Amore Fraterno (pt. 2)
Astoria passò i giorni seguenti tra i merli del castello, con gli occhi e il cuore persi verso nord. Alfonso mandava notizie frammentarie: il principe era grave, ma stabile grazie all'aiuto del sacerdote che lo assisteva. Erano sulla via del ritorno, ma dovevano viaggiare con lentezza a causa delle condizioni di Alessandro.
Una mattina arrivò un piccolo e veloce drago blu, il cavaliere portò notizie del principe. Sarebbe arrivato in capo a un giorno, sempre che fosse stato possibile trasportarlo. Infatti le sue condizioni erano peggiorate. La ferita continuava a riaprirsi e a portargli via le forze necessarie a guarire.
Il giorno dopo Astoria avvistò i primi cavalli, raccolse la lunga gonna e cominciò a correre verso la piazza d'armi.
Quando giunse a destinazione vide un carro trainato da due cavalli varcare il grande arco del castello e il generale Kareikos avvicinarsi con una lettiga trasportata da due servi.
«Alessandro!» urlò la principessa facendosi strada tra i soldati assiepati nella piazza e le persone accorse ad accogliere mariti, fratelli e figli.
«Alessandro!» lo vide, avvolto in una coperta sporca, mentre lo spostavano con cura sulla lettiga. Si lanciò verso di lui, ma qualcuno la afferrò per le spalle. «Lasciatemi! Lasciatemi, devo vederlo!» urlò mentre si dimenava per raggiungerlo.
«Vostra Altezza, vi prego - la voce era di Alfonso, era lui che la stringeva - Ci penseranno i sacerdoti, noi non possiamo fare nulla.»
«Non è vero, ha bisogno di me. Aveva bisogno di te! - Astoria si girò a fronteggiarlo - Dov'eri? Perché lo hai riportato in queste condizioni?» lo spinse, lo prese a pugni fino a quando lui non riuscì a bloccarla di nuovo e a stringerla.
«Avete ragione, non sono riuscito a proteggerlo, ma ho bisogno del vostro aiuto. Vi prego, calmatevi.»
Astoria si fermò, ma i singhiozzi continuavano a scuoterla. «Cosa stai dicendo?» chiese aggrappandosi alla sua casacca impolverata.
«La ferita di Alessandro era guarita, l'ho vista io - disse trascinando per mano la principessa verso l'interno del castello - E l'ho vista riaprirsi già tre volte. Le preghiere non bastano a guarirla. Il sacerdote che l'ha curato ha detto che può capitare, la spada che lo ha ferito lo ha passato da parte a parte e Alessandro ha preso molto sangue. È arrivato già debole al campo ed è stato fatto il possibile per salvarlo.»
«E allora perché è ancora in quelle condizioni?» chiese Astoria affannando, stavano correndo per i corridoi del castello. Alfonso non aveva detto dove fosse diretto, ma lei lo seguiva senza obiettare.
«Ci sono solo due possibilità - rispose l'amico riprendendo fiato e aprendo le porte della biblioteca - Potrebbe essere davvero troppo debole per reagire alle preghiere o potrebbe essere stato maledetto.»
«No - Astoria si portò le mani alla bocca - Sarebbe terribile.»
«Dovete aiutarmi - insisté Alfonso dirigendosi verso la sezione dedicata alla magia - Sono sicuro che in questi libri troveremo la risposta.»
«Aspetta - aggiunse la principessa tirandolo per una manica - Non abbiamo neanche idea di cosa cercare e poi non ci avranno già pensato i sacerdoti che lo hanno curato?»
«Sì, ma non hanno trovato nulla - rispose Alfonso a denti stretti - ma credevo che amaste vostro fratello ed ero sicuro che non vi sareste mai arresa a vederlo morire. Perché, se non si troverà il modo di guarirlo, la conclusione potrà essere solo quella.»
Astoria sentì le proprie braccia scivolare verso il basso. «No - mormorò guardando l'amico di Alessandro - Non può morire, lui non deve morire.»
All'imbrunire non avevano scoperto nulla e Astoria andò a vedere come stava il fratello. Era pallido e madido di sudore. Le sue ferite avevano provocato un'infezione che stava diffondendosi a tutto il corpo e nessuna preghiera riusciva ormai a richiuderle. La principessa sollevò la coperta e vide le larghe bende sporche di sangue e altro ne stava perdendo dalla schiena.
«Alessandro» sussurrò la principessa tra le lacrime mentre gli carezzava la fronte calda e sudata.
«Madre - la voce del principe fu appena udibile - Madre, vi prego. La schiena. Brucia. Brucia. Dentro.»
