LADY CLEO

Demon

Mi guardai allo specchio del bordello e non potevo fare a meno di notare il riflesso che mi osservava con disprezzo. Era il volto di un uomo stanco, segnato dall'avidità e dalla passione, un bastardo che aveva scelto una vita di eccessi e vizi. Non dovevo essere qui, non dovevo trovarmi a scopare donne che nemmeno conoscevo. Ma l’avevo fatto. E l’avevo fatto più volte di quanto volessi ammettere.

Feci un nodo ai calzoni, i culottes, che scivolavano giù, e fissai la prostituta che giaceva nel letto, i capelli disordinati e la pelle pallida, abbandonata nel sonno. La sua bellezza era sfiorita dalla notte, eppure c'era qualcosa di terribilmente attraente nella sua fragilità. Mi sentii vuoto, come se avessi cercato di riempire un abisso incolmabile con momenti effimeri che non avrebbero mai potuto colmare il vuoto che portavo dentro.

Presi la camicia che giaceva sul pavimento, ancora tiepida dal mio corpo, e la indossai. La stoffa sfiorò la mia pelle e mi ricordò che, nonostante tutto, ero ancora un uomo. Con un gesto rapido, legai la camicia con un nodo in vita, sentendo la morbidezza del tessuto contro la mia carne. Dovetti ammettere che indossare i panni di un uomo nobile, con i miei pantaloni decorati e la giacca ben tagliata, mi dava un certo senso di potere, una maschera per nascondere la mia miseria interiore.

Dopo aver raccolto la giacca, mi fermai a contemplare il mio riflesso ancora una volta. Le luci fioche della stanza proiettavano ombre inquietanti sul mio volto. Gli occhi, scuri e profondi, raccontavano storie di notti interminabili e scelte sbagliate. Sospirai, la consapevolezza di ciò che ero mi colpì come un pugno allo stomaco. Uscire da questa vita non era mai stato facile, ma ogni giorno che passava sembrava più difficile.

Lasciai delle monete sul comodino, un tributo per la notte trascorsa, e mi girai verso la porta. Prima di uscire, lanciando un’ultima occhiata alla donna che avevo usato, sentii un vuoto crescere nel petto. Ma non avevo tempo per riflessioni. Dovevo andare. Dovevo ritrovare la mia strada, anche se non sapevo dove mi avrebbe portato.

Aprii la porta e il corridoio del bordello mi accolse con l'odore di sudore e vino. I rumori di voci e risate giungevano da altre stanze, un canto seducente di vita che mi spingeva a ritornare in quel mondo di piaceri temporanei. Avanzai lentamente, cercando di ricordare come avessi scelto questa vita, come avessi permesso a me stesso di scivolare in un abisso di decadimento.

Ogni passo era pesante, e mi sentivo come se il pavimento sotto i piedi fosse di piombo. Passai accanto a una porta socchiusa, da cui proveniva un vociare animato. Attraversai un gruppo di uomini, alcuni dei quali mi ignorarono, mentre altri mi lanciarono sguardi curiosi. Erano i miei pari, nobiluomini come me, ma eravamo tutti caduti in questo stesso gioco. Persone che cercavano conforto tra le braccia di sconosciuti, in cerca di una fuga temporanea dai nostri pensieri.

Mentre mi allontanavo da quel luogo, sentii il richiamo della libertà, ma la verità era che la libertà era un miraggio. Non avrei mai potuto sfuggire a chi ero, al peso delle mie azioni. La mia mente tornava sempre a Franny, alla sua innocenza, alla dolcezza con cui mi guardava. Lei meritava di meglio, di un uomo che non fosse afflitto dalle proprie debolezze.

Un brivido di rabbia mi attraversò, un misto di frustrazione e desiderio di cambiare. Ma in quel momento, tutto ciò che potevo fare era proseguire lungo la strada, fino a quando non avrei trovato un modo per affrontare i demoni che mi perseguitavano. Mi spostai tra la folla, cercando di dimenticare la fragilità delle mie scelte e l’amore che avevo sacrificato sull’altare delle mie paure.

Uscito dal vicolo, l'aria umida e fresca mi investì, portando con sé il profumo di legna bruciata e fieno bagnato. Davanti a me si stendeva il villaggio in cui ero cresciuto, il luogo che una volta chiamavo casa, prima che la vita e le sue circostanze mi trascinassero in un mondo di eccessi e decadimento. Per un momento, rimasi fermo a osservare la scena davanti a me, cercando di assorbire ogni dettaglio, ogni sfumatura di quel luogo che mi aveva visto diventare l’uomo che ero.

