull’arco e tirai la corda, ma sentii subito che qualcosa non andava. Non avevo assunto la posizione giusta, e Demon se ne accorse immediatamente.

«Devi metterti nella posa che ti ho insegnato,» disse con tono autoritario. La sua pazienza sembrava già essersi esaurita.

Inspirai profondamente, cercando di calmare il battito del mio cuore. «Lo so»  risposi con un filo di irritazione nella voce. «Non è così semplice quando qualcuno ti osserva come se stesse giudicando ogni tuo movimento.»

Demon sospirò profondamente, lo sguardo severo e la voce ferma. «Sono il vostro maestro, vostra altezza. Devo insegnarvi, le mie azioni servono a questo.» Indicò sé stesso con il dito, il gesto deciso che mi fece trasalire. Ero terrorizzata. Mi aveva urlato contro, ed era la prima volta che qualcuno osava farlo. Quel momento mi paralizzò per un istante, il cuore che batteva all'impazzata mentre i miei occhi si perdevano nei suoi.

Lo guardai, sentendo una strana attrazione verso di lui, quasi ipnotizzata dai suoi occhi. «Certo,» dissi, sorridendo come una stupida. Non capivo cosa mi stesse accadendo. Tutto il mondo intorno a me sembrava fluttuare, come se stessi osservando la scena dall'esterno. E poi senza alcun controllo su me stessa, scoppiò una risata improvvisa e incontrollabile, così forte che mi fece male anche la pancia.

Lui mi osservò con un'espressione che non riuscivo a decifrare, forse sorpresa o forse preoccupata. «Ha bevuto, altezza?» chiese con tono sospettoso.

La mia risata si fermò bruscamente, e lo guardai seria. Ma prima che potessi riflettere su quello che stavo facendo, mi avvicinai a lui e lo baciai. Fu un bacio lungo, il mio primo bacio, e non avevo la minima idea di cosa stessi facendo o perché. Era come se una forza sconosciuta mi avesse spinta verso di lui, come se tutte le mie paure e incertezze fossero state spazzate via da quel singolo gesto.

Lui non si tirò indietro. Sembrava sorpreso, certo, ma non mi respinse. Tuttavia, mentre il bacio continuava, una tempesta di emozioni si agitava dentro di me. Confusione, paura, desiderio, e qualcosa di oscuro che non riuscivo a identificare.

Alla fine mi staccai, con il respiro affannato e il cuore che batteva ancora più forte. Lo guardai negli occhi, cercando disperatamente una spiegazione a ciò che era appena accaduto, ma non riuscii a trovare le parole giuste.

«Em... ma...» balbettai, ma non riuscivo a completare la frase.

Senza pensarci due volte, mi girai e iniziai a correre. Corsi più veloce che potevo, cercando di allontanarmi da lui e da quel bacio che aveva scatenato in me una
tempesta che non sapevo come gestire. Il bosco mi accolse tra le sue ombre, le foglie che frusciavano sotto i miei piedi mentre correvo sempre più lontano, cercando di scappare da qualcosa che non potevo definire, ma che mi terrorizzava fino al midollo.

Corsi dentro la foresta del castello, immersa in una confusione che non riuscivo a dissipare. La foresta era immensa, un intrico di alberi secolari e sentieri sconosciuti che si snodavano in direzioni imprevedibili. Non conoscevo bene quel luogo, ci venivo raramente, se non per accompagnare mio padre in qualche battuta di caccia. Ma oggi, spinta dall'angoscia e dalla paura, corsi più veloce di quanto avessi mai fatto prima.

Il fianco cominciò a dolermi, un dolore acuto che sembrava attraversarmi ogni volta che respiravo. Avevo corso troppo, troppo in fretta, e ora il mio corpo ne stava pagando il prezzo. Sentivo il sudore scivolare lungo la mia pelle, le gambe che tremavano per la fatica, come se ogni passo successivo fosse un'impresa impossibile.

Alla fine, le forze mi abbandonarono. Mi inginocchiai a terra, lasciandomi cadere sui fianchi. Il dolore al fianco era insopportabile, come se una lama rovente mi stesse squarciando dall'interno. Non riuscivo a muovermi, il mio respiro si fece affannoso, e ogni muscolo del mio corpo sembrava bruciare. Mi sdraiai a terra, il mio corpo che cedeva alla stanchezza.

