9 - Incertezza.

Cherry



Il salotto, quando lo raggiungo, sembra essere stato travolto da un uragano. Mio padre, munito di occhiali da vista e sigaro in bocca, fa sventolare mille fogli sul tavolo di legno, mostrando alcuni documenti all'Agente al suo fianco, con le mani dietro la schiena e lo sguardo incuriosito. Altri due Agenti ispezionano la casa, il salotto, i movimenti dei miei familiari, il tutto cercando di tenere un profilo basso. Sembra stiano facendo finta di attendere ordini dal loro capo, ovvero dal Detective a cui hanno affidato il caso di Jonathan, che in questo momento sta parlottando velocemente e agitando le mani di fronte a mio fratello. Colui che ha appena dimostrato la sua vera natura lo ascolta con attenzione, però senza mai guardarlo negli occhi. Riesco a percepire la sua agitazione persino da qui. Sembra voler scappare il più velocemente possibile da quella situazione ed io, mio malgrado, mi mordo il labbro cercando di capire quale possa essere il motivo di tale timore. Ha forse paura che possano scoprire qualcosa su di lui? Ha commesso qualche crimine o fatto qualche casino? Mi sembra l'unica ragione plausibile che possa, bene o male, giustificare il comportamento di prima. Mi vengono i brividi nel ripensare alla cattiveria che sono riuscita a vedere nei suoi occhi.

Non faccio in tempo a compiere un passo perché mio padre alza la testa nella mia direzione, la sua espressione diventa ancor più tesa di prima. Nella fretta di muoversi, lascia la presa delle labbra sul sigaro che cade sul pavimento, emettendo un flebile tonfo. Notando la sua agitazione, anche il Detective sposta lo sguardo su di me, avanzando un mezzo sorriso.

«Eccoti qui, Cherry» annuncia cordiale, dando una pacca sulla spalla di mio fratello con il volto biancastro prima di avvicinarsi lentamente verso di me. Riesco a sentire, man mano che si avvicina, il profumo forte che dev'essersi spruzzato in abbondanza questa mattina. Mio padre non muove più un muscolo, così come tutti gli altri presenti. Sembra che stiano tutti aspettando il momento giusto per intervenire, chi per una cosa, chi per un'altra. Nell'aria si sente solamente il rumore della brace che continua a bruciare solitaria dal sigaro abbandonato sul pavimento.

«Non volevamo presentarci qui senza preavviso, ma un susseguirsi di informazioni ci ha portato a venire da te...» borbotta in modo tranquillo, appoggiando anche a me una mano sulla spalla. Cerco di annuire in modo naturale, abbozzando addirittura un piccolo sorriso. Quest'uomo mi mette i brividi, e non per l'aspetto autoritario e severo che emana, bensì per la freddezza con cui pronuncia una qualsiasi parola e gli sguardi glaciali che è capace di regalare grazie agli occhi color ghiaccio che caratterizzano il suo viso marcato.

«Allora, avrei bisogno di farti qualche domanda. Tutto ciò che ti chiederò e tutto ciò che risponderai sarà registrato grazie a questo piccolo marchingegno» informa in modo preciso, estraendo dalla tasca un malandato registratore portatile. «Detto questo, avrei un'ultima cosa da chiederti: preferisci che durante il nostro colloquio tuo padre sia presente?» domanda successivamente, guardandomi negli occhi con curiosità.

Non faccio in tempo a rispondere che la porta d'ingresso, semplicemente appoggiata e non completamente chiusa, si spalanca di scatto rivelando la figura affaticata e stanca di Wesley. Prende un respiro profondo, scannerizzando ogni persona che i suoi occhi intravedono nel salotto. Alcuni Agenti lo salutano con un semplice cenno del capo che ricambia con poco entusiasmo, mentre mio padre cerca di capire chi sia guardandolo con il capo pendente verso destra. Arriccia il naso quando si rende conto di non conoscerlo e, automaticamente, i suoi occhi si spostano su di me come a chiedere spiegazioni. In una situazione come questa non mi ci sarei mai voluta ritrovare: tutte le autorità in questa stanza pensano che Wesley sia il mio ragazzo, o meglio, colui con cui mi divertivo alle spalle di Jonathan. Riesco ad evitare un'ulteriore scambio di sguardi solamente grazie all'espressione attonita di Aron. Più lo guardo, più mi rendo conto che qualcosa in lui non va. Non passa molto tempo prima che anche il Detective si renda conto dell'entrata in scena del ragazzo dai capelli corvini. Si volta in modo lento e pacato, sorridendo subito dopo.