Le case, costruite con robuste travi di legno e mattoni grezzi, si allineavano lungo la strada principale, strette le une alle altre come a voler condividere un abbraccio di solidarietà contro il freddo dell'inverno che già si faceva sentire. I tetti erano coperti di paglia o di tegole scure, ormai annerite dal fumo dei camini che si innalzava verso il cielo grigio, fondendosi con le nuvole basse e minacciose. Ogni tetto sembrava raccontare una storia, e ogni casa emanava un calore e una familiarità che non avevo mai trovato nelle grandi città o nei palazzi sfarzosi che avevo frequentato.

Le finestre delle case, piccole e protette da persiane di legno, lasciavano intravedere le luci tremolanti delle candele e i fuochi dei camini accesi, dove sicuramente intere famiglie si riunivano attorno a un modesto pasto. Le porte erano semplici, alcune adornate con ghirlande di rami di pino intrecciati, altre con piccoli simboli di ferro battuto che riflettevano l’identità di chi vi abitava.

La strada principale era fatta di terra battuta, resa fangosa dalla pioggia recente. Ogni passo che facevo produceva un suono morbido e soffocato, e potevo sentire la melma attaccarsi alle mie scarpe di cuoio. Intorno a me, i villani si muovevano con una certa lentezza, avvolti in mantelli di lana grezza, il capo coperto da cappucci per ripararsi dall’umidità. Le loro mani erano callose, segnate dal lavoro nei campi e nelle botteghe, e i loro volti portavano i segni della fatica, ma anche della dignità e della forza che avevano costruito con la loro vita.

Nel centro del villaggio, dominando la piazza principale, c’era un pozzo in pietra, il cui orlo era liscio per via delle mani che, per generazioni, si erano poggiate su di esso, alzando secchi d’acqua fresca. Attorno al pozzo si erano radunate alcune donne, avvolte nei loro scialli, che chiacchieravano tra loro mentre riempivano le loro brocche. Il loro mormorio si mescolava al vento e al rumore degli zoccoli di qualche cavallo che passava lento, trainando un carretto carico di legna o di sacchi di grano.

Dalle case vicine giungevano odori familiari: il profumo del pane appena sfornato, mescolato all’aroma acre della birra che fermentava in una bottega poco distante. Poco più avanti, notai un fabbro al lavoro, la sua figura massiccia che si stagliava contro il bagliore del fuoco della forgia. I suoi colpi ritmici sul metallo risuonavano nell'aria, scandendo il tempo come il battito di un cuore antico e inarrestabile. Lì accanto, un gruppo di bambini giocava con un cerchio di legno, rincorrendosi e gridando in un modo che mi riportò indietro nel tempo, ai giorni in cui io stesso correvo tra quelle strade, senza preoccupazioni e senza un futuro già segnato.

Mi avvicinai lentamente a un banco di legno allestito per la vendita del pesce, dove un vecchio, avvolto in un pesante mantello di lana, stava vendendo ciò che aveva pescato all’alba. I pesci brillavano alla luce del mattino, ancora bagnati e vivi di un’energia che contrastava con la rassegnazione che aleggiava su tutto il villaggio.

Da una delle case più grandi della piazza, una taverna che conoscevo bene, uscì un profumo invitante di stufato, e sentii il mio stomaco brontolare. Non mangiavo da ore, forse da un giorno intero, e la tentazione di entrare, di sedermi su una delle panche di legno e ordinare un pasto caldo era forte. Ma sapevo che non potevo. Non ancora.

Mi fermai per un momento accanto al pozzo, osservando il riflesso dell’acqua scura, e vi vidi il volto di un uomo stanco, un uomo che aveva perso la sua strada. Questo villaggio, con le sue case di legno e pietra, con la sua gente semplice e i suoi odori familiari, era stato l'inizio di tutto. Ed era qui che avevo bisogno di ritrovare me stesso.

Sospirai, lasciando che il profumo del fumo, del pane e della pioggia mi avvolgesse come una coperta calda. Avevo commesso tanti errori nella mia vita, ma forse, tra queste strade fangose e le case che avevano resistito al tempo, avrei trovato un modo per ricominciare. Un modo per diventare l’uomo che volevo essere, e non quello che il destino sembrava aver scelto per me.

Aumentai il passo, come se ogni passo più veloce potesse allontanarmi dalla vergogna e dai rimpianti che mi accompagnavano. L'idea di vedere Cleopatra mi spinse avanti, come un desiderio proibito che scaldava il sangue nelle mie vene. Non era soltanto il suo aspetto che mi affascinava, anche se avrebbe potuto catturare l'attenzione di qualsiasi uomo. Era il modo in cui si muoveva, la sensualità che trasudava da ogni gesto, la sicurezza che sembrava circondarla come un'aura invisibile. In lei vedevo una libertà, una passione, qualcosa che non riuscivo più a trovare in Franny, ora incatenata dalle responsabilità e dalle aspettative. Cleopatra rappresentava la trasgressione, un rifugio dai miei stessi pensieri e dalla vita che avevo scelto.

