LETTERS
Demon
Sono stato bandito dal castello imperiale. Le mura che per questo mese mi aveva accolto, le stanze che conoscevo a memoria, ora mi erano precluse come se fossi un criminale, come se non avessi mai fatto parte della vita di Franny. E lei... Franny era incinta, del mio bambino, del nostro bambino, e ora sarebbe stata costretta a sposare quel bastardo del principe di El Dorado. Tutto questo per colpa del consigliere di Henry, quel viscido manipolatore. L'odio mi bruciava dentro come una fiamma che non potevo spegnere. Se solo potessi vederlo soffrire, se solo potessi stringere le mie mani attorno alla sua gola e vederlo bruciare al rogo... Ma ora ero qui, lontano da tutto, esiliato. Non potevo fare nulla. Niente.
Il pensiero di Franny mi perseguitava. Tutto il giorno, ogni istante. La sua immagine era impressa nella mia mente come una cicatrice che non guarisce. Non potevo smettere di pensarla. Lei, con il suo sguardo pieno di amore, il suo corpo che cambiava con il mio bambino dentro di lei. Sarebbe diventata madre di mio figlio, eppure sarebbe stata costretta a vivere accanto a un uomo che non amava, un uomo che non conosceva nemmeno. Come avrei potuto permettere una cosa simile?
Mi tormentavo, camminando avanti e indietro nella mia dimora, lontano dalle luci del castello. Non riuscivo a stare fermo. La rabbia e l'impotenza mi divoravano. Avrei voluto correre da lei, strapparla da quelle mura dorate, portarla via con me, ma sapevo che non era così facile. Ero solo contro un intero sistema, contro un impero.
E poi c'era Fiona. Lei sarebbe stata condannata a morte il prossimo sabato. Il pensiero mi faceva rabbrividire. Anche lei era stata coinvolta in tutto questo. Fiona era solo una pedina in un gioco molto più grande, e ora avrebbe pagato con la vita. Non potevo permetterlo. Ma come? Come potevo salvarla, salvarci tutti?
Ogni piano che formulavo nella mia mente sembrava destinato al fallimento. Non potevo tornare al castello, non potevo vedere Franny, e ogni passo che facevo sembrava solo allontanarmi di più da ciò che volevo veramente. Ma una cosa era certa: non sarei rimasto qui a guardare mentre tutto crollava. No, non avrei permesso che il mio futuro, il nostro futuro, venisse distrutto così facilmente.
Avevo tutto prima. Onore, rispetto, e Franny. E adesso, non avevo più niente. L’imperatore non solo mi aveva esiliato, ma mi aveva anche tolto il titolo di arciere, il titolo per cui avevo combattuto e lavorato duramente. Tutto il mio impegno era stato cancellato in un attimo, come se non avesse mai avuto valore. Ogni freccia che avevo tirato, ogni battaglia vinta, non contavano più. E Franny... lei aveva perso i Melios per colpa di quella maledetta cavalcata, di quel momento di incoscienza che ci aveva costati tutto. E poi c'era stato lo sparo. Quel colpo che aveva fatto cadere il suo cavallo e che aveva quasi ucciso lei. Chi diavolo era stato a sparare? Il pensiero che potesse essere stato suo padre mi dava il voltastomaco. Poteva davvero essere capace di una cosa simile? Sparare a sua figlia? In questo mondo malato, niente sembrava più impossibile.
Sospirai, affondando il viso tra le mani. Ero perso. Avevo vissuto per Franny, per il suo amore, e adesso lei era distante, forse già troppo lontana da me. Ero un fantasma di quello che ero stato, un uomo senza direzione. L'unica cosa che mi teneva in piedi era il pensiero di vendetta, la voglia di distruggere chiunque avesse voluto togliermi la mia vita.
Improvvisamente, sentii bussare alla porta. Non aspettavo nessuno. E chi diavolo poteva venire a cercarmi qui? Non avevo parlato con nessuno da quando ero stato esiliato. Il silenzio della mia dimora era diventato quasi soffocante. Le uniche donne che avevo visto erano prostitute. Donne con cui mi intrattenevo solo per dimenticare, per qualche ora, il peso della mia esistenza. Non mi importava di loro, così come non mi importava di me stesso. Era quello che facevo prima di conoscere Franny, prima di entrare nel castello e diventare qualcuno, anche se solo per poco tempo.
Andai verso la porta. Non avevo alcuna aspettativa, nessuna speranza. Aprii lentamente, il cigolio della porta risuonava nell’aria come un richiamo di morte.
Davanti a me c'era una figura avvolta in un mantello blu, il cappuccio tirato in basso, tanto che non potevo vedere bene il suo volto. Ma i dettagli che emergevano, come la treccia lunga e i capelli neri lucenti, mi fecero capire chi avevo di fronte. La donna alzò lentamente il cappuccio, rivelando il suo viso. Era Cleopatra, la dama di compagnia di Franny. Lo sguardo intenso e deciso nei suoi occhi mi colse di sorpresa, anche se avevo imparato a non farmi illusioni con lei: sapevo che non era qui per me, ma per Franny.
