5 Il Diavolo di Oslay (Parte I)
Isola di Oslay.
Il chiacchiericcio che rimbombava senza sosta tra le pareti del refettorio, le dette un laconico senso di nostalgia. Per quanto avesse da sempre smaniato per un po' di solitudine, doveva arrendersi al fatto che la vita l'avesse assuefatta al caos.
"Avanti, Ivette, fai ciao con la manina, da brava. Non piangere, torneremo a trovarli tutti quanti. Ecco, così. Ma quanto sei carina, sembri una piccola fatina! Ma già lo sai, vero? Ti chiamano Pixie, dopo tutto, no? Andiamo adesso, ti prometto che avrai una vita migliore..."
La punta del coltello le scivolò di mano e grattò la porcellana del piatto con uno stridio tanto fastidioso da costringerla a serrare la mascella. Scosse la testa e si liberò dei ricordi intrusivi, decisa a concentrarsi sulla fetta di polpettone che la osservava solitaria al centro del piatto.
«Deve averti fatto davvero qualcosa di male, per spingerti a guardarlo così.»
Ivy si irrigidì quando il suono di una voce calda e roca s'intromise tra lei e la decisione amletica che la vedeva in bilico tra il finire la cena ed evitare possibili discussioni sullo spreco del cibo, o alzarsi e andarsene in punta di piedi per evitare problemi.
«Posso sedermi, o è occupato?»
«No, no, certo che...» Alzò di scatto il viso e le parole le morirono in gola nel vedere un sorriso ammiccante sormontato da due occhi chiari come il ghiaccio che la fissavano. «Puoi sederti» concluse in un soffio prima di schiarirsi la voce nel tentativo tardivo di darsi un contegno. «Tu sei quello che oggi ha fatto vedere i sorci verdi alla Madre Superiora, giusto?» Lo sguardo di lui brillò e il basso ventre di Ivy rispose stringendosi in una morsa languida che le fece desiderare di approfittare della vacanza tipo, e degli ultimi giorni liberi di lei, per studiare un po' di anatomia applicata. «J-Jason?»
«Jasen» la corresse prima di accomodarsi al suo fianco armato di un piatto ricolmo del polpettone che stava mettendo Ivy a dura prova. «E sì, sono io.»
«Senza gli occhiali da sole e la schiera di fan al seguito mi ci è voluto un po' a riconoscerti» lo canzonò Ivy. «Adesso sono curiosa, però. Hai avuto il tuo colloquio con la Madre?»
Jasen sogghignò e due piccole fossette si formarono sotto gli zigomi, dandogli un'aria più da comune mortale rispetto alla perfezione greca che trasudava da sotto la maglietta scura.
Era bello e sapeva di esserlo. Lo si capiva da come si atteggiava, da come sorrideva e addirittura da come vestiva. Forse per qualcuno poteva essere fonte di attrazione mentre, per Ivy, costituiva un difetto non da poco.
«Che dici, posso sapere prima il tuo nome?»
Ivy arrossì. Per un attimo si sentì stupidamente in imbarazzo e le ci volle una bella stretta di spalle per togliersi di dosso tanto quella sensazione, quanto lo sguardo insistente di Jasen. «Ivette, ma tutti mi chiamano...» "Pixie, la mia bella fatina. Sei così brava..." «Ivy» concluse senza respiro, obbligandosi a un sorriso di circostanza. «Cos'è quella storia del demone al Picco Nero?» cambiò discorso e si concentrò sul piatto, rifiutandosi di ascoltare il gorgoglio di protesta dello stomaco. «Non ne avevo mai sentito parlare.»
Jasen la studiò ancora qualche attimo prima di tornare a sorriderle con la stessa aria strafottente con cui si era presentato durante il giro pomeridiano alla Madre Superiora. «Piacere di conoscerti, Ivy»
Le piacque il suono che prendeva il suo nome sulle labbra di Jasen, aveva un sapore esotico in un certo senso. Anche lui, proprio come lei, doveva avere radici lontane. «Quindi?» insistette.
