31.La resa dei conti

Aveva uno strano effetto su di me, non riuscivo a evitarlo era come una calamita, così lo baciai io, appassionatamente, sentivo la sua lingua attorcigliata alla mia, i nostri corpi vicini.
Mi baciò una spalla e io gli buttai le braccia al collo facendo cadere a terra la coperta, lui si fermò e mi osservo dalla testa ai piedi.
<<Michelle!>>
La voce di mia mamma rimbomba in corridoio.
<<Tua madre... Dovresti svegliarti Michelle.>>
Dice Marin.
<<Michelle!>>
Mi alzo di scatto, ero nel mio letto, era un sogno?
<<Michelle sono le 7:30!>>
Sbraita mia mamma.

Nonostante il tempo fosse ormai caldo, la giornata di oggi era davvero fredda e buia.
Le ore di scuola mi pesavano più del solito, gli esami si avvicinavano e passato il mio compleanno mancava ormai solo un mese.
Finalmente suonò la ricreazione e insieme alle altre ci riparammo in infermeria, il nostro posto da sempre.
<<Non trovate strano che Marin sia sparito?>>
Sussultammo tutti a quella domanda di Giada, non sentivamo il nome di Marin da un po'.
<<È strano.>>
È sparito, ma nei miei sogni è presente.
<<Chi è Marin?>>
Chiede Erika spaesata, lei non sapeva nulla, era arrivata da poco e non poteva immaginare tutto quello che ci era successo.
<<Un vecchio alunno di questa scuola, storia lunga lascia perdere.>>
La liquidò Samuel.
<<Si chiamava Marin avete detto?>>
Chiese lei ignorando Samuel.
<<Si.>>
Rispondemmo in coro.
<<Scritto in quel modo?>>
Domandò indicando il muro accanto a noi.
In basso c'erano numerose scritte a penna, tra cui Marin.
Mi chinai per guardare meglio la scritta nel muro.
<<Si, scritto così...>>
Dissi in tono basso.
<<Come hai fatto a vederlo? È scritto piccolissimo!>>
Dissi sfiorando la scritta.
Non ricevetti nessuna risposta, da nessuno, mi girai di scatto. Tutti osservavano Samuel e Erika che si guardavano, occhi dentro occhi, si guardavano con rabbia.
<<Smettila!>>
Disse lui in tono minaccioso.
Lei non fece in tempo a ribattere, perché in tutta la scuola mancò la luce e restammo in penombra.
<<Cavolo! Ma che problemi abbiamo con queste luci!>>
Sbraitò Ludovica.
Ma nessuno gli diede retta perché Erika e Samuel si guardavano ancora, si stavano dicendo qualcosa con lo sguardo, qualcosa che noi avremmo capito troppo tardi. <<Che avete?>>
Intervenne dopo un po' Giacomo.
<<Niente è tutto ok.>>
Disse Erika con una finta risata.
Non era tutto ok.
<<Tutti nelle vostre classi!>>
Sbraitò il preside entrando in nella stanza.
Così nella penombra di quella brutta giornata entrammo in classe.
Non si vedeva quasi nulla, studiare in quelle condizioni era del tutto impossibile.
<<Ci faranno uscire prima, penso.>>
Ipotizzo Alex.
<<Ragazzi tutti seduti!>>
Disse il professore Costan entrando in classe e urtando la spalla a Samuel.
Quello che successe dopo ci paralizzo.
<<Non mi tocchi!>>
Aveva urlato Samuel.
Respirava affannosamente come se avesse corso.
<<Calmati...>>
Gli dissi sfiorandogli una spalla, era troppo strano ultimamente.
<<Vuoi una nota a fine anno,Samuel?>>
Domandò Costan.
Samuel gli si avvicinò, faccia a faccia.
<<Ogni anno fa le stesse battute, professore.>>
Disse lui con un sorriso maligno.
<<Scusa?>>
Rispose Costan stupito.
<<Non hai amici perché non te li meriti, ricorda questa sua battuta?>>