Le fantasie su di lei mi si affollavano nella mente mentre camminavo. La immaginavo mentre si avvicinava a me, i suoi occhi scuri che mi scrutavano con quel sorriso enigmatico sulle labbra. Immaginavo le sue dita sfiorarmi il viso, i suoi capelli che scivolavano come seta tra le mie mani. Il pensiero mi fece stringere i pugni, un misto di desiderio e frustrazione. Sapevo che avrei potuto avere quel momento con lei, quella fuga temporanea che bramavo, eppure qualcosa mi tratteneva sempre, una forza invisibile che mi impediva di attraversare quel confine.

Il villaggio ormai giaceva alle mie spalle, e il terreno iniziava a salire dolcemente mentre mi avvicinavo alla collina. Da lassù si poteva vedere tutta la valle, un mosaico di campi coltivati e boschi che si estendevano fino all'orizzonte. Ogni passo mi avvicinava alla mia casa, quella casa che sembrava sempre più lontana, nonostante la distanza fosse così breve. Il sudore mi scivolava lungo la schiena, appiccicando la camicia alla pelle, e sentii la stoffa pesante sulle spalle. La pioggia del giorno prima aveva reso l’aria più umida, e il sole oggi sembrava voler evaporare ogni traccia di quella pioggia, trasformando il sentiero in un calderone rovente.

Mi fermai per un istante, il respiro affannato, e alzai lo sguardo verso il cielo. Non c’era una nuvola in vista, solo un azzurro abbagliante e spietato che mi faceva stringere gli occhi. La luce del sole rimbalzava sulla polvere del sentiero, creando riflessi che sembravano danzare davanti a me. Passai una mano tra i capelli, scacciando il sudore dalla fronte, e mi incamminai di nuovo. Il calore era opprimente, e sentivo la terra scricchiolare sotto i miei piedi ad ogni passo. Avrei dato qualsiasi cosa per un po' d'ombra, per un soffio di vento che mi rinfrescasse il viso, ma la strada era ancora lunga e non potevo permettermi di rallentare.

Finalmente, dopo quella salita interminabile, raggiunsi la cima della collina. La mia casa si stagliava davanti a me, una costruzione solida, fatta di pietra e legno, con un tetto di tegole rosse che contrastava con il verde dei campi circostanti. Le finestre erano piccole e le pareti spesse, progettate per resistere sia al caldo soffocante dell’estate che al freddo mordente dell’inverno. Era una casa che parlava di forza e di resistenza, proprio come mia madre l'aveva voluta.

Mi avvicinai alla porta e la spinsi con un gesto deciso, cercando disperatamente quell'ombra e quella frescura che sapevo avrei trovato all'interno. L'aria all'interno era più fresca, odorava di legno e di terra, un profumo familiare che mi ricordava i giorni della mia infanzia. Appoggiai la schiena contro la porta chiusa e mi concessi un momento per respirare, per lasciare che i pensieri si placassero.

Cleopatra stava davanti a me, avvolta in un mantello rosso che si staccava con grazia dalle sue spalle e cadeva come una cascata intorno ai suoi piedi. Quel tessuto contrastava il nero intenso del suo vestito, rendendo la sua figura ancora più misteriosa, quasi eterea. I suoi occhi mi trapassavano, scuri come la notte, profondi come un mare in tempesta, e sentii un brivido percorrermi la schiena.

«Non avevo dubbi,» aveva un sorrisetto sulle labbra, il tono velato da una nota di provocazione. «Dove poteva essere il grandioso Demon Flèche, se non tra le lenzuola di un bordello?»

La sua voce era morbida, quasi ipnotica, e per un istante mi sembrò di non avere alcuna possibilità di resistere a quell'energia magnetica che sembrava emanare. «Non mi giudicare, Cleopatra,» risposi, cercando di mantenere un tono indifferente, ma sentivo il calore nelle mie parole, come se ogni risposta fosse un passo più vicino a lei, come se stessi lentamente sprofondando nel suo incantesimo.

Lei fece un passo avanti, e poi un altro, fino a fermarsi così vicino a me che potevo sentire il suo profumo. Era dolce, con un tocco di spezie, qualcosa che mi faceva perdere il filo dei miei pensieri. «E perché dovrei giudicarti?» sussurrò, con un tono che era tutto tranne che innocente. «Sei un uomo come tutti gli altri, che cerca un po’ di piacere per sfuggire ai suoi demoni.»

