Il Podcast (Parte III)
«Credi che sia un idiota per via del podcast, vero?»
La domanda di Jasen arrivò a bruciapelo e inaspettata. Fino a un attimo prima le stava parlando di come avrebbe voluto movimentare la giornata sotto le lenzuola, e l'istante dopo le chiedeva se lo ritenesse un cretino.
«Che c'entra questo, adesso? Hai bisogno di una dose di autostima?»
«L'attacco è la migliore delle difese, eh?» Jasen le rivolse un'occhiata in tralice, accompagnata da un sorriso freddo che la fece arrossire. «La domanda è semplice: ritieni che sia un totale idiota?»
«Non totale» acconsentì lei in un sibilo. Forse, in un certo senso, sperava che Jasen non la sentisse. «Diciamo che non mi sembra una cosa così...»
«Importante?» concluse per lei. Il sorriso gelido sparì dalle labbra di Jasen, presto sostituito da un'espressione terrea. «Scommetto che sei convinta che nessuno possa capire i tuoi problemi, o sbaglio? La storia del podcast, per te, non è altro che l'ennesima cazzata infantile di un fottuto nerd annoiato.»
Ivette serrò le labbra in una linea sottile e ben marcata. Trattenne per sé i pensieri più cupi e si ritrovò a contare fino a dieci, come le aveva sempre suggerito di fare Margot, prima di rispondere con delle verità un po' meno ciniche.
«Non annoiato.» Si strinse nelle spalle, decisa a dare un'idea di sé differente da ciò che davvero provava. Perché se dentro di lei divampava un fuoco rabbioso, quello che mostrò a Jasen fu un gesto di pura indifferenza. «Io avrei detto più esaltato, a dire il vero. E comunque, non accetto una predica sulla morale da uno che, appena poche ore fa, aveva deciso che poteva scoparmi per ottenere ciò che voleva, solo perché sono giovane, sola e disperata.»
Jasen accusò il colpo con una smorfia che scatenò in Ivette un bel sorriso vittorioso. Era strano il rapporto che si era creato tra di loro, quello era innegabile. Così come era innegabile il fatto che, al di là delle battute facili sul sesso, per lei quell'uomo rimaneva uno sconosciuto abbastanza schizzato da credere che ci fosse un diavolo tra le mura del monastero. E tutto per un podcast. Sì, inutile negarlo, la storia del programma audio la faceva ridere da morire.
«Touché.» Jasen sollevò le mani in segno di resa, chiaramente disinteressato all'idea di discutere oltre con lei. «Siamo giunti entrambi a conclusioni affrettate» acconsentì. «A quanto pare, non riusciamo mai a partire col piede giusto, non importa quante volte ci proviamo.»
«Lo prenderò come un segno del destino.» Ivy si concesse un sorriso stanco prima di guardare verso la finestra aperta. «Jasen» sospirò, «la verità è che non mi cambia niente sapere la verità sul tuo podcast, o altro. Quello che penso o che penserò di te, non conta un cazzo e sai per quale motivo? Perché io rimarrò a lavorare dentro queste mura per un altro anno, mentre tu ripartirai a caccia della prossima storia a breve. O comunque, andrai avanti con la tua vita com'è giusto che sia. Siamo estranei che si incrociano per un breve periodo di tempo, prima di lasciarsi per sempre. Tu sei il classico ricordo dell'infanzia su cui mi fermerò a pensare quando sarò vecchia e annoiata.»
Jasen non parlò per un lungo lasso di tempo. Incrociò le braccia davanti al petto, chiaramente perso in un dedalo intricato di pensieri che gli spinsero le sopracciglia chiare in un'espressione corrucciata.
Non era difficile capire il motivo per cui le turiste si fossero invaghite di lui. Era la tipica bellezza nordica, con i capelli biondi arruffati, la barba incolta e i lineamenti duri di chi è nato per affrontare climi rigidi. Anche la fisicità scolpita e l'altezza giocavano a suo favore, suggerendo che tra quelle braccia si sarebbe potuti rimanere per sempre al sicuro. Gli occhi chiari, che spesso proteggeva dietro alle lenti scure degli occhiali da sole, erano solo un extra al pacchetto già generoso che la genetica gli aveva regalato. Una roba ingiustissima.
