La Quarta Stanza (Parte II)


«Ne sei sicura?» Jasen la guardò dubbioso.

Si era ripresentata da lui poco prima di cena, con l'aria colpevole e la macchina fotografica stretta tra le mani come segno di pace. La visita in biblioteca le aveva sottratto una discreta quantità di energie, e prima di affrontare l'uomo era stata costretta a recuperarne un po' nel silenzio della propria stanza.

«Sì» confermò dopo un lungo sospiro. «La vecchia è stata chiara: si trovano nella quarta stanza e solo la Madre Superiora ha le chiavi per entrarci. Dubito che mi darà libero accesso, anche se glielo chiedessi.»

«No, non devi farlo. Capirebbe che lo stai facendo per me.» Jasen le sorrise, donandole un pizzico di calore all'altezza del petto. Esitò e, dopo un attimo di incertezza, decise di carezzarle le mani, invitandola a lasciare la macchina fotografica sulla panchina di pietra per poter ricambiare la stretta. «Sei stata fin troppo brava. Non avresti dovuto spingerti così oltre, davvero.»

«Lo so.» Acconsentì al suo invito e una scossa piacevole l'attraversò appena le loro dita si intrecciarono. Le tornò alla mente il tocco della sua lingua sul collo, la pressione delle sui dita sui seni e tornò a provare quel desiderio bagnato di concedersi a lui. «La verità è che sono curiosa» ammise subito dopo. Non era il posto adatto, né il momento. E se la voce fosse tornata a tormentarla, non avrebbe saputo più che scusa inventare di fronte alla preoccupazione di Jasen. Perché era ovvio che non poteva dirgli la verità. Nessuno doveva saperla. Nessuno. «Sembrava quasi che non volesse permettermi di approfondire quella storia. Capisco che lo facciano coi visitatori, per evitare di incoraggiare una tipologia di turismo particolare... ma perché con me?»

«Sarei particolare?» Jasen le sorrise, divertito.
«Mi hai attirata con la storia di un diavolo in un monastero. Non è di certo una cosa che si sente tutti i giorni, non credi?»
«Direi di no» rise. «Che cosa hai in mente, quindi?»
«Dobbiamo studiare un modo per prendere le chiavi alla Madre Superiora senza che se ne accorga.»
«E poi?»
«E poi potremo entrare nella quarta stanza e vedere cosa tengono nascosto.»

Jasen la studiò a lungo, perso in una ragnatela di pensieri che continuava a nasconderle. Scosse la testa, infastidito da un qualcosa che tenne per sé. «No.»

«Cosa?» Ivette si irrigidì. «Tutto quel silenzio per un semplice "no"?»
«Esatto, Ivy. No.»

A un tratto, il contatto con la mano di Jasen le parve essere mutato in fiamme vive capaci di bruciarla. Si ritrasse di scatto, ferita da quel semplice rifiuto ricevuto. «Che cazzo succede, adesso?»

Al contrario di lei, Jasen parve poco incline a lasciarsi andare alla rabbia. Era calmo. Anche troppo, per i gusti di Ivette. «Succede che hai fatto già abbastanza» le rispose con una punta di veleno a bagnargli le parole. «Non posso rischiare di metterti nei guai. Ne hai già abbastanza senza che io rincari la dose.»

«E da quando non avrei voce in capitolo in questa storia, scusa?» Lo aggredì piegandosi su di lui, così da sibilare tutto il rancore che provava dritto sulle sue labbra.

«Da quando l'ho deciso io. È la mia battaglia, non la tua. Se qualcuno deve affondare, quello sono io.» Non si mosse di fronte alla minaccia della giovane.

«Oh, capisco» mormorò a un tratto, colpita da una consapevolezza che le appesantì i battiti nel petto, rendendoli troppo simili al senso di ansia che spesso la colpiva. Si ritrasse da lui e guardò la delusione che provava riflessa nel suo sguardo. «Ho fallito, vero?»