«Cleo…» la chiamai per nome, e lei alzò un sopracciglio, come se il semplice suono del suo nome sulle mie labbra fosse qualcosa che desiderava da tempo. «Perché sei qui?» chiesi, la voce roca, incerta. Era difficile mantenere la lucidità quando era così vicina, quando il suo corpo era così dannatamente vicino al mio.

Cleopatra mi guardava con quell'aria impertinente, come se avesse un segreto nascosto dietro le labbra che erano sempre pronte a sorridere in modo malizioso. Il suo mantello rosso avvolgeva il suo corpo come una fiamma, e i suoi occhi, neri e profondi, non si staccavano dai miei. «Perché sono qui?» chiese, incrociando le braccia sul petto. «Demon, sono la dama e la migliore amica di Franny, non dovresti sorprenderti.»

Tolsi la giacca dalle spalle e la appoggiai sulla sedia, fissandola con uno sguardo inquisitorio. «L'imperatore è morto? Ho sentito dire che sta molto male,» dissi, sperando di deviare il discorso. Non avevo bisogno che la sua presenza mi facesse riflettere su ciò che stava accadendo tra me e Franny.

Cleopatra scrollò le spalle, un gesto che fece ondeggiare leggermente i suoi lunghi capelli neri. «Non sono qui per parlare dell'imperatore,» replicò con calma, «sono qui per le lettere di Franny.»

Quella risposta mi fece irrigidire. Mi toccai il viso, cercando di mascherare il mio turbamento. «Franny e quel Salvador... hanno fatto qualcosa?» domandai, il pensiero di Franny con un altro uomo era come un pugnale che mi penetrava nel petto.

Cleopatra si sedette su una sedia di fronte a me, con la grazia di una regina. «Non ancora,» disse con tono enigmatico, «ma... i loro genitori vogliono che, dopo il matrimonio, devono scopare davanti a tutti.»

Le sue parole mi colpirono come uno schiaffo, lasciandomi senza fiato per un istante. «Una lady non dovrebbe parlare così,» mormorai, cercando di mascherare il mio disagio con una leggera accusa.

Ma Cleopatra non si lasciò intimidire. Mi guardò dritto negli occhi, sfidandomi, e io non potei fare a meno di sentire il richiamo di quella sfida. Mi avvicinai a lei, la mano sollevata a sfiorare i suoi capelli corvini, morbidi come seta. «Ah sì?» le sussurrai, la mia voce diventò più profonda, intrisa del desiderio che cercavo di reprimere. «E cosa dovrei fare, allora?»

Cleopatra si allontanò appena, il suo sguardo si accese di un fuoco che non avevo mai visto prima. «Non toccare i miei capelli,» mormorò, ma non fece nulla per fermarmi. Continuai ad accarezzarle i capelli, lasciando che le mie dita si perdessero tra le ciocche.

Lei inspirò profondamente, trattenendo un respiro tremante prima di continuare: «O ti mordo e ti avveleno.» C’era una promessa di pericolo nella sua voce, una minaccia così dolce che fece crescere dentro di me un desiderio ancora più forte.

Le mie labbra si avvicinarono al suo orecchio, sentii il suo profumo inebriante mentre sussurrai: «Ne varrebbe la pena.»

Cleopatra sospirò, abbassando lo sguardo per un attimo, come se stesse riflettendo su qualcosa di lontano. «Vuoi da bere?» le chiesi, cercando un modo per riempire il silenzio che si era creato tra di noi. Lei annuì lentamente, facendo scivolare le dita sotto il mantello e tirando fuori quelle lettere che sembravano pesare più di quanto avrebbero dovuto. «Sì, certo,» rispose con un lieve sorriso. «Un tè andrà bene.»

Mi avviai verso il piccolo braciere per preparare il tè, ogni movimento era attento e misurato, come se stessi eseguendo un rituale antico. Mentre l'acqua iniziava a scaldarsi, lanciai un'occhiata a Cleopatra che sedeva composta, con le lettere strette tra le mani, come se fossero il suo unico legame con il mondo esterno. La fiamma del braciere illuminava il suo viso, gettando ombre danzanti sui suoi lineamenti delicati ma fieri.

Quando l'acqua iniziò a bollire, presi con cura una tazza di terracotta, simile a quelle usate nelle corti e nelle case di campagna del nostro tempo. Versai il liquido caldo all'interno, mescolando con attenzione le erbe aromatiche che avevo trovato qualche giorno prima nel bosco. Potevo quasi sentire il profumo dolce e avvolgente del tè riempire la stanza.

