15 - Pioche.

Cherry




Non mi sono mai allontanata troppo da Panaca, la cittadina dove sono nata e cresciuta. Con poco più di mille abitanti, mi ha fatto sempre sentire sicura. Qualche locale per i giovani, una libreria, un giornalaio. Un paio di negozi di alimentari, una scuola. Tutto quello che serve per far andare avanti le persone con armonia e tranquillità. Ho percorso pochissime volte l'immensa US route-93. L'ultima volta in cui ho visto questo ammasso di asfalto è stato quando mio padre ha voluto portarmi al Cathedral Gorge State Park. Una spettacolare area ricreativa pubblica immersa in una riserva naturale, impreziosita dal paesaggio di morbida argilla erosa. Ricordo quanto sorridevo quel giorno, non avevo mai visto nulla di più bello. Le sensazioni che provai quel giorno sono ben diverse da quelle che sto sentendo in questo momento. Joan non ha voluto saperne di chiudere i finestrini della sua auto, per questo motivo sono costretta a rifugiarmi nel miglior modo possibile dentro alla felpa fin troppo leggera per questo clima.

La radio è spenta, il silenzio assordante che riempie l'abitacolo mi sta facendo venire i brividi. Neanche per il rosso la situazione deve risultare facile, ma vorrei che provasse almeno ad addolcire un po' la pillola. Lascio cadere la sigaretta fuori dal finestrino nello stesso momento in cui un cartello appare davanti ai miei occhi. Pioche, scritto a caratteri cubitali dettagliati da qualche graffito a bomboletta nera. Adesso sì, che il mio corpo si riempie di brividi. Non ho mai messo piede in questo posto, le storie che ho sentito le conosco solamente grazie a qualche anziana della mia città. Pioche si è rialzata molto bene in questi ultimi anni, diventando una delle cittadine più socievoli e amichevoli della contea di Lincoln. Abbiamo percorso solamente venti minuti di tragitto per ritrovarci qui. Anni fa, si racconta che sia stata comandata solo ed esclusivamente da criminali. Persone cattive, senza rispetto per nessuno, che non si facevano troppi problemi a piantarti una pallottola nel cranio. Adesso di queste persone non c'è più traccia, se non qualche segno lasciato nei ricordi delle persone che hanno vissuto in quegli anni, quello che tutti sanno ma non dicono è che, però, in una parte più isolata rispetto al centro, una piccola fetta della comunità ha messo radici. Persone poco raccomandabili, certamente non al livello dei loro predecessori, ma sicuramente individui da cui stare alla larga.

«Perché mi hai portata qui?» domando velocemente, rimettendomi a sedere composta sul sedile del passeggero. Il rosso non si volta a guardarmi, ma stringe talmente forte i denti che posso vedere la sua mascella contrarsi. Deglutisco silenziosamente, tornando a guardare davanti a me la piccola cittadina prendere forma.

Lo sento sospirare al mio fianco. «Ti avevo detto che non sarebbe stato facile» annuncia in tono accusatorio, facendomi sentire maledettamente fuori posto. Forse non avrei dovuto proporgli di accompagnarmi da Wesley. Quello che ne soffre di più, tra noi due, è sicuramente lui. «Non aspettarti di ritrovarlo nel giardino curato di una villetta di nuova costruzione, Cherry. Quella che vedrai sarà forse la desolazione più atroce che potrai vedere nella vita...» continua a borbottare, facendomi venire i brividi per la terza volta nell'arco di pochi minuti.

Estraggo la seconda sigaretta del tragitto, portandomela velocemente alle labbra. Non sono mai stata brava a gestire la pressione, ma in questo momento mi sento un'emerita incapace. Ciò che mi spaventa di più è saperlo in un posto del genere. Wesley non è come le persone che vengono descritte dagli anziani della contea, lui è buono. Non dovrebbe essere qui. Tengo gli occhi incollati a guardare fuori dal finestrino mentre passiamo in mezzo alla parte bella e avviata di Pioche; non riesco a non guardare le tante persone che camminano spensierate sui marciapiedi curati e puliti, che si salutano con un cenno del capo e un sorriso smagliante, colmo di gioia, non finto e tirato. Tutti i negozi sono aperti nonostante in questa stagione il freddo stia cominciando a calare velocemente sulla nostra contea, eppure gli abitanti non sembrano affatto intimoriti dal clima. Sorrido ancora per un po', imprimendo nella mia mente le immagini che per tutto il costeggiare del paese hanno potuto accompagnarmi e, soprattutto, distrarmi da ciò che da qui a poco sarò costretta ad affrontare.

