7 - Serata fraterna?
Cherry
Dopo aver pranzato tutti insieme, in un mio silenzio quasi paranoico, mi ritrovo costretta a sentire i due uomini di casa sganasciarsi dalle risate seduti comodamente sul divano. Di tanto in tanto riesco a sentire qualche urlo da parte di mio padre, seguito da insulti sputati amaramente verso la squadra avversaria. Stanno guardando una partita di Football da circa un'ora, fumando sigarette senza sosta e bevendo lattine di birra come se fossero acqua. Mio padre ha anche provato a invitarmi, battendo più volte la mano sulla soffice stoffa del divano libera accanto a lui, ma io mi sono limitata a negare dolcemente con un cenno del capo. Ho preferito rimanere rinchiusa in cucina, nel mio momentaneo posto sicuro, trascorrendo il tempo lavando i piatti e sistemando il porcile che hanno lasciato mentre pranzavano.
Lancio dei tovaglioli di carta stropicciati all'interno del cestino, chiudendo subito dopo l'antina di legno scuro. Quando mio padre ha costruito questa casa, ha cercato di selezionare ogni più piccolo e minimo dettaglio come, per esempio, le maniglie degli sportelli della cucina: tutti in oro grezzo, consigliati ardentemente da mio nonno. Passo dolcemente un dito sull'argenteria, sorridendo senza neanche rendermene conto. La casa dove sono cresciuta ha così tanti segreti nascosti al suo interno, ed è forse proprio questo che la rende così meravigliosa ai miei occhi. Le pareti hanno sentito e visto tutte le crisi di mia madre, i pianti isterici di mio padre mentre cercava di consolarla e farla salire nella loro camera da letto per riuscire a calmarla, i pugni che lei tirava contro il muro ferendosi le nocche, le parole dolci che lui riusciva comunque a sussurrarle, il modo in cui le accarezzava la guancia nonostante lei gli urlasse contro di andarsene, di lasciarla sola, di lasciarla morire.
Mio padre non ha mai avuto veramente intenzione di lasciarla. Lo ha poi dovuto decidere per il mio bene, per garantirmi un posto tranquillo e sereno dove continuare a crescere e a fare le mie esperienze. Dove poter tornare dopo scuola e trovare gli ambienti in ordine e puliti, un tavolino dove poter fare tranquillamente i compiti senza doverlo liberare da bottiglie su bottiglie di alcolici. Una casa normale, insomma. Ammetto di essermi sentita in colpa quando mi ha detto che se ne era andata, ma dopo qualche giorno non sentivo neanche più la sua mancanza. Forse, l'unica cosa che mi mancava, erano le sue urla piene di rabbia provenienti dalla loro camera.
Abbandono lo straccio sul bordo del lavandino, voltandomi di schiena e appoggiandoci le mani sopra. Il mio sguardo cade inconsapevolmente sui volti felici di mio padre e di mio fratello, intenti a borbottare e a mormorare parole sconnesse, con gli occhi fissi sul televisore comprato pochi mesi fa. Mio padre aveva il desiderio di cambiare una volta per tutte la vecchia televisione a tubo catodico e così, un Venerdì di Aprile, è tornato a casa con quello schermo piatto enorme. Scuoto la testa con un leggero sorriso prima di avvicinarmi a passo felpato verso di loro.
Nella mia testa, sto ancora cercando di capire il reale motivo per cui mio fratello è venuto a farci visita. Sicuramente può darla a bere a mio padre, ma non a me. Ho questo brutto presentimento che mi preme all'altezza dello stomaco ogni volta che lo guardo. Mi rendo conto di essermi bloccata nel bel mezzo della sala solamente quando mio padre volta lo sguardo verso di me, schioccando due dita verso l'alto.
«Cherry, tutto bene?» domanda con un pizzico di preoccupazione nella voce, facendo voltare anche Aron verso di me. I suoi occhi scuri mi scrutano e le sue labbra formano un fastidioso ghigno divertito.
Annuisco solamente, cercando di evitare il più possibile lo sguardo persistente del ragazzo. Faccio ancora qualche passo lento per avvicinarmi al posto libero sul divano, lasciandomi successivamente cadere a peso morto su di esso. Mio padre mi scruta in modo attento, tanto che sulla sua fronte spuntano delle rughe d'espressione accentuate. Gli rivolgo un piccolo sorriso, cercando di rassicurarlo e di mostrarmi il più tranquilla possibile, nonostante la presenza di mio fratello mi metta in soggezione. Per ancora qualche minuto, nella sala si sentono solo i respiri pesanti dei due uomini colmi di ansia, finché un gemito di rabbia non esce dalle labbra socchiuse di mio padre.