Con la tazza stretta in mano, mi avvicinai a Cleopatra e la poggiai davanti a lei. Lei la prese con entrambe le mani, soffiarono delicatamente sulla superficie calda, creando piccoli vortici di vapore. «Mi dispiace che non puoi più fare l'arciere o il cacciatore,» disse, le sue parole erano morbide, quasi come se stesse cercando di consolare un dolore che sapeva essere ancora vivo dentro di me.

Abbassai lo sguardo, le dita giocherellavano con l’orlo della mia camicia. «Già,» mormorai, quasi a me stesso, «mi manca. Come mi manca Franny.»

Cleopatra sollevò la testa e mi guardò, gli occhi scuri che sembravano voler scavare dentro di me. «Ti manca davvero?» domandò con un tono che non riuscivo a decifrare, quasi come se cercasse di capire qualcosa di più profondo.

Annuii lentamente, il peso delle parole che non volevo pronunciare si fece sentire nel petto. «Ogni giorno,» confessai, sentendo una stretta al cuore mentre lo dicevo. «Ogni volta che tiro una freccia nella mia mente, penso a lei. Quando cacciavo, lo facevo per lei, per portare qualcosa sulla tavola, per dimostrarle che potevo essere all’altezza.» Feci una pausa, cercando di trattenere un'emozione che minacciava di sopraffarmi. «Ma ora… ora non posso più fare nulla per lei.»

Cleopatra bevve un sorso del tè, e il suo sguardo si addolcì leggermente. «Capisco,» disse semplicemente, e per la prima volta sembrava davvero sincera. «Anche io ho perso molto, sai?»

Ci fu un momento di silenzio tra di noi, interrotto solo dal crepitio del fuoco. Potevo sentire il ritmo del mio cuore che accelerava, come se ogni battito fosse una parola non detta, un desiderio nascosto. «E cosa hai perso, Cleo?» le chiesi, con la voce bassa e carica di emozione.

Cleopatra mi fissò con quello sguardo intenso, quegli occhi che sembravano scrutare fino al più profondo del mio essere, ma che allo stesso tempo nascondevano un segreto. Le sue labbra si mossero appena, e la sua voce uscì come un sussurro fragile, quasi spezzato. «Non mi giudicare però, va bene?»

Annuii lentamente, cercando di mantenere il controllo. «Non lo farò,» dissi, la mia voce era bassa e rassicurante, come se stessi parlando a una creatura selvaggia e ferita. «Non ti giudico.»

Cleopatra rimase in silenzio per un attimo, poi distolse lo sguardo, quasi come se fosse troppo difficile sostenere il mio. «Nella mia tradizione,» cominciò, e il tono della sua voce era intriso di un dolore antico, «le bambine più forti sono quelle che vengono… stuprate da piccole, per renderle più forti.» Sentii un brivido attraversarmi la schiena mentre lei faceva quella confessione, e il mondo intorno a noi sembrò diventare più silenzioso, come se la sua storia avesse catturato ogni singola particella d'aria. «Io… io non ho colpa,» aggiunse, e le sue parole erano come lame taglienti che tagliavano il mio cuore.

Cleopatra si alzò all’improvviso, il movimento era rapido, quasi come se volesse fuggire da qualcosa di invisibile. Feci un passo indietro, ma i miei occhi non lasciarono i suoi nemmeno per un istante. La osservai mentre iniziava a camminare avanti e indietro nella stanza, le mani tremavano e il suo respiro diventava irregolare, quasi affannoso. Sembrava come se il peso di ogni parola detta la stesse schiacciando, e non riusciva a trovare una via d'uscita da quella gabbia di dolore.

«Cleo...» mormorai, il suo nome sulle mie labbra era come un canto, un sussurro che cercava di raggiungerla. «Cleo, calmati,» le dissi, cercando di mantenere la mia voce ferma mentre mi avvicinavo a lei, anche se ogni passo che facevo mi sembrava un passo verso un baratro senza fondo.

Ma lei non mi sentiva, era troppo persa nel suo mondo di paura e dolore. Il suo respiro diventava sempre più rapido, il suo petto si alzava e si abbassava come se non riuscisse a trovare abbastanza aria. Gli occhi erano spalancati, e l’ansia che le dilagava nel corpo la rendeva irriconoscibile, come un animale intrappolato in una gabbia invisibile.