«Alessandro, non arrenderti» lo baciò sulla fronte. «Vostra Altezza - Padre Ascanio si avvicinò e le prese le mani - Il principe è in cammino verso la Luce, la Dea lo accoglierà e smetterà di soffrire. Il dolore che porta dentro di sé laverà via i suoi peccati e la sua anima sarà salva.»
Astoria guardò il sacerdote senza vederlo e mormorò: «Dentro di sé. Il dolore che porta dentro.» Ripensò alle parole che il fratello le aveva detto. Brucia. Dentro.
Si alzò di scatto. «Tenetelo in vita. Tornerò presto.»
«Vostra Altezza, capisco il vostro dolore, ma ormai...»
«Silenzio! Se al mio ritorno sarà morto, vi riterrò responsabile.» Uscì di corsa e quasi travolse il generale Kareikos. Sollevò l'ingombrante e inutile gonna per non cadere lungo le strette scale e si fermò davanti alla pesante porta di ferro e legno. Afferrò il pomo e spinse con tutte le sue forze. Aprì la bocca, ma non aveva abbastanza aria nei polmoni. Dovette poggiarsi allo stipite della porta per non cadere.
La maga alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e disse: «Prego, Vostra Altezza, entrate pure.» Poi si accorse delle sue difficoltà e si alzò avvicinandola. «Calmatevi e raccontatemi cosa è accaduto.»
«Alessandro - ansimò la principessa tenendosi il petto - Ha qualcosa. Dentro di lui.»
La maga annuì: «È così, infatti. Un'infezione sta uccidendo il suo corpo e nessuna magia a me nota può salvarlo.»
Astoria scosse la testa: «Non è così, voi potete aiutarlo.»
La maga chiuse i suoi gelidi occhi e, in tono piatto, affermò: «Non ho modo di conoscere l'origine della maledizione, perché è di quello che si tratta, ma non posso fare nulla. Morirà in poco tempo, ormai.»
«No! - urlò la principessa riprendendo a respirare - Ha un pezzo di lama dentro di sé. Ne sono sicura.»
Areina guardò la principessa senza mutare espressione e, in silenzio, la scrutò per interminabili istanti. «Cosa ve lo fa credere, Altezza?» chiese con gli occhi grigi fissi in quelli di Astoria. «È stato lui. Me lo ha detto lui. Brucia, dentro. Lo ha detto poco fa» sputò tutto fuori guardando implorante la maga.
«Potrebbe essere plausibile, questo spiegherebbe sia il continuo aprirsi della ferita, sia l'infezione riscontrata» disse Areina a occhi chiusi e toccandosi una tempia. «E sia. Farò un tentativo» disse raccogliendo la gonna e precedendo la principessa lungo gradini, porte e corridoi.
Trovarono la porta che conduceva nelle stanze di Alessandro spalancata. Ad Astoria si fermò il cuore.
"Non mi lasciare, me lo hai promesso."
Areina entrò, senza esitazione, nella camera da letto del principe. «La principessa Astoria ha avuto un'intuizione - esordì la maga rivolta al conte e al generale - Ho bisogno di tanta stoffa, di una lama molto affilata e di acqua, subito.»
Gli sguardi interrogativi che si scambiarono i due uomini furono interrotti da un gemito di Alessandro.
«È mia opinione - continuò la maga arrotolandosi le maniche oltre il gomito - che la principessa possa essere nel giusto. Ragion per cui vi esorto a portarmi acqua calda, bende e lama quanto prima.»
In breve tempo Areina fu accontentata. «Vostra Altezza, vi prego di uscire. Generale, ho bisogno del vostro aiuto.»
«No, resterò» affermò sicura la principessa. «Vi prego, uscite. Vostro fratello è troppo debole per subire un incantesimo del sonno o gli effetti di una pozione. Ciò che devo fare non è per la vostra vista, non ancora.»
Kareikos fece un cenno al soldato che era entrato con le serve e Astoria fu accompagnata fuori. Dopo pochi istanti si udirono delle urla. Alessandro stava soffrendo, molto, e lei non poteva entrare. Si sedette nel corridoio difronte la porta e si strinse le ginocchia al petto. Dopo poco le urla cessarono e Alfonso la raggiunse. Rimasero diverso tempo lì fuori e la principessa pregò la Dea come non aveva mai fatto prima. La pregò di non prendere con sé anche Alessandro.
Il conte Guidobaldo aprì la porta. Aveva il volto stravolto e la principessa non osò chiedere nulla. «È vivo. Vostra Altezza, il principe è vivo. Vado a informare il re.» Fece un inchino e si allontanò.
