2 - Discarica di Segreti.
Cherry
Non passa molto tempo prima che il vialetto di casa mia venga illuminato dai fari di una macchina sportiva. Il suo colore brillante e acceso non passa di certo in osservato, nonostante l'oscurità della sera sia calata anche nel complesso residenziale dove si trova casa mia. La luce degli abbaglianti è talmente forte che qualche spiraglio riesce ad illuminare anche la mia camera, per questo mi affaccio dalla finestra lasciata socchiusa. Solo per assicurarmi che sia lui a uscire dalla macchina. Da quando Jonathan è morto, ho la sensazione perenne di essere osservata.
Quando finalmente esce dalla macchina con una busta di plastica in mano, tiro un sospiro di sollievo. Sarebbe difficile per chiunque uscire dal circolo in cui una morte sospetta ti catapulta. Sono grata a Wesley, nonostante tutto. Sapere di averlo vicino, in qualche modo, mi tranquillizza...
Fortunatamente mio padre è già andato a dormire da qualche ora e, grazie al suo sonno pesante, non si accorgerà della presenza del ragazzo in camera mia. Non appena il ragazzo si avvicina abbastanza dal potermi sentire, fischio nella sua direzione per metterlo al corrente della mia presenza. Wesley alza lo sguardo e, grazie al lampione poco distante da lui, riesco ad intravedere un piccolo e imbarazzato sorriso. Mi alzo dalla panca posta al di sotto della finestra per scendere velocemente le scale e dirigermi verso il salone, facendo comunque attenzione a non fare troppo rumore. Nonostante il russare di mio padre sia molto più forte di qualsiasi altro suono, preferisco non rischiare. Non saprei cosa dirgli, altrimenti. Cammino a passo svelto per il corridoio, rabbrividendo al contatto che avviene tra i miei piedi e il pavimento in parquet. Lo supero velocemente, fermandomi davanti alla porta dove faccio scattare la serratura prima di aprirla di poco. La spalanco totalmente solo quando i miei occhi incrociano quelli rassicuranti di Wesley, che tiene ben stretto il sacchetto tra le mani.
«Ehi» sussurro solamente, ricevendo da parte sua un cenno con il capo.
Mi scosto leggermente dall'uscio, permettendo al ragazzo di entrare in casa mia e non rischiare di farlo congelare. È settembre inoltrato e, nonostante le temperature non siano ancora calate di molto, in questa cittadina sembra già essere arrivato l'inverno. Si guarda intorno in modo circospetto prima di spostare lo sguardo su di me. Riesco a percepire la sua insicurezza: non dev'essere facile per lui sapere che, da qui a poche ore, dovrà subire il primo interrogatorio di una lista infinita. Sospiro in modo frustrato prima di far cenno al ragazzo di seguirmi. Saliamo lentamente le scale e, una volta al sicuro dentro le quattro mura della mia camera, mi passo le mani tra i capelli.
«Scusami per il disordine, sai... non è proprio un bel periodo» annuncio con sincerità, lasciandomi poi scivolare sul lato del letto, cercando di nascondere un pacchetto di patatine vuoto che giace sul pavimento, spostandolo col piede.
Wesley si guarda nuovamente intorno, scuotendo la testa in modo sconsolato. Lascia cadere il cappuccio dalla sua testa, facendo intravedere l'ammasso di capelli castano chiaro piuttosto disordinato. Mi incita con un piccolo sorriso prima di estrarre dal sacchetto una bottiglia piena di Jack Daniel's. Lo guardo con preoccupazione, ma cerco di riprendermi in poco tempo, dato che quello che mi ci vuole per sciogliere i nervi è una grande quantità di alcol.
«Hai dei bicchieri?» domanda con tranquillità, appoggiando la bottiglia dall'etichetta scura sulla scrivania alle sue spalle.
Annuisco solamente prima di alzarmi e dirigermi a passo svelto verso l'armadio a muro, dove spalanco le ante. Rovisto per qualche istante tra i vestiti prima di sentire il rumore di plastica dietro ad un abito da sera. Tiro fuori la confezione ancora integra, appoggiandola accanto alla bottiglia. Wesley mi regala un sorriso complice a cui io rispondo con un'alzata di spalle. Probabilmente si sta chiedendo per quale assurdo motivo io abbia una confezione di bicchieri di plastica nascosta in mezzo ai vestiti. La verità è che li tenevo per quando dovevo passare delle serate insieme alle mie amiche e non volevo che mio padre sapesse ciò che facevamo, o meglio, che bevevamo.