«Ah, ragazzi» annuncia successivamente, dopo essersi acceso l'ennesima sigaretta della giornata. Alzo lo sguardo verso di lui nell'esatto momento in cui Aron compie lo stesso gesto e sembra che, quando le nostre iridi si scontrano, l'aria diventi ancor più fredda. «Per questa notte dovrai dormire nella stanza insieme a Cherry, dato che non sapevamo del tuo arrivo non ho potuto riordinare la tua camera. Sai, da quando te ne sei andato, si è trasformata in una specie di magazzino...» borbotta in imbarazzo, rivolgendosi direttamente a mio fratello che, con un'alzata di spalle e un finto sorriso, annuisce.
L'uomo al mio fianco si gratta la nuca in modo nervoso, forse credendo di aver fatto una brutta figura con il più giovane rivelandogli l'utilizzo della sua stanza. Borbotta ancora qualche parola di scuse prima di voltarsi verso di me. Il suo volto, da imbarazzato e paonazzo, si trasforma in un dipinto bianco nel vedere la mia espressione. Mi guarda con compassione e mi appoggia una mano sulla spalla, cercando di far pesare meno la cosa. La realtà è che non ho intenzione di passare un'intera nottata da sola con Aron, rinchiusi in quattro mura. Il suo viso gelido mi impaurisce. È sempre stato un ragazzo timoroso da quel che ricordo, ma in questi anni sembra essersi incupito ancor di più.
«Mi dispiace lasciarvi così presto, ma domani mattina devo andare prima a lavorare per una riunione importante...» annuncia impotente, lasciandosi andare in uno sbadiglio stanco e affaticato.
Mio padre ha sempre cercato di non far vedere a nessuno la sua stanchezza, il peso che si porta sulle spalle ogni giorno. Soprattutto a me, perché non vuole che io mi senta responsabile della sua modesta vita. Sospiro affranta nel sentire le sue parole, divenendo da subito cosciente di dover rimanere da sola con mio fratello che, dal canto suo, sembra essere piuttosto tranquillo.
L'uomo sorride ad entrambi prima di lasciare una pacca amichevole sulla spalla di Aron e un bacio sulla fronte a me. «Buonanotte» borbotta sotto voce, lanciandomi un veloce sguardo indagatore mentre compie passi lenti e felpati in direzione della sua camera da letto.
Il momento che tanto temevo arriva dopo qualche minuto, non appena mi ritrovo a spalancare la porta della mia stanza con al seguito mio fratello che, silenzioso come non mai, ispeziona ogni singolo oggetto presente in queste quattro mura. Incrocio le braccia sotto al petto, ben ferma nel centro della camera, mentre scruto i suoi movimenti in modo nervoso. Non mi è mai piaciuto far entrare persone estranee in quello che io definisco il mio mondo, ancor di più se questi si mettono a ficcanasare in giro. Perché per me Aron non è nient'altro che uno sconosciuto. Trattengo un sospiro frustrato quando le sue lunghe e affusolate dita sfiorano i miei libri, accuratamente riposti sulla libreria accanto al letto. In qualche secondo, la stanza si riempe grazie alla sua risata amara e trattenuta, facendomi inarcare un sopracciglio.
Spalanco gli occhi non appena riesco ad intravedere cosa sta indicando con l'indice teso. «Fumi?» domanda con ovvietà, scuotendo la testa con ancora dipinto sul viso un sorriso piuttosto irritante.
Deglutisco in difficoltà, non riuscendo a trovare prontamente una scusa da rifilargli. Mi ripeto che in fondo ha solamente qualche anno in più di me e che, a parte tutto, non ha il diritto di farmi nessuna predica. Non si è mai interessato a me e a quello che facevo, a parte in qualche isolato caso in cui comunque, grazie alle mie azioni, lui ci guadagnava qualcosa ad intromettersi. Aron prende dalla scrivania il grinder e il piccolo barattolo di vetro con qualche cima di Marijuana all'interno, portandoselo davanti al viso in modo curioso. Sorride compiaciuto, aprendo il piccolo coperchio dalla fantasia a quadri bianchi e rossi. «Perlomeno non fumi roba di merda, sorellina» annuncia divertito, tirando fuori un'infiorescenza di medie dimensioni per poi adagiarla come se nulla fosse all'interno del grinder metallico.