In un impulso, la presi per le spalle e la tirai verso di me, stringendola forte, avvolgendola con le mie braccia come se potessi proteggerla dal mondo intero. Il suo corpo era rigido, tremante, ma non la lasciai andare. «Stai bene,» le sussurrai, le parole erano come un mantra, ripetute in continuazione mentre cercavo di trasmetterle calma e sicurezza. «Stai bene, Cleo.»

Lei si aggrappò a me, le sue mani affondarono nel tessuto della mia camicia, come se temesse che potessi sparire da un momento all'altro. «Ho... un attacco di panico,» mormorò con una voce rotta, così debole che quasi non la sentii.

La strinsi ancora di più, il mio mento si appoggiò sulla sua testa mentre le accarezzavo la schiena con movimenti lenti e ritmici. «Respira, Cleo,» le dissi, cercando di mantenere il mio stesso respiro calmo e profondo. «Segui il mio respiro. Uno... due... tre... respira con me.»

Senza nemmeno rendermene conto, iniziai a dondolarla leggermente, un movimento che sembrava quasi naturale, istintivo. I secondi passarono lenti, e in quel momento non c’era nulla di più importante al mondo che tenerla tra le mie braccia, farle sentire che non era sola.

Sentii il suo respiro che gradualmente iniziava a sincronizzarsi con il mio, il ritmo diventava più lento, più calmo. Le sue spalle si rilassarono sotto le mie mani, e il suo corpo si abbandonò lentamente contro il mio, come se finalmente avesse trovato un porto sicuro in mezzo a una tempesta.

«Ecco,» le dissi dolcemente, un sorriso appena accennato si formò sulle mie labbra. «Stai andando bene, sei al sicuro.»

Cleopatra sollevò il viso e i nostri occhi si incontrarono, c’era qualcosa di diverso nel suo sguardo ora, qualcosa di più aperto, vulnerabile. «Grazie,» sussurrò, e in quel momento non c’erano più barriere tra di noi.

Senza pensarci, portai una mano alla sua guancia, il pollice sfiorò la sua pelle calda. «Non devi ringraziarmi,» mormorai, avvicinandomi appena, così vicino da sentire il suo respiro contro le mie labbra.

Cleopatra mi guardò con quell'intensità che mi faceva sentire nudo davanti a lei. I suoi occhi si abbassarono lentamente sulle mie labbra, poi tornarono a incontrare i miei. C'era un momento di sospensione, un attimo in cui tutto sembrò rallentare, come se il mondo intero avesse trattenuto il respiro. Senza pensarci, accorciai la distanza tra di noi, ma fu lei a prendere l'iniziativa. Avvicinandosi, mi baciò.

Non era un bacio qualsiasi, era qualcosa di più profondo, più urgente, come se stessimo cercando di recuperare un tempo perduto. La sua bocca era calda e morbida, si apriva sotto la mia come se fosse stata in attesa di quel momento da sempre. Sentii il suo corpo irrigidirsi per un istante, poi si rilassò, abbandonandosi a me. Le mie mani scivolarono lungo la curva della sua schiena, avvicinandola ancora di più, come se volessi assorbire ogni parte di lei.

Cleopatra si staccò leggermente, i suoi occhi erano ancora chiusi, il respiro era affannoso. «Non possiamo...» mormorò, le sue parole erano come un sussurro fragile, quasi rotto dalla tensione.

«Certo che possiamo,» le risposi, la mia voce era bassa, quasi roca per il desiderio. Non potevo fare a meno di sorridere mentre la guardavo, le mie dita accarezzavano il suo viso come se fosse la cosa più preziosa del mondo. «Cleopatra,» sussurrai il suo nome, assaporandolo sulle mie labbra, «non pensare a niente, solo a questo momento.»

Lei mi fissò per un attimo, poi tornò a baciarmi, e il suo bacio si fece più intenso, più appassionato. Le nostre lingue si intrecciavano, il suo sapore era dolce, una miscela di tè e desiderio che mi mandava alla follia. Non riuscivo a pensare a nient’altro, non c’era più nulla che contasse se non la sensazione del suo corpo contro il mio, la sua pelle calda sotto le mie dita.

«E Franny?» sussurrò contro le mie labbra, ma il suo corpo si premeva contro il mio, cercando il calore, cercando me. Potevo sentire il conflitto dentro di lei, potevo vedere il dubbio nei suoi occhi, ma c’era anche altro. C’era un fuoco, una fiamma che bruciava, e io ero disposto a essere consumato da quella fiamma.

«Lei non è qui,» risposi, la mia voce era quasi un ringhio mentre la avvicinavo ancora di più, sentendo ogni curva del suo corpo contro il mio. «Non lo saprà mai.» La guardai dritto negli occhi, e c'era un momento di silenzio in cui le nostre anime sembrarono toccarsi. Non c'erano più barriere, non c’erano più menzogne. «In questo momento ci siamo solo io e te,» le dissi, le mie mani si infiltrarono tra i suoi capelli, sentendo la morbidezza sotto le dita.

