3 - Danza Oscura.

Cherry





La sveglia suona alle otto del mattino esatte. Ho davvero poco tempo per poter risistemare tutto, a partire dai pensieri che inondano la mia mente. Fortunatamente, grazie all'ingente quantità di alcol che ho bevuto ieri, non è stato difficile addormentarmi dopo che Wesley ha lasciato casa mia, intorno alle due di notte. Non abbiamo parlato più molto, dopo che mi ha fatto quella assurda richiesta che io, sfacciatamente, ho accettato. In quel momento pensavo fosse la scelta più giusta perché, come ha detto lui, potrebbe rafforzare il nostro alibi e farci rendere più credibili agli occhi dei Detective che si occuperanno delle nostre testimonianze. Adesso, che manca relativamente poco al suo arrivo a casa mia, sento il sangue ribollirmi nelle vene. Sarà difficile riuscire a mentire su un fatto così personale, così fresco. Mi alzo svogliatamente dal letto, senza curarmi di riordinare le coperte. Ormai è più di una settimana che non curo me stessa, la mia camera, che non mi preoccupo della mia vita. È come se si fosse fermata quella sera, come se fossi in stand-by. La sensazione peggiore è quella di sapere di star commettendo uno sbaglio, forse il più grande. Mentendo, non darò la possibilità a Jonathan di avere giustizia, così come ai suoi familiari di vivere un po' più sereni nel sapere ciò che realmente è accaduto al figlio. Sono una stronza egoista e basta. Sto facendo tutto questo solo per riuscire a salvarmi la pelle, perché non voglio passare il resto della mia vita rinchiusa in quattro mura, a mangiare cibo di merda e a dover lottare per la sopravvivenza. Se raccontassi ciò che mi ricordo, come ho trovato il suo corpo, come ho avuto una specie di blackout, sarei sicuramente la prima e unica sospettata del suo omicidio.

Per non parlare di quanto Wesley si sentirebbe in colpa nel sapermi abbandonata in una cella. Sospiro in modo frustrato, alzando dal pavimento qualche indumento sporco per permettermi di dirigermi indisturbata verso il bagno. Avrei davvero bisogno di passare un'intera giornata coricata nella vasca da bagno, con l'acqua calda corrente e tantissima schiuma a farmi compagnia. Forse riuscirei a rilassarmi, almeno per qualche ora. A spegnere il cervello e a chiudere gli occhi senza rivedere mille e mille volte il suo viso bianco cadaverico. Magari tornerei per qualche istante normale

Riempio le mani di acqua fredda, lanciandomela successivamente sul viso. Non ho intenzione di sembrare più morta di Jonathan oggi, nonostante una parte di me se ne sia andata con lui. È impossibile non pensare continuamente al suo viso, alla sua risata. Contemporaneamente, non posso fare a meno di ricordarlo da morto. Tuttavia, devo cercare di darmi un contegno. Non posso permettermi di sbagliare oggi, sia per me che per Wesley. Fa totale affidamento su di me e non posso deludere anche lui, dopo tutto ciò che sta facendo, dopo tutti i casini che sta cercando di risolvere solo per salvarmi il culo.

«Okay, puoi farcela» mormoro a me stessa, alzando i capelli legandoli in una coda alta e lasciando scoperti tutti gli innumerevoli orecchini che circondano il mio orecchio destro.

Mi guardo per qualche istante allo specchio, insoddisfatta per ciò che i miei occhi vedono. È come se mi sentissi tremendamente sporca. Come se fossi macchiata da qualcosa di indelebile. Ma devo resistere, ovviamente. Non devo farmi in alcun modo abbattere da questo mio stato d'animo. Sono sempre stata una ragazza piuttosto forte e non è certo questo il momento di arrendersi. Devo continuare a lottare, tirando fuori i denti, facendo del male... se necessario. Ho bisogno di proteggermi. Innalzando un muro, rinchiudendomi in casa senza vedere nessuno, diventando sprezzante verso la società; sono tutti modi per evitare di venir ferita ulteriormente. 

Prendo un profondo respiro e traccio una veloce e sottile linea nera sulla palpebra, prima di socchiuderla. La luce del lampadario illumina il mio viso dalla pelle chiara e leggermente irritata, le guance sembrano meno colorite del normale.

Improvvisamente, urlo con tutta la forza che ho in corpo. Il mio volto riflesso nello specchio sembra cambiare, mutarsi. Innumerevoli macchioline di sangue sporcano il bianco candido della mia pelle. Ho le labbra improvvisamente secche e spaccate in vari punti, gli occhi gonfi e rossi per il pianto, il mascara colato. Richiudo gli occhi nello stesso momento in cui stringo con forza le mani sul lavello e respiro profondamente, sperando che tutto questo finisca presto. Non riesco più a sopportarlo. 

