21 - Ha uno strano comportamento.
Cherry
Dopo quasi un'ora di camminata, iniziata dalla fermata dell'autobus che ho preso non appena sono scappata correndo da casa, mi ritrovo davanti a casa di Wesley. Non so neanche io che cosa mi abbia spinto a correre in questo posto, a rifugiarmi in queste quattro mura. Probabilmente, il mio subconscio ha pensato che potessi sentirmi meglio qui, in mezzo alle sue cose. Perché sì, ancora non voglio credere che sia vero. In realtà, sentire il suo profumo sparso nell'ambiente, mi fa ancora più male... perché non so per quanto tempo non potrò più bearmi della sua fragranza. Ci siamo incontrati nella peggior situazione che potessimo immaginare, ma questo ha fatto sì che il nostro legame diventasse forte, fin troppo potente. Mi guardo intorno, osservando attentamente ogni minimo dettaglio. Ci sono vestiti sparsi, riviste tagliuzzate e stoviglie lasciate sporche dentro al lavandino. Come se fosse corso via di fretta e furia.
Trattengo un sospiro nervoso, per quanto mi sia possibile. Ha persino lasciato la porta aperta, per questo motivo sono entrata così facilmente in casa sua. Mi accascio sul divano, fissando la televisione appesa al muro, fissando uno stupidissimo schermo nero. Non può essere solamente la lealtà che sente nei miei confronti la ragione per cui ha preso questa decisione... ci dev'essere qualcosa di più grande, ci dev'essere qualcosa di nascosto. Forse...
Un rumore flebile ma udibile nel più totale silenzio in cui mi trovo mi mette in allerta. Decido comunque di non muovermi, aspettando di sentire ancora qualcosa, nonostante il cuore mi stia martellando nel petto. Una strana sensazione di pura paura mi fa trattenere il respiro. Chi può essere? Wesley non ha tanti amici, nessuno dovrebbe essere qui. Neanche io, certo. Trattengo un urlo quando la porta del garage si alza velocemente con al seguito un rumore metallico che mette i brividi. Finché la serranda non è completamente alzata, non riesco a vedere il viso della sagoma che ha appena messo piede dentro queste quattro mura.
«Cherry?» domanda la persona, ferma davanti alla serranda totalmente alzata. Compie un passo verso di me mentre io, impaurita, mi schiaccio contro lo schienale del divano. «Cherry? Sono io, Joan...» mormora ancora, avvicinandosi talmente tanto a me da permettermi di scorgere il suo volto stanco e torturato dalle notti in bianco che deve aver passato.
Il mio sguardo, senza che possa fermarlo, si addolcisce quasi istantaneamente. Non ho motivo di aver paura. È solo Joan. Il mio corpo si rilassa e cerco di sorridergli come posso, nonostante la sua presenza qui sia totalmente inspiegabile. Cos'è venuto a fare a casa di Wesley? È questa la domanda che mi ronza continuamente nella testa mentre lui, con movimenti lenti e indecisi, si appresta ad abbassare nuovamente la serranda. Il buio si impossessa della casa e, anche se non vorrei, la sensazione di paura torna a farsi strada dentro di me. Perché provo questa sensazione nel ritrovarmi qui con Joan?
«Che cosa ci fai qui?» domanda con riluttanza, rimanendo nuovamente immobile a guardarmi. Passa qualche istante prima che le luci vengano accese e la chioma rosso fuoco familiare si fa spazio nel mio campo visivo. Ha il viso contratto in una smorfia carica di curiosità, eppure qualcosa nel suo sguardo cattura la mia attenzione e... non mi piace, non mi piace per niente.
Perché solo adesso riesco a vedere queste cose?
Sembra intimorito da me, dalla mia presenza in questo posto, e il suo comportamento non fa altro che aumentare i dubbi dentro di me. Decido di giocare le mie uniche e poche carte per cercare di capirci qualcosa in più. Ho ancora gli occhi lucidi e gonfi, talmente tanto da farmi male. Ma non posso perdere di vista l'obiettivo, non adesso.
«Mi mancava...» mormoro a fatica, senza dire una bugia. Mi manca realmente, nonostante siano passati solo pochi giorni... la realtà è che sento già la sua mancanza per tutto il tempo in cui sarò costretta a non poterlo vedere, perché sarà tanto se non riesco a fare qualcosa. Il suo sguardo si intenerisce e io prendo la palla al balzo: «E tu, invece? Perché sei qui?» domando in un sussurro.