«Ti interessa davvero o è un modo gentile per intrattenere conversazione?» Jasen la studiò senza davvero interessarsi della risposta. Al rossore impacciato di Ivy, riprese a parlare. «Okay, vedrò di essere breve, ma incisivo.» Le strizzò l'occhio e a lei scappò un sorriso divertito per la malizia scontata di Jasen. «Durante una notte di inverno di sei secoli fa» riprese subito dopo, «Suor Maria Dolores camminava sotto le volte del chiostro interno quando arrivò quello che, il giorno seguente, avrebbe descritto come il Diavolo. Disse che era giunto di notte e che aveva provato a sedurla ma, sebbene fosse riuscita a non cedere alle sue lusinghe, il demonio era riuscito a strapparle con l'inganno l'ubicazione delle celle di clausura.»
Un brivido discese lungo la spina dorsale di Ivette. Serrò le labbra e lo stomaco si rifiutò definitivamente di accogliere altro cibo. Poggiò la forchetta nel piatto e mentre Jasen ne approfittava per dare qualche morso alla sua cena, intervenne.
«Le celle di clausura?»
«Già» rispose prima di buttare giù l'ennesimo boccone con un sorso di acqua fresca. «Sebbene Suor Maria Dolores fuggì, sappiamo cosa accadde grazie alle annotazioni e alle lettere della Madre Superiora dell'epoca.»
«Intendi nella cella di clausura, giusto?» domandò con un filo di voce e la spiacevole sensazione di avere le spalle scoperte e vulnerabili.
«Esatto. In parole povere, la monaca venne uccisa brutalmente e l'assassino non venne mai trovato. Le leggende narrano che la corruppe per rubarle l'anima. Cose così, storie che si sentono un po' ovunque, no?»
«Com'è che a un tratto sei diventato così sbrigativo, Jasen?» Ivy accennò un sorrisetto divertito, decisa a non mollare la presa. «Eri un po' troppo entusiasta per un killer mordi e fuggi.»
Lui scoppiò a ridere. Qualcuna delle sue fan, dai tavoli adiacenti, si girò a lanciare delle occhiate di invidia in direzione di Ivy. Chissà quanto avrebbero pagato quelle signore con i capelli acconciati e gli abiti costosi per avere almeno una ventina d'anni in meno e godersi una sana cavalcata sul biondo dalla pelle abbronzata.
«Sei una ragazzina, e comunque non sono argomenti adatti di cui parlare a cena.»
Ivette sollevò un sopracciglio, incuriosita. «Sarò anche una ragazzina, ma hai comunque scelto di sederti qua con me.» Si strinse nelle spalle e si piegò verso di lui, sul tavolo, così da abbassare la voce in un sussurro grattato. «E non credo proprio che tu l'abbia fatto perché era l'unico tavolo disponibile. Hai visto che ero sola e anche tu lo sei, cosa strana oltretutto, lasciatelo dire, così hai deciso che potevo essere scopabile e ti sei seduto con me. Dunque, spiegami cos'è che mi rende abbastanza adulta da essere fottuta ma non da sentire come è finita una storia di quattrocento anni fa?»
Si passò la lingua sulle labbra, più crudele che non maliziosa, e fece per tornare al proprio posto quando la mano di Jasen l'afferrò al polso, trattenendola. Lo guardò per un attimo con astio ma poco dopo venne tradita da una scarica densa di aspettativa che le dilatò le pupille e la inondò di pensieri ben poco adatti al luogo sacro in cui si trovavano.
«Sei una bella ragazza, Ivy, ma non sono il tipo che arriva e si scopa la prima che passa» le mormorò, «soprattutto se ha quello sguardo.» Serrò le labbra e passò la stretta dal polso di Ivy alla sua mano. «Sono uno di quelli a cui piace prima fottere con la testa e poi con l'uccello. Capisci?»