Quando li riapro, tutto sembra calmarsi. Il mio volto è pulito e normale, se non per la pelle ancora più pallida. I miei occhi sono socchiusi e leggermente coperti da una patina liquida. Il trucco è ordinato. Prendo un ulteriore respiro profondo, decidendo di uscire dal bagno. Possibile che, qualsiasi cosa io faccia, mi ritorna sempre in mente qualcosa di quella sera? Se così fosse e mi ritornasse in mente anche ciò che non ricordo, forse riuscirei a darmi una risposta, a darla a tutti quelli che tenevano a Jonathan. Se lo merita. 

Fortunatamente mio padre non è in casa, altrimenti si sarebbe preoccupato. Lui non sa che io conoscevo Jonathan. Ovviamente mi ha fatto alcune domande, ma ho cercato di far morire il discorso già dopo alcuni minuti. Meno persone sanno la verità, meglio è. Apro con un veloce movimento le ante dell'armadio, tirando fuori alcuni vestiti che avevo adocchiato la sera prima. Solitamente non mi interessa vestirmi in modo elegante o completamente abbinato, sono sempre stata abituata ad indossare tute o abiti comodi, ma in questa giornata dovrò fare un'eccezione. Ho bisogno di apparire sicura e sincera.

Faccio cadere sul pavimento il mio pigiama di raso bordeaux, infilandomi successivamente una camicetta nera, che chiudo fino all'ultimo bottone. Lancio un veloce sguardo all'orologio appeso sulla parete di fronte a me prima di tirare su il pantalone di jeans. Posso farcela.

Infilo un paio di scarpe da ginnastica prima di afferrare di fretta e furia il piccolo zaino nero e scendere giù per le scale. Wesley sarà qui a momenti e in questo preciso istante comincio a sentire il timore di sbagliare qualcosa farsi strada in me. Mentre rimango immobile a fissare la finestra al mio fianco, con lo zaino tra le mani e una sigaretta già pronta nell'altra, il rumore di un clacson mi fa quasi balzare per aria. Sento della musica ad alto volume provenire fuori da casa mia e alzo inevitabilmente gli occhi al cielo. I vicini, sicuramente, si lamenteranno con me. Non può alzare la musica al massimo volume alle otto e mezza del mattino, per di più in un quartiere come questo. Cerco di mostrarmi il più nervosa possibile per il frastuono che sta facendo mentre esco velocemente di casa. Non appena i suoi occhi incrociano la mia figura minuta e fin troppo fredda, spegne la radio con un veloce movimento della mano. Scuoto lievemente la testa, avvicinandomi alla sua macchina con la sigaretta ancora spenta tra le labbra. Apro con poca preoccupazione la portiera, sedendomi sul sedile del passeggero senza rivolgergli ulteriori attenzioni.

«Buongiorno?» annuncia con una nota di impertinenza nella voce, fermandosi per qualche istante a guardarmi. Sento il suo sguardo penetrante e incuriosito farsi beffa del mio comportamento che, nonostante ciò, continuo imperterrita a mantenere.
Con la coda dell'occhio noto il ragazzo accendersi velocemente una sigaretta, dopo averla estratta dal pacchetto. La protegge con una mano mentre con l'altra armeggia con l'accendino. Solo ora riesco a intravedere il modo frenetico in cui le sue mani tremano. Si accorge di non riuscire a tenerle ferme al punto da sbuffare innervosito. Dopo altri vari tentativi, riesce finalmente nel suo intento. Non si gira a guardarmi prima di mettere in moto l'auto e immergersi nelle strade principali del Nevada. So perfettamente che il tragitto è molto più che breve.

Quest'informazione non fa altro che aumentare il desiderio di sotterrarmi in modo permanente. Non avrei mai voluto trovarmi in questa situazione ne, tanto meno, far mentire Wesley a causa mia. Aspiro profondamente il fumo della sigaretta, tenendolo per qualche secondo bloccato nei polmoni. Vorrei sentirlo bruciare dentro di me, vorrei provare a sentire qualcosa di diverso dalla paura che ha preso possesso di me da quella notte. Lo lascio scivolare via dalle mie labbra in modo lento, quasi come se il tempo fosse rallentato. Sento come se stessi vivendo all'interno di un film, come se questa cosa la stessi guardando dagli occhi dell'attrice protagonista, ma totalmente estranea ai fatti. Mi lascio sfuggire un mugolio di dolore quando, nel muovermi, sbatto il ginocchio contro il portaoggetti dell'auto sportiva.