Se prima mostrava un senso di pena nei miei confronti tangibile e inconfondibile grazie al suo sguardo, continuando comunque a tenere una postura rigida e decisa, adesso la scintilla nei suoi occhi sembra tentennare, non più così tanto sicuro. Possibile che, una domanda semplice e innocua come la mia, lo abbia potuto mettere in difficoltà in questo modo? O forse è solo una mia impressione, ma... il modo in cui si passa una mano tra i capelli rossi, adesso un po' più lunghi dell'ultima volta in cui l'ho visto, mi costringe a pormi delle domande. Potrebbe essere stato lui?
Nonostante il comportamento sospetto, i suoi occhi magnetici che non incontrano mai i miei, neanche per sbaglio, le dita che si torturano a vicenda... non posso credere che Joan possa essere il responsabile della morte di Jonathan. Il ragazzo dai capelli rossi è stato il primo e uno degli unici ad averci aiutato veramente facendo, soprattutto, il lavoro sporco: si è sbarazzato del suo cadavere. E lui non era lì, con noi, alla festa. I miei occhi non lo hanno mai incrociato nella miriade di persone che affollavano la casa, quella sera. Lo guardo ancora, sperando con tutta me stessa e cercando di convincermi dei miei pensieri. Joan si muove di scatto, compiendo un passo verso di me.
«Sono venuto a prendere alcune cose per Wesley, sai... dopo la sua dichiarazione, hanno deciso di trattenerlo in una cella di custodia finché i Detective non riusciranno ad avere più prove per mandarlo in galera,» annuncia con voce flebile, tanto da dovermi avvicinare a lui per poter sentire le sue parole. Un altro, l'ennesimo colpo al cuore. «Devo portargli alcune cose che potrebbero servirgli, insomma... dovrebbero pensarci i familiari ma, come ben sai, Wesley non ha nessuno» conclude monocorde.
Senza più degnarmi di uno sguardo, Joan si avvicina al piccolo e malmesso mobile alle mie spalle, spalancando le ante. Ne tira fuori una gran quantità di magliette insieme a qualche paio di pantaloni della tuta, o almeno, questo è quello che riesco a vedere. Non ho fatto subito caso al movimento veloce delle sue mani che si insinuano al di sotto di una maglietta, come se stesse cercando di nascondere qualcosa ai miei occhi. Compio un balzo all'indietro, indecisa sul da farsi: anche se provassi a dirgli qualcosa, sono sicura che riuscirebbe a sviare la conversazione su tutt'altro livello. E, per giunta, potrei aver visto male. O magari, lo sta facendo per salvare il culo a Wesley...
Per questo motivo decido di stare zitta, un'altra volta.
Joan butta svogliatamente tutti gli indumenti in un grosso borsone da calcio, con l'ormai scritta Lincoln County High School sbiadita e quasi resa invisibile dal passare del tempo. Un sorriso piccolo e spontaneo si abbandona alle mie labbra; è la scuola che tutti noi, ragazzi di queste piccole cittadine, abbiamo frequentato. Un semplice ammasso di mattoncini rossicci che formano una struttura lunga e rettangolare, nulla di più. Mi passo una mano sulla fronte, cercando di analizzare al meglio la situazione che mi ritrovo davanti, eppure sento che qualcosa sta sfuggendo al mio controllo.
«Io... vorrei venire con te, Joan» borbotto in imbarazzo, lasciando comunque le parole scivolar via dalle mie labbra perché, in effetti, è l'unica scelta che risulta giusta nella mia testa. Vederlo, potrebbe aiutarmi a riordinare i pensieri che vi alloggiano.
Il ragazzo si blocca di scatto, facendo cadere il borsone sul pavimento. Non emette quasi alcun rumore, ma il suo respiro riesce a colmare il silenzio che si è creato dopo la mia, ingenua, domanda. «Non posso, Cher...» mormora in risposta, rimanendo immobile davanti all'armadio spalancato. Si passa nervosamente i palmi sui jeans larghi e lunghi prima di regalarmi un nuovo e lungo sguardo penetrante e curioso. «Non di nuovo. Non tradirò di nuovo la sua fiducia, mi dispiace» sentenzia, scuotendo le spalle prima di tornare a fare ciò per cui si è presentato qui.
Il mio telefono vibra insistentemente, costringendomi a tirarlo fuori dalla tasca dei pantaloni, più che controvoglia. Il nome di mio fratello brilla sullo schermo scuro. Non ho intenzione di rispondergli, almeno, non per adesso. Voglio riuscire a liberare la mente, cosa che nella mia abitazione non riuscirei a fare. Lancio un'occhiata al ragazzo davanti a me, goffo e nervoso nei movimenti, continuando a studiarlo. Probabilmente sembro una pazza psicopatica, in questo momento, ma c'è qualcosa che mi sfugge, riesco a sentirlo. Come se avessi la soluzione, un indizio, una prova davanti ma fossi completamente cieca, con la vista oscurata. «Non lo tradiresti, Joan. Mi daresti semplicemente la possibilità di vederlo, forse per l'ultima volta, e faresti la stessa cosa nei suoi confronti» continuo a provare, cercando di portare avanti il discorso, mentre la mia mente cerca di immagazzinare il più informazioni possibili sul ragazzo.