«A grandi linee. Perché sei qua da solo? E cosa è successo in quella cella che non vuoi dirmi?»
«Sono da solo perché non avevo altri da portare con me» rispose con semplicità prima di lasciarle andare la mano. «La monaca venne trovata il mattino dopo, con la bocca piena di sperma e la giugulare squarciata dal foro di un pugnale. Aveva gli occhi bianchi e le guance segnate da lacrime di sangue. Il suo corpo era come attraversato per intero da un sottile dedalo di piccole crepe scure, come se fosse sull'orlo di sbriciolarsi. Cosa che, inutile a dirsi, non accadde» spiegò con riluttanza. «In quanto al perché non volessi dirtelo... il fatto è chiaro. So chi sei, Ivette Marble, ho fatto le mie ricerche. E soprattutto, so che cella occupi.»
«Hai detto di avere fatto delle ricerche su di me?» L'aria pungente della sera le pizzicò la pelle degli zigomi e il vento, carico di salmastro, le fece aderire la t-shirt chiara contro al corpo, rilasciandole in cambio una spiacevole sensazione di appiccicume. «Per quale motivo?»
«Non sembri spaventata come dovresti» constatò Jasen con un'occhiata curiosa. «È strano.»
Ivy si strinse nelle spalle. Onestamente non lo era, non poteva dargli torto e per quanto provasse a cercare una scusa credibile da rifilargli, la verità era che neanche lei riusciva a spiegarsene il motivo. Semplicemente Jasen non le sembrava un tipo pericoloso.
«Non hai gli occhi cattivi» azzardò. «Sei più...»
«Simile a te?» chiese lui con un moto di timidezza che ben poco gli si addiceva.
Ivy sussultò. Si fermò a ridosso del parapetto che affacciava sulla scogliera e i capelli le danzarono nel vento, simili a lingue di fuoco. «Sì» concluse in un soffio prima di volgere lo sguardo dentro l'oscurità della notte, oltre la quale si trovava un mare nero che non riusciva a scorgere da quell'altezza.
«Gestisco un podcast» spiegò dal niente lui e le si avvicinò. La studiò e il peso del suo sguardo premette contro la nuca di Ivy. «Mi occupo per lo più di casi paranormali, tutti quanti identici» mormorò, recuperando l'attenzione della ragazza a cui si affiancò. Si aggrappò alla balaustra e, come lei, volse l'attenzione all'oscurità di una notte priva di luna. «All'inizio non ero nessuno. Mi seguivano per lo più pochi esaltati e tantissime persone scettiche che non vedevano l'ora di prendersi gioco di me.»
«Mi dispiace.» Fu sincera nel dirlo.
Jasen, però, scosse la testa. «Sapevo che sarebbe successo, è uno dei rischi calcolati del mestiere. Non mi aspettavo però quello che accadde dopo» aggiunse assieme a un sorriso. «Fu il famoso colpo di fortuna, presente?»
No, non lo aveva presente, ma comunque Ivy annuì. Con lei la sorte non era stata proprio magnanima ma questo non significava che fosse incapace di gioire per i successi altrui e l'entusiasmo di Jasen, così come la facilità con cui le rivolgeva parola, era un qualcosa che le scaldava il cuore a dispetto dei brividi di freddo che le scorrevano sulla pelle.
«Un giorno, un uomo molto ricco mi contattò dicendo che aveva delle informazioni per me, che era stato a contatto con un caso simile a quello che trattavo nell'area in cui risiedeva. Quando mi comunicò che voleva finanziarmi il viaggio perché potessi continuare le mie ricerche sul campo, stentai a crederci.» La guardò ancora una volta e non tornò più a fissare il mare. «Accettai. Dopo tutto, non avevo nulla da perdere e lui era disposto a pagare la quota in anticipo. Da lì fu un susseguirsi di informazioni, casi e coincidenze che portarono il mio podcast sulla cresta dell'onda e, alla fine, grazie alle donazioni dei miei ascoltatori, sono riuscito ad arrivare alla fonte di tutto: il Picco Nero.»