Il ragazzo apre la bottiglia di Jack Daniel's in pochi istanti, versandone successivamente una giusta dose di quantità in entrambi i bicchieri. Immediatamente il bianco della plastica diventa sporco, scuro. Con gentilezza me ne porge uno, prendendo subito dopo anche il suo e alzandolo di poco verso il soffitto.
«Alla nostra cazzo di disavventura, Cherry» borbotta con una nota di divertimento nella voce che, stranamente, riesce a farmi sorridere.
Facciamo scontrare i nostri bicchieri prima di finire il loro contenuto in pochi secondi. L'amaro e il gusto forte dell'alcolico scendono fino al mio stomaco, lasciando una scia di bruciore lungo tutto il tragitto, ma mi sento meglio. Socchiudo gli occhi e sfrego le labbra, assaporando come meglio posso tutto il liquore che vi è rimasto sopra. Riesco ad intravedere Wesley compiere il mio stesso gesto prima di versarsi nuovamente del Jack Daniel's nel bicchiere vuoto. Lo riempie distrattamente anche a me, avviandosi poi verso la sedia bianca, posta nell'angolo destro della stanza. Mi siedo a mia volta sul letto, rimanendo così esattamente davanti a lui.
Lascio il bicchiere sul comodino per accendermi una sigaretta. Rimaniamo per qualche minuto in silenzio, entrambi fin troppo assuefatti dai nostri pensieri. Percepisco la sua preoccupazione, nonostante sia certo di non aver fatto nulla al suo amico. Probabilmente è così nervoso solamente per il fatto di dover mentire al Detective per cercare di proteggere me. Dopotutto sono io quella che non si ricorda un cazzo di ciò che è successo. E sono sempre io quella ad aver passato gran parte della serata insieme a Jonathan. E io sono quella che lo ha ritrovato in una pozza di sangue, freddo e immobile.
Vorrei entrare nel mio cervello e cercare ovunque, anche un minimo indizio che possa farmi ricordare ciò che è accaduto. È fottutamente impossibile, ma vorrei farlo. Devo riuscire a ricordare se ho fatto qualcosa, se sono davvero stata in grado di ucciderlo. Magari per colpa dell'alcol, magari per colpa del bicchiere da cui ho bevuto senza sapere di chi fosse.
«Allora... ti ricordi ciò che devi dire al Detective, non è vero?» La voce di Wesley mi risveglia dai pensieri, facendo muovere anche il mio corpo che, per qualche attimo, si era come immobilizzato.
Annuisco solamente prima di aspirare un altro tiro dalla sigaretta, lasciando cadere la cenere sul pavimento con disinteresse. Se tutto andasse bene, un gesto del genere mi avrebbe fatto dare di matto. Sono sempre stata una persona fin troppo ordinata e le cose fuori posto mi hanno sempre dato i nervi. A guardare la mia camera in questo momento, però, non si direbbe.
Wesley deve aver notato il mio nuovo cambio d'umore, tanto che cerca di ridacchiare sommessamente per smorzare la tensione.
«In questo caso, dobbiamo solo ideare un alibi per far credere agli sbirri di aver passato l'intera serata insieme, e che non abbiamo idea di ciò che sia successo a Jonathan» annuncia con voce seria, autoritaria, prendendo successivamente un altro sorso di alcolico dal suo bicchiere.
Annuisco e butto la sigaretta fuori dalla finestra. Mentre mi incanto nuovamente a fissare le stelle, mi torna in mente il volto bianco del ragazzo. Il suo corpo immobile lasciato lì, su quel prato, senza alcun ritegno. Come ho potuto lasciare che accadesse? Faccio scorrere velocemente il mio sguardo su Wesley, scoprendolo già intento a guardarmi.
«Dove... dove hanno trovato il corpo di Jonathan?» domando in un sussurro e con fatica, facendo spalancare gli occhi al ragazzo davanti a me.
Probabilmente non si aspettava una simile domanda da parte mia, ma sento di doverlo sapere. Ne sento proprio il bisogno.
«Avevi detto che se ne sarebbero occupati alcuni tuoi amici... dove lo hanno portato?» domando ancora, con un po' più di sicurezza nella voce.
Wesley sospira affranto e abbassa gli occhi verso il pavimento, scolandosi tutto il contenuto del suo bicchiere in un solo sorso. Deglutisco con fatica, avendo già paura della sua risposta.
