THE EXECUTION

Francesca

La parola "sterile" risuonava nella mia mente come un'eco interminabile, rimbalzando tra i miei pensieri, e non mi aveva permesso di chiudere occhio per tutta la notte. Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo il volto di Salvador, sentivo le sue parole che si ripetevano come un sussurro incessante: «Io non posso avere figli.» Mi rigiravo nel letto, i cuscini ormai sgualciti, il lenzuolo avvolto attorno alle mie gambe come una trappola. L'alba era arrivata troppo presto, e con essa anche Cleopatra.

Lei era entrata nella stanza in silenzio, come un'ombra, il suo mantello blu scuro ondeggiava leggermente dietro di lei. Non serviva che parlasse: il suo sguardo era sufficiente a farmi capire che aveva compiuto la sua missione. Aveva portato la mia lettera a Demon. In quel momento, un sollievo, misto ad ansia, mi aveva pervaso. Aveva mantenuto la promessa. Ma insieme alla lettera di ritorno, Cleopatra portava con sé un carico di emozioni che mi schiacciava il petto. «Ecco, la risposta di Demon,» disse semplicemente, porgendomi una busta sigillata.

Con mani tremanti, l'afferrai e mi sedetti alla piccola scrivania. Era un mobile in legno antico, con intarsi elaborati che avevo imparato a conoscere bene nel corso degli anni. Le mie dita scorrevano lungo il bordo della busta mentre Cleopatra mi osservava attentamente, il suo sguardo come un pugnale che mi penetrava, cercando di leggere nei miei occhi quello che stavo provando. «Non c’è bisogno che tu lo legga adesso,» mi disse in un tono che sembrava quasi materno, ma che nascondeva una severità intrinseca.

«Devo leggerla,» dissi, più a me stessa che a Cleopatra, ma lei annuì e si sedette lentamente sul bordo del mio letto. La vidi sistemare il suo mantello, come se cercasse conforto in quel tessuto pesante. I suoi movimenti erano stranamente nervosi, e questo non faceva che aumentare la tensione che già mi pesava sulle spalle. C’era qualcosa di diverso nel suo sguardo, un’ombra, come se fosse in bilico tra il dovere e il rimorso.

«Scusami, perdonami,» mormorò Cleopatra a un tratto, quasi senza fiato. La sua voce era carica di un’emozione che non riuscivo a identificare. La guardai, confusa e preoccupata. «Perché?» domandai, cercando di cogliere la sua espressione, ma lei abbassò lo sguardo, fissando il pavimento come se volesse sfuggire al mio.

Non rispose. Il silenzio che seguì sembrò allungarsi all’infinito, avvolgendoci entrambe in una cappa di inquietudine. In quel momento, sentii il peso della lettera tra le mani, come se il piccolo foglio contenesse tutto il dolore e la speranza del mondo. Non volevo leggerla, ma sapevo di doverlo fare. Era l’unico legame rimasto tra me e Demon, l’unica verità che potevo ancora toccare.

Con un respiro profondo, ruppi il sigillo e aprii il foglio. Le parole di Demon erano tracciate con la sua inconfondibile calligrafia, decisa e leggermente inclinata, come se ogni frase fosse stata scritta con l’urgenza del suo cuore.

Cara Franny,

Mi manchi più di quanto le parole possano dire. Ogni giorno senza di te è un tormento, e non faccio altro che pensarti. Ho letto le tue lettere e, ad ogni parola, mi sono innamorato ancora di più. Domani sarà il tuo matrimonio, e il pensiero mi lacera, ma spero davvero che Salvador possa essere un buon marito per te e che tu possa trovare un po’ di felicità accanto a lui.

Devo confessarti che, in tua assenza, sono stato con altre donne, donne che non significavano nulla per me. Erano solo un tentativo inutile di colmare il vuoto che hai lasciato, un vuoto che nessuna di loro potrebbe mai riempire. Nessuna potrà mai essere come te, la mia unica e vera Arciera di Cristallo.

So che il destino ci ha separati, ma il mio cuore resterà sempre legato a te. Ovunque tu sia, io sarò sempre qui ad amarti, anche da lontano.

Con tutto il mio amore,
Demon

La rabbia mi divorava dall'interno come un fuoco inarrestabile. Il pensiero di Demon tra le braccia di altre donne, mentre io ero qui a soffrire per lui, mi dava un senso di nausea. Se lui poteva concedersi il lusso di dimenticarmi per qualche ora, perché non avrei potuto fare lo stesso? Io, la principessa di Eldorado, la futura regina, avevo il diritto di vivere come volevo, almeno per il tempo che mi restava prima che tutto crollasse.

Mi alzai dal letto con un movimento deciso, cercando di scrollarmi di dosso il peso dei pensieri che mi opprimevano. Cleopatra era seduta accanto a me, il suo sguardo fisso sul pavimento, come se sapesse già cosa avrei detto. «Oggi ci sarà l’esecuzione di Fiona,» dissi con freddezza. Non c’era nessuna emozione nella mia voce, solo un senso di distacco che mi faceva sentire più forte, più padrona di me stessa. «Chi se ne frega di lei? Avanti, aiutami a vestirmi,» ordinai, lasciando cadere la camicia da notte ai miei piedi.

Cleopatra si alzò in silenzio, avvicinandosi al guardaroba e tirando fuori uno dei miei abiti più belli. Lo osservai per un momento: tessuto di seta color smeraldo, ricamato con fili d'oro. Un abito degno di una principessa, una che doveva mostrarsi forte e impenetrabile, anche quando il mondo intorno a lei stava andando in pezzi. Mi aiutò a infilare l'abito, e mentre i suoi movimenti erano attenti e precisi, la mia mente vagava su Demon, su Salvador, su tutte le aspettative che gravavano su di me.

«Salvador è un bravo ragazzo, dopotutto,» mormorai, quasi parlando a me stessa. Era la verità. Salvador, il mio futuro marito, aveva sempre cercato di mostrarsi gentile e rispettoso, anche se tra noi non c’era mai stato nulla di autentico. Forse, con il tempo, avrei potuto imparare ad accettare la sua presenza, a fingere un amore che non sarebbe mai esistito davvero.