«Che stai dicendo?»
«Non ti sono più utile.» Avrebbe voluto essere meno delusa e più stoica ma le parole le uscirono in un gemito tremante. «E adesso mi scarichi.»

«Sei impazzita? No!» Jasen alzò la voce e qualche turista di ritorno dalla propria escursione si girò a guardarli. «Non ti ho mai usata, Ivy. Te lo assicuro.» Si allungò su di lei, per riafferrarle le mani. «Voglio solo proteggerti. È troppo rischioso.»

«Smettila, ti prego.» Si ritrasse, evitando il contatto. «È già abbastanza imbarazzante così.»
«Ivy, io...»

«Cosa? Tu cosa? Non puoi permetterti di perdere questa opportunità per colpa di una ragazzina che volevi scoparti solo per convincerla a darti una mano, e che adesso invece è risultata essere incapace di aprirti la strada facile? Hai paura che combini qualche casino e che salti la tua occasione? Perché se è così, non hai che da dirlo. Credimi, lo apprezzerei molto di più delle favole sull'istinto da "cavaliere di sto cazzo", capito?»

Una signora sui sessanta, con cappello di paglia e collana di perle, si girò a guardarla con aria disgustata. La giudicò, studiandola da capo a piedi, mentre il crocifisso del rosario le dondolava a fianco del polso attorno al quale lo aveva arrotolato. Alzò il mento in uno sbuffo disgustato e avanzò a passo spedito affiancata dal marito troppo distratto per rendersi conto di cosa fosse successo.

Superbia...

Un brivido attraversò la spina dorsale di Ivette e l'idea dell'ipocrisia che regnava all'interno di quel luogo tutt'altro che sacro, tornò ad attraversarla.

«No, Ivy, non è così.» Jasen la obbligò a tornare alla realtà e lo fece poggiandole il palmo della mano contro lo zigomo destro, in un invito mascherato da carezza. «Non voglio che ti succeda niente. So che non mi credi e spero che tu non abbia mai modo di cambiare idea, ma io sono convinto di quello che dico. Considerami un pazzo, uno di quelli non violenti, magari» sorrise, scivolando con le dita fino alla sua mandibola, «che prova solo a proteggerti. Ti ho avvicinata perché ti trovavo bella? Sì, questo lo abbiamo appurato da tempo ormai e non c'è vomito che regga per farmi cambiare idea.»

«Jasen...» si lamentò, di nuovo rossa come un tizzo.

«Dico sul serio, Ivy. Non voglio un'altra vita sulla mia coscienza, capito? Puoi aiutarmi, ma non sarai tu a prendere quelle chiavi o entrare nella quarta stanza.» La guardò a lungo mentre lo studiava in silenzio, solleticata dal tocco delle sue dita. «Vorrei poterti baciare, sai?» mormorò all'improvviso.

«Non sarebbe una mossa molto intelligente» gli rispose con un sorriso timido. La rabbia, la frustrazione, erano state abilmente inghiottite dal timbro graffiato dell'uomo. «Attireremmo di più l'attenzione, se la Madre Superiora ci vedesse insieme. Non credi?»

«Che cosa hai in mente?»
«Potrei distrarre la Madre Superiora per darti campo libero. Mi sarà più facile farlo se crederà che non stiamo tramando nulla, non credi?»
«No, non hai capito, io...»
Gli si avvicinò all'improvviso, coronata di un sorriso delicato. «Non ti ho chiesto il permesso, Jasen.»
«Perché lo fai?»

«Per noia?» rispose di getto, fin troppo sincera. Si strinse nelle spalle e per un attimo rimase in silenzio, a riflettere su cosa davvero covava dentro di sé. Una smorfia le attraversò l'espressione e le iridi altrimenti brillanti come le foglie di primavera, si incupirono improvvisamente. Ma non parlò, non disse altro. Si limitò a sfoggiare un sorriso gelido e fasullo. «Ne discutiamo stanotte, se per te va bene. Verrò in camera tua, vedi di farmi trovare la porta aperta.»