«Che dici se mi fai entrare?», disse con un tono che sapeva di sfida, quasi come se stesse già aspettando una mia esitazione.
Non risposi subito, ma mi feci da parte, lasciando che passasse. Mentre entrava, il suo mantello fluttuava leggermente con ogni passo deciso che faceva, e notai il modo in cui osservava la stanza, con uno sguardo che non giudicava ma registrava ogni dettaglio. Era abituata al lusso, non certo a una dimora spartana come la mia.
«Ho fretta», disse bruscamente, interrompendo il mio silenzio. «Scrivi una lettera per Franny. Gliela porterò io. E poi, porterò anche tutte le altre tue lettere a lei. Avanti, sbrigati.»
Non potevo fare a meno di notare il modo in cui mi chiamava, con un pizzico di sarcasmo e distanza. «Arciere di cristallo», lo aveva detto con una leggerezza crudele, quasi fosse un titolo ridicolo adesso che avevo perso tutto.
Cleopatra tirò fuori una lettera dal suo mantello e la posò sul tavolo di legno davanti a me. Mi guardò, aspettando, le braccia incrociate con impazienza. Non c’era tempo per pensare o per cercare le parole giuste. Sapevo solo che dovevo scrivere a Franny, dirle tutto quello che avevo nel cuore, anche se non sapevo se queste parole avrebbero mai raggiunto davvero il suo cuore o se sarebbero finite nel vuoto.
Mi sedetti, afferrai la penna, e iniziai a scrivere.
Cara Franny,
so che probabilmente, nel momento in cui riceverai questa lettera, sarai già fidanzata con Salvator. La verità è che non posso impedire a me stesso di scriverti, di dirti tutto ciò che porto dentro da troppo tempo, anche se so che forse non servirà a nulla. Ma ti prego, ascolta queste parole con il cuore, come se fossi lì con te.
Volevo dirti che ti ho amato e che ti amerò per sempre. Non smetterò mai di farlo. Da quando ti ho vista per la prima volta, quel giorno in cui tuo padre mi ha presentato a te, ho sentito qualcosa cambiare dentro di me. All'inizio ci siamo odiati, abbiamo combattuto contro quel legame che ci spaventava entrambi, ma credo che, nel profondo, sapevamo che tra noi c'era qualcosa di più. Qualcosa di vero. Purtroppo, lo sapevamo entrambi: un amore come il nostro non poteva mai durare. Io non sono un nobile, sono solo un arciere, e tu... tu sei la principessa di Hyperberia.
So che ora porti dentro di te il mio bambino. È un pensiero che mi riempie di gioia e dolore allo stesso tempo. Voglio che tu lo cresca con onore e rispetto, come avrei fatto io. Vorrei che gli insegnassi tutto quello che abbiamo imparato insieme, e spero che un giorno diventi un piccolo arciere, proprio come lo siamo stati noi. Portalo nel mondo con coraggio, e fagli sapere che, anche se suo padre non è lì con lui, lo avrei amato con tutto me stesso.
Mi dispiace di non essere lì accanto a voi, di non poter vedere con i miei occhi la sua nascita. Spero tanto che sia un maschio. Lo so, forse è un desiderio egoista, ma ho sempre sognato di avere un figlio, un erede.
Franny, mi dispiace anche per tutto il resto. So che non volevi figli, e so che non volevi sposarti, soprattutto con un nobile come Salvator. So che stai facendo tutto questo perché non hai scelta, ma sappi che capisco il tuo dolore, e vorrei poter essere lì per alleviarlo, per combattere con te contro questo destino crudele che ci ha separati.
Ti amo, piccola arciera di cristallo. Sei stata la luce in una vita fatta di ombre e inganni. Anche se non possiamo stare insieme, il mio cuore ti apparterrà per sempre.
Con amore eterno,
Il tuo Demon
Conclusi la lettera con un nodo in gola, sapendo che quelle parole non sarebbero mai state sufficienti. Sapevo che, anche se Cleopatra avrebbe consegnato la mia lettera, il futuro di Franny era ormai segnato, e io non ne facevo più parte.
Cleopatra si appoggiava al tavolo, le mani premute sul legno liscio mentre mi guardava con quell'espressione che non riuscivo mai a decifrare. I suoi occhi erano penetranti, come se riuscissero a vedere oltre ogni maschera, oltre ogni segreto. Chiusi lentamente la lettera che avevo appena scritto per Franny, piegandola con cura, cercando di soffocare l'emozione che mi stringeva il petto. La porsi a Cleopatra, sapendo che quel gesto era l'ultimo frammento di speranza che mi restava.