Non che per Ivette questi fossero dei pregi, al contrario. La bellezza eccessiva era un fattore di disagio, per lei. Non perché si sentisse inferiore – se un uomo voleva scoparsela di sicuro non la trovava brutta – ma più che altro per il senso di superiorità che di solito avvolgeva individui del genere. Jasen, purtroppo, non era così. E questo costituiva un bel problema, perché in condizioni normali se ne sarebbe già andata a gambe levate per trascorrere le sue ultime ore di libertà a lamentarsi in piena solitudine come meritava, anziché ascoltare i suoi deliri. E, soprattutto, sarebbe rimasta lontana da uno dei tanti cazzi che non vedevano l'ora di scoprire come fosse fatta prima di lasciarle in cambio solo un gran vuoto.
Per tutto il tempo che fu necessario a Ivy per perdersi in quel dedalo intricato di pensieri, Jasen non distolse mai lo sguardo dai suoi occhi. Li seguì in ogni movimento, in ogni istante in cui le pupille si dilatavano e restringevano, come se avesse trovato un punto di accesso alla sua anima. Alla fine, si limitò a sorriderle e chinò di poco il capo, osservando un rispetto che Ivette non si sarebbe mai aspettata.
«Ti ho notata in mezzo alla folla sin da subito.» Esordì senza filtri, con la voce arrochita dalla difficoltà di confidarsi. «E prima che tu possa dire qualsiasi cosa, lo ammetto: non ti ho puntata perché volevo giocare a carte con te. Sei bella, Ivy, e credo che io non sia l'unico ad avertelo detto.» Non distolse mai lo sguardo da lei e sorrise amaro al rossore che le colorò d'improvviso le guance. «Poi, ho capito chi fossi. Mi ero documentato, prima di venire qua, non lo nego. Avevo bisogno di un aggancio sicuro, qualcuno che fosse abbastanza arrabbiato da entrare nella libreria della Madre Superiora senza battere ciglio. Altrimenti, avrei provato a corrompere uno dei lavoratori. E sì, è per questo che ho pensato da subito a te.»
«Tu sai...»
«No.» La interruppe prima che potesse continuare e i suoi occhi si tinsero di struggimento, quello che doveva provare nel vederla soffrire. «I file del tribunale non sono accessibili al pubblico, te l'ho già detto. Soprattutto in casi come il tuo.» Provò a rassicurarla e poi, chiuse gli occhi. «Ivette, è difficile dirti ciò che vorrei, e se lo faccio è solo perché non trovo giusta l'idea di usarti.»
Ivette lo guardò. L'angoscia sull'espressione di Jasen era reale, palpabile tanto da rendersi simile a una nube densa che lo avvolgeva per intero. Qualsiasi cosa volesse confidarle, idiota o meno che fosse, gli richiedeva uno sforzo sincero.
«È per questo motivo che troverò un altro modo per entrare nella biblioteca del monastero, perché non voglio che questo appaia come un tentativo subdolo di corromperti. Capito?»
Ivy annuì. Non emise un suono, temendo che il solo parlare avrebbe spezzato la fragilità già troppo grande di quel momento.
«Ho iniziato il podcast molti anni fa. All'inizio era un semplice forum, uno di quelli poco seguiti, finché non ho sentito il bisogno di comunicare su grande scala e raggiungere un pubblico maggiore. Non l'ho fatto per la gloria, per la fama, o perché sia uno di quegli esaltati di merda. No, l'ho fatto perché io so che tutto ciò che dico è vero.»
Ivy sollevò un sopracciglio. Non riuscì a trattenersi dal farlo, così come non fu in grado di reprimere l'accenno di un sorrisetto che le incurvò le estremità delle labbra. Ma Jasen, nonostante tutto, parve non farci caso.
«Il Diavolo di Oslay è reale, Ivette. E sei libera di pensare che io sia un folle. Lo accetto, dico sul serio. Ma ti prego, anzi ti supplico, qualsiasi cosa succeda, quando i tuoi sogni peggioreranno, non dirgli il tuo nome. Mai.»
Un brivido attraversò la schiena della ragazza. Non credeva in certe cazzate e non lo faceva per un semplice motivo: se davvero esisteva un male superiore, ciò implicava la presenza anche di un bene superiore. Bene che, ne era certa, non si trovava da nessuna parte.
«Mi ricordi molto una persona che ho perso tempo fa, sai?» La voce di Jasen si ruppe, frammentata in piccole schegge di dolore. «Era quanto di più bello avessi, finché lui non la trovò. Dopo che la toccò, non rimase che un guscio vuoto di lei, una eco di ciò che era stata. È morta nel dolore, in un letto di ospedale, senza che potessi essere al suo fianco.» In quel momento tornò a fissare Ivette. «Non permetterò che faccia lo stesso anche con te» aggiunse in un sibilo, «farò il possibile per tenerti al sicuro. Lo prenderò.»
