Un Incontro Inaspettato
«E quindi? Sei poi riuscito a convincerla?» la voce, roca e strisciante, proveniva dalle sue spalle e apparteneva a uno dei balordi seduti dietro di lui. Alzò il boccale di legno per farsi vedere dal giovane cameriere, che si avvicinò versando della birra per poi correre verso gli altri tavoli.
Lorcan bevve un lungo sorso e si pulì la bocca con il dorso della mano, mentre il palmo passò ad asciugare la barba riccia e rossa che gli arrivava al petto.
«Certo che sì, cosa credi?» biascicò il secondo balordo con malcelato orgoglio «Nessuna femmina mi resiste, mi ha supplicato in ginocchio, si è strappata i vestiti e...» scoppiarono in una fragorosa risata.
Lorcan detestava quel posto affollato e maleodorante, ma era l'unica locanda presente lungo la sua strada e per diverse notti aveva dormito all'aperto e senza birra. In realtà odiava tutti i posti affollati e mal sopportava la presenza delle persone, specialmente di quella risma.
«Di' un po'» le voci alle sue spalle non accennavano a placarsi «ma poi di che colore ce l'ha? Dicono che le mezzosangue sanno fare certi lavoretti e che sono sempre strette come delle dannate verginelle.» Ci fu un altro scoppio di risa sguaiate, accompagnato da pugni e boccali battuti sul tavolo.
«Le voci sono vere» continuò il narratore ruttando «ma, per la Dea, l'ho fatta gridare come una scrofa in calore.»
Lorcan vuotò il suo boccale tutto d'un fiato, lo sbatté sul tavolo e si alzò. Ne aveva abbastanza di quelle becere chiacchiere da osteria.
Uscì all'aperto per respirare un po' d'aria pulita prima di dormire. La birra, la puzza della sala comune e la confusione lo avevano stordito. Agitò con forza il capo, ma la nebbia che gli ottundeva i sensi se ne restava placida al suo posto e il movimento non fece altro che acuire il mal di testa.
La piccola città in cui si trovava era immersa nella quiete notturna e a Lorcan non poteva far altro che piacere. Si ritrovò ai margini della vegetazione che lambiva la strada maestra, in direzione sud, nel giro di pochi passi.
Prese a grattarsi la barba folta e ispida. Lungo quel percorso sarebbe arrivato a Città del Guado e ancora non era abbastanza ubriaco da lasciar prevalere il suo orgoglio sulla fede, o viceversa.
Sentiva con forza il richiamo che la città-stato, luogo santo per l'ordine clericale al quale apparteneva, esercitava su di lui. Aveva una gran voglia di parlare con il suo Maestro, ma provava vergogna per aver abbandonato il suo monastero e i fedeli che, in lui, riponevano fiducia e speranza. Per contro, il suo orgoglio non gli permetteva di chiedere conforto all'unica persona in grado di capirlo. Maestro Riordan lo avrebbe accolto come un figlio, ma, Lorcan ne era sicuro, lo avrebbe anche rimproverato.
Inspirò l'aria fresca della sera e attese che le idee prendessero forma o, almeno, si schiarissero. Invece sentì un forte dolore dietro la testa e si accasciò a terra.
Una gragnuola di colpi gli arrivò da ogni direzione, impedendogli di alzarsi e reagire. Un calcio gli lo colpì al viso, facendogli perdere anche quel poco di lucidità che aveva. Anche se i colpi gli arrivavano attutiti dalla corta cotta di maglia che indossava, erano troppi per sopportarli e reagire.
Sentì il rumore dello scudo caduto a terra e poi lo voltarono sulla schiena. Era buio, ma uno degli aggressori portava una torcia.
«Questo qui è pieno di soldi» era uno dei balordi della locanda «Di sicuro sta andando al Tempio a portare le offerte.» L'ombra più vicina a lui si accovacciò e cominciò a cercare qualunque cosa avesse addosso. Lorcan allontanò quelle luride mani, ma ricevette un pugno in faccia.
«Cercate bene» un'altra di quelle ombre parlò «Quella stella del mattino sembra di valore, prendetela.» Il sacerdote cercò di rialzarsi, ma la birra, la stanchezza e il pestaggio lo avevano messo fuori combattimento.