«Lui… è sterile,» confessai, e le parole uscirono dalla mia bocca prima che potessi fermarle. Non volevo ammetterlo, ma in quel momento sentivo il bisogno di condividere quel segreto con qualcuno, di rendere reale ciò che stava accadendo. Cleopatra si fermò, le mani ancora strette sui lacci del mio corsetto. La sua espressione si trasformò in un misto di preoccupazione e incredulità.

«Adesso, come farai? Con il bambino…» sussurrò, quasi come se temesse la risposta.

«Adesso come farai?» ripeté, aggiustandomi i capelli che si erano sciolti durante la notte. La sua domanda era un coltello, affilato e spietato, che mi ricordava quanto tutto stesse per crollare.

Mi avvicinai allo specchio, osservando il mio riflesso. Vidi una ragazza che si sentiva intrappolata come un uccello in gabbia. Le mie mani sfiorarono la pancia ancora piatta, ma dentro di me sapevo che quel segreto non avrebbe potuto essere celato ancora per molto. Cleo prese un corpetto e iniziò a stringerlo attorno a me, la pressione del tessuto mi ricordava che avevo ancora un po' di tempo, ma non molto. Ogni giorno il bambino sarebbe cresciuto, e presto sarebbe stato impossibile nasconderlo.

«Farò quello che devo fare,» sussurrai alla fine, fissando il mio sguardo freddo e determinato. «Salvador non lo saprà mai. E nemmeno il resto del regno.»

Cleo sospirò, tirando i lacci del corpetto con forza. «Non sarà facile, Francesca. Le cose cambieranno.»

Lo sapevo bene, ma non potevo permettermi di lasciar trasparire il mio terrore. Se la mia unica arma era l'inganno, allora l'avrei usata fino all'ultimo respiro. Cercai di ignorare il dolore al petto, il desiderio di scrivere ancora una volta a Demon, di chiedergli se mi avrebbe salvata da tutto questo.

«Fiona,» mormorai infine. «Dobbiamo andare all’esecuzione. Mio padre ci tiene che sia presente.»

Cleo annuì in silenzio, ma percepii la sua esitazione mentre mi aiutava a infilare l'abito scelto per la giornata. Tessuti pesanti, sontuosi, come ci si aspettava dalla futura regina di Eldorado. Ogni volta che sollevavo le braccia, il corpetto stringeva, ricordandomi ciò che nascondevo.

«Sarà la fine per lei,» disse Cleo, in tono sommesso, mentre mi sistemava i capelli in un’elaborata acconciatura. «E forse l’inizio della tua.»

«Non sarò mai una prigioniera,» risposi, con più forza di quella che sentivo davvero.

Con l'abito finalmente sistemato e il mio aspetto impeccabile, come ci si aspettava dalla principessa di El Dorado, mi avviai verso l’uscita della stanza. Allontanandomi dal letto, dalle lettere nascoste sotto il materasso, e soprattutto dalla verità che avevo celato nei miei pensieri. Oggi avrei affrontato l'esecuzione di Fiona, avrei fatto colazione con Salvador, e avrei recitato la parte che tutti volevano che io interpretassi.

Il giorno del matrimonio si avvicinava, ma l'atmosfera era densa di tensione e ansia. Avevamo deciso di cambiare la data, un gesto audace in un contesto così turbolento, e domani, il nostro giorno, coincideva con un altro evento: l'esecuzione di Fiona. Mentre il pensiero di quel momento mi attanagliava, uscii dalla stanza, seguita da Cleopatra, la mia guardia del corpo e amica fidata.

Il corridoio era lungo e freddo, le pareti decorate con arazzi che raccontavano storie di battaglie e tradimenti. Il profumo del legno antico si mescolava con l’odore pungente della paura che aleggiava nell’aria. Incontrai mia sorella, la principessa, vestita con un abito rosso intenso che esaltava il suo portamento regale. Il corpetto dorato scintillava sotto la luce tenue dei lampadari, mentre i suoi lunghi capelli scuri ricadevano come un fiume di seta sulle spalle.

Mi fermai, facendole un inchino profondo, un gesto di rispetto e sottomissione che avevo imparato a eseguire alla perfezione. «Buongiorno, vostra altezza imperiale,» dissi, la mia voce un sussurro nel silenzio del corridoio. Lei sorrise, un sorriso che nascondeva più di quanto rivelasse, gli occhi brillanti di una determinazione che non avrei mai osato sfidare.

«Franny, mia dolce sorellina,» iniziò, il tono della sua voce mescolato di affetto e autorità. «Vorrei parlarti un momento.» Feci un passo indietro, concedendole il primo posto, mentre Cleopatra rimaneva vigile, gli occhi che scrutavano l’oscurità. Mentre ci allontanavamo, mia sorella si girò, dando le spalle a Cleopatra e a me, e iniziammo a camminare.

«Ho sentito la notizia,» dissi, cercando di mantenere la calma, ma l’ansia mi serrava la gola. «Mia cara… Franny.» Le parole si fermarono nel mio stomaco come un boccone indigesto.

«Cosa?» la mia voce uscì spezzata, quasi un sussurro, mentre mi fermavo nel corridoio. Il mio cuore martellava nel petto, ogni singolo battito sembrava un rintocco funebre che annunciava la fine di qualcosa. La guardai, cercando di leggere nei suoi occhi scuri qualche segno di pietà o comprensione, ma tutto ciò che vidi fu un freddo sorriso che si allargava sulle sue labbra.

«Sei in trappola, sorellina,» disse, scandendo ogni parola con quella calma velenosa che la caratterizzava. «Salvador è sterile. Il bambino non è suo, e lo sai bene.»

Il mondo sembrò fermarsi attorno a me. Era come se il sangue mi fosse gelato nelle vene, mentre la sua voce mi trafiggeva con una verità che avevo cercato di ignorare, di seppellire. Non potevo muovermi, non potevo respirare. Sentii le dita di Cleopatra che afferravano il mio polso, stringendolo con una forza che non pensavo potesse avere. Era come se volesse incatenarmi a quella realtà, costringermi a guardarla in faccia senza possibilità di fuga.

«Finirai come lei,» sibilò, il suo viso così vicino al mio che potevo sentire il calore del suo respiro sulla mia pelle, un contrasto crudele con la freddezza delle sue parole. «Se il bambino nascerà maschio, sarà la tua fine.»

Sospirai, cercando di riprendere il controllo dei miei pensieri, della mia volontà, di qualcosa che potesse restituirmi la forza di reagire. «Devo andare all'esecuzione,» dissi, forzandomi a mantenere la voce ferma, a non lasciarle vedere quanto le sue parole mi avessero scosso.