Ivy rimase in silenzio. Il sorriso era scomparso mentre Jasen metteva a nudo i propri sentimenti. Anche se non era sceso nei dettagli di quella storia, era chiaro il dolore che continuava a provare. Prendersene gioco, sarebbe stato orribile. Era una persona ferita e tormentata dai demoni del passato, proprio come lei. Come poteva fargliene una colpa? Se la fantasia dietro cui aveva deciso di rifugiarsi gli conferiva un po' di pace, chi era lei per negargliela?
Rispondergli, però, era un altro paio di maniche.
«Grazie» disse alla fine in un soffio, incerta se fosse la risposta giusta da dare. «Non voglio che ti preoccupi per me. Sto bene. Per assurdo, venire qua al monastero è davvero la cosa migliore che potesse succedermi.»
Jasen le sorrise con aria stanca, forse istigato dallo scetticismo di Ivette. Scosse la testa e i capelli biondi gli ricaddero ai lati del viso, bagnandosi del sudore che gli imperlava la fronte. «Lo so che non mi credi e non ti biasimo, te l'ho detto. Così come so che arriverà il momento in cui lo farai e ti prometto che, per allora, io sarò pronto.»
Jasen serrò la mascella in un morso stretto che evidenziò la muscolatura del collo. Le spalle si tesero e anche le braccia seguirono quell'improvvisa rigidità rabbiosa che lo investì. Si sporse verso Ivette, allungandosi il necessario a toglierle la tazza di caffè, ancora mezza piena, dalle mani. Le loro dita si sfiorarono per un istante, un attimo necessario a far brillare gli occhi di Jasen e regalare una scossa piacevole a Ivy.
«Prendi la mia mano, Pixie. Da brava, così. Adesso, non ti lascerò mai più...»
Mai più. Ivette si ritrasse di scatto, bruciata da quel contatto improvviso. Un senso di nausea tornò a carezzarla e, complici tanto i discorsi di Jasen quanto il sogno ancora troppo vivo, venne scossa da un brivido leggero.
«Vuoi proteggermi, Jasen?» La domanda le provocò un sussulto seguito da un battito accelerato. «È davvero questo il motivo?»
Lui la guardò un attimo più del dovuto e poi, contro ogni aspettativa, scosse la testa. «No» confessò. «Voglio la mia vendetta. Voglio uccidere il Diavolo di Oslay a qualsiasi costo.»
«Okay» mormorò Ivy all'improvviso. «Lo farò.»
«Che cosa?»
«Andrò nella biblioteca della Madre Superiora.»
«No, Ivy, non voglio. Non ti sto dicendo queste cose per...»
«Non è vero. Ci speri ancora e saresti stupido a non farlo.»
«Non voglio metterti in pericolo.»
«Ho accesso alla biblioteca, non mi ficcherò in nessun guaio con la Madre Superiora.»
«Non parlavo di quello, lo sai.»
«Ti riferisci al Diavolo di Oslay, giusto?» chiese e Jasen annuì in silenzio. «Bé, allora mettiamola così: se davvero tutto quello che mi hai raccontato è reale, allora sono già in pericolo, visto che ho passato metà nottata tra le sue braccia.» Sorrise all'espressione improvvisamente sorpresa e al contempo furente di Jasen. «Indagare potrebbe essere utile anche per me, per proteggermi meglio, non credi?»
«Sì» biascicò la risposta con pochissima convinzione. «Potrebbe. Se davvero te la senti di fare questa cosa, dovrò scriverti i testi che mi servono. Devi muoverti con discrezione, però, o la Madre Superiora potrebbe insospettirsi.»
«Nessun problema. Hai una macchina fotografica, giusto? Potrei fare le foto delle pagine, così che tu possa analizzarle poi con calma.»
«Sì» confermò, ancora poco convinto.
«Che c'è? Lo faccio volentieri, sul serio. È un modo anche per capire meglio questa storia.»
E farlo felice. Quello, però, Ivy lo omise. Aveva visto in lui un'ombra del proprio dolore e l'idea di potergli dare un po' di pace la faceva stare bene, quasi come se stesse agendo in qualche maniera su se stessa.
«No, non è per quello. Ti ringrazio, anzi. E ne approfitto per avvisarti che, nel caso in cui le cose si mettano male, ti scaricherò alla svelta, per non metterti in pericolo.»
«E allora che problema hai?»
Jasen serrò ancora una volta la mascella in quel suo riflesso di rabbia ormai così riconoscibile. «Davvero hai passato tutta la notte tra le sue braccia?» ringhiò in un soffio avvicinandosi a lei come un falco sulla propria preda.
