Astarte
Strinse le mani sul bordo della vasca; aveva bisogno di restare a galla e non lasciarsi trascinare nel gorgo della follia, come era accaduto a chi l'aveva preceduta.
Non mi ha detto nulla. Era vero. Eppure lui non era tenuto ad avvisarla di tutto quanto accaduto prima, lei ne era consapevole. Madre Kyriake l'aveva avvisata che non sarebbe stato né un compagno di giochi, né un maestro, né un genitore, ma il progetto al quale partecipava, del quale lei faceva parte fin dalla nascita, era troppo importante per fallire in quel modo.
Inspirò e strinse gli occhi scuotendo la testa. Non riusciva a scacciare le immagini viste e si maledì per aver anche solo pensato di poter sopportare quanto non era riuscita neanche a immaginare: follia, terrore, dolore, senza possibilità di scampo.
Lasciò uscire l'aria dalla bocca, avvertendo un sapore amaro, e provò a rilassare la schiena contro la tela che ricopriva la vasca. Era stato tutto approntato per lei, solo per lei. Le concedevano tutti i privilegi, la trattavano con ogni riguardo, proprio come facevano con le Vergini: servite dal momento del loro ingresso tra le Sorelle e fino al loro sacrificio, volontario, ma sempre di morte si trattava.
Già. Però per me sarà peggio. Non morirò, forse, e sarà anche peggio. Rialzò la schiena e abbracciò le ginocchia portandole al petto. Si ranicchiava così quando aveva paura, contro il petto e sulle gambe di Madre Kyriake e avrebbe tanto voluto un suo abbraccio, quello della madre che non aveva mai avuto e della quale, in fin dei conti, non aveva sentito la mancanza. La sacerdotessa, anziana dall'inizio dei suoi ricordi, non le aveva fatto mai mancare l'affetto, men che meno i caldi e avvolgenti abbracci di una madre. Fino alla morte, arrivata lesta, inattesa. Una notte d'estate se l'era portata via e un mattino d'estate Astarte si era ritrovata sola; sola contro il Cerimoniere, sola tra le Sorelle e sola con Raziel.
Non è giusto. Appoggiò la fronte sulle ginocchia e cercò di trattenere le lacrime. "Non è piangendoti addosso che risolverai i tuoi problemi" diceva sempre Madre Kyriake, ogni volta che piangeva per qualunque motivo: una caduta, un brutto sogno, un capriccio.
«Sta facendo il bagno, mio signore, non dovreste entrare.» La voce apparteneva alla Sorella incaricata di prendersi cura di lei. Non era mai la stessa, il Cerimoniere diceva che non era un bene affezionarsi a qualcuno, specialmente nella sua condizione, e Astarte aveva imparato anche a non ricordare il nome di chi la serviva.
«Come desiderate.» Fu un sussurro, seguito dal cigolio della porta. L'unica persona in grado di ottenere obbedienza senza parlare e di entrare in una stanza, nella sua stanza, senza aprire porte era lui, ed era arrivato proprio nel momento sbagliato.
Astarte avvertì la presenza di Raziel vicino alla vasca, ma non aveva voglia di incontrarne lo sguardo nero e affilato, non in quel momento, anche se era certa che avesse almeno intuito cosa fosse successo.
Strinse ancora di più le braccia intorno alle ginocchia. Voleva diventare piccola, sempre di più, fino a divenire un unico punto nella vastità del mondo, le sarebbe bastato anche sciogliersi e sparire nell'acqua di quella vasca.
Sentì il movimento di qualcosa immerso vicino alle caviglie, riportato fuori e seguito dal rumore dei rivoli d'acqua che scendevano a rimescolarsi con quella contenuta nella vasca. Poi un panno, morbido e delicato, le fu passato dietro al collo e sulle spalle, dove il tepore la avvolse, quasi come l'abbraccio che tanto desiderava.
Non era un gesto che si sarebbe aspettata di ricevere da Raziel, nonostante le piccole concessioni che le faceva di tanto in tanto. Ruotò di poco la testa, lasciando emergere solo un occhio dall'incavo del braccio. Non si era sbagliata, c'era solo lui lì vicino e immerse di nuovo il panno nell'acqua calda per fargliela scivolare lungo la schiena, ancora una volta.