Provai a muovermi, ma lei non allentò la presa sul mio polso. Per un istante, pensai che non mi avrebbe lasciato andare, che avrebbe continuato a tormentarmi finché non mi fossi spezzata. Ma poi, lentamente, le sue dita si aprirono, lasciando andare la mia mano. Non la guardai mentre mi giravo, non volevo darle la soddisfazione di vedere la paura nei miei occhi.

Iniziai a camminare lungo il corridoio, sentendo i passi di Cleopatra dietro di me, come un’ombra inesorabile che non potevo scrollarmi di dosso. Camminai più veloce, quasi correndo, come se potessi scappare da quelle parole, da quella verità che mi aveva appena scaraventato addosso. Ma non importa quanto cercassi di allontanarmi, sentivo ancora il suo sguardo su di me, un promemoria costante che la mia fuga sarebbe stata solo un'illusione.

Cleopatra sospirò, ma non disse nulla. La sua presenza era un peso costante sulla mia spalla, un promemoria di ciò che non potevo dire, di ciò che dovevo mantenere nascosto. «Puoi camminare più piano,» aveva detto, quasi con indifferenza, ma sapevo che c'era qualcosa di più dietro quelle parole, una minaccia che non aveva bisogno di essere pronunciata.

«Per favore, Cleo, sta zitta,» le avevo risposto, il tono più brusco di quanto avessi voluto. «Non voglio sentire niente.»

Le grandi porte del castello si aprirono davanti a noi, cigolando lentamente, lasciando che l'aria fredda e umida dell'esterno ci avvolgesse come un abbraccio sgradito. Mentre uscivo, mi portai una mano al ventre, un gesto quasi istintivo, protettivo. Sentii il leggero rigonfiamento sotto la stoffa del mio abito e per un momento chiusi gli occhi, sperando. Sperando che fosse una femmina. Demon voleva un maschio, era l’unica cosa che desiderava, l’unico modo per consolidare il suo potere. Ma una parte di me, quella che ancora sognava un po' di libertà, desiderava disperatamente una bambina, qualcosa che potesse proteggerci entrambe dalla furia del destino che ci attendeva.

Ci dirigemmo verso il cortile del castello. Il cielo era grigio, il sole nascosto da una coltre di nuvole pesanti, quasi come se il mondo intero trattenesse il respiro in attesa di qualcosa di inevitabile. Al centro del cortile, una grande tavola era stata allestita sotto un tendone bianco e oro, una protezione inutile contro un sole che oggi sembrava essersi dimenticato di noi. Salvador era già seduto, la sua figura imponente avvolta in una veste ricamata d’oro, il suo sguardo fisso su di me. Sentii il suo giudizio prima ancora che aprisse bocca.

Gli sorrisi con la gentilezza che avevo imparato ad indossare come un'armatura e feci un inchino. «Buongiorno, mio signore,» dissi con una dolcezza studiata. Sollevai leggermente il mio abito per salire i due piccoli scalini che portavano alla piattaforma dove si trovava il tavolo.

Lui si alzò, come sempre, per dispetto. Il gesto era un modo per ricordarmi la sua superiorità, la sua capacità di controllare ogni momento, ogni respiro che prendevo. Mi sedetti sulla sedia di velluto rosso, i miei movimenti lenti e misurati. Vidi il suo sguardo su di me, freddo e calcolatore, mentre faceva un cenno ai camerieri. Poi si sedette di nuovo, il suo viso impassibile. «Cosa desideri?» mi chiese, la voce bassa e priva di qualsiasi emozione.

«Un po’ di tè,» risposi, mantenendo il contatto visivo, cercando di non lasciar trasparire il leggero tremolio delle mie mani sotto il tavolo. «Cleo, vuoi qualcosa?»

Salvador si voltò lentamente verso Cleopatra, e il suo sguardo era tagliente come un coltello. «Di solito alle serve non diamo da mangiare,» disse, ogni parola pronunciata con l'intento di umiliarla.

Per un attimo, tutto il sangue mi si gelò nelle vene. Mi girai verso di lui, cercando il suo sguardo, fissandolo con tutta la forza che mi rimaneva. «Non è soltanto una serva,» dissi, mantenendo la voce ferma. «È la mia migliore amica.»

«Sono felice che tu abbia delle amiche, Franny. Io non ne ho,» disse Salvador, la sua voce calma e misurata, ma c'era un leggero tremolio che tradiva qualcosa di più oscuro. Uno scherzo? Un'ammissione? Non riuscivo a decifrarlo, e quel pensiero mi fece rabbrividire. I suoi occhi restarono fissi sui miei, attenti a ogni mia reazione, come se cercasse di svelare i segreti che tenevo nascosti dietro il mio sorriso educato.

Il cameriere arrivò con passo silenzioso, le scarpe che sfioravano il pavimento senza fare rumore, come un’ombra che scivolava tra i nostri mondi. «Un'altra sedia per la lady,» ordinò Salvador, senza nemmeno voltarsi verso l’uomo. Il cameriere annuì, poi rivolse lo sguardo a Cleopatra in attesa, come se attendesse la sua conferma, una sorta di permesso.

«Cleopatra,» disse lei, pronunciando il suo nome con la fermezza di chi è abituato a non farsi mettere in secondo piano. Salvador le lanciò un'occhiata, ma non aggiunse nulla, mentre il cameriere posizionava una sedia accanto a me, quasi di fronte a Salvador.

Cleopatra si sedette con grazia, il movimento fluido e regale. Anche nei gesti più semplici, c’era un'aria di autorità che non poteva essere ignorata. Un altro cameriere portò un vassoio d’argento con una teiera fumante e dei biscotti. L’odore dolce si mescolava con il freddo del cortile, creando un contrasto quasi irreale in quel momento così teso.

Presi un biscotto tra le dita, cercando di ignorare il leggero tremore che sentivo mentre lo portavo alla bocca. Il bambino aveva fame, lo sentivo. Ogni boccone era una lotta tra il dovere di mantenere un'apparenza impeccabile e il bisogno fisico di nutrire quella vita che cresceva dentro di me. Bevvi un sorso di tè, il calore che scendeva nella gola, portandomi un momentaneo conforto.