Volevo solo dormire. Le palpebre si fecero pesanti, come se un'ombra stesse lentamente scendendo su di me. Il sole penetrava attraverso le foglie degli alberi, creando un gioco di luci e ombre sulla mia pelle, ma io non riuscivo a godermelo. Il dolore si mescolava al caldo opprimente, e un'onda di sonno irresistibile mi travolse.

Chiusi lentamente gli occhi, cercando sollievo. Tutto ciò che sentivo era il dolore, il caldo soffocante e quella stanchezza infinita che mi spingeva verso l'oblio. Non sapevo cosa mi stesse accadendo, perché il mondo sembrava sfuggirmi di mano, ma in quel momento non mi importava. Volevo solo chiudere gli occhi, dormire e dimenticare tutto.

***
Aprii gli occhi lentamente, confusa. La luce nella stanza era soffusa, un netto contrasto con il sole accecante della foresta. Mi ci volle un attimo per rendermi conto che non ero più all’aperto, ma nella mia camera. Mi sentivo bagnata, il sudore freddo che si attaccava alla pelle, e solo allora mi accorsi di Liria, la mia fedele dama di compagnia, intenta a passarmi una pezza umida sulla fronte.

Le sorrisi leggermente, più per rassicurarla che per altro, ma il mio sorriso sbiadì quando vidi Elisabeth in piedi, con le braccia conserte e un'espressione preoccupata sul volto. Accanto a lei, mio padre era seduto su una sedia vicino al letto, stringendomi la mano con una tenerezza che mi sorprese.

«Stai bene, amore di papà?» chiese con voce soffusa, baciandomi sulla guancia. Annuii debolmente, sentendo la testa ancora pesante. Poi, con un gesto stanco, tolsi il panno dalla mia fronte e tentai di alzarmi dal letto.

«Devo allenarmi... devo,» mormorai, con lo sguardo rivolto verso la finestra. Fuori era già sera, il cielo di un profondo blu scuro che sembrava riflettere il mio stato d’animo.

Mio padre mi interruppe bruscamente. «Il tuo maestro ti ha fatto scappare?» c'era una nota di preoccupazione mista a rabbia nella sua voce.

Mi sentivo ancora stonata, la testa girava e le gambe sembravano fatte di gelatina. Feci un passo, ma immediatamente mi ritrovai a sedermi pesantemente sulla sedia vicino al letto. Abbassai lo sguardo, cercando le parole giuste.

«Sono scappata da sola, padre... non so cosa mi sta succedendo.» Le parole uscirono quasi come un lamento, la voce rotta dall'emozione che non riuscivo più a trattenere. Le lacrime minacciavano di scendere, bruciando dietro gli occhi mentre lottavo per mantenere un minimo di controllo.

Non era solo la confusione per quello che era accaduto, ma qualcosa di più profondo, più oscuro, che si agitava dentro di me. Qualcosa che non riuscivo a comprendere, ma che mi spaventava terribilmente.

Non avevo notato la presenza del medico di famiglia fino a quel momento. Era un uomo di mezza età, il cui volto segnato dal tempo tradiva una saggezza guadagnata con anni di esperienza. Gli sorrisi debolmente mentre lui si avvicino, chinandosi leggermente per esaminarmi meglio.

«È meglio che la principessa faccia un po’ di riposo,» disse con un tono autoritario ma gentile, rivolgendosi a mio padre. Mio padre si alzò in silenzio, il peso della preoccupazione evidente nei suoi movimenti lenti. Il medico si ritirò con un rispettoso cenno del capo, seguito subito dalla mia dama di compagnia, Liria, e da Elisabeth.

Elisabeth si avvicinò a me, con quel suo sorriso rassicurante che sembrava voler scacciare via ogni mia angoscia. Mi prese le mani e le baciò con delicatezza. «Riprenditi presto, sorellina,» sussurrò dolcemente, prima di avvicinarsi al padre, che mi baciò affettuosamente sulla fronte.

«Andrà tutto bene,» mi assicurò lui, ma la sua voce tradiva un’ombra di preoccupazione che non poteva nascondere. Liria mi fece un inchino, un gesto formale che in quel momento mi sembrò incredibilmente distante, e uscirono tutti insieme dalla stanza, chiudendo la porta dietro di loro.

Finalmente sola, mi lasciai andare in un respiro profondo, cercando di mettere ordine nei miei pensieri. Non sapevo cosa mi fosse accaduto nella foresta, il ricordo del mio improvviso crollo era offuscato e incerto. Mi guardai le mani, ancora sporche del terreno in cui avevo dormito, e la sensazione di disagio tornò a farsi strada dentro di me.

