18 Aprile
Genere: angst
Parole: 1027
Pov: Simone
Simone continua a pizzicarsi il gesso mentre aspetta che suo padre vada a prenderlo.
Sarebbe stato dimesso.
Finalmente.
E lui non può fare altro che esserne felice, sia chiaro, solo che più guarda il calendario più il senso di oppressione - al centro del suo petto - aumenta.
Lo consola il fatto che prima delle dimissioni sarebbe dovuto passare dalla psichiatra perché almeno avrebbe potuto parlarne con qualcuno.
Lui sa che il problema era proprio il giorno e non il fatto di essere dimesso.
Ricorda di aver trovato quella data scritta sul ricordino di suo fratello Jacopo, quando aveva trovato la scatola con le sue cose nell'ufficio di suo padre.
Era quella la data.
La data in cui era finito tutto.
La data in cui suo fratello aveva smesso di respirare e in cui lui l'aveva dimenticato.
Chissà se aveva avuto paura Jacopo, chissà se aveva sofferto.
Inizia a mancargli l'aria quando passa la psichiatra nella sua stanza e lui ringrazia mentalmente per quello.
Secondo lui, quella, era un'enorme presa per il culo che la vita gli stava dando.
O forse gliela stava dando proprio l'universo intero.
Dante arriva due ore dopo e non è solo.
Con lui c'è Manuel.
Il ragazzo si lascia andare semplicemente ad un sorriso e prende il borsone di Simone, pronto per uscire.
Aspettano Dante - il quale sta mettendo le ultime firme per le dimissioni - in silenzio.
Quello - per Simone - è il primo anniversario della morte di Jacopo.
Il primo che sta vivendo.
Il primo da quando ha scoperto tutto.
Il primo da quando il 18 aprile ha assunto un significato avvilente.
Semplicemente è il primo sotto ogni punto di vista.
E lui è quasi grato che Manuel fosse lì con lui, in silenzio. Grato perché sente la sua presenza ma non sente il peso delle parole dette in frasi di circostanza.
È anche grato perché rimane anche a casa da loro, quando tornano dall'ospedale.
Grato perché probabilmente non ce l'avrebbe fatta a rimanere solo con i suoi genitori quel giorno.
Non in quel momento e non in quell'anno.
Non si trova pronto a vedere il dolore nei loro occhi con una consapevolezza diversa, soprattutto ora che può toccarlo con mano quel dolore. Sa capire cosa c'è dietro a molte cose, alle parole non dette, ai sorrisi forzati, agli occhi cupi.
Riesce anche ad avertire l'aria più tesa sotto i sorrisi dei suoi genitori.
Sì, la sua vita è decisamente una presa per il culo.
Si siede sul letto e Manuel fa lo stesso senza dire nulla. Gli si mette accanto continuando a mantenere il silenzio.
Si erano chiariti, la settimana prima, durante una seduta di Simone con la psicologa del reparto.
Si erano chiariti e ora provavano ad andare avanti a modo loro.
Ci vuole relativamente poco ad arrivare al momento in cui Simone riesce a dire qualcosa a Manuel, in quel pomeriggio.
<<La mia vita è una presa per il culo>> gli esce spontaneo perché è quella frase che - come una litania - continua a vorticare nella sua testa da quella mattina.
Manuel lo guarda semplicemente e aspetta.
Aspetta che Simone continui perché sa che c'era altro, lo sentiva.
Le lacrime sulle guance di Simone non tardano ad arrivare.
<<Vengo dimesso nello stesso giorno in cui... >> un singhiozzo prende il posto delle parole e Manuel si sposta leggermente più accanto a Simone, come a volergli dire che lui c'è: è lì accanto a lui e non si sposta. <<I-in cui... Lui è m->> un singhiozzo più forte lo interrompe nuovamente.
Si asciuga una lacrima e Manuel gli fa cenno di non continuare perché lui sa. Non c'è bisogno che lo dica. Non c'è bisogno che si faccia del male da solo.
<<I-io... Io vole-volevo solo morire per non dover affrontare questo. I-io sono completamente solo in questo dolore>>. I singhiozzi si fanno più forti e Manuel porta una mano a circondare le spalle del più piccolo.
<<N-non è giusto. Perché io sono stato dimesso e lui no quell'anno?>> E Manuel vorrebbe dirgli che anche lui è stato dimesso quel giorno e che ha ragione, che non è giusto.
Non è giusto che un bambino di tre anni perda la vita.
Non è giusto che si sia dimenticato di lui, ma non lo fa; non lo dice. Cerca di accogliere il suo dolore nel modo più delicato possibile, anche se lui non è mai stato una persona delicata.
Cerca di stringerlo un po' di più a sé come a cercare di sorreggerlo ma sa che non ci riuscirà.
Lo fa stendere accanto a lui senza mollare la presa intorno alle sue spalle.
<<N-non volevo af-frontare questo dolore... Non così>>. Manuel sa che si riferisce al modo brusco in cui glielo ha detto. Lo percepisce nei suoi occhi e lo ricorda anche dalla seduta con la psicologa.
Per questo - mentre continua ad accarezzargli il braccio - lo guarda e <<Scusa, Simo, scusa>> quello è un sussurro. Il resto viene decisamente detto a voce più alta.
<<Te giuro che non sei solo. E sì, sicuro la vita te prende per il culo ma credo pure che in tutto questo ce sia lo zampino de Jacopo; che sia lui ad avette fatto dimettere oggi perché voleva je deste 'n artro significato a sta data de merda>>
Le lacrime di Simone diventano ancora più copiose e Manuel sente la sua maglietta bagnarsi sempre di più, per la posizione che hanno assunto da sdraiati. I singhiozzi non sembrano cessare e forse è un bene perché - per la prima volta - si sta lasciando andare davvero.
È in quel momento che Manuel gli lascia un bacio sulla tempia e gli passa delicatamente una mano tra i ricci.
Quello è il primo vero contatto che hanno, da quella sera in cui tutto era andato allo sfascio. Quella è la prima volta in cui sono davvero vicini e - anche in quello - devono ringraziare Jacopo.
È durante quella serata che Simone si lascia andare, ed è durante quella serata che Manuel raccoglie i suoi pezzi, cercando di prendersene cura e cercando di essere - anche solo lontanamente - un buon sostituto per il pezzo mancante nella vita di Simone.
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