Salvador mi osservava, come se ogni mio gesto fosse un enigma che lui doveva risolvere. Finalmente parlò, la sua voce così bassa che quasi dovetti sforzarmi per sentirlo sopra il fruscio del vento che si insinuava sotto il tendone. «Franny,» iniziò, e potevo sentire il peso del mio nome sulle sue labbra, quasi un avvertimento. «Tu sai che, dopo il matrimonio, dovremo consumare l’atto davanti ai nobili, vero? Loro dovranno guardarci.»

Quelle parole mi colpirono come un pugno nello stomaco. Sentii il calore che si diffondeva sulle mie guance, un'ondata di umiliazione che mi travolse senza pietà. Cercai di mantenere la calma, di non mostrare il tumulto che si agitava dentro di me. «Sì,» risposi, cercando di tenere la voce ferma, ma avvertii il leggero tremore che mi tradiva. «Lo so.»

Non era un segreto. Era una tradizione antica, un modo per dimostrare che il matrimonio era stato consumato, che l'unione tra due casate era completa e indiscutibile. Ma sapere che avrei dovuto condividere quel momento intimo, quell'atto che avrebbe dovuto essere nostro, con degli estranei che osservavano ogni dettaglio, era un pensiero che mi riempiva di disgusto.

Cleopatra si sporse leggermente in avanti, il suo sguardo fisso su Salvador. «È davvero necessario?» chiese con quella calma che aveva imparato a usare come un'arma. «Pensavo che certi riti fossero ormai passati di moda.»

Lui prese la sua tazza e la portò lentamente alle labbra, sorseggiando il liquido scarlatto con una lentezza che sembrava deliberatamente studiata per mettere alla prova la mia pazienza. Le sue dita erano lunghe e sottili, avvolte attorno al bicchiere come un serpente attorno alla preda. Quando finì di bere, si leccò le labbra in un gesto quasi provocatorio, lasciando che il silenzio si allungasse tra di noi come un filo teso, pronto a spezzarsi.

«È quello che vogliono,» disse infine, la voce bassa e calma. «Mio padre e il tuo.»

Quelle parole erano un colpo sordo al mio petto. Sentii il battito del mio cuore accelerare, quasi soffocante, e per un istante il mondo sembrò sfocarsi attorno a me. Era tutto legato a loro, come sempre. A uomini che giocavano con i nostri destini come pedine su una scacchiera. Tentai di respirare, di mantenere il controllo, ma la sensazione di essere intrappolata si fece più forte, più soffocante.

La mia mente tornò a quel momento, al bambino che cresceva dentro di me, al peso della sua presenza che aumentava ogni giorno. Era per lui, mi dissi, per assicurare la sua sicurezza, la sua posizione. Ma un altro pensiero più oscuro si insinuò, uno che cercavo sempre di ignorare. La verità era che non ero vergine, non lo ero mai stata. E se non ci fosse stato sangue? Se avessi fallito anche in quell’atto che era richiesto da me?

Sospirai, il suono così leggero che sembrava quasi sparire nell’aria fredda che ci circondava. Sentii Cleopatra spostarsi leggermente accanto a me, il suo sguardo incatenato al mio. Per un attimo, il suo viso si addolcì, e vidi la preoccupazione riflessa nei suoi occhi scuri. Mi prese la mano, le sue dita erano calde, un conforto inaspettato contro la mia pelle gelida. Il suo tocco mi diede la forza di parlare.

«Lo faremo... vestiti, vero?» La mia voce era appena un sussurro, un filo di suono che tremava mentre mi usciva dalle labbra.

Salvador alzò un sopracciglio, come se la mia domanda lo avesse divertito. Potevo vedere il luccichio nei suoi occhi, il piacere perverso che traeva dal mio imbarazzo. «No,» disse, quasi ridendo. «Non ci saranno veli a coprirci, Franny. La purezza deve essere esposta, e il sangue deve essere visto.»

Mi irrigidii, il sangue che prima era stato freddo ora divenne un fiume rovente che mi attraversava, bruciando dalla rabbia e dall’umiliazione. Avrei voluto gridare, avrei voluto prendere quel calice dalle sue mani e rovesciarglielo addosso, ma sapevo che non avrebbe fatto alcuna differenza. Loro erano gli spettatori e io ero solo un pezzo del loro spettacolo, un agnello destinato al sacrificio.

Cleopatra strinse la mia mano con più forza, cercando di ancorarmi alla realtà, come se volesse impedirmi di affondare nel vortice dei miei pensieri. «Ci deve essere un altro modo…» sussurrò, ma la sua voce si spezzò a metà, sapendo bene che non c’era via d’uscita. Non questa volta.

Salvador si alzò lentamente dalla sua sedia, il movimento fluido e naturale, quasi come se stesse danzando. Mi avvicinò con passo sicuro e, per un istante, il tempo sembrò fermarsi. La tensione che mi avvolgeva iniziò a sciogliersi, e quando posò la mano sul mio viso, il suo tocco era caldo, rassicurante. La sua pelle contro la mia era un contatto che non mi aspettavo così gentile, e sentii un’ondata di sollievo inaspettato attraversarmi.

«Non preoccuparti,» mormorò, la sua voce morbida come il velluto, così bassa che sembrava appartenere a un altro mondo, uno in cui la paura e la vergogna non esistevano. «Ci sarò io, Franny. Ti coprirò.» I suoi occhi, così scuri e profondi, cercavano i miei, e per un attimo mi persi nel calore che emanavano. «Non permetterò a nessuno di vedere il corpo della mia sposa. Nessuno tranne me.»

Quelle parole, dette con una sincerità disarmante, mi colpirono più di quanto volessi ammettere. Un nodo che avevo sentito stringersi nel mio petto si sciolse, e per la prima volta da quando questa conversazione era iniziata, riuscii a respirare senza sentire il peso schiacciante dell’ansia. Salvador non era un uomo crudele, non era il mostro che il mio terrore mi aveva fatto immaginare. C’era una dolcezza in lui, un desiderio genuino di proteggermi che andava oltre i dettami della tradizione e delle aspettative.

«Grazie,» sussurrai, la mia voce quasi spezzata, e potei sentire il bruciore delle lacrime agli angoli dei miei occhi, trattenute a stento. «Grazie, Salvador.» Non sapevo cos'altro dire, non avevo le parole per esprimere la gratitudine che sentivo, quel sollievo che mi aveva improvvisamente travolto.