Perché, in fondo, io di Joan non so niente.
«Ti ho detto di no» esclama burrascoso, voltandosi nuovamente verso di me. Questa volta, il borsone viene chiuso con uno scatto fulmineo dallo stesso ragazzo che non mi toglie gli occhi di dosso neanche per un secondo, facendomi rabbrividire. Nel suo sguardo, non c'è altro che odio. «Vedi di non immischiarti più, Cherry. Io non sono tuo amico e non lo sarò mai, mettitelo in testa. Levati dai coglioni, adesso» continua sibilando, compiendo due grosse falcate verso la serranda ancora abbassata.
Rimango a guardarlo, senza riuscire a pronunciare una parola. Nonostante abbia ragione, il modo in cui si è rivolto a me mi ha fatto sentire strana, inadeguata. Dovrebbe capirlo da solo che tutto quello che sto facendo, tutta la merda in cui mi sto immischiando, serve solo per scarcerare Wesley dall'ergastolo assicurato. Invece di inveirmi contro, dovrebbe cercare di capire. Compio un passo incerto in avanti, trovandomi a poca distanza da lui. «Perché mi parli in questo modo, Joan?» domando in un sussurro, scrutandolo con un sopracciglio alzato e la mente in un subbuglio totale.
Non ci capisco più niente.
Joan sospira, alzando la serranda del garage con una veloce mossa. Si volta verso di me, stringendo forte nella mano i lembi sgualciti del borsone. «Perché tutto quello che stai facendo è inutile e il fatto che tu non lo capisca mi fa impazzire. Wesley rischia di marcire in una prigione di merda solamente perché ha deciso di proteggerti con tutte le sue forze, porca puttana! Secondo te, non dovrei provare rancore nei tuoi confronti?» domanda con un sorriso amaro, lasciando trasparire tutte le sue insicurezze. Schiudo le labbra, presa in contropiede dalla sua rivelazione.
Eppure... come potrei dargli torto? Io sono la causa per cui il suo migliore amico sarà costretto a pagare per un omicidio avvenuto non per mano sua, bensì per qualcuno che sta riuscendo a passare inosservato, qualcuno che è riuscito a fare il lavoro sporco senza lasciare tracce e, soprattutto, facendo cadere le accuse contro di me, contro di noi. Per colpa del peso che le sue parole esercitano su di me, l'idea che Joan possa sapere qualcosa in più sull'omicidio, mi abbandona. Sembra stia soffrendo veramente, e io non sono nessuno per puntargli il dito contro. Lo guardo e annuisco debolmente perché, a questo punto, non so cos'altro potrei fare, se non ammettere le mie colpe.
Sorride ancora, malinconico. «Io ho cercato di aiutarti, Cherry... non ho mai provato odio nei tuoi confronti e, a dir la verità, non riesco ad odiarti neanche adesso. Solo che, anche solo pensare a Wesley rinchiuso in una cella, alle parole che mi ha detto prima di andare a costituirsi... mi fa uscire di testa, va bene? Non posso pensarci, non...» sibila frustrato, scuotendo la testa e lasciando la casa del ragazzo con qualche veloce passo. Non mi da il tempo di ribattere, e glie ne sono grata, perché tutto quello che ha detto, tutto quello che sente, non si può biasimare. «Forse è meglio se me ne vado... ciao, Cher».
Sola, amareggiata, debole. È così che mi sento in questo momento. Sapere ciò che le persone pensano di me, ovvero che io sia la causa della vita rovinata di ben due ragazzi poco più che adolescenti, mi fa sentire tremendamente male. Cerco di non dar peso alle lacrime che minacciano di uscire. Mi avvicino al letto ancora disfatto di Wesley, sfiorando teneramente il lenzuolo scuro con le dita tremanti. Vorrei solo dirgli quanto mi dispiace. Scalcio via le scarpe dai miei piedi, raggomitolandomi tra le coperte che preservano ancora il suo profumo, tenendo il più possibile gli occhi chiusi.
Così riesco ad addormentarmi, con un macigno sul cuore e la vibrazione del mio telefono che annuncia l'ennesima chiamata da parte di mio fratello.
➥
avrei una piccola domandina per voi:
vi siete fatti un'idea di chi potrebbe essere l'assassino?
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