Sebbene la temperatura non fosse così rigida, Ivy venne stretta in una morsa di gelo che le fece battere i denti e le lasciò addosso un tremito leggero. Forse si trattava solo di un sovraccarico di emozioni, o magari era solo la sua testa che la supplicava di fermarsi a razionalizzare ciò che le era successo.
«E la Madre Superiora? Perché hai voluto incontrarla? E perché fare ricerche su di me? Che... che cosa sai?»
«La Madre Superiora ha accesso alla biblioteca del convento, luogo in cui i turisti non possono entrare. Tu sei stata solo una sorta di imprevisto dovuto al fatto che occupi...» Si interruppe e aggrottò d'improvviso le sopracciglia. «Ehi, stai tremando. Dovremmo rientrare prima che...»
«No!» Ivy scosse la testa di scatto, forse con troppa enfasi. Tornare a quella cella significava mettere fine a un altro giorno e affondare nella solitudine dei pensieri. Al diavolo le storie sui demoni, nessun inferno poteva essere peggio della sua vita. «No» ripeté con più calma, «sto bene.»
«Non si direbbe» ammise lui in un borbottio basso prima di abbandonare il parapetto e, senza preavviso, si portò oltre le sue spalle, così da cingerla in un abbraccio caldo e inatteso. «Così va meglio?» le mormorò contro l'orecchio, in un soffio che le si intrufolò tra i capelli e rievocò quella nuvola di farfalle che le stazionava nello stomaco.
«S-sì, grazie» balbettò e Jasen ridacchiò donandole un nuovo brivido sul collo.
Qualcuno dietro di loro mormorò. Uno dei tanti turisti di passaggio, forse una delle fan di Jasen che invidiavano la loro giovinezza, o magari una suora indispettita. Poco importava. In quel momento, c'era solo il calore delle sue braccia e l'aspettativa di iniziare i preliminari mentali di cui lui le aveva parlato.
«Ivette Marble» tornò a mormorare e la cullò per un attimo, facendola dondolare tra le sue braccia assieme al vento. «Cosa so su di te? Poco e niente. I fogli del tribunale non sono accessibili a chiunque.»
«Potresti stringere tra le braccia una pazza criminale, per quanto ne sai» lo punzecchiò. Sentiva il bisogno di farsi odiare, di allontanarlo per ogni passo che aveva compiuto per avvicinarsi.
«Dici?» ridacchiò, per niente impaurito dalle parole di Ivy. «In quel caso, significa che ho un debole per le cattive ragazze» bisbigliò.
"Sei una cattiva bambina, Pixie! E le cattive bambine finiscono all'inferno, sai? Tu non vuoi fare quella fine, vero? Certo che no, certo che no. Adesso non piangere, puoi ancora farti perdonare. Da brava, vieni qua e fai il tuo dovere. Così, esatto. Oh, Pixie, la mia piccola fatina..."
Un senso improvviso di nausea l'assalì e per un attimo le parve che le mancasse l'aria. Aprì la bocca per inspirare a fondo la brezza della notte e quando esalò un sospiro profondo, fu costretta a ripetere da capo l'operazione per convincersi di trovarsi ancora lì, al Picco Nero, nell'abbraccio irrigidito di Jasen che di lì a poco si sciolse.
«Scusa, sono andato troppo oltre» si giustificò senza mostrare davvero rancore. «Va tutto bene?»
«Sì» annuì. «Scusa. È che... sono molto stanca» concluse in un soffio.
«Rientriamo? Finiremo domani la nostra chiacchierata. Sempre se ti va» si affrettò ad aggiungere. «E sempre che tu possa. Rimarrò qua per diverso tempo, tanto.»
«Quanto?»
