8 - Follia.

Cherry



Aspetto con l'orecchio appoggiato alla superficie della porta che il vociare della mia famiglia svanisca. È passata quasi un'ora da quando mi sono rinchiusa dentro al bagno, senza il minimo interesse di degnare i due uomini della mia presenza al tavolo per la colazione. La notte passata non sono riuscita a chiudere occhio: la presenza indesiderata di mio fratello mi ha costretta a rimanere vigile fino al sorgere del sole, lo stesso momento in cui sono uscita di fretta e furia dalle coperte per finire a rinchiudermi in una stanza senza finestre. Aron ha dovuto dormire nel mio stesso letto e non è stata per niente un'esperienza semplice. Sono rimasta immobile per tutta la notte, con il volto rivolto verso la finestra a guardare e a imprimere nella mia mente ogni minimo cambiamento nel cielo scuro della notte. Per cercare di ignorare la sua presenza, ho persino provato a contare le stelle presenti su quel velo oscuro: sono arrivata a milleduecentodiciassette. Continuava a muoversi in modo nervoso, come se anche avvolto nel sonno non riuscisse a trovare un po' di pace interiore.

Adesso la stanchezza accumulata si fa sentire, ma cerco di raggruppare tutta la mia forza per non chiudere gli occhi e addormentarmi definitivamente sul pavimento freddo e umidiccio del bagno. Sento, per quanto mi è possibile, la voce assonnata e profonda di mio padre mentre chiede con curiosità al giovane se gradisce una tazza di caffè. Non riesco a sentire la sua risposta, ma so per certo che se la mattinata continua ad avere quest'andatura, dovrò rimanere chiusa qui dentro ancora un po'.

Perdo le speranze, staccando l'orecchio dalla porta e adagiandomi nel modo che ritengo più comodo sul tappetino morbido del bagno, appoggiando in modo assonnato il mento sulle ginocchia attaccate al petto. Allungando una mano, riesco a prendere il cellulare che per qualche ora è stato abbandonato sulle piastrelle azzurro chiaro. 15%. Trattengo un sospiro frustrato prima di sbloccarlo con un veloce gesto della mano. Non ho idea del perché le mie ultime giornate di vita abbiano deciso di rivelarsi così schifose. Quando ogni cosa sembrava andar bene, una forte folata di vento ha spazzato via tutto. L'arrivo di mio fratello, poi, ha dato il colpo di grazia.

Inarco un sopracciglio non appena l'apparecchio elettronico tra le mie mani inizia a vibrare, mostrando luminoso il nome di Wesley sullo schermo. Prima di accettare la chiamata, mi domando inconsciamente il motivo per cui mi stia chiamando alle nove meno un quarto del mattino.

«Wes?» bisbiglio in modo assonnato, passandomi successivamente una mano sul viso. Dall'altra parte, il suono ovattato e fastidioso di passi veloci mi costringe ad allontanare il telefono.

«Cherry, porca puttana!» sbraita angosciato, arrestando quelli che sembrano i suoi passi smettendo di correre. Prende un profondo respiro finché una macchina in sottofondo suona il clacson, facendolo sbraitare una seconda volta. Immaginando la scena nella mia testa, cerco di trattenere un sorriso scuotendo la testa, così da far cadere qualche ciocca di capelli neri sulla fronte. Wesley sembra calmarsi, in un primo momento, tanto che riesco ad appoggiare nuovamente il cellulare all'orecchio.

«Dove sei? Sei a casa?» domanda velocemente. Rispondo in modo affermativo, con un semplice sussurro. Riesco a percepire il suo nervosismo anche se non sono insieme a lui e questa cosa mi attraversa la schiena come un brivido. «Merda, merda, merda...» borbotta ancora, accendendosi una sigaretta l'immediato istante dopo. Il rumore di una folata di vento fa stridere la comunicazione, facendomi alzare gli occhi al cielo. Qualcosa, dentro di me, mi spinge ad alzarmi in piedi e ad immobilizzarmi in mezzo al bagno.