Mi accorgo quasi subito che qualcosa non va. Non appena Joan svolta a sinistra, immettendosi in una via decisamente più stretta e meno illuminata della principale, un campanello d'allarme inizia a suonare nella mia testa. I miei occhi guizzano in ogni dove, pronti a catturare qualsiasi indizio che possa tornarmi utile. Eppure, in questa strada non c'è nessuno. Non siamo per niente distanti dal centro cittadino, ma qui non c'è niente. Un brivido mi attraversa la schiena non appena il paesaggio circostante comincia a cambiare sotto il mio sguardo preoccupato: non c'è più traccia dei marciapiedi curati, delle case dalla facciata perfetta, dalle piante in vaso posizionate a ogni angolo e davanti a quasi tutti i commercianti. Qui, le tegole e le persiane fanno fatica a stare attaccate al loro posto. I lampioni funzionano a metà, per questo la strada risulta molto meno illuminata. Anche l'asfalto, nonostante sia l'ultimo dei miei problemi, non è liscio come quello su cui correvamo poco fa. Tutto è dannatamente diverso. Dopo ancora qualche metro di strada, inizio a vedere gli angoli dei palazzi riempirsi di persone. Sono quasi le otto di sera, per questo motivo i gruppetti si posizionano esattamente sotto le poche luci funzionanti, pronti a combattere l'avvenire della notte che non tarderà ad arrivare neanche stasera. Nessuno sembra badare a noi, nonostante la macchina del rosso provochi un bel rombo, eppure per un motivo che ben conosco non posso che esserne sollevata. Capisco bene le parole di Joan, adesso.

Superiamo ancora qualche persona, finché non arriviamo in una parte della comunità ancora più isolata, per quanto sia possibile. Continuo a guardarmi intorno, trovando davanti a me solamente un piccolo garage con la serranda leggermente alzata, posizionato dietro ad una distesa di terra e ghiaia. I fari della macchina del rosso sono l'unica fonte di luce che ci permette di guardarci intorno. Sobbalzo sul sedile non appena anche quelle piccole luci si spengono e Joan estrae la chiave dal quadro. Lo guardo in preda al panico slacciarsi la cintura e scendere dall'auto con un'insolita tranquillità. Io non muovo un muscolo finché non emette un verso nervoso e straziato, seguito da un semplice cenno del capo che mi invita a seguirlo. Non so perché, ma ho le mani sudate. E le mie gambe tremano come non mai. Non so esattamente a cosa sto andando incontro, ma tutto questo non mi piace. Ma nonostante tutto, seguo con timore il ragazzo che azzera la distanza tra noi e il garage con passi decisi e fermi. Mi lancia una veloce occhiata prima di bussare forte con un pugno sulla serranda di metallo, facendomi saltare nuovamente. Mi stringo nella felpa e non tolgo gli occhi di dosso al ragazzo che, notando il mio atteggiamento, mi regala un piccolo e sincero sorriso rassicurante. Dopo qualche istante il rumore metallico ci costringe a indietreggiare di qualche passo. La serranda si alza lentamente, quasi come se si stesse prendendo beffa di me anche lei. Non posso più aspettare, dannazione.

Ciò che mi ritrovo davanti non fa altro che aumentare il mio malessere. Mi porto le mani davanti alle labbra, spalancate per la sorpresa e la confusione del momento. Gli occhi scuri del ragazzo davanti a noi guizzano da me a Joan, movimento che riesco ad intercettare solamente grazie alla torcia tirata fuori da quest'ultimo. Wesley indossa solamente un paio di pantaloni scuri della tuta, con qualche buco nella stoffa, e una semplice felpa grigia. Ha i capelli scompigliati che gli ricadono sul viso bianco cadaverico. Alcune ciocche riescono addirittura ad arrivargli agli occhi, cosa che mi fa notare ancor di più le sue marcate occhiaie. Joan non dice una parola, e questo suo comportamento mi destabilizza. Pensavo che facesse lui la prima mossa ma, a quanto pare, mi sbagliavo. Non sono sicura di voler intavolare io la conversazione, soprattutto dopo aver visto con che occhi Wesley ci sta osservando.

No, non è affatto felice di vederci.

Scatta in avanti velocemente, spaventandomi. Presa alla sprovvista compio un passo affrettato all'indietro, cadendo sul cemento umido dietro di me. Wesley non se ne accorge neanche. Non mi degna di uno sguardo. L'unica cosa che fa è scagliarsi contro il suo amico, appoggiando le mani sul suo petto e spingendolo all'indietro con una forza inaudita. Joan non si scompone più di tanto, tiene lo sguardo fisso su di lui come se si aspettasse una reazione simile. «Cosa cazzo ti dice il cervello, eh?!» urla con rabbia, catapultandosi nuovamente verso di lui.

