27 - Chi può averti fatto questo?

Cherry






Il mio intento, oggi, era quello di andare a cercare Joan. Non solo per chiedergli l'assurdo motivo per cui ha deciso di presentarsi a casa di Jonathan, ma anche per sapere se avesse notizie su Wesley. Da quando sono andata a trovarlo, ho una strana sensazione. Come se stesse cercando di proteggere qualcuno... qualcuno di diverso da me. So di non avere certezze, questa è solo una mia paranoia, probabilmente. Eppure, qualcosa nel suo sguardo mi ha fatto intuire di essere sulla strada giusta. Ma comunque, invece di essere per strada a cercare il ragazzo dai capelli rossi, sono rinchiusa in camera mia: Aron non ha voluto sentire ragioni. Ha detto chiaro che, secondo lui, devo farmi più gli affari miei e rischiare meno di rimetterci le penne. Stavo per scoppiargli a ridere in faccia, quando me lo ha detto. Joan non mi farebbe mai del male, nonostante i modi bruschi che ha usato il giorno in cui eravamo entrambi a casa di Wesley. Prendo un profondo respiro, cercando di liberare la mente; mi chiedo ancora come sia possibile non ricordare neanche un millesimo della serata in cui è morto Jonathan. Il fatto di sentirsi in questo modo, inutile e rassegnata, crea senza troppe cerimonie una brutta atmosfera anche in casa mia. Aron è sempre più preoccupato, arrivando al punto di decidere di non volermi lasciare da sola neanche un attimo. Se sono in casa, lui rimane con me, a costo di annoiarsi a morte – anche perché, diciamocelo, ultimamente non sono di molta compagnia. E comunque, ho anche il sospetto che voglia seguirmi non appena metto il naso fuori dalla porta, persino se voglio andare a fare quattro passi e schiarirmi le idee. Ovviamente, anche questa è solo un'altra, ennesima paranoia.

Mio padre, d'altro canto, cerca di adempiere ai suoi doveri come sempre, senza farci pesare troppo l'assurda situazione in cui lo abbiamo messo... lui, in fondo, non centrava assolutamente nulla in tutta questa faccenda, ma per l'amore che prova verso di noi, ha deciso di diventare anche lui parte integrante di questo casino. Continua a lavorare duramente, a uscire con i suoi colleghi per una birra dopo la fine del loro orario di lavoro, torna due volte alla settimana con infinite buste della spesa... forse, queste sono le uniche cose a non essere cambiate. Per il resto, noto il modo in cui mi guarda, un miscuglio doloroso tra compassione e preoccupazione. Non avrei mai voluto questo, ma ormai non posso fare altrimenti. Dobbiamo solo stringere i denti e andare avanti per questa strada, per quanto tortuosa e dolorosa sia. Lo devo a Jonathan.

Mentre cerco di distrarmi, giocando con l'elastico per capelli, mio fratello entra in macchina come una furia. Il pigiama azzurrino protegge il suo corpo slanciato e magro dalle temperature basse che si sono presentate da qualche giorno. Ha i capelli scompigliati, come se si fosse appena svegliato, e gli occhi evidenziati da due scurissime occhiaie. Lo guardo con un sopracciglio alzato, cercando di intuire il motivo del suo ingresso nella mia stanza... non che non mi faccia piacere, ma Aron è solito bussare.

«Che succede?» domando con la voce roca.

Non avendo parlato con nessuno per tutta la mattina, se non brevi conversazioni botta e risposta nella mia testa, mi brucia la gola non appena pongo la domanda a mio fratello. Si passa una mano tra i capelli in modo frustrato.

«Mi ha chiamato uno strano tizio al cellulare», annuncia frettoloso, e con il mio stesso timbro di voce. Sì, si è decisamente appena svegliato. Fa due passi verso di me, completamente avvolto dall'ansia e dai tremori. «Non ci ho capito un cazzo di quello che ha detto, so solo che parlava di Wesley e... credo gli abbiano fatto del male, Cher»

Ci vuole un misero istante. Un misero istante per far crollare, nuovamente, tutto. Balzo in piedi, andando incontro a mio fratello che, ancora in completa agitazione, si morde insistentemente le pellicine della mano. I suoi occhi sono un ammasso di emozioni contrastanti, mentre i miei iniziano a bruciare. Che cosa vuol dire, tutto questo? Chi può avergli fatto del male? Mi passo una mano tra i capelli, chiedendo altre informazioni a mio fratello con un solo sguardo, ma dalle sue labbra non esce nessun suono.

«Non è possibile, Aron! Wesley è chiuso in una fottuta cella! Come possono avergli fatto del male?» domando alzando la voce e, soprattutto, dando vita ai miei pensieri. Ai miei dubbi, per essere precisi.