«Il necessario a convincere la Madre Superiora a darmi accesso alla biblioteca» ridacchiò lui con calma. «Oppure di convincere te» aggiunse strizzandole l'occhio.
«Ah, adesso è tutto chiaro.» Il calore tornò a invaderla, deciso a risalire dritto alle guance in un rossore improvviso che tradì agli occhi di Jasen ciò che stava provando. «Qual era il piano? Abbindolare la ragazzina dal passato difficile con i tuoi begli occhi azzurri e qualche moina?» sibilò, improvvisamente velenosa. «Ma certo che sì. Sei bello, intelligente e sexy. Per quale motivo avrei dovuto mandarti a fanculo dal momento in cui ti avevo chiaramente detto a tavola che volevo scopare con te? È stato fin troppo facile, vero? Peccato mancasse la luna, altrimenti lo scenario sarebbe stato perfetto. Come saresti andato avanti? Mi avresti baciato e basta, o magari mi avresti "scopata con la testa" per non sporcarti il cazzo con una come me?» Lo spinse via, anche se forse sarebbe stato più corretto dire che si fece male al polso nel tentativo di farlo. «Vedi di convincere la Madre Superiora, Jasen. E sai cosa? Dillo pure sul tuo podcast che la pazza sclerotica ti ha mandato a cagare. Chissà, forse è l'influenza del demonio che aleggia nelle Celle di Clausura.» Sghignazzò, divertita all'idea. «Buona notte» concluse alla fine, decisa a chiudere così il proprio monologo, con un'alzata di capo stizzita e una ritirata strategica.
E se ne sarebbe andata anche con quell'aria da prima donna e un'uscita di scena epica, se la mano di Jasen non le avesse afferrato all'improvviso il polso per bloccarla. Non fu una stretta decisa, bensì un invito gentile ad aspettare.
«Ehi, aspetta. Mi dispiace io...» All'occhiata velenosa di Ivy, Jasen si adombrò. Serrò le labbra e annuì con fare laconico. «Okay, lo ammetto, contenta? Speravo che bastasse qualche moina a convincerti a darmi una mano. Sei una ragazzina in confronto a me e...»
«E per questo pensavi di potermi abbindolare?»
«Sì» ammise. «Ma non sai tutta la storia, Ivy. È davvero importante per me.»
«Certo, hai il podcast» lo canzonò sarcastica. «Sai quanti ascoltatori potresti deludere?»
«Non è per quello.» Gli sfuggì un sorriso divertito e Ivy si sentì avvampare le guance. «Ma sono stato uno stronzo, lo ammetto. Facciamo così: dammi un'altra possibilità, solo per chiarirmi. Giuro che non ti chiederò niente in cambio, tantomeno una sbirciata in biblioteca.»
Ivy lo guardò di sottecchi, riluttante a cedere. Eppure, c'era qualcosa nello sguardo di Jasen che le provocava un moto di urgenza, come se sentisse il bisogno di abbracciarlo e consolarlo. Erano i suoi occhi, freddi e gelidi come la neve ma colmi di tormento e dolore.
«Va bene. A domani mattina.»
Jasen sorrise. Le lasciò andare il polso assieme a una carezza che donò a Ivy l'ennesimo brivido della nottata. La guardò allontanarsi, cupa come la notte che li avvolgeva e mentre lei si stringeva nelle spalle donandosi un abbraccio solitario, la richiamò.
«Ivy, aspetta!»
Fu un ordine inatteso che la bloccò sul posto, costringendola a girarsi un'ultima volta, pur dandogli ancora le spalle. «Che c'è?»
«Davvero vuoi scoparmi?» le domandò con un sorriso vorace a increspargli le labbra.
Ivy scoppiò a ridere e sollevò gli occhi al cielo scuro. Scosse la testa e in un borbottio mesto aggiunse un semplice e secco. «Buonanotte, Jasen.»
[Continua...]
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