Cleopatra, con uno sguardo stanco e una calma glaciale, mi osservava mentre prendevo la decisione di consegnarle quel pezzo di me. Prese un respiro profondo e disse: «Ho già visto questa scena... senza la lettera, senza di te. E, per quanto possa dispiacermi dirtelo, non è finita molto bene. E temo che neanche questa storia avrà un lieto fine.» Il suo tono era tagliente, come una sentenza già scritta.
Le sue parole mi trapassarono, ma rimasi impassibile. Sapevo che Cleopatra non mi aveva mai veramente sopportato. In fondo, non mi ero mai aspettato nulla di diverso. Lei si preoccupava solo di Franny, e io ero solo un ostacolo sul cammino della principessa.
Cleopatra afferrò la lettera che le avevo passato, i suoi occhi mai distogliendosi dai miei. Poi, quasi con un sospiro, continuò: «Non mi sei mai piaciuto, Demon. Mai. Ma Franny... lei era innamorata di te. Così mi dispiace dirtelo, ma da ora in poi, se vorrai comunicare con lei, potrai farlo solo attraverso di me.»
Quelle parole fecero male più di quanto volessi ammettere. Era come se l’ultimo filo che mi legava a Franny fosse stato reciso, lasciandomi solo con un fantasma del nostro amore. Feci finta di non dare peso alla cosa e alzai le spalle. «Vabbè,» dissi, il mio tono disinvolto mascherava la frustrazione che mi divorava dentro.
Cleopatra infilò la lettera nel suo mantello, preparandosi a uscire. Osservai la lettera di Franny con attenzione, sentendo una stretta nel cuore solo nel vedere la sua scrittura sul fronte. «Ci vediamo per la prossima lettera,» disse Cleopatra con un accenno di sorriso, prima di girarsi e svanire nell'ombra della notte.
Rimasi lì, con la lettera di Franny tra le mani, pesante come se racchiudesse tutto ciò che avevo perso. Mi sedetti accanto al tavolo e, con un respiro profondo, cominciai ad aprirla. Non sapevo cosa aspettarmi, ma sapevo che qualsiasi cosa fosse scritta lì dentro, non sarebbe mai bastata a riempire il vuoto che sentivo.
Decisi di aprire la lettera, le mani tremavano leggermente mentre srotolavo il foglio. Il cuore mi batteva forte, come se ogni parola fosse un colpo alla mia anima. I miei occhi si posarono sulle prime righe e cominciai a leggere.
Caro Demon,
È passato un mese da quando ci conosciamo. Non ti ho amato e non lo ho mai fatto, ma dopo aver scoperto di aspettare un figlio da te, credo di provare qualcosa per te. So che mi odi e che forse non volevi figli, e che adesso, con un bambino che non potrai vedere crescere, la situazione è ancora più difficile per te.
Partirò per El Dorado. Mi sposerò qui, in Hyperboria, e non ci vedremo mai più. Ma ti prometto che non permetterò a nessuno di mettere me contro di te o contro il nostro bambino. Prometto che parlerò di te a lui, gli racconterò che eri un grande arciere, e ti prometto che gli insegnerò tutto ciò che tu hai insegnato a me.
Con tutto il mio cuore,
la tua arciera.
Le ultime parole mi colpirono come una freccia dritta al petto. Chiusi la lettera, lasciando cadere le mani, senza fiato. L'aveva firmata come "la tua arciera", un richiamo ai giorni in cui eravamo liberi, in cui l'unico mondo che contava per noi erano i campi d'addestramento e la nostra passione nascosta.
Per un momento, rimasi immobile, incapace di processare tutto quello che avevo appena letto. Poi, senza riuscire a trattenermi, sentii le lacrime bruciarmi gli occhi. Il dolore che avevo cercato di soffocare per settimane esplose improvvisamente, come un fiume in piena che rompe gli argini.
Mi misi a piangere, una pioggia di disperazione che sembrava non avere fine. Era tutto troppo, troppo da accettare. La consapevolezza che non l'avrei mai più rivista, che non sarei stato lì a crescere nostro figlio, mi stava lacerando dall'interno.
Eppure, in qualche modo, c'era una piccola scintilla di conforto nelle sue parole. La promessa che non avrebbe mai lasciato che qualcuno si intromettesse tra noi e nostro figlio. Che gli avrebbe raccontato chi ero, cosa avevamo condiviso. Ma tutto questo non era abbastanza. Non potevo essere al suo fianco, non potevo insegnargli io a tirare la prima freccia, a tenere la mira salda come avevo insegnato a Franny.
La mia mente continuava a tornare a quei momenti in cui tutto sembrava possibile, quando lei era solo una ragazza ribelle e io il suo maestro. Adesso, tutto era cambiato. Le promesse rotte, le speranze infrante, e un futuro che non avrei mai potuto vivere.
Rimasi lì, da solo, stringendo quella lettera come se fosse l'ultima cosa che mi legava a Franny.
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