Wesley è rinchiuso in una dannata gabbia metallica come un animale pronto per essere mandato al macello. Come può qualcuno essere entrato con l'intento di fargli del male? Non ha senso! E anche se fosse riuscito a entrare, avrebbe dovuto superare la supervisione delle due guardie incaricate alla sua protezione. In preda al panico, mi aggrappo alla maglia di cotone di mio fratello con le mani piccole e tremanti di chi, ancora, non sa cosa l'aspetta.

«Cherry, non lo so, non ci ho capito un cazzo. Quell'uomo blaterava parole senza senso, balbettava, io non... mi dispiace, sorellina, davvero... ma credo proprio che sarebbe meglio andare a vedere che cazzo è successo» annuncia con la voce tremante, appoggiandomi una mano sulla spalla.

Annuisco solamente e, come per trovare le forze, appoggio il capo sul suo petto e stringo le mie corte e esili braccia al suo corpo. Aron, dapprima interdetto, fa passare qualche secondo prima di stringermi a sua volta, appoggiando il mento sulla mia nuca. Socchiudo gli occhi, beandomi di qualche secondo di pace. «Fidati di me, Cherry. Andrà bene anche questa volta»

♣♣♣

Non appena scendiamo dalla macchina, davanti all'ufficio dello Sceriffo, quello che ci troviamo davanti è il caos più totale. Avrei preferito non assistere a un simile scenario, rimanendomene a casa, sotto alle coperte, con una tazza di the fumante tra le mani. In realtà, avrei preferito totalmente non essere costretta a vivere gli avvenimenti che si sono presentati negli ultimi mesi, ma è anche di questo che è fatta la vita... non tutto può andare sempre bene, liscio come l'olio. Sbatto la portiera della macchina di mio fratello senza preoccuparmene, mentre i miei occhi vagano alla ricerca di qualche volto familiare. Il caos che si presenta non è rumoroso o alterato come immaginavo. Ci sono sparse, qua e la, alcune macchine di agenti accorsi dagli altri piccoli uffici della Contea per indagare su ciò che è accaduto, probabilmente. Una piccola e vecchia ambulanza situata proprio davanti alla porta in vetro e un numero ridotto di passanti curiosi appostati accanto al muro dell'edificio. Alcuni agenti stanno facendo allontanare questi ultimi, e tra loro riesco anche a scorgere Andrew Montgomery, lo stesso signore che mi ha consegnato la busta con le informazioni su Jonathan quando sono venuta qui. Con un veloce movimento del capo, invito mio fratello a seguirmi. Spero davvero che il supervisore sappia darmi qualche dettaglio in più su quello che è successo. Per tutto il tempo passato in macchina non ho fatto altro che torturarmi le mani e cercare qualsiasi distrazione capace di non farmi scoppiare in lacrime. Non appena sarà finito tutto questo, dovrò fare qualcosa per me stessa, esclusivamente per me... per rimettermi in sesto o, perlomeno, provarci. Montgomery appare letteralmente distrutto; riesco a vedere perfettamente i suoi occhi lucidi non appena ci troviamo abbastanza vicini all'edificio. Non faccio in tempo a chiamarlo che, come se fosse stato attratto dalla nostra presenza, alza lo sguardo verso di noi.

Con un balzo in avanti, cerca di rimettersi in sesto. «Siete arrivati, finalmente»

«Sì, che cosa è successo?» domando velocemente e senza troppi giri di parole, mentre non riesco a mantenere lo sguardo fisso su di lui ma, bensì, cerco di captare il numero più alto di informazioni da ciò che mi circonda.

Adesso che sono più vicina, noto che una sola persona in mezzo a quelle presenti indossa il camice da dottore. Se ne sta fermo e impassibile a fissare la porta dell'ufficio dello Sceriffo come se non avesse voglia di salvare una vita, come se la vita di Wesley non fosse importante tanto quanto le altre, dato che si trova dietro le sbarre. Improvvisamente, dentro di me inizia a crescere una rabbia difficile da contenere, mentre l'uomo sbadiglia senza emozioni in volto. Fortunatamente, la voce dell'agente mi costringe a placare la voglia di andarlo a prendere a parolacce,

«Ho chiamato io, prima. Non so che cosa sia successo, là dentro, ma... quando sono entrato per iniziare il turno, ho trovato il vostro amico riverso in una pozza di sangue. Sta bene, o meglio, non è in pericolo di vita... fortunatamente sono riuscito a chiamare in tempo i soccorsi – Oh, santo Cielo!» esclama l'uomo, sbarrando gli occhi e scostandomi successivamente in modo nervoso dal suo cammino.

