7 - Il Podcast (Parte I)
Isola di Oslay
Non era davvero caldo sull'Isola di Oslay, nonostante ormai fosse luglio inoltrato. Grazie alla posizione rialzata del monastero e alle correnti continue, il Picco Nero era forse il punto più piacevole dell'Isola, nonché una fonte di sollievo per Ivy.
"Non puoi uscire dal monastero, Pixie, ricordatelo. Disposizioni del giudice."
George era stato chiaro in merito, come se lei non fosse stata presente al momento della sentenza.
«Ah, eccoti. Ti cercavo in refettorio.»
Jasen si avvicinò armato di un sorriso mesto e un paio di occhiali da sole con lente a specchio. Riusciva sempre ad attirare lo sguardo di qualcuno, incluse le novizie intente a camminare a passo spedito lungo l'arcata centrale a ridosso del chiostro esterno alla cattedrale.
«Ho pensato che fosse troppo una buona giornata per stare al chiuso.»
E poi, fuori, all'esterno, col sole, i ricordi tendevano sempre ad assopirsi. Ma questo era un dettaglio che a Jasen non doveva interessare.
«Certo.» Jasen la studiò da dietro le lenti specchiate. Dopo di che, le si avvicinò con calma, deciso a sedere di fianco a lei sul muretto che delineava la vegetazione curata del chiostro. «Dentro o fuori, ti devo comunque delle scuse.»
«Va bene così, Jasen. L'hai già fatto ieri sera» tagliò corto Ivy.
«No, non come dovrei.»
«Che cosa cambierebbe? Intendo nello scusarti a dovere» mormorò mentre spostava lo sguardo alle api che ronzavano allegre sui fiori. Guardarlo in faccia la infastidiva. Non riusciva a vedergli gli occhi, né a dedurre le sue emozioni. «Hai detto di avere indagato su di me, giusto?»
«Esatto.»
«Quindi sai che alla fine, qualsiasi cosa accada, tu andrai via mentre io sarò costretta a rimanere. Di che te ne fai della mia amicizia, o del mio perdono?»
Jasen le sorrise, lo vide con la coda dell'occhio mentre continuava a sforzarsi di guardare altrove e fingersi disinteressata. «Non rimarrai qua per sempre» le sussurrò in un sibilo roco.
«Oh, per favore!» Ivy scoppiò a ridere e, quasi di scatto, tornò a fissarlo in viso riflettendosi nelle lenti degli occhiali da aviatore di Jasen. «Davvero?» gli chiese. «Non ti facevo un romantico» sghignazzò di nuovo. «Credi sul serio che possiamo legare così tanto da spingermi a cercarti, o permettere a te di farlo, una volta scontata la mia pena? Dai, Jasen, sii realistico, ti prego. Ho detto che ti trovavo attraente e che non mi farebbe schifo una scopata, un po' anche per il gusto del blasfemo, lo ammetto, ma questo non significa che ti stia facendo una dichiarazione d'amore.»
Jasen rimase calmo. Solo le labbra gli si tesero in un sorriso leggero, a mala pena accennato. «L'amore non è l'unico legante, Ivy» spiegò con calma. «Non so quale tipo di sentimento mi offrirai ma so che lo voglio, che ne ho bisogno. Che sia sesso, una maledizione, un dolore comune, o quello che cazzo ti pare... so che non devo lasciarti andare.»
Ivy sussultò. Non fu la banalità di quelle parole a conquistarla, quanto quel brivido che le scorse sulla pelle con una forza tale da farle drizzare i peli delle braccia. Qualsiasi fosse il pensiero di Jasen, sapeva che aveva ragione.
«Quindi, cosa vuoi fare?» gli chiese in un soffio, sperando che la voce non le tremasse più del dovuto.
«Oltre chiederti scusa?» Le domandò con un rinnovato sorriso. «Bé, potrei finire di raccontarti la storia del Diavolo di Oslay, o magari ammazzare il tempo in qualsiasi maniera prima di chiederti spudoratamente se ti va di seguirmi in camera e scopare con me.»
«Sono tutte idee allettanti, Signor Jasen» lo canzonò, sporgendosi appena in avanti verso di lui. Sapeva di avere gli occhi dei turisti e quelli delle monache addosso e questo la lusingava ancora di più. «Ma opterei per le storie di giorno e la compagnia di notte, se non ti spiace. Ieri sera avrei davvero avuto bisogno di due braccia forti che mi stringessero.»
«Per quale motivo?»
«Credo tu mi abbia influenzata tantissimo con la favola del Diavolo di Oslay.»
«Mi dispiace» ribatté accigliato nonostante il sorriso che continuava a increspargli le labbra. «Fatto brutti sogni?»
«Esatto.»
«C'ero io che continuavo a chiacchierare senza sosta?» ridacchiò Jasen.
Ma il sorriso non tornò sulle labbra di Ivy e il ricordo del richiamo tornò a pizzicarle la schiena, convincendola a sbirciarsi alle spalle per controllare che niente fosse cambiato. Quando guardò di nuovo Jasen, il sorriso era scomparso dalle labbra dell'uomo.
«Ho sognato il Diavolo di Oslay» confessò prima di percepire il tepore del rossore salito a colorarle le guance.
«Mi dispiace, deve essere stato un incubo pessimo.»