Un urlo attirò l'attenzione di tutti. La torcia era caduta a terra e una miriade di piccoli ragni correvano sul corpo del balordo che la reggeva. Si buttò sulla strada e cominciò a rotolare, senza smettere di urlare.
Intanto, dalla vegetazione immersa nella notte, era sbucata una figura. Sottile e agile, armata con due spade, parò i colpi delle lame corte e arrugginite degli aggressori. Questi si diedero alla fuga, lasciandosi dietro il loro compare urlante che li seguì quando, pochi istanti dopo, i ragni sparirono.
Una mano gentile premette sulle sue spalle e una serie di ondate colorate si fecero spazio nella sua mente. Fu avvolto da un odore fresco e piacevole come quello della terra e dell'erba bagnate dalla pioggia e il dolore al volto diminuì fino a scomparire del tutto.
Anche i fumi della sbornia svanirono, lavati via da quel potere legato alla natura, che sembrava provenire dal terreno sul quale era disteso, ma era guidato dalla volontà di qualcuno.
Fu aiutato ad alzarsi e si ritrovò davanti a una donna dall'aspetto bizzarro. Nella sua vita ne aveva viste un paio di quella razza, anche diversi uomini, ma in lei c'era qualcosa di diverso.
Era una mezzosangue, il frutto di una violenza o di un amore proibito. Un incrocio tra un elfo e un essere umano.
Nella pallida luce lunare, mista a quella della fiaccola a terra, il colore della sua pelle risultava più scuro del normale, ma al sole sarebbe stato azzurro. Le orecchie a punta e gli occhi sottili erano le caratteristiche distintive della sua metà non umana. Eppure l'attenzione di Lorcan fu attratta dalle due spade che portava con sé.
La strana donna gli sorrise e disse: «Stai bene? Hai ancora qualcosa di rotto?» alludendo al suo naso e forse anche allo zigomo, che erano appena stati guariti, «La mia magia curativa non è potente come la tua.»
Lorcan la guardò accigliato. «La magia?» chiese perplesso «Come sai che io...» Non terminò la frase, ma lei indicò lo scudo bianco a terra.
«Grazie» borbottò «Sei stata gentile a intervenire, ma avresti potuto metterti nei guai» si chinò per prenderlo. Il Sole Radioso, simbolo del suo Ordine, faceva bella mostra di sé sullo scudo.
«Mai quanto te» rispose lei con voce leggera e cristallina «Sembravi in difficoltà e ti ho aiutato» con una mano spostò una ciocca di capelli scuri e lisci dietro la spalla e rimase in attesa mentre lo scrutava.
«Quei loschi individui erano guidati da un tipo volgare e maleducato, oltre che prepotente» aggiunse la mezz'elfa, dopo che Lorcan si fu sistemato lo scudo, «L'ho incrociato questa mattina lungo la strada. L'incontro è stato piuttosto spiacevole, per lui.»
Lorcan esitò. Stava ricordando le parole dei balordi seduti dietro di lui alla locanda e realizzò che, quasi certamente, stessero parlando di lei.
«Ti hanno fatto del male?» chiese il sacerdote con una nota di rammarico. La mezz'elfa scosse la testa e disse: «No, anche se ci ha provato. Era solo e credeva di essere più bravo di me con la spada. Non mi ha fatto nulla. Perché?» Aveva inclinato la testa di lato mentre la luce morente della torcia le illuminava i lineamenti affilati.
«Nulla» Lorcan scosse la testa e strinse la cinghia dello scudo «Ho creduto parlasse di te, alla locanda, ma a questo punto è chiaro che stesse anche esagerando. Mi dispiace.»
La mezz'elfa strinse gli occhi e chiese: «Ti dispiace? E per cosa?»
Il sacerdote si sentiva in imbarazzo, non aveva intenzione di mentire, ma neanche di riportare le parole udite. «Per te, per quello che ha detto» boffonchiò lui.
«E cosa avrebbe detto, di grazia?» lo incalzò lei.
Lorcan si passò una mano sulla barba, due volte, prima di rispondere. «Si vantava di aver fatto delle cose, tutto qui. Era abbastanza palese che stesse esagerando.»
Ci furono degli interminabili attimi di silenzio, in cui lei lo osservava in tralice e lui guardava il sottobosco, lanciando di tanto in tanto delle occhiate alla donna che lo aveva aiutato.