Astoria guardò Alfonso al suo fianco. «È vero? Ce l'ha fatta?» chiese la principessa senza neanche alzarsi. Alfonso le tese una mano e l'aiutò. Proprio in quel momento la maga uscì dalla porta. Il vestito era completamente imbrattato di sangue. Le braccia erano sporche fino ai gomiti e schizzi di sangue erano anche sul suo volto. Guardò solo per un momento verso Astoria e poi andò via.
«Cosa è successo? Posso vederlo?» chiese la principessa sottovoce. Il generale, appena uscito, scosse la testa e disse: «Vi consiglio di restare qui - l'accompagnò nella saletta che Alessandro usava per leggere e la fece sedere - Vostro fratello è fuori pericolo, tuttavia la nobile Areina ha dovuto compiere un lavoro da cerusico e sarebbe meglio attendere che la servitù pulisca tutto. Anche perché il principe sta dormendo e, secondo la maga di corte, continuerà a farlo fino a domani.»
Astoria accettò l'attesa. Vide le donne portare via lenzuola e coperte intrise di sangue, secchi e strofinacci sporchi e poi, finalmente, le consentirono di vederlo.
Era pallido, sembrava morto e Astoria non riusciva a togliersi dalle orecchie il suono delle sue urla. Lo accarezzò e pregò ancora la Dea di lasciare che si riabbracciassero.
Alessandro si svegliò il giorno successivo. Era debole, ma cosciente. Al re fu permesso di vederlo solo dopo che il medico di corte si fu accertato delle condizioni di salute del sovrano.
Astoria attese che suo padre si allontanasse, non voleva togliergli il giusto tempo da passare con il figlio. Quando il re uscì, lei si precipitò nella camera da letto illuminata dal sole e si avvicinò al letto.
«Sono sveglio - sussurrò Alessandro con la voce arrochita - Come stai?»
«Non troppo bene - rispose Astoria sorridendo - Uno stupido mi ha fatta preoccupare più del necessario.»
Gli si avvicinò e lo trovò ancora molto pallido. «Come ti senti? - sussurrò osservandolo da vicino - Non ti da fastidio tutto questo sole? Posso chiuderti le tende se vuoi.»
«No - rispose piano il fratello - In questi giorni ho visto troppo buio. Voglio sentire il sole sulla pelle, voglio uscire, ma Padre Ascanio insiste col dire che dovrò attendere.»
«Cosa è successo? Che ti hanno fatto?» chiese la principessa sentendo la sua voce tremare.
«I barbari o Areina? - chiese di rimando lui con un sorriso forzato - Comunque è stato un bestione grande quanto un orso, anzi doveva avere proprio una di quelle bestie come padre o madre. Mi ha infilato una spada enorme nella schiena, me la sono vista uscire dalla pancia.» Astoria si morse un labbro, ma il fratello scosse la testa e disse: «Non è stato doloroso come pensi, non sentivo nulla dalla ferita in giù, solo un lieve malessere alla schiena. L'infezione sì che è stata dura, ma nulla in confronto a quello che mi ha fatto Areina. Mi ha riaperto la ferita alla schiena e ha cercato e scavato fino a quando non ha estratto una piccola scheggia di ferro. Era maledetta, per questo gli incantesimi di guarigione non funzionavano.»
«Mi dispiace - disse Astoria abbassando lo sguardo - ho detto io ad Areina che forse avevi qualcosa dentro.»
«Non devi scusarti - aggiunse lui - Mi hai salvato la vita, anche se ho desiderato morire per tutto il tempo che la maga ha scavato dentro di me.»
La principessa gli prese la mano e scrutò il volto del fratello. «Ti conosco - disse stringendo gli occhi - c'è dell'altro.»
Alessandro chiuse per un po' gli occhi e poi li riaprì. «Non riesco a muovere le gambe. Di tanto in tanto mi fanno male, sento la mia mano che le tocca, ma non rispondono ai miei comandi. Padre Ascanio dice che potrebbe volerci tempo, ma Areina è dell'opinione che la maledizione abbia agito in profondità e che non ci sia più nulla da fare per recuperare l'uso delle gambe.»
I giorni seguenti diedero ragione alla maga. Alessandro non poteva più camminare né alzarsi e il suo umore peggiorò.
«Via! Uscite tutti fuori!» Astoria udì le urla del fratello diffondersi nel corridoio e si fermò dietro la sua porta.
«Alessandro, ti prego. L'hanno costruita per te - la voce, preoccupata, era di Alfonso - Così potrai uscire da questa stanza.»