«Oh, Wesley, non pensavo venissi anche tu» annuncia con ancora il sorriso sul volto, rimanendo comunque fermo di fianco a me. Il mio amico alza semplicemente le spalle, compiendo qualche passo nella nostra direzione sotto lo sguardo attento di mio padre.

Pensavo non riuscisse a sostenere le occhiate del Detective, invece continua a camminare con la testa alta senza mai staccare gli occhi dai suoi. Probabilmente, in qualche modo, lo sta sfidando. Vorrà capire fino a che punto vuole spingersi con le domande, che cosa vuole chiedermi, fin dove arriverà. Vuole esserci per me, ancora. Nonostante la brutta situazione in cui si è ritrovato per causa mia, non demorde e continua a tener fede alla parola data.

«Peccato che le circostanze non prevedano la tua presenza, perciò ti inviterei a restare in salotto mentre io e la ragazza facciamo due chiacchiere, uhm?» domanda tranquillamente, spostando gli occhi su di me.

Annuisco solamente, non trovando alcuna parola da esporre. Lancio un veloce sguardo a mio padre prima di incamminarmi a passo lento verso la cucina, sotto lo sguardo attento di tutti i presenti. Wesley rimane fermo in mezzo al salotto, con le labbra leggermente socchiuse per la sorpresa. Si aspettava che, forse, mi imponessi per farlo venire con me... Ma questa è una cosa che voglio risolvere da sola. Non voglio mio padre ne tantomeno il migliore amico di Jonathan ad assistere. Il Detective entra nella piccola stanza subito dopo di me, lasciandomi il tempo di chiudere la porta alle nostre spalle attendendo pazientemente davanti alla sedia ben riposta sotto al tavolo.

Con dei movimenti nervosi riesco ad avvicinarmi al tavolo e a sedermi esattamente davanti a lui, che compie i miei medesimi gesti. Il suo sguardo è rilassato ma, nonostante questo, riesce comunque a mettermi timore. Nella mia testa continuano a susseguirsi migliaia e migliaia di domande, cosa vorrà chiedermi, cosa vorrà sapere, se sospetta di me o di Wesley... stringo gli occhi, cercando di calmare le pulsazioni alle tempie mentre il Detective si mette comodo, adagiando il taccuino e il registratore portatile sul tavolo, lanciandomi successivamente una veloce occhiata. «Sei pronta?» domanda cordialmente e con un piccolo accenno di sorriso sulle labbra. Annuisco con poca convinzione e lui, di conseguenza, aziona il registratore premendo un pulsante. Prende un profondo respiro prima di tirar fuori dalla tasca interna della giacca una penna. Il cuore comincia a battermi all'impazzata nel petto, come se volesse uscire e lasciare il mio corpo per non dover ancora sopportare tutto questo. Vorrei che finisse tutto.

«Bene, cominciamo con le cose basilari: nome, età, occupazione e in che rapporti eri con la vittima in questione» annuncia con serietà, rivestendo i panni del suo lavoro. Annuisco lentamente, ritrovandomi a riflettere anche sul cosa rispondere a domande banali come queste.

«Cherry Piper, diciassette anni. Attualmente senza un impiego...» borbotto a bassa voce, guardando l'uomo che annuisce lentamente, fin troppo concentrato a scrivere le mie parole su quel foglio bianco. Prendo un profondo respiro prima di continuare perché, nonostante tutto, parlare di Jonathan non è mai semplice da quando se ne è andato. Gli occhi del Detective scattano su di me e, con un veloce gesto della mano, mi incita a continuare. «Io e Jonathan stavamo insieme da qualche tempo, ci stavamo frequentando, ecco...»  bisbiglio ancora, sorprendendomi quando il Detective, senza alzare la testa dal taccuino, sorride in modo ambiguo. Rimango spiazzata dalla sua reazione, aspettandomi di dover rispondere a domande scomode da lì a poco. Senza riuscire a controllarmi, comincio a torturarmi nervosamente le mani, attirando la sua attenzione.

«Beh, sì, vi frequentavate e sostieni che Jonathan sia stato davvero importante per te, dico bene?» domanda dopo qualche istante, costringendomi ad annuire di getto per l'ovvietà della domanda. Jonathan era veramente importante per me. Una lacrima solitaria abbandona i miei occhi, come se fosse l'ultimo saluto nei suoi confronti. Il Detective scuote la testa, lasciando cadere la penna sul tavolo e incrociando le mani davanti al viso, guardandomi in modo freddo. «Però sei riuscita comunque a tradirlo con Wesley... mi sembra strano. Se fosse stato veramente importante per te, non ti saresti comportata in questo modo, a mio parere...» annuncia sgarbatamente, alludendo alla mia poca serietà. Rimango immobile senza rispondere alle sue accuse perché, nonostante non siano vere, per lui sono più che fondate. È questa la storia che ci siamo inventati. Ed è questa la storia che devo portare avanti. «In più, caso strano, eri con Wesley esattamente quella sera, proprio quando Jonathan è stato ucciso. Le cose appaiono piuttosto contorte, non sei d'accordo con me?» domanda ancora, lasciandomi con il fiato sospeso.

