9 - La Quarta Stanza (Parte I)
Isola di Oslay.
Era stato molto più imbarazzante di quanto le piacesse ammettere. Inutile anche solo sottolineare che la tensione sessuale tra lei e Jasen se ne era andata via giù per il cesso, assieme al suo vomito.
Entrambi avevano convenuto, sapendo di mentire, che il caffè doveva averle giocato un brutto scherzo, magari anche per colpa del troppo caldo. Ivette aveva sorriso colpevole e annuito a tutte le rassicurazioni dell'uomo, ma quando le si era avvicinato di nuovo, aveva preferito allontanarlo. Alla fine se ne era andata in punta di piedi, con una lista infinita di eventi e titoli di libri racchiusi dentro un foglio stampato, e la consapevolezza che quella storia non sarebbe finita bene.
Quantomeno per la sua sanità mentale.
Aveva saltato il pranzo. Non perché fosse ancora disturbata, ma l'idea di rivedere Jasen così presto le aveva provocato un moto di insicurezza profondo, troppo simile a quella volta in cui aveva avuto un attacco di panico sulla porta di casa.
Così, si era diretta in biblioteca. Dopo essersi lavata di dosso la vergogna sotto una doccia gelida e solitaria, si era armata della macchina fotografica che l'uomo le aveva fornito e aveva iniziato a girare senza meta nella corte interna riservata al personale. Ogni tanto, una delle monache passava e le rivolgeva un saluto sorridente, seguito da uno scatto disinteressato di Ivette su un qualche dettaglio architettonico.
Non le ci era voluto molto per individuare la porzione di edificio che le interessava, posta a ridosso delle celle di clausura e perfettamente adiacente alle mura di confine che delineavano la parte ancora consacrata – nonché preclusa anche a lei – del monastero.
Era entrata in punta di piedi, suscitando un moto nervoso nella vecchia monaca addetta all'accoglienza, la quale si era affrettata a nascondere con aria colpevole un libro sotto a un vecchio tomo polveroso. Il ché l'aveva fatta sorridere. A quanto sembrava, il rigore e la santità erano facilmente corruttibili.
«Serve aiuto?» Le aveva chiesto con voce nervosa, di sicuro infastidita dalla sua presenza.
«No, continui pure le sue letture, non voglio disturbarla. La Madre Superiora ha detto che potevo darmi un'occhiata attorno.»
La donna strizzò gli occhi. Nonostante gli occhialetti tondi che indossava sulla punta del naso, sembrava fare degli sforzi enormi per metterla a fuoco. «Miss Marble?» domandò all'improvviso.
«Sì, sono io.»
«Benvenuta, bambina.» Le sorrise, sebbene quel nomignolo tanto affettuoso ebbe solo il brutto effetto di farla rabbrividire. «Fai come se fossi a casa tua, anche se temo che qua dentro troverai solo vecchi tomi estremamente noiosi.»
«Ah, non si preoccupi sorella.» Ivy ridacchiò. «Mi piace leggere e nel caso in cui mi dovessi annoiare, sono sicura che lei saprà trovare dei titoli, come dire, più interessanti.» Le strizzò l'occhio e l'anziana arrossì vistosamente prima di imitarla in una risata nervosa.
«Questo è meglio che la Madre Superiora non lo sappia.»
«Ah, non si preoccupi» rispose melliflua prima di passarsi la mano sulle labbra, «sarò muta come un pesce.»
La donna parve soddisfatta e con un cenno del capo recuperò il volume tascabile appena nascosto. Sulla copertina svettava la figura di un uomo vestito con solo un kilt, il torso nudo e i capelli al vento. La vecchia sospirò con trasporto prima di riaprire il volume al punto lasciato e riprendere con attenzione la lettura.
Una cosa era certa: non avrebbe più prestato attenzione a Ivette.
Le preoccupazioni di Jasen erano state alquanto riduttive rispetto alla realtà. Quando le aveva consegnato la lista contenente titoli ed eventi da ricercare, subito dopo la vomitata epocale e poco prima della fuga di Ivy, aveva palesato la propria preoccupazione riguardo al fatto che forse sarebbe stato difficile reperire il materiale, soprattutto per la quantità ingente di titoli che si diceva fossero custoditi nella biblioteca della Madre Superiora. Di sicuro, però, neanche Jasen si sarebbe aspettato un numero così alto di tomi.
La biblioteca era composta da quattro aree differenti. La prima, che costituiva l'ingresso, ospitava il banco su cui la vecchia monaca leggeva con fervore edizioni economiche di romanzi erotici e in cui teneva il registro dei volumi consultabili. I testi presenti erano per lo più tomi di edilizia e ristrutturazione, nonché versioni più o meno recenti della Bibbia e dei Vangeli. C'erano anche le biografie più attuali di esponenti della Chiesa Cattolica e varie edizioni riguardanti il Giubileo. La seconda stanza, invece, presentava già delle caratteristiche differenti: le finestre erano più scarse e gli scaffali più imponenti. La penombra rendeva la lettura più piacevole, motivo per cui la parte centrale era cosparsa di tavoli e panche per la consultazione. C'erano anche due computer – ancora a catodico – spenti da chissà quanti anni.