«Non devi farlo» disse Astarte e la voce le arrivò più seccata di quanto avrebbe voluto, ma con Raziel era inutile dissimulare i sentimenti. Lui era uno dei responsabili di quella situazione e non meritava di essere trattato diversamente, senza contare che avrebbe comunque dovuto dirgli tutto.
«È vero» rispose, «ma è tanto che non ci vediamo e credo sia arrivato il momento di mantenere una promessa.»
Quella affermazione la sorprese così tanto che non riuscì a trattenersi dal sollevare la testa e gurdarlo. «Tu non fai mai promesse.»
«Non è affatto vero» replicò il demone ridendo. «Però è vero che non mento mai. Quindi sono molto parco con le promesse.»
Astarte affondò le unghie nella pelle delle gambe che stava stringendo. «Non avresti dovuto permetterlo.»
Raziel rimase con la mano in acqua, dietro la sua schiena, e la guardò aggrottando le sopracciglia. «Cosa? Sono molte le cose che potresti desiderare io non abbia fatto.»
«Ero una bambina. Non potevo essere consapevole della richiesta che stavo facendo.»
Il demone annuì e riprese a bagnarle spalle e collo. «Sì, ora ho capito.» Lasciò il panno nell'acqua e poggiò i gomiti sul bordo della vasca, lasciando penzolare le mani bagnate all'interno. «Hai ragione. Eri e sei una bambina, nonostante gli anni passati. E sì, so benissimo che non sapevi cosa stavi facendo.»
«E allora perché?» Si voltò di scatto, schizzando acqua ovunque, anche sul demone, che non accennò neanche a chiudere gli occhi, nonostante le gocce che scivolavano sul suo viso. La voce le tremava e sentiva stringersi la gola, ma doveva chiarire ciò che la tormentava da tempo e di cui aveva trovato conferma quella sera. Si aggrappò con entrambe le mani al bordo, esponendo le spalle e parte del petto, trovandosi con gli occhi allo stesso livello del demone. «Le regole sono chiare, bisogna essere convinti di ciò che si chiede durante un patto e io non potevo esserlo. Era tuo dovere rifiutarti e...» Raziel le portò un dito sulle labbra sorridendo e zittendola.
«Su un punto hai ragione. Sapevo benissimo che non eri consapevole di quanto stavi richiedendo, ma di certo ne eri convinta, altrimenti non avresti potuto stringere un patto con me. Devo dire che quel vecchio opportunista del Cerimoniere ha svolto bene il suo compito.»
Astarte non riuscì a far altro che restare in silenzio. Si era invischiata in quella situazione con le sue mani, però... «Ero solo una bambina» sussurrò, senza riuscire a trattenere le lacrime.
Raziel annuì, mantenendo la posizione, cosa che lei non riuscì a fare. Le forze nelle braccia le vennero meno e tornò a sedere nella vasca, poggiando la schiena contro la paretre interna.
«Come vedi non è stato un mio errore» aggiunse il demone sollevando le spalle. «Chi avrebbe dovuto vegliare su di te non ero io. I vertici dell'Ordine Scarlatto avrebbero dovuto proteggerti da tutto questo, ma il Cerimoniere stava lavorando da troppo tempo a questo progetto per vederselo sfuggire e ha accelerato un po' i tempi. Dovresti prendertela con lui e con chi aveva il dovere di proteggerti. Io non c'entro nulla, per me era indifferente su chi sarebbe caduta la scelta.»
Certo, non aveva torto, come sempre. Però Madre Kyriake...
«Adesso perché non mi racconti cosa è successo?»
Ecco. Astarte sospirò. Non solo era una tra le tante, ma ormai non aveva nenche più via di scampo, la sua sorte era segnata; sarebbe impazzita e avrebbe passato la vita a essere accudita dalle Sorelle, mentre sbavava a bocca aperta guardando nel vuoto.
«Ho eseguito un incantesimo del ricordo su una boccetta di sangue.» Lo disse tutto d'un fiato, ripercorrendo il tragitto fino all'ala più vecchia della Casa delle Madri, dove venivano conservati tutti i ricordi delle Sorelle che erano state benedette con il dono di un figlio.
«Immagino non siano stati i ricordi di una qualunque Madre.»
Era evidente che Raziel sapeva tutto o, almeno, immaginava.
