Cuore di latta

Groviglio di fili e petto di latta, non ha un cuore ma ama come se ce lo avesse.

Ricordo ancora la prima volta che la vidi.

Era una bambina lei, gioiosa e birichina. Correva tra i fiori colorati dell' immenso cortile presente nella stravagante casa in cui abitava. Isolata e dall' inquietante imponenza si ergeva desolata insieme a una più piccola, nascosta dagli arbusti del bosco circondante. Era in quella piccola casa che abitavo io, insieme a mio padre.

E ogni mattina, di ogni giorno, allo stesso identico orario, io spostavo la tendina grigia della camera più alta della casa e lei era lì, comodamente seduta sull'altalena di una vecchia quercia.

La osservavo mentre si dondolava ed ero molto curioso di comprendere la curva che andava a formarsi sulle sue labbra ogni volta che con i piedi si dava la spinta per volare più in alto.

Ascoltavo quel rumore e non aveva nulla a che fare con quelli a cui ero abituato, non possedeva nulla di meccanico o di rauco come quello che produceva papà.

Era strana, a volte parlava da sola, e lo so perché intorno a lei non vi era mai nessuno. Io non parlavo mai da solo però oltre al babbo nessuno era a conoscenza della mia esistenza. lo e quella bambina ci somigliavamo molto.

Ricordo ancora la prima volta che mi vide.

Inaspettatamente di quel momento rammento l'istante nel quale incontrai i suoi occhi e ci vidi dentro tutto quello che mancava nei miei. Ma il peggio giunse quando la sentii gridare spaventata e scappare via, lasciandomi da solo.

In quel momento mi sembrava come se papà mi avesse sottoposto ancora una volta a una di quelle visite di routine che odiavo profondamente. Perdevo il controllo su me stesso e spariva ogni cosa: pensieri, parole, rumori. E poi quando concludeva ritornava tutto come prima, la differenza questa volta è che non sapevo quando avrei potuto smettere di sentirmi così strano, così vuoto come sembravo.

Il tempo però non si fermò mai, gli anni passavano e io ero sempre lo stesso, mentre lei cresceva giorno dopo giorno e al contempo non smetteva mai di essere la stessa.

Il meraviglioso e sconosciuto suono era sempre lo stesso e lei era ugualmente la stessa bellissima bambina che osservavo anno dopo anno.

Questo finché le cose non cambiarono.

Un giorno come gli altri l'altalena rimase immobile, vuota. E fu lo stesso per il giorno seguente e quello dopo ancora. Lei non c'era più, era diventata una donna ormai, stava vivendo la vita che le era stata donata e lo stava facendo a pieno, nel modo che io non avrei mai potuto concepire.

E l'aspettai, perché ogni singola mattina, di ogni singolo giorno, alla stessa identica ora, spostavo la tendina e anche se non c'era la immaginavo lì, che sorrideva come era solita fare.

Non smisi mai.

Tutto intorno a me mutava inevitabilmente, eppure il mio rimaneva sempre lo stesso riflesso sbiadito.

Ricordo ancora l'attimo in cui la rividi e sentii i fili nel mio petto aggrovigliarsi e contorcersi.

Era cambiata lei, eppure rimaneva sempre la stessa.

Seduta comodamente sull'altalena della vecchia quercia si dondolava cautamente, avvolta in uno scialle grigio come i morbidi capelli che le coprivano il capo e la pelle del viso raggrinzita.

Era così bella lei, così spensierata, così raffinata che solo guardandola sentivo andare in tilt il sistema operativo. Dopo un po' pensai di farle visita, di recuperare il tempo perduto. Ma qualcosa mi bloccava, m'impediva di avvicinarmi. Non volevo spaventarla, e lo sapevo, ne ero sicuro che guardandomi sarebbe scappata esattamente come quel giorno di tanti anni fa.

Perché io sono quello che sono, e neanche la mano morbida di mio padre avrebbe potuto rendere di carne ciò che era fatto di latta.

Non ebbi mai il coraggio di scendere e quel giorno la vidi semplicemente rientrare in casa.

Non uscì più da quella porta e io non l'avrei mai più rivista.

Quella notte la donna che osservavo da tutta l'esistenza si spense per lasciare alla morte il potere di avvinghiarsi a lei e avvolgerla come un manto. Lei non c'era più.

Mi ritrovai in quel cortile e poggiando le mani su quelle corde mi accorsi di non poterle stringere perché la flessibilità non faceva parte delle mie capacità. Mi sistemai faticosamente sulla pedana e provai a dondolarmi. Non riuscii a comprendere come facesse a liberare un suono tanto melodioso quando si ritrovava lì, ma una cosa la capì ugualmente.

Nel momento in cui i miei piedi non toccarono il terriccio sottostante compresi un qualcosa che non sapevo di poter provare.

Avevo dovuto vederla nascere, crescere, sbocciare come un fiore, sparire, invecchiare e morire per comprendere cosa significasse il dolore di chi ama.

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