La terza stanza era quasi del tutto in ombra. Più che una biblioteca, sembrava un museo. Al centro si trovavano ancora quattro vecchi scrittoi su cui le monache dovevano avere copiato i libri nei secoli più antichi, conservando così il sapere passato. Anche gli scaffali presentavano testi datati, sebbene non si spingessero tanto addietro quanto Ivette sperava. C'era qualcosa sulla storia del Picco Nero, ma per lo più si trattava di opere di restauro e architettura, niente di grande rilievo. Non c'erano titoli che parlassero di leggende, di diavoli o di possessioni. Né in cui fosse menzionata la monaca di clausura uccisa, o la sorella che era stata abbindolata dal demonio. C'era solo il silenzio, il gelo umido delle pareti di pietra e la polvere che danzava nei radi fasci di luce emessi dai faretti al neon appesi sul soffitto.
Poi, c'era la quarta stanza. Chiusa da un cancello di ferro battuto e sigillata da un grosso lucchetto, si estendeva in lunghezza in direzione della parte interna del monastero, verso i dormitori delle sorelle. Un lungo corridoio di pietra scuro la separava dalle scaffalature di legno antico. Poteva sentire il profumo della carta e quello delle librerie bagnate dall'umidità inclemente.
«Oh!» Si lasciò sfuggire un gridolino e l'eco che le rispose le rivelò che la stanza doveva essere ampia, molto più delle precedenti che aveva visitato.
Sospirò. Se davvero doveva mettersi a spulciare tutti i tomi presenti, non le sarebbe bastata un'intera vita e allora non avrebbe fornito alcun tipo di aiuto a Jasen. L'unica cosa che poteva fare era tornare indietro, alla prima stanza, dalla vecchia monaca intenta a sognare di trovarsi tra le braccia scolpite del bello scozzese che sorrideva sulla copertina rovinata del suo libro.
«Chiedo scusa.» La colse di sorpresa, causandole il secondo sussulto della giornata. «Mi dispiace, non volevo spaventarla.»
La donna si portò la mano al petto e sospirò, combattuta tra l'istinto di nascondere il libro e la consapevolezza che fosse del tutto inutile. «Dimmi, cara. Hai bisogno di qualcosa?»
«A dire il vero, sì. Sa, ognuno di noi ha le proprie letture, come dire... personali?» Le sorrise, sollevando un sopracciglio prima di indicarle il libro su cui la donna continuava a esitare. «Mi capisce, vero?»
La monaca si concesse una smorfia colpevole, comprimendo le labbra sottili fino a una linea quasi invisibile. Tremò per un attimo, risentita della minaccia velata di Ivette, e annuì. «Sei una ragazza sveglia. Dimmi che cosa stai cercando.»
«Ho sentito parlare di una storia che accadde qua diversi secoli fa. Qualcosa che aveva a che fare con il Diavolo e la corruzione di una monaca e anche di un omicidio.»
La vecchia prima impallidì e poi, di punto in bianco le sue guance tornarono a colorarsi, donandole il riflesso di un sorriso falso. «Quella pessima leggenda? Sono solo credenze popolari, bambina. Un tempo tutti quanti erano molto più inclini alla fantasia. Non c'era nessun diavolo, solo un criminale.»
Ivette annuì. «A me interessa leggere la storia, non conoscere la sua opinione in merito.»
«Mi dispiace» sibilò la donna, «ma si tratta di tomi antichi. Sono consultabili solo sotto permesso scritto della Madre Superiora, perché rischierebbero di deteriorarsi.»
«Davvero? Che peccato» mugolò Ivette, «vorrà dire che riferirò alla Madre Superiora che ho trovato solo libri interessanti su quanto bene scopano gli scozzesi.»
Le guance della monaca tornarono ad avvampare. Solo che, anziché mostrare vergogna, si illuminarono di rabbia, la stessa che le incendiò lo sguardo. «Non mi fai paura, ragazzina. Sono abbastanza vecchia da assumermi le mie responsabilità e fare penitenza per i miei peccati e poi, anche volendo, non posso aprire il cancello della quarta stanza. Solo la Madre Superiora possiede le chiavi. Quindi, sei pregata di tediare qualcun altro con le tue congetture e le tue minacce.» La rimbeccò, furente. «Che Dio possa lenire la tua crudeltà e donarti un po' di pace. Sono sicura che troverà il modo di perdonarti ogni peccato, durante il tuo soggiorno.»
«Davvero?» Ivette strinse la macchina fotografica tra le dita. Fissò la vecchia e arretrò di un passo accompagnata da un ghigno crudele. «Sarebbe alquanto comodo da parte sua presentarsi per perdonare i miei peccati, senza prima fare ammenda dei suoi.»
Non rimase a guardare l'aria scandalizzata della monaca. Ne aveva abbastanza dell'ipocrisia della falsa rettitudine di cui chiunque sembrava fare sfoggio. Erano tutti peccatori, lei inclusa. Tutti quanti maledetti sin dal primo vagito. E di questo ormai ne era convinta da troppi anni.
(Continua...)
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