Cleopatra mi fissò, e potevo vedere il conflitto, l'indecisione che lottava contro il desiderio. Ma poi, come un fiume che rompe gli argini, si arrese. La sua bocca si chiuse sulla mia con un'intensità che mi tolse il respiro. La baciò con tutta la passione che avevo trattenuto per troppo tempo, e io non potei fare a meno di gemere contro le sue labbra. Le sue unghie affondarono nella mia schiena, trascinandomi più vicino, come se volesse fondersi con me.

Non c'era più spazio tra noi, ogni centimetro della sua pelle era contro la mia, e potevo sentire il battito del suo cuore, potevo sentire la sua anima che si apriva, che si univa alla mia. La sollevai leggermente, e lei si lasciò andare, le sue gambe si avvolsero attorno alla mia vita mentre la spinsi contro la parete. Il suo respiro si mescolava con il mio, e ogni bacio era un confine che infrangevamo, ogni tocco era una promessa non detta.

«Sei mia,» sussurrai contro la sua pelle, mentre le mie labbra scivolavano lungo il suo collo, assaporando ogni centimetro di lei. Cleopatra rabbrividì sotto il mio tocco, e potevo sentire il suo respiro spezzarsi, i suoi gemiti soffocati tra le labbra mentre le mie mani esploravano ogni curva del suo corpo.

«Demon...» sussurrò il mio nome, e in quel momento era come se tutto il mio mondo ruotasse attorno a lei. C'era un fuoco che bruciava dentro di me, un desiderio che non poteva essere domato.

«Shhh,» la zittii dolcemente, le mie dita si infiltrarono tra i suoi capelli, tirandola leggermente indietro per poterla guardare negli occhi. «Non c’è nessun altro, Cleo. In questo momento ci siamo solo noi.» Le mie labbra tornarono a cercare le sue, e lei rispose con una passione che mi fece tremare, come se fosse stata in attesa di quel momento per tutta la vita.
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Cleopatra si staccò da me, i suoi occhi brillavano di confusione e desiderio. «Io... non l'ho più fatto dall'ultima volta,» mormorò, la voce tremante. «Non lo faccio da secoli.» Il suo sguardo si fece più intenso mentre un sorriso malizioso si formava sulle sue labbra. «Ma non fa niente. Farò piano.»

La misi delicatamente a terra, le mani che la trattenevano leggermente per non farla cadere. Il battito del mio cuore si intensificò, sentendo la tensione nell'aria. Lei si ergeva davanti a me come un’allegoria di desiderio e vulnerabilità, i suoi capelli scuri che cadevano morbidi sulle spalle, mentre il mantello rosso incorniciava la sua figura slanciata.

«Che cosa vuoi da me, Demon?» chiese, il suo tono mischiava sfida e curiosità. Le sue labbra si piegarono in un sorriso, ma negli occhi si leggeva un misto di paura e attrazione. Non era solo una questione di desiderio fisico; era molto di più.

«Voglio te,» risposi, la mia voce era un sussurro profondo, carico di significato. «Voglio che tu ti apra a me, voglio conoscere i tuoi segreti, le tue paure. Vogliamo lasciarci alle spalle tutto questo, anche solo per un momento.»

Sospirò, il suo respiro diventava più pesante. «E Franny? Cosa dirà di tutto questo?»

«Franny non è qui,» ripetei, avvicinandomi lentamente. Ogni passo era una promessa, ogni movimento un invito. «E non possiamo sempre vivere nella paura di ciò che penserà.»

La guardai dritto negli occhi, cercando di trasmetterle tutto ciò che sentivo. «Non voglio che tu sia solo la migliore amica di Franny. Voglio che tu sia Cleopatra, la donna che dovresti essere.»

La nostra connessione si fece sempre più intensa, e Cleopatra, con uno sguardo audace, si allontanò di un millimetro, i suoi occhi fissati nei miei. «Posso stare sopra?» chiese, un lieve tremore nella voce. «Non voglio stare sotto, dopo... dopo quello che ho passato. Ti prego.»

Le sue parole mi colpirono come un fulmine, il dolore e la vulnerabilità che trasparivano dalla sua richiesta mi colpirono profondamente. Non volevo che lei si sentisse in alcun modo costretta, anzi, desideravo che si sentisse al sicuro e desiderata.