Samuel avanzò verso di lui, finché Costan non si ritrovò le spalle al muro.
<<Sei un incapace, mostro. Questa la ricorda? Me la ripeteva in continuazione!>>
Samuel urlava e improvvisamente spintonò il professore sbattendolo al muro.
<<Io...Lasciami stare!>>
Lo implorò il professore, aveva paura.
<<Cosa stai facendo!>>
Urlò Giada.
Dovevamo fermarlo.
Giacomo e Kevin cercarono di allontanarlo ma tutto iniziò a tremare, i banchi si spostavano.
Non era un terremoto.
<<Smettila!>>
Urlò Erika spingendo Samuel.
In quel momento tutto si fermò.
<<Questa è la mia vendetta, non provare a fermarmi.>>
Gli disse Samuel, ma era chiaro che si trattava di Marin.
<<Perché...Perché non ti accontenti di riposare in pace!>>
Urlò Erika.
<<Perché lei mi ha evocato.>>
Disse indicandomi.
Quelle parole rimbombarono
nelle orecchie, lo aveva evocato il gruppo alla festa di Halloween, non io.
<<Non è vero...>>
Mormorai.
<<Mesi fa hai evocato un Marin.>>
Aggiunse.
Aveva ragione.
<<Lascia stare il ragazzo!>>
La voce di Erika uscì con un tono che non avevo mai sentito, un tono minaccioso.
Poco dopo Samuel si accasciò a terra con la testa fra le mani e urlò, urlò fortissimo e avrei voluto aiutarlo, lo avrei aiutato se dalla sua bocca spalancata non fosse uscito del fumo bianco che si espanse per tutta la stanza.
Samuel cadde a terra e il fumo si trasformò in un'ombra bianca che mi circondò, la mia ombra bianca, quella che da sempre consideravo mio padre, quella che mi aiutava e mi dava forza, quella che mi guidava da quasi un anno, l'ombra era Marin, lo era sempre stato.
Volevo urlare anche io, ma non avevo più dolore da buttare fuori.
<<L'ombra è...>>
Non riuscì a finire la frase ero troppo scioccata.
<<L'ombra sono io, Marin!>>
Urlò una voce che fece eco in tutta la scuola.
Marta e Roberta mi stavano accanto.
<<Cosa significa che l'hai evocato tu?>>
Chiese Costan.
<<Io... Mesi fa... Ho evocato mio padre, ma... L'ho evocato chiamandolo con il suo soprannome, Marin.>>
Guardai il pavimento dove ero seduta, tutto era chiaro, tutto aveva preso forma.
<<Cosa devo fare per mandarti via?>>
Chiesi a Marin.
Nessuno rispose ma io lo sapevo, tutti lo sapevano, ed è ciò che avrei fatto.
Mi alzai titubante e uscì dalla porta, ero diretta verso la fine.
Il tetto della scuola era spoglio, mi dava la sensazione del niente, anche Marin era stato qui per suicidarsi anni fa, esattamente come me. L'aria fredda mi spingeva verso l'interno, i capelli mi frustavano la schiena, il cielo era nero e pieno di nuvole, un tuono mi fece sobbalzare, come se il tempo volesse impedirmi ciò che stavo per fare.
Camminai verso il cornicione del tetto, visto da lì il panorama doveva essere bellissimo, ma davanti a me c'era solo la nebbia, il nulla, un grande oceano di nulla dove mi sarei tuffata di lì a poco.
Spalancai le braccia, come per volare.
Dovevo morire per spezzare tutto questo, così almeno avrei rivisto papà, davvero.
Inizia a respirare più affannosamente, feci un passo, un altro, l'ultimo e tutto sarebbe finito.
Feci l'ultimo.
Due braccia mi bloccarono e mi ritrovai con i piedi sul niente, come se stessi volando davvero.
La stretta era salda e sicura, mi tirò a sé e io dal suo profumo capì che era tornato.
Era Richard.

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