La principessa ispirò ed entrò. Suo fratello era seduto su una sedia, aveva una coperta poggiata sulle gambe e guardava torvo verso il suo amico, Alfonso. Due servitori avevano portato una particolare sedia costruita apposta per il principe.
Era montata su due grandi ruote, aveva la seduta e lo schienale imbottiti e due comodi braccioli. Dietro avevano anche montato una sbarra per permettere di spingerla.
Alessandro guardò con astio anche la sorella. «Cosa vuoi? Cosa hai portato? - abbassò lo sguardo sulla coperta che la sorella teneva ripiegata sul braccio - Hai portato anche tu qualcosa allo storpio? Una calda coperta per coprire le gambe di un vecchio incontinente?»
Astoria strinse tra le mani il suo dono per Alessandro. La situazione era difficile, ma doveva fare qualcosa per lui.
La principessa prese un respiro profondo e urlò: «Adesso basta! Vuoi piangerti addosso? Fallo! Sei patetico. E non perché vivrai su una sedia a rotelle. Lo sei perché non reagisci. Questo era un regalo - gli lanciò contro la coperta - L'ho cucita io per te. Solo per te. Buttala, fanne ciò che vuoi. Della coperta e di ciò che ognuno di noi prova per suo fratello, per il suo migliore amico, per suo figlio, per il proprio principe. Resta solo, ma almeno abbi la decenza di non coinvolgerci nei tuoi piagnistei!»
Uscì tirandosi la porta dietro e appoggindoci sopra la schiena. Le lacrime le bagnarono il viso, ma le asciugò con la lunga manica e tirò su col naso. Dei passi nel corridoio avevano attirato la sua attenzione. La maga di corte si fermò proprio davanti a lei.
Per un periodo della sua infanzia, Astoria aveva desiderato diventare come lei. Bella, inespressiva e misteriosa. Una maga potente, che non si faceva travolgere dalle emozioni, come invece fece lei quando morì la madre. Oppure come stava facendo in quel momento.
«Vostra Altezza - Areina fece un lieve cenno con la testa e il volto immobile in un'espressione neutra - Devo controllare le condizioni del principe.»
Astoria annuì e si spostò. La maga la stava osservando con i suoi occhi grigi e freddi. Era di una compostezza innaturale, anche quando era uscita dalla stanza di suo fratello coperta di sangue, non aveva mostrato il minimo segno di cedimento o di emozione.
«Vorrei che mi veniste a trovare, Altezza - disse la maga con una mano poggiata sul pomo della porta - Vorrei poter parlare con voi dei libri che vi ho prestato.»
«Io non lo so - balbettò Astoria - Ultimamente non ho avuto modo di riflettere, o di leggere.»
«Certo - annuì la maga - Capisco. Verrete quando sarete comoda, Vostra Altezza. Sarò sempre qui al castello.»
Accennò un inchino ed entrò nelle stanze di Alessandro.
La principessa tornò nelle proprie camere e dedicò una lunga occhiata ai libri che, da diversi giorni, erano chiusi sul suo tavolo. Areina aveva ragione. La magia nera richiedeva un maggior controllo e gli studi condotti da Astarte ne spiegavano anche i motivi. Tuttavia aveva timore di lasciarsi andare. In quei giorni era preda di forti emozioni che avrebbero potuto aprire varchi che lei non era pronta a richiudere.
Si ritrovò a sfogliare il tomo scritto da Astarte. La grande maga del passato affermava che i poteri magici potevano prendere il sopravvento su chi li esercitava, rendendolo loro schiavo. La principessa si domandò se non fosse un buon espediente per ridare l'uso delle gambe ad Alessandro. Perdere la propria anima in cambio della vita di suo fratello sarebbe stato, per lei, uno scambio equo. Il tempo e il dolore, fisico e psicologico, avrebbero corroso l'animo del principe, lei ne era sicura. Ma era anche certa che in quel libro non avrebbe trovato l'incantesimo adatto.
Nei giorni a seguire la principessa evitò di incontrare il fratello e lui non la cercò. Vide Alfonso aggirarsi per il castello eseguendo commissioni, ma le riuscì solo di apprendere che la salute di Alessandro stava migliorando, le forze stavano tornando anche se l'umore restava pessimo.
Astoria terminò la lettura dei libri che le aveva prestato la maga di corte. Non era riuscita a comprendere molti passaggi sul tomo di Astarte, mentre il libro di storia era stato molto interessante e le aveva offerto diversi spunti di riflessione. Nessuno le aveva mai parlato di un'antica religione scomparsa molto tempo prima. I cultisti di quel credo erano dediti a potenti riti basati sull'uso del sangue e la principessa voleva saperne di più.