Scuoto con energia la testa, sperando che riesca a prendermi sul serio. Non ho idea di come rispondere e non ho idea se questa versione della storia sarà credibile. Socchiudo gli occhi, devo cercare di convincerlo per Wesley, per me. Soprattutto per la mia sanità mentale, perché non voglio pensare di essere stata l'artefice di quell'atto. «No, io non...» borbotto in preda all'ansia, facendo alzare un sopracciglio all'uomo sempre più perplesso sulla veridicità delle mie parole. «Le cose con Jonathan andavano bene, glie lo assicuro. Ma... non c'era la stessa passione che ho trovato in Wesley. Non... Non volevo ferirlo, non volevo farlo alle sue spalle, perché non se lo meritava. È capitato, non sono riuscita a fermarmi, così come Wesley. Mi dispiace, mi creda...» annuncio all'inizio molto titubante, prendendo poi coraggio ad ogni parola pronunciata.

Il Detective scrive, scrive e continua a scrivere. Prima di alzare gli occhi verso di me, prende un sorso d'acqua dal bicchiere sul tavolo e si accende una sigaretta, facendo cadere una minima quantità di cenere sul pavimento, senza interessarsene. Sento il mio corpo iniziare a tremare quando i suoi occhi glaciali si posano su di me. Scuote lievemente la testa. «Può anche essere, ma il tuo atto non è davvero stato giusto nei suoi confronti. Prova a pensare al momento in cui stava morendo... come deve essersi sentito a non averti al suo fianco? Come dev'essersi sentito nel non averti visto per tutta la sera, neanche una volta? Non voglio immaginare il dolore, la delusione nel profondo della sua anima... Non ti senti minimamente in colpa, Cherry? Neanche un po'?» domanda con sicurezza, esternando la poca stima che prova nei miei confronti.

Senza neanche rendermene conto, mi ritrovo a piangere senza freno. Ha ragione, diamine se ha ragione. Nonostante le cose non siano andate in questo modo, dentro di me sento di essere responsabile quanto chi effettivamente l'ha ucciso — sempre che non sia stata io. Mi passo una mano tra i capelli, cercando di trattenere un urlo disperato. Mi sento persa, tagliata a metà, frantumata in mille pezzi. Dovevo essere con lui, dovevo essere in me e vedere, sentire.

«In base al tuo racconto, posso dare la mia personale opinione?» chiede tranquillamente, cambiando totalmente tono dal precedente. Prendo un sorso d'acqua per riprendermi, annuendo verso di lui che sospira, battendo con costanza la penna sul tavolo. «Secondo me, Wesley potrebbe aver deciso di far fuori il suo rivale in amore. Mi sembra un ragazzo piuttosto irrequieto e capace di compiere atti senza pensare. Dimmi, Cherry, ti sembra un ragazzo geloso? In base al rapporto che avete, intendo...» espone con serietà, bloccando ogni movimento in attesa della mia risposta, che arriva di getto.

«No, assolutamente no» annuncio velocemente, rivivendo la stessa sensazione che ho provato quando l'Agente Anita Jones ha esposto la stessa perplessità. «Wesley aveva un rapporto meraviglioso con Jonathan, nonostante tutto. Non avrebbe mai fatto una cosa simile. Si sente già fin troppo in colpa per quello che abbiamo fatto alle sue spalle, io non —» vengo interrotta brutalmente da un suo gemito divertito e, subito dopo, alza una mano per bloccare la mia esposizione.

«Sì, certo, va bene» annuncia velocemente, chiudendo il taccuino e riprendendo tutte le sue cose. Pronuncia qualche parola con le labbra piuttosto vicine al registratore prima di spegnerlo. Lo infila nella tasca interna nella giacca insieme alle altre cose prima di spostare nuovamente lo sguardo su di me. «Adesso che quell'aggeggio è spento, posso parlare tranquillamente: indagherò molto di più su di voi, soprattutto su Wesley perché, dentro di me, sento che centrate molto di più con questa storia» annuncia monocorde, alzandosi dalla sedia e avviandosi verso la porta, che apre di poco. Si gira nuovamente verso una me tremante e impaurita, sorridendo. «Buona giornata, signorina» pronuncia con tono divertito prima di uscire dalla stanza, lasciando una scia di paura che mi attraversa.


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