«Cosa succede?» domando innocentemente, sperando di non scatenare l'ira del ragazzo dall'altra parte della cornetta. Senza pensarci, estraggo il pacchetto di sigarette quasi vuoto dalla tasca anteriore del pigiama, prendendone velocemente una. Me la porto alle labbra e la stringo più del dovuto, tanto che tra i denti riesco a sentire il morbido del cotone. Quando non ricevo alcuna risposta, il mio cuore comincia a battere all'impazzata, temendo il peggio. Che stiano sospettando di Wesley? La mia mente comincia a riempirsi di domande che vorrei fargli, ma che non trovo il coraggio di esporre. Rimangono lì, impresse nella mia mente, mentre io cerco di non essere nuovamente inghiottita dalle mie paranoie.

«Tu dove sei? Che cosa cazzo sta succedendo?!» sbraito anch'io, usando un tono di voce fin troppo acuto. In cuor mio spero che mio padre non abbia sentito nulla dal piano di sotto, nonostante abbia sempre un orecchio pronto per ascoltare ciò che proviene dalla direzione in cui sono io. Cerco di calmarmi, prendendo dei respiri profondi, nonostante il silenzio tombale di Wesley mi stia facendo impazzire.

«Wesley, davvero, parla... che cosa sta succedendo? Perché mi chiami per poi non dire una parola?» continuo a domandare, pensando sempre di più che stia succedendo qualcosa inerente al caso di Jonathan. Se così fosse ne sarei contenta.

Probabilmente sarei contenta anche nel caso in cui dessero la colpa a me e mi spiegassero come sono realmente andate le cose. Scuoto la testa, facendo scomparire quei pensieri assurdi. Aspiro in modo nervoso la sigaretta, cercando di non farmi divorare dalle fantasie.

«Sono per strada, sto cercando di arrivare da te il prima possibile» annuncia velocemente, zittendo i miei pensieri e azzerando i miei movimenti. Mi ritrovo a domandarmi, perché sta venendo da me senza nessun preavviso? Ha saputo qualcosa che ritiene così importante da dovermi rivelare a voce?

«Penso che gli sbirri vogliano interrogarti. Ieri sono stato nuovamente contattato dal Detective che è stato così coglione da dire il tuo nome mentre era al telefono con me. Non ho ben capito cosa si siano detti Cherry, ma ho paura che possano arrivare da te da un momento all'altro» bisbiglia in modo nervoso, impaurito e preoccupato forse quasi quanto lo sono io.

Rimango con il fiato sospeso per qualche istante, senza sapere cosa rispondere. Wesley non dice più una parola, sento solamente il suo respiro irregolare mentre cerca di raggiungere casa mia il più velocemente possibile. Non ho idea di che cosa vogliano sapere da me. Una loro Detective ha già cercato di estorcermi informazioni, ha cercato di scoprire di più su quella notte... perché adesso vogliono nuovamente parlare con me? Scivolo con la schiena appoggiata al muro fino ad arrivare ad essere seduta in malo modo sul pavimento. Sento di non riuscire più a respirare. Dentro di me ho sempre sentito la tangibile paura di poter essere indagata per l'omicidio di Jonathan ma, in questo momento, tutto quello che pensavo potrebbe essere reale e per questo motivo sento il petto iniziare a tremare, le mani sudate che cercano invano di stare ferme e il respiro affannato. E se fossi veramente stata io ad ucciderlo? Se veramente fossi stata capace di farlo in preda ad un momento di instabile follia?

«Cherry, non devi preoccuparti. Probabilmente vorranno solamente interrogarti e sapere qualche altro piccolo dettaglio su quella notte, mettendo le tue parole nero su bianco...» annuncia ancora il ragazzo, cercando di utilizzare un tono di voce basso e rassicurante.

Annuisco tra me e me, prendendo un profondo respiro. Spero davvero che abbia ragione lui, che vogliano solamente parlare con me per sapere che tipo di rapporto avevo con Jonathan, le sue amicizie, i suoi interessi... Non riesco a trattenere un sorriso nel ricordare quanto amore metteva in ogni singola cosa che faceva. Non c'era nulla in cui non si impegnasse, in cui non mettesse tutto se stesso. Mi passo una mano sul viso, allungando le gambe coperte solamente dal leggero pantalone del pigiama.