Lui sorrise, un sorriso piccolo e genuino che raggiunse i suoi occhi, ammorbidendo ogni linea del suo viso. «Non devi ringraziarmi,» disse, accarezzando dolcemente la mia guancia con il pollice, come se stesse tentando di cancellare ogni traccia del dolore che vi era rimasto. «Sei la mia promessa sposa, Franny. Sarà mio compito proteggerti, in ogni modo possibile.»

Sentii Cleopatra spostarsi accanto a me, ma per una volta non ebbi bisogno del suo conforto. Salvador aveva costruito un rifugio intorno a noi, un piccolo spazio dove la mia paura non aveva più alcun potere.

«Mio padre… il tuo,» continuò lui, la sua voce leggermente più bassa, come se stesse confidando un segreto. «Loro vogliono rispettare le tradizioni. Ma io… io non ti vedo come un semplice obbligo, un semplice patto. Sei molto di più per me, Franny.»

Quelle parole mi lasciarono senza fiato. Non era il tipo di affermazione che mi aspettavo, e nella sua sincerità trovai una dolcezza che sciolse ogni mia resistenza. «Tu sei molto di più per me,» ripeté lui, e lo fece come se quelle parole fossero la verità più importante che avesse mai pronunciato.

C'era un’intensità nei suoi occhi, una profondità che mi fece sentire vista, davvero vista per la prima volta.

Salvador si raddrizzò, la sua figura alta ed elegante proiettava un'ombra lunga sotto il tendone. «È meglio che andiamo all'esecuzione,» disse con quella calma che sembrava sempre accompagnarlo, come se nulla potesse turbare la sua tranquillità. Mi alzai con un movimento lento, cercando di non mostrare il peso che sentivo, quello del bambino, del nostro futuro, e lasciai che la mia mano si posasse per un attimo sulla pancia. Quel gesto era diventato un'abitudine, un modo per ricordarmi che non ero sola in tutto questo.

«Sì,» risposi, la mia voce un po' più sicura adesso, come se le parole di Salvador avessero davvero avuto il potere di rafforzarmi.

Mi guardò con un’intensità che fece accelerare il mio cuore, ma c’era dolcezza nei suoi occhi, una dolcezza che si era rivelata a poco a poco, come un segreto condiviso solo tra noi due. Poi si voltò verso Cleopatra, e il suo sguardo cambiò, diventando più formale, come se volesse ricordare a entrambi che anche lei faceva parte di questo mondo. «Se non ti dispiace, lady Cleopatra,» disse con un’inclinazione del capo, «andrò solo con la mia sposa.»

Cleopatra esalò un respiro lento, e per un attimo vidi una scintilla di preoccupazione attraversarle il viso, ma sapeva meglio di chiunque altro come nascondere i propri sentimenti. Dopotutto, era stata la mia ombra, la mia confidente, la mia ancora di salvezza in un mare di incertezze. Ma quel giorno, sapeva che doveva lasciarmi andare, che c'era un confine che non poteva attraversare. «Come desiderate,» rispose, il tono della sua voce misurato e privo di emozione, ma i suoi occhi cercarono i miei, come per trasmettermi un ultimo incoraggiamento.

Annuii leggermente, cercando di comunicarle che stavo bene, che avrei affrontato ciò che mi attendeva. Ma sentivo la sua esitazione, il suo bisogno di proteggermi, e quella sensazione mi diede la forza per ciò che stava per accadere.

Salvador mi offrì il braccio, e il gesto fu così elegante, così naturale, che non potei fare a meno di sorridere, anche se solo per un momento. Lo guardai, e il mio cuore si calmò. Nonostante l’imminente realtà dell’esecuzione, lui riusciva a infondermi una strana tranquillità, come se fosse in grado di proteggermi da tutto ciò che stava per accadere.

Con passo lento e misurato, ci avviammo verso l’uscita del cortile, e ogni suono sembrava ovattato, come se il mondo intero avesse trattenuto il respiro. L’aria era fredda e umida, un promemoria del cielo grigio che minacciava pioggia. Il tessuto del mio vestito frusciava contro il pavimento, e per un attimo, mi concentrai solo su quel suono, lasciando che mi ancorasse alla realtà.

«Stai bene?» sussurrò Salvador, la sua voce era così bassa che solo io potevo sentirlo. La sua preoccupazione non era esagerata, non era invadente, e per questo lo apprezzai ancora di più.

«Sì,» risposi, stringendomi leggermente al suo braccio. «Sto bene.»

Attraversammo il cortile, il rumore dei nostri passi si mescolava con il mormorio lontano dei servitori e dei soldati, e potevo vedere la forca in lontananza, il legno scuro che si stagliava contro il cielo grigio. Il mio stomaco si contrasse, e dovetti sforzarmi per non fermarmi, per non girarmi e scappare via. Ma Salvador era lì, la sua presenza solida e ferma, e con lui accanto mi sentii più forte.

Arrivammo alla piazza, e tutto ciò che mi circondava sembrava improvvisamente prendere vita. Il vento era freddo e tagliente, sferzava la pelle con un tocco pungente che mi faceva rabbrividire. La piazza era ampia, e le mura della torre di Iperborea si innalzavano maestose sopra di noi, come un antico guardiano silenzioso che assisteva a ogni esecuzione da secoli. I mattoni della torre, scuri e umidi per l’umidità della giornata, sembravano quasi pulsare sotto il cielo grigio, come se trattenessero tutti i segreti e le sofferenze che avevano visto.

Al centro della piazza, un piccolo patibolo era stato eretto, e già vi si trovava il boia, una figura imponente vestita completamente di nero. Indossava una maschera di cuoio che gli copriva il volto, lasciando visibili solo gli occhi, freddi e inespressivi come quelli di un predatore. Una spada, lucida e affilata, pendeva dal suo fianco, riflettendo la luce fioca del sole nascosto dalle nuvole. Accanto a lui, un tavolo di legno era ricoperto di vari strumenti metallici, e ogni oggetto sembrava essere stato disegnato appositamente per infliggere dolore e sofferenza.