Astarte scosse la testa. «Non c'era scritto alcun nome sulla boccetta.» Ormai era inutile tergiversare. «L'ho presa, ero quasi certa fosse quella giusta, anche perché l'epoca coincideva con gli scritti che avevo trovato.» Alzò lo sguardo verso il demone, che annuì. «E ho visto cosa ha vissuto la donna che mi ha preceduta. Il rito l'ha terrorizzata e ferita, la gravidanza è stata costellata da incubi, il parto l'ha resa invalida e folle. È morta dopo una vita passata a urlare per quanto patito, imprigionata in un corpo che non le obbediva più.»
Raziel si era alzato e seduto sulla poltrona poco distante dalla vasca. Rimase in silenzio, osservandola con quei due pozzi neri che aveva al posto degli occhi.
«Puoi rispondere a qualche mia domanda?» Era certa che la richiesta avrebbe ricevuto una risposta negativa, ma il demone annuì.
«Se potrò risponderti, lo farò senz'altro.»
Astarte inspirò l'aria calda e umida che proveniva dalla vasca e chiuse gli occhi. Era un'occasione rara, quella. Doveva porre le giuste domande, per quanto i sentimenti che provava rischiavano di travolgerla più di quanto non avevano già fatto.
«Quante ce ne sono state prima di me?» Non era la domanda più importante, ma voleva saperlo.
«Diverse, ma solo una è sopravvissuta al rito, alla gravidanza e al parto. Devo dire che gli ultimi tentativi sono stati abbastanza promettenti, sì.»
Il cuore mancò un battito. «È più di quanto ti abbia chiesto» disse lei con un filo di voce.
«È vero» replicò il demone, «ma è anche ciò che volevi sapere, giusto?»
Astarte annuì, preparandosi alla prossima domanda, senza dimenticare le informazioni che sperava di ricevere sulla risposta appena ottenuta. Era raro trovare Raziel così ben disposto a farsi interrogare.
«Cosa mi accadrà?» Era quella la domanda che più la assillava, perché pensare che avrebbe patito la stessa sorte di chi l'aveva preceduta l'atterriva.
Fissò il suo sguardo in quello del demone e lo trovò più scuro di quanto si ricordasse.
«Be', questo dipende da te.»
Quella era una risposta che non si sarebbe aspettata.
«Vedi, quello che abbiamo capito» aggiunse Raziel sporgendosi verso di lei e poggiando i gomiti sulle ginocchia, «è che la riuscita dipende, tra le altre cose, da quanto accetterai cosa ti sta accadendo e cosa ti accadrà.»
Un piccolo bagliore apparve nella mente di Astarte, uno spiraglio attraverso il quale, forse, poteva sfuggire al destino vissuto attraverso quei ricordi. Strinse le dita intorno al panno che aveva trovato sul fondo della vasca e il demone si alzò, prendendo e aprendo il telo bianco che era stato preparato per lei. Lo osservò, senza sapere che fare, né come sentirsi. In fondo le era già capitato di essere raggirata con stupide regole e travisamenti delle proprie intenzioni.
«Avanti, esci» disse Raziel invitandola con un cenno della testa. «L'acqua starà raffreddandosi. E poi dobbiamo parlare, senza contare che io devo mantenere una promessa.»
Ubbidì, alzandosi e lasciandosi avvolgere dal telo e da una cosa che non si sarebbe mai aspettata, non da lui.
Raziel l'abbracciò.
La strinse e le accarezzò i capelli bagnati, sui quali posò anche un lieve bacio.
Il fiume che aveva dentro straripò e non riuscì più a trattenere le lacrime. Più i singhiozzi la scuotevano, più le braccia di Raziel la stringevano.
Durò un po', senza rendersi conto del tempo passato, ma poi i singhiozzi si placarono e Astarte si allontanò da quell'abbraccio tanto desiderato quanto inaspettato per la provenienza.
Con un lembo del telo si asciugò prima gli occhi e poi il viso, andandosi a sedere vicino al braciere che era stato acceso prima. Il demone fece altrettanto e rimase, a gambe accavallate, a osservarla compiaciuto.
«Io vorrei chiederti ancora tante cose, ma non saprei da dove cominciare.» Tirò su con il naso e rimase in silenzio.
«Bene» disse il demone battendo le mani, «allora comincio io, tanto immagino cosa tu voglia chiedermi.»
Astarte riuscì solo ad annuire, timorosa di spezzare, con la propria voce, l'incantesimo creatosi in modo tanto improvviso.
«Innanzitutto, la promessa» cominciò Raziel alzando un dito. «Kyriake mi chiese, tempo fa, di prendermi cura di te una volta che non le fosse stato più possibile.»