«Tu non sei dispiaciuto per me» esordì lei rompendo il silenzio «Tu sei dispiaciuto per non essere intervenuto. Avresti voluto difendere l'onore di una donna e non lo hai fatto.»
Lorcan le lanciò un'occhiata truce. «Cosa te lo fa credere?» sbottò stringendo forte il manico della sua Luce della Dea. Non aveva assolutamente intenzione di colpirla, ma con quel gesto si sentiva più sicuro di sé.
Lei alzò le spalle e disse: «Lo so, è chiaro come la luce del sole. Ciò che non mi è chiaro è cosa ti abbia fermato. Non che il mio onore necessiti di essere difeso, sono abbastanza in gamba per farlo da sola, ma non mi sembri il tipo che abbandona qualcuno in difficoltà.»
Il sacerdote era sul punto di ribattere con asprezza, ma quella donna aveva centrato il punto.
«Comunque io mi chiamo Clivia, tu chi sei?» chiese lei.
«Lorcan, Lorcan Corrigan» rispose lui «Hai un posto dove dormire? Non è saggio restare all'addiaccio di notte.»
Clivia spalancò gli occhi e poi sorrise. «Sono stata io a salvarti da quella banda di malviventi. Dovrei preoccuparmi io per la tua incolumità. Comunque la risposta è no. Non ho un posto dove dormire, di solito mi tengo alla larga dai luoghi affollati, ma di tanto in tanto ho la necessità di entrare in contatto con le persone. Non si può vivere di sola caccia.»
Lorcan era indeciso, non se la sentiva di abbandonarla da sola, anche se aveva dimostrato, in quel frangente, di saper badare a se stessa, senz'altro meglio di lui. Eppure la sua repulsione per ogni contatto con quella donna lo metteva in guardia. Lei era troppo simile al ragazzo che aveva provocato il suo allontanamento dalla Dea. Era una mezzosangue, anche se non imparentata con i demoni.
«Molto bene» disse lui giocando con il manico della Luce della Dea «Ti ringrazio ancora» si voltò e si incamminò verso la locanda. Non si girò neanche una volta, aveva deciso di continuare per la sua strada ed evitare di coinvolgere persone innocenti nel suo declino.
La notte passò insonne. L'incontro con la mezz'elfa, di cui aveva già dimenticato il nome, aveva risvegliato i suoi incubi.
Vedeva i volti delle persone e dei bambini che aveva dovuto condannare, li sentiva urlare tra le fiamme che avrebbero dovuto purificare le loro anime, ma che avevano gettato lui nella disperazione.
La mattina seguente, di pessimo umore, si diresse dritto verso la cucina e chiese altra birra.
«Certo, Padre» acconsentì l'oste guardandolo con disgusto e pronunciando le parole con una nota di commiserazione che a Lorcan non sfuggì.
Annebbiare i propri sensi era l'unica soluzione che lui conosceva per riuscire a convivere con il rimorso. Per i vertici del suo Ordine sembrava assurdo che lui pensasse che bruciare vive delle persone fosse un delitto, specialmente se si trattava di una famiglia di contadini eretici e traditori. Però quello era il loro metro di giudizio, non il suo.
Maestro Riordan lo avrebbe redarguito di certo, per la sua mancanza di fede e per la sua autocommiserazione. Lorcan sapeva che la scelta giusta era dirigersi a sud e parlargli, ma sapeva anche che non sarebbe riuscito a sostenere il suo sguardo.
«Ne ho contati già due» una voce cristallina e gentile lo richiamò indietro dalle sue elucubrazioni. La donna della sera precedente era seduta al suo tavolo. Alla luce del giorno i suoi capelli lisci erano blu intenso e le punte delle orecchie spiccavano ai lati della testa.
Lorcan scosse il capo e afferrò il boccale per bere di nuovo, ma la mano, sottile e azzurra, della mezz'elfa lo fermò e gli strinse il polso con forza.
«Che fai?» biascicò lui «Che vuoi da me? Torna da dove sei venuta e lasciami bere in pace, ti ho già ringraziato» fece per alzare il boccale, ma quella mano, dalle dita lunghe e affusolate, riportò il suo braccio a contatto con il tavolo. Il boccale urtò con forza e parte della birra si rovesciò.