«Sono a qualche isolato da casa tua, non ci metterò molto a raggiungerti. Voglio essere con te se mai si presentassero alla porta...» mormora a disagio, ridacchiando in modo nervoso l'attimo dopo. 
Mentre cerco di rispondere alla sua rivelazione d'amicizia, un paio di forti botti fanno vibrare la porta chiusa a chiave del bagno. Istintivamente balzo in piedi, facendo ruzzolare a terra il mio cellulare, ancora con la chiamata attiva. Mi avvicino di un passo alla porta, allungando una mano per appoggiarla sulla maniglia dorata, senza aprirla.

«Cherry, Cherry!» urla la voce di mio fratello, stremata e sconvolta allo stesso tempo. Mi porto la mano libera a coprirmi le labbra, socchiuse leggermente per consentirmi di prendere fiato il più velocemente possibile. Ancora due botti mi fanno sobbalzare, accompagnati da un gemito nervoso del ragazzo. Lancio un veloce sguardo al cellulare: la chiamata risulta attiva da 13 minuti e 52 secondi, ma non ho intenzione di chiedere aiuto a Wesley, questa volta. Spostando velocemente lo sguardo dal telefono alla porta, decisa e tremante, premo con forza sulla maniglia mentre con l'altra mano faccio fare due giri alla chiave inserita nella serratura. Non appena quest'ultima si apre e la porta si socchiude velocemente per via della corrente d'aria, l'immagine preoccupata di mio fratello che rimane immobile con la mano a mezz'aria. La abbassa velocemente, compiendo uno scatto felino prendendomi per le braccia e spingermi con tutta la sua forza nuovamente all'interno del bagno. Lo guardo terrorizzata mentre chiude in modo angosciato la porta. I suoi occhi, in pochissimi istanti, si ritrovano nuovamente a fissare i miei con una scintilla di cattiveria che mi mette i brividi. Cerco di spostarmi, ma in pochi secondi il suo corpo si catapulta sul mio, impedendomi ogni singolo movimento. Le vene sul suo collo si gonfiano e gli occhi sembrano dipingersi di rosso quando il suo braccio scatta e si catapulta a comprimere con forza la mia gola, mozzandomi il fiato.

«Perché cazzo ci sono gli sbirri in questa fottuta casa, eh?! Perché cazzo sono venuti qui?!» urla in maniera sommessa, non con un tono di voce alto, ma con tanta di quell'energia che rende partecipe qualsiasi cosa all'interno di questa stanza della sua ira.
Faccio un balzo all'indietro, sgranando gli occhi e scuotendo  la testa. Vorrei riuscire a parlare, a dirgli che stanno cercando me e che vogliono parlarmi, ma la paura che sento dentro di me non mi fa aprir bocca. Rimango in balia della sua collera mentre le lacrime iniziano a scendere veloci dai miei occhi, bagnando persino il suo braccio con qualche lacrima che contiene paura e tristezza all'interno. Il suo sguardo cambia, si rilassa per qualche istante, tanto che la presa sul mio collo diminuisce gradualmente, permettendomi di respirare meglio.

«Non l'avrai mica ucciso il tuo amichetto, uhm?» domanda con disprezzo nella voce, rivelando ai miei occhi un sorriso sghembo e divertito allo stesso tempo. Scuoto con ancor più forza la testa, sperando di fargli capire e sentire la mia disperazione, quella che sto provando.

Lascia completamente la presa ferrea dal mio collo, lasciando cadere il braccio a peso morto all'altezza del fianco. Mi guarda per qualche istante con le labbra socchiuse e il respiro affannato prima di scuotere anche lui il capo in modo lento, come se fosse una tortura. Mentre cerco di riprendere fiato, noto una piccola lacrima scivolare via per la sua guancia, ma che si appresta ad asciugare.

«Lo so, lo so che non sei tu, lo so...» bisbiglia a fatica, compiendo un passo indietro e appoggiando la mano sulla chiave della porta. I suoi occhi, da rossi e colmi di rabbia, tornano ad essere scuri e patinati, ma tristi e vuoti. Fa scattare nuovamente la serratura e, continuando a guardarmi, apre la porta. Qualcosa in lui non va, lo capirebbe chiunque. Vorrei seguirlo e aiutarlo, nonostante tutto, ma il mio corpo non riesce a muoversi.

«Non sei stata tu... scusami, lo so...» mormora nuovamente, scuotendo un'ultima volta la testa prima di iniziare a camminare lungo il corridoio, lasciandomi con il respiro mozzato e l'anima aperta in due.


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