Astarte sgranò gli occhi. Non che non se lo aspettasse dalla sacerdotessa che le aveva fatto da madre, ma di certo non credeva che un demone come Raziel avrebbe accolto una richiesta del genere.
«Attenta» Raziel le mostrò il palmo prima di incrociare le dita di entrambe le mani. «È vero che ho accettato, ma a condizione che ciò non interferisse con i miei ordini. Sarai la madre del figlio del Signore di tutti i demoni, quindi godrai certamente di molti privilegi con me e, credimi, farò di tutto per proteggere te e il bambino che avrai, fintanto che mi sarà possibile.»
Il cuore di Astarte cominciò a battere più veloce. Doveva avere paura, perché i patti con i demoni erano un'arma a doppio taglio, lei lo sapeva, e chi finiva per ferirsi di certo non era il demone. Però non poteva nascondere il sollievo nel sapere che Raziel sarebbe stato, in qualche modo, dalla sua parte. Fin dal loro primo incontro non era stato particolarmente duro con lei, anzi, era l'unica di tutta la Casa delle Madri, ma anche dell'intero ordine, a potersi prendere certe libertà con un demone come lui. Però il rovescio della medaglia poteva essere più amaro di quanto si aspettasse.
«Ora veniamo al patto che vorrei proporti.»
Astarte deglutì. Il mondo nero e torbido nel quale si trovava fino a pochi istanti prima era diventato meno denso e fosco. Non osava interrompere quella trasformazione ancora in atto.
«Ti concederò di crescere il bambino come più lo riterrai opportuno e non interferirò finché non ce ne sarà bisogno.»
«E cosa vuoi in cambio?» Astarte sapeva. Sapeva che lo scambio non poteva essere del tutto a suo favore, ma l'idea di poter crescere un figlio senza le restrizioni che aveva avuto lei era allettante. Non erano solo il dolore e la paura a spaventarla, ma anche la consapevolezza di destinare una creatura, la sua creatura, a un destino che non avrebbe potuto evitargli.
«Nulla in più di ciò che ho detto.»
«Non è possibile.» Lo urlò quasi.
«Lo è» rispose il demone, «perché richiesta e offerta coincidono. I tentativi fatti fino a questo momento hanno messo in chiaro una cosa fondamentale, l'accettazione della madre è il fattore più importante, non solo per la riuscita del rito, ma anche per ottenere un buon risultato con chi nascerà.»
Astarte strinse i braccioli della poltroncina di legno sulla quale era seduta. «Buon risultato?»
«Già.» Raziel sospirò. «Abbiamo dovuto eliminare alcuni elementi, con sonseguente spreco di tempo. L'ultimo tentativo non è andato del tutto male, ma non ti sei chiesta cosa è accaduto con il figlio nato durante i ricordi che hai visto con quell'incantesimo?»
No, non se lo era chiesto. La sua attenzione era stata concentrata sulla follia e l'invalidità della madre e si vergognava di quanto provato, perché lei aveva sempre ammirato le Madri, che mettevano il proprio figlio prima di tutto, aveva adorato il modo in cui Madre Kyriake si era presa cura di lei e si era promessa di fare altrettanto con il proprio figlio.
«Qualcosa posso dirtela.»
«Non voglio saperla.»
«Sì, invece, perché è fondamentale per il nostro patto. Nessuno tra i miei superiori vuole un elemento poco controllabile. Ed è fondamentale che tuo figlio cresca nel modo più normale possibile.»
«Ma qui non potrò farlo.» Astarte stava già accettando il patto. Era quello che desiderava, con convinzione. Se non tutta la vita di suo figlio, almeno una parte sarebbe stata felice.
«È vero, non posso negarlo. Quindi ti aiuterò a scappare da questo posto.» Raziel aveva distolto lo sguardo e stava osservando il braciere.
Come faceva a saperlo? Non ne aveva mai parlato con lui, eppure le stava proponendo tutto ciò che lei aveva sempre desiderato. Tutte le attenzioni di cui la coprivano non erano nulla in confronto a quello che lei vedeva nella Casa delle Madri. Bambini felici insieme alle donne che li avevano messi al mondo, liberi di correre, di dormire, di giocare. Lei aveva sempre studiato. Certo, Madre Kyriake non le aveva fatto mancare l'affetto, ma non poteva concederle di giocare con gli altri bambini e bambine, di farsi male, di perderla di vista. E il Cerimoniere e l'ordine tutto, non lo avrebbero concesso a suo figlio.