Si diresse verso le strette scale che portavano alle stanze di Areina. Più di una volta aveva poggiato i piedi sui primi gradini e altrettante era tornata sui propri passi.
«Cercavate me, Altezza?» la voce calma e corposa della maga la fece trasalire. «Sì, nobile Areina. Avrei bisogno di chiedervi dei chiarimenti. Sempre che abbiate del tempo da dedicarmi.»
La maga lanciò una lunga occhiata al pesante libro rosso che la principessa stringeva tra le braccia e Astoria ebbe la spiacevole sensazione che la maga stesse per sorridere, invece replicò: «Sono a vostra disposizione.»
Una volta entrate nella stanza affollata di libri, Areina fece accomodare la principessa e si sedette al tavolino con lei.
Astoria non aveva il coraggio di parlare. Lei era la principessa, eppure la maga le metteva soggezione come nessun altro al castello. Aveva ripetuto dentro di sé le parole da dire molte volte, ma in quel momento le dimenticò.
«Avete portato con voi il libro di magia che vi ho dato - disse Areina prendendo la parola - Ipotizzo che abbiate incontrato qualche difficoltà nell'interpretare alcuni incantesimi.»
La principessa annuì e aprì il libro nel punto in cui aveva lasciato il nastro rosso e un foglio su cui aveva preso degli appunti. «Prima di passare alle domande sugli incantesimi - esordì Astoria - Vorrei chiedervi delucidazioni su un argomento di cui ho letto nel libro di storia.»
Di nuovo la maga annuì e, con un gesto della mano esortò la principessa a continuare.
«Vorrei sapere qualcosa in più sull'Ordine Scarlatto, sui riti che i cultisti eseguivano e sulla figura dei Custodi» Astoria avrebbe voluto introdurre la richiesta con un preambolo in cui assicurava il suo disinteresse per quelle pratiche oscure e la mancanza di attrattiva che avevano per lei, ma non le fu possibile. Gli occhi freddi e insensibili della maga le tirarono fuori ciò che lei voleva, non le diedero la possibilità di difendersi.
«Siete interessata ai loro riti di sangue? - chiese Areina continuando a fissarla - Sono sortilegi molto potenti e pericolosi, non è possibile padroneggiarli a meno di non essere stati iniziati ai loro misteri. Purtroppo non è possibile trovare un cultista. Sono stati tutti eliminati molto tempo fa. Posso rassicurarvi, inoltre, che neanche un Custode avrebbe potuto aiutare il principe, perché è per lui che mi state ponendo queste domande, lo so.»
Astoria si sentì messa a nudo, ma la maga aveva ragione. Sperava di poter aiutare Alessandro e, con quelle parole, sentì che stava per toccare il fondo. Aveva riposto le sue ultime speranze in quel tipo di magia ed era disposta a tutto, a perdere ogni cosa, pur di aiutarlo.
«Vedo che avete scritto degli appunti - disse la maga avvicinandosi al libro - Se lo desiderate ancora, potremmo parlarne.»
Discutere di magia con la maga di corte fu un toccasana per Astoria. Per qualche tempo riuscì a distrarre la propria attenzione dalle gambe immobili del fratello, ma quando uscì dalla stanza e risalì le scale, tutta la disperazione le crollò addosso.
Abbracciata al pesante libro, si diresse verso le sue stanze e posò la mano sul pomo della porta per aprirla. «Astoria» quella era l'ultima voce che si sarebbe aspettata di udire per i corridoi del castello. Si voltò e vide Alessandro venire verso di lei. Era seduto sulla sedia a rotelle che tanto aveva odiato, le sue gambe erano avvolte nella coperta blu che lei gli aveva cucito e Alfonso, sorridente, lo stava spingendo verso di lei.
«Alessandro» sussurrò Astoria incredula. Posò a terra il libro e gli corse incontro. Stava per laciarsi tra le sue braccia, ma si trattenne.
«Puoi abbracciarmi - disse lui sorridendo - Anzi devi farlo, altrimenti non ti ringrazierò per la coperta e per le tue parole. Ci ho messo un po' a digerirle, ma avevi ragione. Non devo piangermi addosso.»
La principessa si inginocchiò e lo abbracciò. Alessandro le strinse la testa al petto e le accarezzò i capelli. «Perdonami - sussurrò il principe - non avevo alcun diritto di trattarti in quel modo. Alfonso mi ha già perdonato. Tu riuscirai a farlo?»
«Ma certo che ci riuscirò, già l'ho fatto.»
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