«Puoi smettere di essere così nervosa? Tu non dovrai dire un cazzo, Cherry. Sono io quello che sarà costretto a passare interminabili ore chiuso dentro ad un fottuto stanzino, con non so quanti sbirri a farmi domande» annuncia in modo freddo, lanciandomi un veloce sguardo di rimprovero.

Socchiudo poco le labbra per la sorpresa. Ha completamente ragione, ma non posso fare a meno che continuare a pensare. Dovrei essere qui per provare a dargli conforto, per tranquillizzarlo, invece tutto quello che riesco a fare è pensare a me stessa e a ciò che potrebbe succedermi se mai dovessero venire a scoprire la verità. Wesley sembra ancora più nervoso di quando si è presentato sotto casa mia, le vene sul suo collo si gonfiano e diventano sempre più visibili.

«Devo ricordarti che tutto questo lo stiamo facendo per te, per non farti finire in una fottuta cella?» sputa fuori come se quelle parole se le stesse tenendo da tanto, troppo tempo dentro.

Mi colpiscono come un proiettile. Forte e coinciso, schietto. Talmente tanto da fare un male tremendo. Scuoto la testa in risposta perché no, non ho bisogno che mi venga ricordato ogni giorno, ma non ho abbastanza fegato per rispondere. Sbuffa indifferente, tornando a guidare come se nulla fosse successo e mentre il tragitto si dimezza per la velocità a cui sta andando, socchiudo gli occhi cercando di pensare a qualsiasi altra cosa.

«Mh» mugola poco dopo, costringendomi a riaprire gli occhi per spostare il viso verso di lui e guardarlo. «Probabilmente, le uniche parole che ti rivolgeranno sarà per chiederti se realmente ci frequentiamo. Ricordati di confermare questa versione, altrimenti manderai tutto a puttane e non potrò più fare niente per proteggerti» annuncia in tono autoritario, come se le sue parole fossero legge e senza obiezioni.

Annuisco e basta, prendendo un respiro profondo. Wesley rallenta gradualmente la velocità dell'auto, fino a farla fermare completamente davanti all'edificio dell'Ispettore. Dall'esterno risulta simile ad una sorta di piccola casetta in mattoni, con l'aggiunta dello stemma Statale ben impresso sulla porta, adesso chiusa. Wesley scende dall'auto velocemente e, nel tempo in cui io riesco a slacciare la cintura, la portiera si spalanca. Inarco un sopracciglio mentre lo guardo ma lui mi sorride semplicemente, porgendomi la mano. La afferro con titubanza. Vengo pervasa da una strana sensazione di disagio quando la stringo, sentendo il freddo della sua pelle. Non riesce ancora a smettere di tremare, ancor di più quando spalanca la porta del Commissariato e una decina di uomini in divisa sposta lo sguardo su di noi in modo curioso.

Un uomo robusto e dal viso segnato pesantemente dall'età si avvicina noi strisciando i piedi sul pavimento liscio, guardandoci dall'alto in basso e grattandosi ad intermittenza la folta barba grigia. Gli occhi scuri ci osservano incuriositi e, in qualche modo, strafottenti. Allunga un braccio per afferrare un foglio dal bancone posto all'ingresso nello stesso istante in cui Wesley stringe ancor di più la presa sulla mia mano. Scruta velocemente le informazioni scritte sul documento prima di sorridere in modo angusto.
«Wesley Thompson, diciannove anni» ripete con superiorità, lasciando la presa sul foglio per farlo cadere nuovamente sulla superficie del bancone.

Il ragazzo al mio fianco annuisce, scrutando l'agente in modo perplesso. Sento i suoi nervi sempre più tesi ed io, che dovrei essere d'appoggio, non riesco a far altro se non tenere gli occhi bassi, fissi sul pavimento, come se avessi paura che tutti i presenti possano scoprire il mio segreto da un momento all'altro. L'uomo annuisce e arriccia le labbra, prendendo poi per il braccio Wesley, trascinandolo verso il corridoio e staccandolo bruscamente dalla mia presa.
«Stanza 470, interrogatorio in corso» annuncia la voce fredda e autoritaria dell'agente non appena spariscono dalla mia visuale.

Ed io, sola e tremante, rimango ferma nel mezzo della sala d'aspetto, cercando di non guardare nessuno negli occhi per paura di vederci dentro i loro giudizi nei miei confronti, ma senza neanche abbassare la guardia, nemmeno per un secondo.



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