Un sorriso divertito si formò sulle labbra di Ivette e si sciolse nel rossore che le dipinse gli zigomi appena Jasen le fu abbastanza vicino, come un'ombra cupa decisa a incombere su lei. «Perché? Sei forse geloso?»
Jasen sogghignò. Inclinò appena la testa di lato e si passò la lingua sulle labbra in un moto famelico. «Non proprio» ammise, «vuoi sapere perché?»
Il cuore di Ivy sussultò. Il calore del respiro di Jasen le solleticò le labbra e le colmò le narici col profumo caldo del muschio nero. Provò il desiderio improvviso di conoscere il sapore della sua pelle, di imprimerlo nella memoria per quando sarebbe stato troppo tardi.
Perché sapeva, lo sentiva, che sarebbe stato troppo tardi.
«Sì» mormorò verso Jasen. «Dimmelo.»
«È vero, Ivette Marble» mormorò il suo nome donandole un nuovo brivido. «Sono fottutamente geloso.»
Jasen si avventò subito dopo sulle sue labbra con la stessa bramosia con cui le aveva sussurrato la propria rabbia. Dapprima il respiro dell'uomo si fuse col suo e, l'attimo dopo, le sue mani l'afferrarono alle spalle, immobilizzandola in una morsa piacevole. Chiuse gli occhi quando la lingua di Jasen s'introdusse nella sua bocca, alla ricerca di quel sapore che lei stessa aveva desiderato conoscere fino a pochi istanti prima. Venne attraversata da una scossa piacevole, elettrica come il desiderio che improvviso la invase quando le loro lingue si intrecciarono in una danza suadente.
Si aggrappò alle spalle di Jasen timorosa che, se non avesse fatto così, lui sarebbe fuggito da lei prima del tempo, prima di sapere chi davvero fosse.
Ma lui non parve essere intenzionato a perdere l'occasione. Spostò le mani dalle spalle di Ivette sino alle sue braccia, per poi andare ad afferrarla ai fianchi e risalire ai seni che afferrò senza troppa esitazione da sopra la maglietta che indossava. Si soffermò sui capezzoli improvvisamente inturgiditi e sogghignò sulle sue labbra, donandole dei respiri serrati e colmi di aspettativa. «Se non vuoi, dimmelo.»
Ma lei lo voleva, lo voleva più di ogni altra cosa. Perché solo così le voci si spegnevano, solo così tornavano a essere silenziose, almeno per un po'. «Non ti fermare» lo supplicò.
Jasen non se lo fece ripetere una volta di troppo. Abbandonò le sue labbra e si abbassò fino alla curvatura del collo, deciso a non trascurare neanche un centimetro di pelle.
«Pixie, piccola mia, vieni qua...»
Ivette serrò le labbra. Di solito, i ricordi venivano spazzati via dopo poco, così come le voci. Doveva solo aspettare, essere paziente, e concentrarsi sulle mani di Jasen, decise a spostarsi verso il bordo inferiore della maglietta per aggirare l'ostacolo della stoffa.
«Hai proprio un buon profumo, Pixie...»
Ivette boccheggiò. Serrò le palpebre, mentre la mano di Jasen le risaliva lungo il ventre, fino al seno nudo.
«Adoro il tuo profumo, lo sai?» le mormorò all'orecchio, prima di afferrarle il lobo tra i denti.
Ivy sussultò. «C-cosa?» Il cuore le accelerò nel petto e il respiro le si mozzò nel petto.
«Potrei diventare dipendente da questo profumo. Oh, la mia piccola Pixie, sei bellissima, lo sai?»
«Potrei diventarne dipendente.» La voce di Jasen si sovrappose di poco a quella spettrale dei ricordi, del dolore, dei demoni di Ivette. «Sei bellissima» sussurrò in un ultimo mormorio.
E per Ivy, fu troppo.
Allontanò Jasen di scatto, colta da un senso di nausea improvviso che la obbligò a scattare in piedi e correre via, in bagno, con gli occhi colmi di lacrime, sotto lo sguardo confuso dell'uomo.
Eccoci alla fine di questo lunghissimo capitolo!
Si delinea un po' di più la figura di Jasen e i suoi intenti, anche se il gran bel giovanotto sembrerebbe essere abbastanza invaghito di Ivy. Oppure la sta solo prendendo in giro?
Secondo voi?
Bé, spero che abbiate gradito questo capitolone perché... da adesso si entra nel vivo della storia! Siete pronti?
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