«Lo hanno portato poco distante dal luogo della festa, Cherry. Non potevano permettersi di trasportarlo chissà dove, ancora grazie se lo hanno fatto. Penso che lo abbiano lasciato nella discarica a qualche isolato di distanza, da quello che dicono i giornali...» annuncia con freddezza, lasciandomi interdetta.
Come hanno potuto lasciarlo in una discarica, come se fosse un semplice sacco pieno di spazzatura? Inorridisco al solo pensiero del suo corpo ritrovato tra mille oggetti buttati, resti di cibo. Si può essere più crudeli di così? Io non ho voluto sentire nessun telegiornale. Non potevo rimanere indifferente nel sentire le notizie riguardanti Jonathan, sapere cosa ha dovuto provare durante gli ultimi istanti della sua vita. Sapere quanto deve aver sofferto. Scuoto la testa ancora sconvolta dalla sua rivelazione, ma cerco di rimanere concentrata e di non farmi sopraffare dal risentimento.
«Adesso abbiamo altre cose a cui pensare. A che ora siete arrivati alla festa?» domanda subito dopo, cercando di farmi dimenticare le sue parole.
Cerco di ricordare il susseguirsi di quella sera. Jonathan è venuto a prendermi verso le dieci, mio padre non era in casa per via di una cena di lavoro. Sono scesa di casa e ci siamo salutati, per poi salire subito in macchina. Il luogo della festa si trovava piuttosto distante dal mio quartiere, ci abbiamo messo circa una mezz'ora per raggiungerlo. Socchiudo gli occhi nel ricordarmi il modo in cui Jonathan mi ha stretto la mano per entrare.
«Verso le dieci e mezza, massimo le undici» annuncio con decisione, ricevendo da parte sua uno sguardo pensieroso. Annuisce lentamente, versandosi altro Jack Daniel's nel bicchiere. Lo sorseggia in modo lento, scuotendo ogni tanto il capo per mandare via dalla sua fronte le ciocche ribelli dei capelli.
«Perfetto. Alle undici e mezza ci siamo visti, abbiamo cominciato a parlare. Hai perso di vista Jonathan. Non l'hai più visto per il resto della serata. Siamo stati insieme, abbiamo ballato, abbiamo bevuto. Verso le tre del mattino siamo andati via e sono rimasto a dormire da te...» Comincia a organizzare, fermandosi per qualche istante subito dopo aver finito di raccontare la prima parte della serata.
«Abbiamo saputo della sua morte solo al pomeriggio successivo, quando lo hanno annunciato al telegiornale. Ricordati, Cherry: non deve importartene di risultare una poco di buono agli occhi della gente. Stiamo facendo tutto questo solo per salvarti il culo, e neanche a me diverte dover passare per quello che si scopa la ragazza del migliore amico» pronuncia quelle parole con freddezza e convinzione, come se volesse farmi capire che, se sta facendo tutto questo, è solo per me.
E io, infatti, non lo ringrazierò mai abbastanza. «Va bene, ma... proprio a casa mia? Quando Joan mi ha portata a casa, quella sera, mio padre era ancora sveglio in camera sua. Avrebbe sentito se ci fosse stata un'altra persona, con me...» borbotto con indecisione, ricevendo da lui un'occhiata per niente amichevole.
«Diremo che sono entrato qualche minuto dopo, arrampicandomi dalla finestra. Che ne so. E sì, per forza da te, dato che io non ho un posto vero e proprio dove vivere. Non avrebbe alcun senso, altrimenti» annuncia in risposta, finendo un ulteriore bicchiere.
Annuisco e mi presto a finire gli ultimi sorsi di alcolico prima di accendermi la seconda sigaretta da quando Wesley è arrivato. Sento il suo sguardo bruciarmi la pelle, ma non ho la forza di guardarlo negli occhi. Tutto questo mi sembra surreale.
«Ti... ti andrebbe di accompagnarmi, domani?» domanda con fatica, la voce un po' tremante.
Mi costringo ad alzare il volto verso il suo, questa volta, e non mi sorprendo nell'intravedere nelle sue iridi un velo di paura. Tentenno un po', mordendomi il labbro inferiore.
Wesley sospira: «Non... scusami, è che pensavo fosse una buona idea farci vedere insieme» annuncia dopo poco, facendomi sorridere dolcemente.
Una ciocca di capelli scuri scivola davanti al mio viso mentre, debolmente, annuisco. Wesley rimane a guardarmi per poco tempo, con un lieve luccichio di stupore negli occhi. L'unica cosa che spero è di non aver preso la decisione sbagliata.
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