«Cosa stai facendo?» domando di getto, avvicinandomi di un passo a lui ma bloccandomi l'istante dopo. Vedere le sue mani a contatto con quell'oggetto metallico, l'unico ricordo ancora integro che ho di Jonathan, mi fa venire i brividi. Non penso che Aron sia la persona giusta per poter anche solo sfiorare l'unico ricordo che mi rimane di lui. Serro le labbra, ripetendomi nella mente di mantenere la calma e di non farmi sopraffare dalle emozioni mentre mio fratello si appresta con tranquillità a girare una canna.
I suoi occhi scuri e famelici rimangono fissi sulla cartina che sta riempiendo del mix di tabacco e Marijuana che ha meticolosamente creato sul palmo della mano destra. L'angoscia che fino a qualche attimo fa sentivo di provare sembra sparire nel nulla quando Aron si avvicina a passo lento verso la finestra, lasciando cadere le scarpe da ginnastica dai piedi prima di sedersi sul piccolo divanetto morbido. Rimango immobile a poca distanza da lui anche quando estrae dai pantaloni l'accendino con i colori della bandiera Spagnola dipinti sulla superficie, apprestandosi ad accendere quella lunga ma sottile canna che tiene ben salda tra le labbra. Sembra essere più rilassato rispetto a prima ed è forse questo suo cambiamento che mi spinge ad avvicinarmi a lui; sotto il suo sguardo curioso, mi sistemo al suo fianco, stringendo le ginocchia al petto. Guardo con riluttanza l'accendino che tiene tra le mani prima di lasciarmi andare in un sorriso.
«Ti trovi bene in Spagna?» domando amichevolmente, girando il viso totalmente verso di lui. Adesso, i suoi occhi scuri stanno affogando gradualmente nei miei, come se volesse scoprire qualcosa che ancora non sa, qualcosa che tengo ben nascosto. Cerco di mostrarmi tranquilla mentre Aron si lascia andare in un piccolo e fragile sospiro, allontanando la canna dalle labbra.
Producendo l'ennesima flebile nube di fumo, me la passa con un veloce movimento del braccio. I suoi tatuaggi spiccano sotto al riflesso della luna, i colori neutri che li riempiono sembrano decisamente molto più brillanti. La afferro con decisione e, senza pensarci, la stringo tra le labbra guardando la brace ardere sempre di più.
«Sai, là è tutto completamente diverso» annuncia sotto voce, proiettando il suo sguardo verso la strada buia e deserta che si trova davanti a noi. Un sorriso amareggiato spunta sul suo viso. «A quest'ora, se ci trovassimo in Spagna, sarebbe pieno di gente che urla e si diverte, che balla e che suona senza guardarsi intorno. È tutto molto più alla mano, più vivace, più colorato. Qui è difficile riuscire a sentirsi liberi...» borbotta ancora, passandosi una mano tra i capelli scuri e folti, senza mai distogliere lo sguardo dal paesaggio al di fuori della finestra.
Non posso far altro che annuire. In un posto come questo è difficile, per un ragazzo giovane e pieno di energia, riuscire a vivere in modo sereno, riuscire a divertirsi in qualsiasi angolo della città ma rimanendo sempre nei limiti della sicurezza. Improvvisamente nella mia testa appaiono nuovamente i ricordi di quella sera, quella che doveva solamente essere una festa privata, una di quelle dove ci si conosce praticamente tutti, ma che invece si è trasformata in qualcosa di spaventoso. Ma ciò che più mi fa rabbrividire è la reazione di mio fratello quando cattura con la coda dell'occhio una lacrima scivolare veloce sulla mia guancia. Allunga la mano per appoggiarmela dolcemente sui capelli, accarezzandoli con altrettanta attenzione e dolcezza. Mi regala un piccolo sorriso forzato, riesco a vedere che ci sta provando, ma che ancora è troppo difficile per lui lasciarsi andare. Un'ulteriore lacrima abbandona i miei occhi, rendendoli più rossi e gonfi del normale.
«Non preoccuparti, Cherry, le cose andranno meglio di come immagini...» sussurra solamente prima di serrare la mascella e girarsi nuovamente a guardare fuori dalla finestra e senza più dire una parola, lasciandomi immobile e intontita, con solo la sua mano appoggiata alla mia nuca a tenermi in equilibrio.
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