Improvvisamente, sentii un movimento vicino al letto. Sussultai quando una figura femminile emerse dalle ombre, rivelando il volto familiare di Cleopatra. Indossava gli stessi vestiti con cui l’avevo vista l’ultima volta, ma la sua presenza in quella stanza mi colse completamente alla sprovvista.

«Mi ha fatto venire uno spavento, Cleo,» esclamai, il cuore che batteva forte nel petto. Lei mi sorrise, il suo sorriso enigmatico e tranquillizzante al tempo stesso.

«Anche Cesca mi chiamava così,» disse con un tono nostalgico, facendo riaffiorare in me il ricordo della storia che mi aveva raccontato.

Mi misi le mani sui fianchi, cercando di reprimere l’agitazione che sentivo crescere dentro di me. «Ha portato il libro?» le chiesi con una voce che tradiva l'urgenza di scoprire la verità.

Cleopatra annuì, un sorriso soddisfatto illuminò il suo volto mentre mi porgeva un libro antico, con la copertina consumata dal tempo. Le sue mani sottili stringevano il tomo con una delicatezza reverenziale. Lo presi tra le mani, sentendo il peso della storia e del segreto che custodiva.

Era finalmente il momento. Ero pronta a scoprire la verità su Cesca, la verità che poteva cambiare tutto ciò che credevo di sapere.

Cleopatra si sedette accanto a me, il suo volto che rifletteva una preoccupazione appena trattenuta mentre apriva il libro con lentezza deliberata. Sentii una fitta di ansia quando notai il suo sguardo, qualcosa di strano si rifletteva nei suoi occhi.

«Dio mio…» esclama, la sua voce tremava leggermente. Mentre cercavo di capire cosa la stesse turbando. «Cos'è che non va, Cleo?» le chiesi, preoccupata.

Lei scosse la testa, il suo sorriso forzato cercava di tranquillizzarmi. «Vostra Altezza, niente… Non preoccupatevi,» mi rassicurò, ma la sua voce tradiva un’ombra di esitazione.

Con un respiro profondo, Cleopatra iniziò a sfogliare lentamente le pagine del libro, i suoi occhi che scorrevano sulle parole antiche come se cercasse qualcosa di specifico. Alla fine, si fermò su una pagina e il suo dito indicò una frase particolare. Mi passò il libro con delicatezza, il suo sguardo fisso su di me mentre mi porgeva il volume.

«Leggi qui,» mi disse, il suo tono solenne mentre indicava una frase scritta in un antico dialetto. Le parole erano cariche di un potere oscuro e misterioso, e sentii un brivido lungo la schiena mentre le pronunciavo ad alta voce.

'Ti maledico, sua maestà. Se vorrai un uomo di qualcun altro, morirai con la testa tagliata. In un'altra vita, orfana sarai. Se ucciderai un uomo, in un'altra vita muta diventerai. Se ti innamori di un assassino, insanguinata morirai. E in un'altra vita, violentata sarai. Solo un uomo può spezzare la maledizione, ma dovrà ucciderti, sua maestà.'

Il silenzio che seguì le mie parole fu opprimente. La maledizione sembrava risuonare nella stanza, come un’eco lontana di un destino ineluttabile. Ogni frase delineava un ciclo di sofferenze e sventure legate a diversi aspetti della mia vita, una predizione di tormenti che si sarebbero ripetuti in più esistenze, finché un uomo non avrebbe spezzato la maledizione uccidendomi.

Cleopatra rimase in silenzio, permettendo che il peso di quelle parole cadesse su di me. La mia mente era un vortice di pensieri confusi e di paure. La maledizione parlava di amore, perdita, vendetta, e violenza, e ogni aspetto di essa sembrava intrecciarsi con qualcosa di profondamente radicato nella mia stessa esistenza.

Sentii un senso di smarrimento, come se fossi intrappolata in un ciclo inarrestabile di dolore e sofferenza, destinata a ripetersi in un'infinità di vite. Le parole di Cleopatra sembravano predire un futuro oscuro, un futuro che non avrei mai potuto evitare.

Ma insieme alla paura, nacque anche un senso di determinazione. Nonostante tutto, sapevo che dovevo scoprire di più, dovevo trovare un modo per spezzare quella maledizione, o almeno comprendere il suo significato. Con questa nuova consapevolezza, sapevo che la mia ricerca era appena iniziata.