Ci fermammo al centro della piazza, e la folla si fece silenziosa, ogni sussurro e mormorio soffocato dall’attesa. Potevo sentire il peso dei loro sguardi su di me, su Salvador, e per un attimo mi sentii come se fossi io quella condannata. Il cuore batteva forte nel mio petto, così forte che pensai che tutti intorno a me potessero udirlo. Ma Salvador era lì, al mio fianco, la sua presenza calda e rassicurante, e non mi permise di vacillare.

«Non ti impressionare, va bene?» disse, e la sua voce era così calma, così dolce, che mi riportò alla realtà, strappandomi via dal vortice dei miei pensieri.

Annuii, inspirando profondamente. «Non preoccuparti,» risposi, cercando di dare alla mia voce una sicurezza che in quel momento non sentivo. «Ne ho viste tante di donne che venivano condannate... e uomini bruciare.»

Era la verità. L’orrore non era una novità per me, non in questo mondo, dove le esecuzioni erano una punizione comune per chi osava sfidare il potere o semplicemente aveva la sfortuna di nascere dalla parte sbagliata. Eppure, c'era qualcosa di diverso in questa esecuzione. Forse era la presenza di Salvador al mio fianco, forse il modo in cui il suo sguardo cercava sempre il mio, come se volesse assicurarsi che io fossi al sicuro.

Il boia si avvicinò, i suoi passi pesanti e lenti, ogni movimento segnato da una deliberata gravità. Salvador si mosse impercettibilmente, posizionandosi tra me e lui, come uno scudo silenzioso, e sentii una fitta di gratitudine stringermi il cuore. Il boia annuì verso Salvador, riconoscendolo, poi alzò lo sguardo verso la torre. Il rumore di un portone che si apriva riecheggiò, e tutti i presenti trattennero il respiro.

La folla attorno a noi era fitta, una massa pulsante di curiosi, di volti che osservavano senza pietà, senza misericordia. C’erano nobili con i loro abiti eleganti, avvolti in mantelli di velluto, e contadini con vesti logore, tutti uniti dalla stessa morbosa curiosità. C’era qualcosa di ipnotico nell’orrore dell’esecuzione, qualcosa che li attirava come falene verso la fiamma. Il mormorio delle loro voci sembrava un fiume in piena, un insieme di sussurri e risate soffocate che si mescolavano all’aria fredda del mattino.

Mi costrinsi a tenere gli occhi aperti, a guardare la donna che si avvicinava lentamente al patibolo. Camminava lungo la scorciatoia con il viso chinato, i capelli neri che le cadevano sulle spalle in ciocche arruffate e sporche. Il suo abito, una volta bianco, ora era grigio di fango e polvere, il tessuto strappato e consumato. Ogni passo che faceva era lento, trascinato, come se portasse il peso di ogni peccato, di ogni errore commesso, fino al momento della sua fine. E in quell’istante, non era solo una condannata. Era un simbolo, un monito per tutte noi, per tutte le donne che vivevano sotto il giogo del potere maschile, delle leggi che ci rendevano deboli, vulnerabili, sacrificabili.

Le parole di Elisabeth tornarono a martellare nella mia mente, come un’eco oscura e insistente: «Finirai come lei se il bambino nascerà maschio.» Quelle parole, pronunciate con così tanta freddezza, avevano scavato un solco profondo nel mio cuore, un timore che non riuscivo a scacciare. Chiusi gli occhi per un istante, cercando di scacciare quell’immagine, cercando di non vedere me stessa al posto di quella donna, con la corda al collo, il boia pronto a porre fine alla mia vita solo perché il mio ventre aveva dato alla luce un figlio.

Un leggero tocco sulla mia mano mi riportò alla realtà. Salvador, accanto a me, sembrava aver percepito il mio turbamento. La sua presenza era calma, ferma, come un’ancora che mi impediva di affondare in quel mare di paura. Mi guardò, i suoi occhi erano dolci, gentili, come se volesse darmi conforto anche in un momento così crudo.

«Mi hanno raccontato,» iniziò, la sua voce bassa e misurata, quasi come se non volesse che nessun altro sentisse, «che era l'amante di vostro padre e che lo ha tradito con il tuomaestro.» C'era una nota di dispiacere nella sua voce, come se disprezzasse l’inevitabilità di tutto questo, la crudeltà delle azioni umane.

Quelle parole mi colpirono come un pugno nello stomaco. Mio padre. La sua presenza aleggiava sempre, anche quando non era fisicamente presente. Era ovunque, nelle scelte che facevo, nelle paure che nutrivo, nelle voci che cercavo di ignorare. E ora scoprire che quella donna, quella povera creatura che stava per essere decapitata, aveva condiviso il suo letto… era come se mi avessero infilato una lama nel cuore. Ma peggio ancora, la sua condanna era stata decisa perché aveva amato un altro uomo. Un maestro, qualcuno che aveva probabilmente cercato di darle ciò che mio padre non aveva mai voluto o potuto darle: amore, compassione, forse anche solo un po’ di calore umano.

«Sarà una morte rapida,»  mormorò Salvador, forse per cercare di rassicurarmi, forse per se stesso. Ma le sue parole, per quanto dolci, non riuscivano a coprire il sordo ronzio di paura che mi riempiva le orecchie.

«Le donne non hanno mai una morte rapida,» risposi, la mia voce tremava leggermente. «Anche quando la lama è affilata, anche quando il colpo è preciso, il dolore rimane.»

Lui non disse nulla, ma strinse la mia mano con più forza, come se volesse infondermi il coraggio di affrontare ciò che stava per accadere. E io mi aggrappai a lui, come se fosse l'unica cosa che mi impediva di crollare. Mi costrinsi a guardare ancora la donna, a non distogliere lo sguardo mentre veniva spinta verso il patibolo, il suo corpo tremante, ma il viso ormai privo di lacrime. Aveva smesso di piangere, forse perché sapeva che non le avrebbe portato alcuna compassione. Forse perché aveva già accettato il suo destino.

Il boia la afferrò per i capelli, e lei si lasciò andare senza resistenza, come una bambola di pezza nelle mani di un gigante. E mentre la spingeva a terra, obbligandola a inginocchiarsi, i miei occhi incontrarono i suoi, per un breve istante. C'era qualcosa in quegli occhi che mi colpì, qualcosa di familiare. Forse era il terrore, forse era la consapevolezza di un destino già scritto, ma sentii il mio cuore spezzarsi per lei, per tutte le donne che erano state condannate a causa dell'amore, del desiderio, della semplice speranza di una vita diversa.