«Quindi, mi stai offrendo di vivere con mio figlio nel modo che vorrò? Senza chiedere null'altro che ti venga consegnato quando lo riterrai opportuno?» Neanche nelle sue più rosee previsioni sarebbe accaduta una cosa del genere.
«Esattamente» rispose Raziel tornando a guardarla. «Ti avverto, però, che non so dirti quando quel momento arriverà. Un giorno sarete una normale famiglia, quello dopo non più, senza avviso e senza ripensamenti. Credo, però, di poterti assicurare che passerete la sua infanzia insieme.»
Sì, era giusto. Di più non sarebbe riuscita a ottenere e di certo non poteva ribellarsi a quanto già era stato deciso. Vivere quanto le restava lontano dalla Casa delle Madri, lontano dalle grinfie del Cerimoniere. C'erano solo un altro paio di aspetti del patto da stabilire prima di accettare.
«Posso chiedere due cose ancora?» chiese Astarte. Senza neanche aspettare la risposta, continuò: «Il rito. Vorrei sapere come si svolgerà, perché i ricordi che ho visto erano piuttosto confusi e molto spiacevoli.»
«Non te ne accorgerai neanche.» Raziel rispose con un sorriso.
«Davvero?»
«Sono cambiate molte cose durante i tentativi fatti» rispose il demone. «Abbiamo tutto l'interesse affinché tu sia una madre amorevole e presente per tuo figlio. Quindi te lo ripeto, non ti accorgerai di nulla. Poi il resto si svolgerà come dovresti già sapere. Gravidanza, parto e tutto il resto.»
Sì, lo sapeva, aveva assistito a diversi parti, aveva seguito molte Madri durante le gravidanze, con l'aiuto di Kyriake e anche senza, dopo la sua morte.
«Cos'altro vuoi chiedermi?» Raziel aveva inclinato la testa di lato, in attesa.
Già, c'era quell'ultima questione. «Io non conosco il mondo al di fuori della Casa delle Madri e del Tempio.» Non aveva mai lasciato la comunità che conosceva. Le uniche persone che aveva mai visto erano le Madri, le sacerdotesse e le Vergini, oltre a qualche sacerdote e al Cerimoniere. Aveva studiato le popolazioni che abitavano il resto del mondo, anche più di tutte le altre ragazze che aveva conosciuto, ma proprio perché lo aveva fatto sapeva che non era sufficiente per vivere e, soprattutto, crescere da sola un figlio. Non in un mondo dove la donna non era considerata come tra le mura in cui si trovava.
«È vero. Ma non mi preoccuperei troppo. Ci ho pensato» disse il demone annuendo, «e ho individuato un luogo abbastanza lontano da qui e tranquillo dal punto di vista di guerre locali. Senza contare che, anche se in disparte, continuerei a tenerti d'occhio.»
Poteva funzionare. Poteva farcela.
«Quando mi porterai via da qui?» strinse i braccioli e accennò ad alzarsi, pronta a fuggire anche in quell'istante.
Un sorriso si allargò sul volto di Raziel, più trionfale che rassicurante, ma Astarte era felice. Aveva assicurato un po' di spensieratezza a suo figlio e sarebbe stata presente nella sua vita e nei suoi ricordi. Certo, non aveva ricevuto assicurazioni sul momento in cui il demone glielo avrebbe portato via, né cosa le sarebbe accaduto quando questo sarebbe avvenuto, ma poco importava, la persona più importante avrebbe avuto un'infanzia felice ed era più di quanto lei aveva immaginato di potergli offrire.
«Lo sai come funziona, Astarte» disse Raziel senza far sparire quell'inquietante sorriso e affilando di più lo sguardo. «Devi dirlo.»
«Sì. Accetto.»
Angolo della vergogna
Eh, sì. Angolo della vergogna è appropriato. Mi sono un po' arenata tra revisione di Rosso Sangue, vita reale e due progetti di scrittura: il racconto di Astarte e Selene, di cui questo appena letto sarà un capitolo, e un altro un po' meno piacevole ma necessario e rimandato da troppo tempo.
Quindi, per farmi perdonare, ho pubblicato questo capitolo in cui spero di aver reso bene l'idea dello strano rapporto che c'è tra Selene/Sofia e Raziel e del motivo per il quale lei è tanto legata al ricordo di sua madre.
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