«A dire il vero... no.» Ne prese coscienza nel momento stesso in cui lo ammise ad alta voce. Corrugò la fronte e si perse con lo sguardo nel vuoto, rievocando nella mente il ricordo di ciò che era accaduto poche ore prima. «Mi ha salvata, credo.»
«Salvata?» L'incredulità dell'uomo contrastò col sorriso nervoso che gli tese le labbra. «E da cosa?»
«Da un incubo» ammise Ivy. «Oh, lo so, è un discorso stupido! Avanti, perché non mi racconti qualcosa di più e mi spieghi che cosa cerchi nella biblioteca della Madre Superiora?»
«No, racconta, sono curioso.»
«Niente di che, Jasen. Era un cazzo di sogno, okay?» La sensazione di disagio crebbe, richiedendole una volta in più di guardarsi alle spalle con urgenza.
«Hai ancora paura, vero?»
«I-io?» domandò, titubante. Respirare divenne più difficile, come dopo una corsa folle, e quando poggiò la mano contro al petto per cercare di darsi un contegno, percepì il martellio ossessivo del cuore contro i polpastrelli. «Va tutto bene. Devo solo abituarmi a questa cosa di essere qua rinchiusa, okay?»
«Certo» mormorò Jasen e prima che Ivy potesse replicare, si chinò di scatto su di lei.
L'avvolse in una stretta improvvisa, serrandola tra le braccia scolpite dalla muscolatura allenata. L'avvicinò al proprio petto e ignorò la riluttanza iniziale che si spense veloce come era nata, appena Ivy poggiò la testa all'altezza del suo cuore. Solo quando fu immobile contro di lui, al sicuro tra le sue braccia, le carezzò i capelli, liberandole il profilo. «Non ti succederà niente, Ivette. È una promessa. Andrà tutto bene.»
Erano delle grandissime stronzate, di quelle che Ivy aveva sentito almeno un migliaio di volte nella propria vita. Eppure, quando fu Jasen a sussurrargliele, volle credergli.
«Scusami...»
Si sentiva a disagio. Chissà cosa stava pensando in quel momento di lei. Di sicuro la considerava una bambina frignona e facilmente influenzabile, una delle centinaia di ragazzine che dovevano attraversargli la strada e con cui non doveva durare fatica per convincerle a finire sotto le lenzuola a fare quattro salti.
«Che è successo col Diavolo di Oslay? Hai detto che ti ha salvato dagli incubi.»
«Da uno» puntualizzò Ivy. «Esatto. Mi ha protetta.» L'aveva fatto stringendola proprio come Jasen stava facendo con lei, ma Ivette ebbe la decenza di tralasciare almeno quel dettaglio. «Poi mi ha chiesto come mi chiamavo e mi ha detto che...»
Le parole le morirono in gola. Jasen l'allontanò di scatto da sé, trattenendola con forza per le spalle, quasi temesse che potesse sfuggirgli via assieme a uno sbuffo di vento.
«Ti ha chiesto il nome?»
«S-sì. Perché?»
Era incredula. Il sogno era stato terribile e le si era attaccato addosso con una forza ineguagliabile, okay, ma pur sempre di un sogno si trattava. Jasen, invece, sembrava essere deciso a farne una questione di stato.
«E tu gliel'hai detto?» le chiese senza fiato.
Lo aveva fatto? Non lo ricordava. Era sicura di essere stata spaventata e di essersi svegliata di soprassalto ma se avesse detto il proprio nome o meno al demonio che l'aveva salvata, proprio non ne era sicura.
«Non saprei» ammise con una strizzata di spalle. «Perché?»
Jasen la lasciò andare. Il sorriso era ormai scomparso dalle sue labbra e un pallore terreo aveva guadagnato le guance abbronzate dell'uomo.
«Andiamo in camera mia, devo farti vedere alcune cose.»
«La tua collezione di farfalle?» sogghignò Ivy.
Ma Jasen non sembrò essere dell'umore adatto a cogliere la battuta. «No. Sono documenti.»
«Non vedo l'ora» esclamò priva di enfasi.
Jasen le rivolse un sorriso fugace e si alzò in piedi. Le tese la mano, in attesa che lei l'afferrasse. «Hai detto che vuoi parlare di giorno perché hai bisogno di qualcuno che ti stringa la notte, no?» Afferrò la stanghetta degli occhiali, così da tirarli su e liberare finalmente lo sguardo. Due pozzi azzurri come il cielo. «E io ho bisogno che tu sappia alcune cose prima di decidere se sia ancora il caso, o meno, di accettare la caramella che voglio offrirti.» Le strizzò l'occhio e la tirò verso di sé, così da farle perdere l'equilibrio per portarsela ancora una volta contro al petto. La strinse appena gli cadde addosso e si abbassò su di lei con fare vorace, simile a un falco che si avventa sulla preda. «Alla fine, potresti essere tu a cambiare idea su di me. Ma ricorda: neanche questo mi impedirà di esserci per te. Almeno fino alla fine di questa storia.»
Le sorrise e il cuore di Ivy saltò un battito. Si perse nel chiarore delle sue iridi, invasa dalla sensazione di essere in procinto di annegare in quelle acque cristalline.
"Occhi chiari, cuore bugiardo..." Le tornò a mente quel vecchio detto che non ricordava neanche di avere mai sentito. Eppure, in quel momento, le parve che avesse assolutamente senso.
(Continua...)
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