La folla trattenne il respiro quando il boia sollevò la lama, un silenzio innaturale che sembrava inghiottire ogni rumore, ogni sussurro. E in quell’istante, proprio prima che la lama calasse, mi sentii più vicina a lei di quanto avessi mai pensato possibile. Era come se un filo invisibile ci legasse, un filo intrecciato di dolore, paura e speranza.

Poi la lama cadde, e il rumore fu assordante, come un fulmine che squarciava il cielo. Il corpo di Fiona si afflosciò, privo di vita, e la sua testa rotolò sul legno grezzo del patibolo, i capelli neri che si spargevano come un ventaglio attorno a lei.

Mi girai verso Salvador, i miei occhi colmi di lacrime che cercavo disperatamente di trattenere. Lui mi guardò, e in quel momento non c'erano parole, non c'era consolazione che potesse mitigare la crudeltà di ciò che avevamo appena visto. Ma nel suo sguardo trovai una promessa, un giuramento silenzioso che non sarei mai finita come lei, che lui avrebbe fatto di tutto per proteggermi.

«Ti prometto che non accadrà,»

«Cosa?» sussurrai, come se quella parola fosse l'unica ancora a cui potevo aggrapparmi in quel momento, nel tentativo di comprendere il tumulto che mi si agitava dentro. Ma lui non si fermò, i suoi occhi intensi erano fissi nei miei, così pieni di calore e di una dolcezza che non mi sarei mai aspettata da un uomo come lui, in un mondo come il nostro.

«Ti prometto che non ti accadrà nulla di simile, Franny,» ripeté Salvador, e la sua voce era così sincera, così piena di determinazione, che quasi mi fece dimenticare il gelo che ci circondava. Per un momento, un piccolo sorriso sfiorò le mie labbra, ma era un sorriso incerto, velato da un’ombra di paura. Una paura che aveva il volto di mia sorella, Elisabeth. Avevo visto cosa era capace di fare, con quanta crudeltà aveva pronunciato quelle parole: «Finirai come lei se il bambino nascerà maschio.»

Cercai di reprimere quel pensiero, di scacciare la paura che si stava insinuando dentro di me come un serpente velenoso. «Ti ringrazio, Salvador,» iniziai, le parole esitanti sulle mie labbra. «Ma… lei lo ha tradito, sai? La donna che è stata giustiziata… lei ha tradito mio padre. Io non posso promettere che non ti tradirò un giorno, ma…»

Non riuscii a finire la frase, perché in quell’istante Salvador mi prese il mento tra le dita, il suo tocco gentile ma fermo, e mi costrinse a guardarlo. «Non importa,» sussurrò, il suo respiro caldo che si mescolava all’aria fredda che ci circondava. «Mi sono innamorato di te dal primo momento in cui ti ho vista, Franny.»

Le sue parole mi colpirono come un fulmine. Mi sentii il cuore battere più forte, come se volesse sfondare il petto e volare via. E mentre lui si avvicinava, sentii il suo respiro mescolarsi al mio, un calore inaspettato che contrastava con il freddo pungente della pioggia che aveva appena iniziato a cadere. Le prime gocce erano fredde, pungenti, e si infransero sul mio viso, sui miei capelli, come piccoli diamanti liquidi.

Guardai il cielo, e il grigio si era scurito, le nuvole si erano gonfiate di pioggia e si stavano riversando su di noi, come se il cielo stesso volesse piangere per ciò che avevamo appena visto. Salvador mi prese per la mano, e il suo tocco era caldo, forte, come un ancora che mi impediva di affondare nel mare di incertezze che mi travolgeva.

«Vieni,» disse, la sua voce calma e decisa, come se la pioggia non avesse alcun potere su di lui, come se il mondo potesse anche crollare attorno a noi e lui sarebbe rimasto lì, fermo, saldo, a proteggermi.

Non protestai, mi lasciai guidare da lui mentre ci allontanavamo dalla piazza, mentre la folla iniziava a disperdersi sotto la pioggia sempre più fitta. Sentivo l’acqua scorrere lungo il mio collo, bagnare il mio vestito, ma non mi importava. Mi importava solo la sua mano nella mia, il calore che emanava, la sicurezza che mi trasmetteva.

Attraversammo la piazza, e ogni passo sembrava portarci sempre più lontano dall’orrore che avevamo lasciato alle spalle, sempre più vicini a qualcosa di diverso, di nuovo. Salvador mi guidò verso un arco di pietra, un piccolo riparo che si trovava all'angolo di una strada secondaria. Lì, sotto il peso della torre, ci fermammo, mentre la pioggia scrosciava attorno a noi, creando un velo di gocce che ci isolava dal resto del mondo.

Mi voltai verso di lui, il mio respiro era corto, rapido, e il suo volto era così vicino al mio che potevo vedere ogni singola goccia di pioggia scivolare lungo la sua pelle, fermarsi sulle sue ciglia, brillare come piccole stelle prima di cadere. Le sue dita erano ancora intrecciate con le mie, il suo tocco era così reale, così intenso, che quasi mi sembrava di sognare.

«Salvador,» mormorai, il suo nome un sussurro tra le mie labbra tremanti. Non sapevo cosa dire, cosa fare. Ma prima che potessi pensare a qualcosa, lui si avvicinò ancora di più, il suo petto contro il mio, e per un istante tutto ciò che esisteva era il suo calore, il suo respiro, e il battito del suo cuore, forte e costante.

Mi accarezzò la guancia, il suo pollice sfiorò la mia pelle, asciugando una goccia di pioggia che stava scivolando verso il mio mento. «Non voglio che tu abbia paura,» disse, la sua voce un sussurro che si mescolava al rumore della pioggia. «Non voglio che tu pensi nemmeno per un istante che potrei lasciarti andare.»

Sentii un nodo alla gola, un'emozione così forte che mi travolse, che quasi mi fece perdere l’equilibrio. «Ma se io…» inizia a dire, ma lui mi zittì, avvicinandosi ancora di più, fino a che le nostre labbra non furono a un soffio di distanza.

«Non importa,» sussurrò, e il suo respiro era caldo contro la mia pelle, un contrasto incredibile con il freddo della pioggia. «Finché sei qui con me, finché mi permetti di tenerti per mano, nient’altro ha importanza.»