«Direi che possa bastare» sussurrò lei «il sole è sorto da poco e già sei ubriaco.»
«Chi sei?» borbottò Lorcan «Mia madre? Mia sorella? Sparisci e torna dalla tua gente.»
«Sono Clivia» sibilò lei stringendo gli occhi «e la mia gente non esiste. Gli uomini e gli elfi mi disprezzano, a quanto pare anche i sacerdoti della Dea» si alzò e si allontanò.
Lorcan passò la mattinata a tracannare birra, fino a quando l'oste non lo cacciò fuori.
Si ritrovò sulla strada polverosa a vomitare sotto lo sguardo distratto o disgustato dei pochi passanti.
Qualcuno lo aiutò ad alzarsi e a raggiungere un riparo tra gli alberi.
Sentì le labbra bagnarsi di un liquido dolce e denso e una voce dire: «Bevi, ti aiuterà.»
Dopo pochi sorsi di quella bevanda, i sensi di Lorcan tornarono a funzionare e lui scoprì che ad aiutarlo era stata la mezz'elfa. Di nuovo.
«Grazie» borbottò poggiando la schiena al tronco che aveva alle spalle.
Più lucido e alla luce del sole, poté osservarla meglio. I suoi occhi erano viola e portava dei vestiti di pelle scura sotto una cappa verde. Aveva un aspetto esile ed elegante e lo stava osservando seria.
«Ricordi chi sono?» chiese d'un tratto lei «Adesso sei sicuramente più lucido di ieri sera o di questa mattina.»
Lorcan scosse la testa e disse: «Non mi ricordo il tuo nome, perdonami.» Il mal di testa, pulsante e ritmico, lo stava abbandonando.
Lei annuì e disse: «Clivia. Mi chiamo Clivia e spero di non doverlo ripetere più.»
«Ti ringrazio, Clivia» aggiunse il sacerdote «Cosa mi hai dato?»
Lei si strinse nelle spalle e rispose: «Miele di biancospino con diverse erbe in infusione. Un toccasana per le sbronze e per lenire un animo ferito, almeno momentaneamente.»
Lorcan la guardò in silenzio.
«Bere rende gli uomini stupidi e deboli, ma sono due i motivi per cui ci si inebetisce di propria iniziativa. La stupidità e i dispiaceri. Tu non mi sembri un uomo stupido, Lorcan. Per questo motivo ti ho aiutato.»
Lui restò in silenzio grattandosi il collo e lei continuò: «Sei diretto verso una meta, ma con lentezza. Cerchi risposte, eppure le hai già. Quelle che non hai sai dove cercarle. Perché non dirigersi dritti al traguardo?»
Lorcan sgranò gli occhi. «Sei un'indovina, vero?»
Clivia rise, portandosi una mano alla bocca e, scuotendo la testa, rispose: «No, non lo sono. Però sono molto brava a riconoscere gli stati d'animo delle persone, soprattutto se ci sono già passata anche io.»
Lorcan sospirò. «Dubito che tu abbia passato ciò che sto vivendo ora» disse con rassegnazione.
«Non ho intenzione di fare una gara per scoprire chi di noi due soffre di più. Dovrai accontentarti delle mie parole» disse Clivia «Però vorrei aiutarti. La Madre ci ha messi sullo stesso cammino e un motivo c'è sempre.»
Lorcan voleva parlare. Aveva bisogno di liberarsi di quel peso, ma Clivia non era la persona giusta. Anche se, doveva ammetterlo, grazie a lei aveva preso la decisione di incontrare Maestro Riordan. Era apparsa chiara e luminosa, dentro di lui, la strada che portava a Città del Guado.
«Non è che non apprezzi il tuo aiuto» disse il sacerdote, dopo aver mediato le parole con un po' di buon senso «ma ho bisogno di fare una cosa, da solo. Se la Dea lo vorrà, allora ci rivedremo.» Lei lo osserò, poi sorrise e annuì.
Lorcan si alzò e le strinse la mano, osservando i suoi occhi viola. Sperava che la Dea li avrebbe fatti davvero incontrare ancora.
Mentre si allontanava, dirigendosi verso sud, sentiva lo sguardo di Clivia dietro di sé. Non avrebbe più dimenticato il suo nome.
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