«Sei sicura che...»
«Tieniti pronto. Sappi che mi dispiace.»
«Di cosa?»

«Di questo» mormorò prima di arretrare rispetto a lui con aria sconvolta. Gli occhi sgranati e le labbra schiuse in un'espressione di puro disgusto. «Vaffanculo!» gridò e, l'istante dopo, calò col palmo della mano sullo zigomo di Jasen.

Lui incassò il colpo come un maestro, con l'espressione sconcertata e una furia improvvisa che gli accese lo sguardo. Solo quando Ivette si alzò in piedi minacciando la fuga comprese cosa fosse appena successo e si drizzò a sua volta sulla panchina per riafferrare la macchina fotografica e concedersi una risata leggera. «Davvero? Si può sapere cosa ti aspettavi? Scendi dal piedistallo, ti prego. Sei solo una ragazzina!»

Le gridò dietro, raccogliendo i mormorii dei pochi presenti che, se i conti di Ivette non erano sbagliati, avrebbero raccolto i loro buoni propositi cristiani e sarebbero corsi a spettegolare con gli altri ospiti riguardo lo scandalo succulento che si era appena svolto nella corte interna del monastero.

"Io vi dico che di ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio..." [*]

Non riuscì a spiegarsi cosa avesse dato voce a quel pensiero che sentiva tanto distante da lei. Non ricordava di avere studiato le scritture, ma solo di avere recitato preghiere vuote con il viso rigato di lacrime. Eppure, il ricordo di quei versetti la fece sorridere, quasi quanto l'ipocrisia dei peccatori che, cosparsi di un'aura di santità, affollavano il monastero.

Nel silenzio della propria stanza, Ivette rimase distesa sul letto a fissare le volte di pietra del soffitto e si ritrovò a pensare se fosse stata proprio l'ultima cosa vista dalla monaca di clausura prima di morire. Chissà in quale cella era avvenuto il delitto e se fosse stato quello il motivo per cui l'area non era più stata consacrata.

In tal caso, le parole della Madre Superiora e del suo seguito riguardo la superstizione passata, non erano del tutto giustificate. O magari le Sorelle del Mare avevano solo cavalcato l'onda di una vecchia leggenda per attirare più turismo, per quanto lo negassero, e mantenere una zona intera a scopo laico rafforzava l'aura di mistero.

Ivette sospirò. Fare troppe congetture non portava a niente e comunque dubitava fortemente che il Diavolo si sarebbe scomodato a venire fino all'Isola di Oslay per farsi fare un pompino da una monaca di clausura. L'idea la fece ridacchiare e si girò su di un fianco per trovare una posizione più comoda.

Aveva mentito a Jasen, poco prima, un brutto vizio che non riusciva ad abbandonare da diversi anni, ormai. Ma se la vita le aveva insegnato qualcosa, era che ogni mezzo poteva essere giustificabile se serviva a raggiungere il proprio fine e lei uno scopo lo aveva. Lo aveva capito nel momento stesso in cui aveva intuito che i testi nascosti nella quarta stanza dovessero essere ben lungi dalla sacralità, proprio come i comportamenti delle monache che affollavano le mura di quello strano convento. E se tanto le dava tanto, lì avrebbe trovato un rimedio.

Perché era quello il motivo per cui si muoveva, ciò che davvero le interessava. Niente più "Pixie" sussurrato durante la notte, nessun incubo o voce infestante che la richiamava e revocava le immagini del dolore passato. No, sarebbe finito per sempre. Perché, una volta per tutte, sarebbe stata in grado di metterlo a tacere e, stavolta, sarebbe stato per sempre.


[*] Matteo 12,36

Un nuovo capitolo è finito, con una piccola citazione biblica che ho messo in calce.

Che dire, la Quarta Stanza inizia a farsi sempre più interessante, vero? 

Eppure, è la vostra opinione che voglio sentire. Facciamo un sondaggio, che ne dite?

Qual è a ora il personaggio che preferite?

E quello che più odiate?

Ditemelo nei commenti!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top