E poi, senza aspettare, senza esitazione, le sue labbra si posarono sulle mie. Fu un bacio dolce, lento, come se il tempo stesso si fosse fermato per noi, come se la pioggia, il freddo, la paura, tutto fosse svanito, lasciando solo lui, solo noi. Le sue labbra erano morbide, calde, e il modo in cui si muovevano sulle mie era così delicato, così attento, che sentii le gambe cedere leggermente. Mi aggrappai a lui, le mie mani che si spostavano sulla sua schiena, e lui mi strinse più forte, come se non volesse lasciarmi andare mai più.

Quando si staccò da me, i suoi occhi erano fissi nei miei, e in quel momento, in quello sguardo, vidi tutto ciò che non era mai stato detto, tutto ciò che avremmo potuto essere.

L'unico pensiero che mi attraversava la mente, come una ferita che non smetteva di sanguinare, era quello di Demon. Demon, con il suo sguardo oscuro e la sua presenza avvolgente. Demon, l’uomo che aveva lasciato un marchio indelebile nel mio cuore e che adesso era lontano, intento a dimenticarsi di me tra le braccia di altre donne, come aveva scritto nell'ultima lettera. Una lettera che avevo letto così tante volte da averne impresse ogni singola parola nella mente, parole che mi avevano ferito, spezzato in mille frammenti.

Ma poi guardai Salvador, la sua figura alta e imponente al mio fianco, il modo in cui mi teneva la mano, con una tenerezza che Demon non mi aveva mai riservato. Salvador era il mio futuro. L’uomo con cui avrei condiviso la mia vita. E mentre camminavamo lungo i corridoi del castello, il rumore dei nostri passi che si mescolava al crepitio delle torce appese alle pareti, cercai di allontanare quel pensiero, quella presenza oscura che continuava a tormentarmi. Almeno Salvador è un uomo gentile, pensai, almeno è lui che sarà al mio fianco ogni giorno, mentre Demon rimarrà solo un ricordo, il padre del bambino che porto in grembo.

Sospirai, un sospiro lungo, profondo, che sembrava portarsi via ogni traccia di esitazione, mentre Salvador mi guidava attraverso il castello, la sua mano calda che stringeva la mia, un punto fisso in mezzo a un oceano di incertezze. I suoi occhi incontrarono i miei per un attimo, e in quel momento vidi la sincerità, il calore, la dedizione. Era così diverso da Demon, così opposto a tutto ciò che avevo conosciuto. Ed era in quel contrasto che trovavo una sorta di conforto, come se finalmente potessi smettere di lottare contro il destino e accettare la strada che mi era stata assegnata.

Ci fermammo all’improvviso davanti a una grande porta di legno intarsiato, l'ingresso dei nostri appartamenti privati. Salvador si voltò verso di me, e i suoi occhi brillavano di una luce dolce e calda. «Franny,» sussurrò, e il modo in cui pronunciava il mio nome era come una carezza sulla pelle. «Non vedo l’ora di trascorrere la mia vita insieme a te.»

La sua confessione mi colpì, come un colpo di vento inaspettato, facendomi vacillare per un attimo. C'era così tanta sincerità nelle sue parole, un amore così genuino che quasi mi sentii colpevole per tutti i pensieri che avevo avuto su Demon. Mi resi conto, con un dolore sottile, che Salvador meritava molto più di una donna il cui cuore era diviso a metà. Eppure, non potevo fare a meno di provare quel senso di calore, di sicurezza, di protezione che lui mi offriva, e in quel momento, decisi che avrei cercato di dimenticare Demon, di seppellire i ricordi e costruire qualcosa di nuovo.

«Anche io, Salvador,» risposi piano, le parole che uscivano dalle mie labbra come un sussurro, e il sorriso che mi regalò mi fece sentire, anche solo per un attimo, come se tutto potesse andare bene. Come se ci fosse ancora speranza per me, per il bambino che cresceva dentro di me, per quel futuro che sembrava così incerto.

Mi prese la mano e la portò alle sue labbra, posando un bacio leggero sulla mia pelle, e per un momento tutto sembrò svanire: le paure, le ombre, i fantasmi del passato. Restammo così per un istante, immobili davanti alla porta, mentre il mondo continuava a girare attorno a noi.

Poi lui si allontanò leggermente e, con un movimento gentile, aprì la porta. «Entra,» disse, e il suo tono era così dolce, così invitante, che non riuscii a fare altro che obbedire. Quando varcai la soglia, sentii un’ondata di calore avvolgermi, come un abbraccio invisibile. La stanza era illuminata dalla luce soffusa delle candele, l’aria era intrisa di profumi di lavanda e legno di sandalo, e un grande letto troneggiava al centro, coperto da lenzuola di seta color crema.

Mi voltai verso Salvador, e lui era ancora lì, fermo sulla soglia, il suo sguardo che mi seguiva, ogni suo movimento un promemoria della sua presenza, della sua pazienza, della sua dolcezza. «Franny,» disse ancora, e non potei fare a meno di arrossire, perché in quel momento, con il suo sguardo su di me, mi sentii come se fossi l’unica cosa che contasse per lui.

Mi avvicinai al letto, lasciando che le dita sfiorassero la seta fredda delle lenzuola, e poi mi girai di nuovo verso di lui. «Grazie,» dissi, la voce più tremante di quanto avrei voluto. «Grazie per essere così paziente, per… per tutto.»

Lui fece un passo avanti, il suo sorriso era dolce, quasi timido. «Franny, io… io farò qualsiasi cosa per te.» E poi, lentamente, si avvicinò a me, e mi prese tra le braccia, stringendomi contro di sé, e in quel momento, per la prima volta da quando avevo saputo della mia gravidanza, mi sentii al sicuro, come se tutto potesse davvero andare bene.

Mi abbandonavo al suo abbraccio, mentre lasciavo che il calore del suo corpo mi avvolgesse, un ultimo pensiero mi attraversò la mente, l’ultimo ricordo di Demon, di quell’uomo che aveva rubato il mio cuore e poi l’aveva lasciato andare. Forse è questo ciò che significa essere davvero amati, pensai. Forse è questo il futuro che merito.

Sospirai, chiusi gli occhi e mi lasciai andare a quell’istante, lasciando che il peso dei ricordi e delle paure scivolasse via, come la pioggia che continuava a battere contro le finestre del castello. E per un momento, solo per un breve, perfetto istante, tutto fu esattamente come doveva essere.

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