E con questa convinzione, chiusi il libro con un gesto deciso, guardando Cleopatra negli occhi. «Dobbiamo andare avanti,» dissi con una voce che non ammetteva repliche. «Non lascerò che questa maledizione controlli il mio destino.»

Cleopatra mi osservò con uno sguardo approvante, e per la prima volta quella sera, il peso della maledizione sembrò leggermente meno opprimente. La mia lotta contro il destino era appena iniziata, e sapevo che non l'avrei affrontata da sola.

Cleopatra mi guardò intensamente, la sua espressione diventando seria mentre parlava con una gravità che non avevo mai visto prima. «No, no, vostra altezza,» disse, scuotendo la testa lentamente. «Non puoi sfuggire a questo destino. Dovrai attraversare tutte le vite, fino ad arrivare all'anno duemila venticinque. Sarà un uomo a ucciderti, e non puoi cambiare questo fato, o resterai intrappolata in un ciclo infinito, un loop che non avrà mai fine.»

Quelle parole colpirono come una lama affilata, e la paura che avevo cercato di reprimere tornò a galla con una forza devastante. «Un loop infinito...?» mormorai, la mia voce tremante mentre cercavo di afferrare l'enormità della sua affermazione. L'idea di dover vivere e morire, ancora e ancora, fino a un futuro così lontano, mi paralizzava.

Cleopatra continuò, la sua voce calda ma implacabile. «Io sono qui per aiutarti a evitare gli errori che non puoi permetterti di commettere. Ogni vita che vivrai sarà una prova, un passo verso il destino che ti attende. E io sarò al tuo fianco per assicurarmi che tu segua il percorso giusto.»

Mi fissava con uno sguardo intenso, come se potesse vedere il futuro che mi aspettava, un futuro che io non riuscivo neppure a immaginare. «Io sono un dono, vostra altezza,» continuò, e il suo tono divenne più dolce, quasi malinconico. «Un dono da parte di Livia, la matrigna di Cesca, il giorno della partenza da Lemuria. Sono stata al suo fianco fino alla fine, fino alla sua morte. Ma lei mi diede un ultimo ordine, un comando che non potevo ignorare.»

Mi guardò negli occhi, la sua espressione carica di emozioni che sembravano provenire da un tempo remoto, da vite passate. «Mi disse che dovevo strisciare via, abbandonarla nel suo ultimo momento. E io, obbediente alla mia imperatrice, eseguii.»

Cleopatra si interruppe, il suo sguardo che si perdeva nel passato. Sentii un brivido corrermi lungo la schiena mentre realizzavo la profondità della sua connessione con quella maledizione, con la mia stessa esistenza. Era chiaro che lei non era semplicemente una dama di corte, ma qualcosa di più, un'entità legata al mio destino in modi che non potevo ancora comprendere appieno.

«Ma ora sono qui,» concluse Cleopatra, la sua voce ritrovando una forza calma e risoluta. «Sono qui per guidarti, per aiutarti a evitare il peggio. Ma ricordati, principessa, non puoi sfuggire al tuo destino. Puoi solo affrontarlo con coraggio.»

Le sue parole riecheggiarono nella mia mente, lasciandomi con un senso di incertezza e determinazione allo stesso tempo. Avevo capito che la mia lotta era ben lungi dall'essere finita. Avevo ancora molte vite da vivere, molte prove da superare. Ma ora, almeno, sapevo di non essere sola in questo viaggio.

Chiusi gli occhi per un momento, cercando di raccogliere le mie forze per quello che mi aspettava. E quando li riaprii, trovai Cleopatra che mi sorrideva, un sorriso enigmatico, pieno di segreti e promesse non dette. Il mio cuore batteva forte, ma dentro di me sentivo nascere una nuova determinazione.

Il capitolo della mia vita stava cambiando, e io ero pronta, pronta ad affrontare ogni sfida, ogni sofferenza, ogni sacrificio. Avrei trovato la forza dentro di me per spezzare quella maledizione, in una vita o nell'altra. E sapevo che Cleopatra sarebbe stata al mio fianco, ogni passo del cammino.

Con quel pensiero, mi voltai verso il futuro con una nuova consapevolezza, pronta a scrivere il prossimo capitolo della mia storia, qualunque cosa esso mi riservasse.

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