«Certo, Cleopatra,» risposi, il mio cuore che batteva forte mentre la guardavo con attenzione. «Se è quello che vuoi, allora faremo così.» La mia voce era dolce, rassicurante. La sua forza era ciò che la rendeva così speciale, e non avrei mai pensato di privarla di quel potere.

Sollevai lentamente il suo vestito, le mie dita che scorrevano delicatamente sulla stoffa, mentre Cleopatra mi osservava, i suoi occhi pieni di anticipazione. Con ogni piega che rivelavo, il suo corpo diventava sempre più visibile, e il battito del mio cuore accelerava. Lei, in risposta, iniziò a togliersi i miei vestiti con una grazia che sembrava naturale, come se quel momento fosse il culmine di un lungo desiderio.

Mi sedetti, sentendo il legno freddo della sedia contro la schiena, mentre fissavo il suo corpo nudo sotto di me. Ogni curva, ogni dettaglio della sua pelle era un capolavoro che desideravo ammirare. Il suo seno si muoveva leggermente mentre respirava, e notai le sue cosce bianche e lisce. Era splendida, un'opera d'arte vivente.

«Sei bellissima,» dissi, la mia voce un sussurro che sembrava danzare nell'aria. Con un gesto deciso, le tolsi anche quelle mutande. Rivelai così la sua pelle liscia e delicata, esponendola completamente a me.

La presi con dolcezza e la appoggiai sopra di me, il calore del suo corpo contro il mio mi fece sussultare. Cleopatra sospirò, i suoi occhi chiusi, e le sue labbra si aprirono in un'espressione di vulnerabilità. «Ti guiderò,» dissi, la mia voce profonda e calma, «ma sei tu a prendere il comando.»

Lei scosse la testa, un velo di incertezza attraversò il suo viso. «Fa male,» sussurrò, il tremore della sua voce rivelando una fragilità che mi fece fermare un attimo.

La vidi avvisata, e il mio cuore si spezzò per un momento. «No,» dissi con fermezza, prendendo il suo viso tra le mani, costringendola a guardarmi negli occhi. «Non sarà mai così, non se sarà con la persona giusta.»

I miei occhi cercarono i suoi, desiderando rassicurarla. «Ti prometto che questo momento sarà solo nostro, un'esperienza di connessione e intimità, non di dolore.»

Cleopatra sembrò riflettere sulle mie parole, e lentamente il suo sguardo si fece più sereno. Sapevo che dovevo dimostrarle, attraverso le mie azioni, che stavo per essere la sua guida, non solo un amante. La mia mano scivolò lungo la sua schiena, mentre la baciavo con dolcezza, infondendo in quel bacio la mia determinazione e il mio rispetto per lei.

La sollevai, sentendo la sua pelle calda contro la mia, i nostri corpi che si avvicinavano sempre di più. I nostri sessi si sfioravano, e un sospiro di desiderio sfuggì dalle mie labbra. «Muoviti avanti e indietro,» dissi, la mia voce un mormorio sensuale. «Non avere paura, ci sono io qui con te.»

Circondai la sua vita con le mie mani, sentendo il suo corpo rispondere al mio tocco. La baciavo, le mie labbra che danzavano sulle sue, cercando di infondere tutto il mio desiderio e la mia dedizione in quel momento. Sentivo che era ora di abbandonare ogni incertezza; il mondo esterno non contava più.

Non aveva più senso aspettare. Franny era una parte del mio passato, e sapevo che tra noi non ci sarebbe mai stato amore vero. Il mio cuore batteva forte per Cleopatra, la cui presenza inondava la mia vita di una passione che non avevo mai conosciuto. La sua forza e la sua vulnerabilità si intrecciavano in un modo che mi faceva sentire vivo, desideroso di esplorare ogni parte di lei.

Ogni movimento che faceva, ogni suo sospiro, alimentava il fuoco che ardeva dentro di me. «Siamo qui adesso,» dissi, le mie parole cariche di emozione. «Questo è il nostro momento.»

La sua espressione cambiò, passando da un’iniziale apprensione a una dolcezza di cui non avevo mai visto traccia. La abbracciai più forte, sentendo la sua vita pulsare contro la mia. I suoi occhi si chiusero mentre iniziava a seguire il mio ritmo, muovendosi come se fossimo diventati un’unica entità, legati da un desiderio che trascendeva il corpo.

Ogni impulso era un passo verso un'intimità che prometteva di superare le paure del passato. «Sì, Cleopatra,» dissi, mentre le nostre anime danzavano in un linguaggio che solo noi potevamo comprendere. «Lasciati andare, e segui il ritmo del nostro cuore.»

In quel momento, tra baci e sussurri, avevo trovato la mia libertà.

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