La folla inizia velocemente a parlottare in modo nervoso e molto più acuto, facendomi girare nella direzione in cui l'agente è corso. I miei occhi captano subito quelli semi-chiusi di Wesley. Non ho letteralmente il tempo di assimilare il racconto di Montgomery... tutto quello che faccio è correre verso il ragazzo che, bianco come un cadavere, si lascia trasportare da quattro medici che tengono ben salda la barella, anche quando io mi paro al loro fianco.

Prendo la sua mano e la stringo, lasciando finalmente scendere le lacrime. Alza con fatica lo sguardo, facendo scontrare i nostri occhi. Ha il volto completamente coperto da piccole e lucide macchie di sangue. Lascio scivolare lo sguardo un po' più giù. Nonostante stia facendo di tutto per non crollare, ciò che vedo mi da l'ennesimo colpo di grazia: la maglia da detenuto che aveva Wesley indosso è ridotta a brandelli, probabilmente essendo stata strappata di fretta e furia da qualche dottore lì presente. Tutto il suo busto è coperto da innumerevoli giri di bendaggi bianchi, ormai non più candidi come me li ricordavo, come quando me li metteva mio padre da piccola ogni volta che mi sbucciavo un ginocchio. No. Sono completamente intrisi di sangue, chiazze qua e là le colorano di un rosso caldo e a tratti spaventoso. D'istinto ritraggo la mano, lasciando quella di Wesley che cade senza forze a penzoloni fuori dalla barella.

«Si deve allontanare, signorina»

Un medico si para accanto a me, costringendomi a rimanere indietro mentre gli altri tentano di caricare un Wesley fin troppo stanco nel retro dell'ambulanza. I suoi occhi, però, non mi lasciano neanche per un secondo. Faccio un passo in avanti per avvicinarmi a lui, ma la presa sul braccio diventa ancora più salda non appena ci provo. «Aspetti solo un attimo, almeno finché non riescono a stabilizzarlo nell'ambulanza, okay?» domanda con dolcezza.

Mi volto a guardarlo. È un semplice uomo di mezza età con un'incolta barba scura a incorniciargli il viso. I suoi occhi chiari mi guardano con compassione e tristezza e una piccola scintilla li attraversa mentre, lentamente, lascia andare la presa. Annuisco semplicemente, tornando a guardare inerme e impotente la scena che mi si para davanti.

Mi sembra di rivivere tutto una seconda volta.

Non appena il dottore al mio fianco mi da il consenso per avvicinarmi, non ci penso due volte. Mi fiondo letteralmente nel retro dell'ambulanza, lanciando prima un veloce sguardo a mio fratello che, per lasciarci "soli", decide di attendere insieme agli agenti e ai curiosi che, senza riguardo, si sono avvicinati. Mentre i dottori infilano un ago nel braccio del ragazzo, i suoi occhi sono completamente rivolti verso di me. Cerca di allungare una mano ma, per via della poca energia rimasta nel suo corpo, non riesce a raggiungermi. Altre lacrime si aggiungono alle precedenti mentre, tremante, mi inginocchio davanti a lui. Il suo sguardo spento e sofferente è davanti al mio, preoccupato e spaventato. «Wesley... chi può averti fatto questo...» sussurro con fatica, parlando più con me stessa che a lui, e iniziando ad accarezzagli dolcemente la testa, come a volerlo sollevare un po' da tutto il dolore che sta provando.

Non riesce a tenere gli occhi completamente aperti. Un po' si chiudono, un po' combatte per tenerli aperti il più possibile. Devono averlo sedato pesantemente per fargli sentire il meno dolore possibile. «Signorina, dobbiamo andare» annuncia lo stesso medico di qualche minuto fa, lasciando scendere altri due. Annuisco, alzandomi velocemente per rimettermi in piedi.

Mentre sto per andarmene, sento la sua flebile voce richiamarmi. Compio un balzo sul posto, voltandomi verso di lui. Ha gli occhi socchiusi, lo sguardo di sbieco rivolto verso di me e il braccio ancora a penzoloni fuori dalla barella, proprio come l'avevo lasciato. Una dottoressa appoggia cautamente la maschera dell'ossigeno sul suo viso nell'esatto momento in cui cerca di parlarmi. Mi avvicino ancora, senza capire le sue parole.

Ma è lì, proprio quando sono a qualche passo da lui, che lo vedo. Vedo e capisco perfettamente quello che vuole dirmi, ciò che le sue labbra stanno cercando di gridare a gran voce. Rimango interdetta. Una folata d'aria fredda mi investe non appena il dottore, ormai spazientito, mi fa scendere bruscamente dall'ambulanza. Mio fratello si avvicina velocemente, così come l'agente Montgomery, riempiendomi di domande, ma io... non riesco a parlare.

Chiudo gli occhi. Il respiro si fa più pesante e la testa inizia a girare.

Joan.


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top