Riesco ad alzarmi, nonostante un po' di fatica non sicuramente dovuta dalla caduta. Sento il mio corpo che trema come una foglia e i due ragazzi non stanno facendo altro che aumentare la mia paura. È come se la stessero alimentando, soprattutto Wesley che non avevo mai visto comportarsi in un modo del genere. I miei occhi si fissano su di lui, sulla sua schiena. Lo guardo con talmente tanta forza che si gira verso di me in modo lento e straziante, quasi come se avesse sentito il mio sguardo richiamarlo. Abbassa il capo senza rialzarlo per guardarmi in viso. Probabilmente si vergogna di ciò che ha fatto. Ma io non posso biasimarlo, dopotutto. Mi accorgo di star piangendo solamente quando mi porto una mano sul viso per ripulirmi e, al posto della polvere, sento le lacrime umide sulla mia pelle fredda. Wesley compie un passo verso di me, alzando finalmente il capo, con le labbra leggermente aperte. Vedo nei suoi occhi il dispiacere di chi sa di aver fatto una cazzata. «Cherry...» sussurra appena, bloccando successivamente ogni movimento.

È così che rimaniamo per diverso tempo. Dio, mi sento tremendamente stupida. Come potevo pensare che avrebbe fatto i salti di gioia nel vederci? Mi sono presentata davanti alla porta della sua vita e l'ho aperta senza bussare, senza chiedere il permesso. Si sentirà tradito da me e da quello che reputava uno dei suoi più fidati amici. I suoi occhi mi guardano come se mi volesse chiedere perdono ma io scuoto la testa perché sì, sono io ad aver fatto uno sbaglio. Mi avvicino di un passo a lui. «M—mi dispiace, io... non dovrei essere qui» sussurro con voce rotta e tremante, passandomi imbarazzata una mano sul braccio coperto dalla felpa.

Il moro scuote la testa con vigore, contraendo la mascella. Da quando ha rialzato il viso, i suoi occhi non si sono più staccati da me. Sposto di poco lo sguardo per individuare la figura massiccia di Joan che, fortunatamente, riesco a scorgere appoggiata al palo della luce non funzionante mentre si fuma una sigaretta. Ha deciso di lasciarci da soli, a chiarire. Forse ha voluto fare un gesto nobile nei suoi confronti, oppure è voluto scappare prima che la lite con il suo amico diventasse qualcosa di più serio. Non lo so, ma in questo momento non mi importa neanche tanto. Riporto gli occhi su Wesley che, nel frattempo, si è avvicinato talmente tanto a me che posso sentire l'odore d'alcool che i suoi indumenti emanano. Che cosa hai fatto, Wes?

«No, Cherry, tu... non fa niente. Davvero, scusami. Ma porca puttana, perché quel coglione ti ha portata qui? Gli avevo detto espressamente di non farlo, cazzo!» sbotta nuovamente alterato dopo un primo momento in cui sembrava essersi calmato. Cerco di non spaventarmi, probabilmente è l'alcool a parlare al posto suo. Scuoto la testa in modo negativo verso il ragazzo che, con occhi lucidi e stanchi, mi guarda incuriosito e incazzato nel medesimo momento. Faccio ancora un passo verso di lui, reprimendo la mia voglia di darmela a gambe. So che non potrebbe mai farmi del male, ma non sono sicura di conoscerlo così a fondo come credevo.

«Mi ha portata qui perché glie l'ho chiesto io, Wesley» annuncio con tono fermo e deciso, intenzionata nel fargli capire come realmente siano andate le cose. Probabilmente se Joan non si fosse fatto scappare qualche dettaglio sulla vita del suo amico, non sarei mai capitata in questo posto.

Il suo malumore aumenta, per quanto sia possibile. Noto una vena ingrossarsi in modo preoccupante sul suo collo mentre mi guarda con gli occhi rossi. Non si aspettava una rivelazione del genere? Meglio. Voglio fargli capire che io sarò sempre al suo fianco, qualsiasi cosa accada e qualsiasi casino dovremo affrontare. Non voglio di certo abbandonarlo, soprattutto in questo momento. Cerco di sorridergli nel modo più amichevole possibile, e noto con piacere e sorpresa quanto questo mio piccolo gesto riesce a farlo calmare. «Allora... mi fai entrare?» domando flebilmente, indicando il garage con un cenno del capo.

I suoi occhi si spalancano mentre mi guarda. So di essere stata scorretta a entrare nella sua vita privata in questo modo, ma il mio cuore mi sta ordinando di non andarmene, di non demordere. Ho bisogno di scovare quante più informazioni possibili per poter fare in modo di non lasciare la sua vita andare a rotoli. Lo sento sospirare e annuisce quando alzo lo sguardo verso di lui. Si incammina verso il garage, non prima di aver dato una veloce occhiata a Joan che, dal canto suo, lo saluta semplicemente. Il rosso posa poi gli occhi su di me per qualche istante, riservandomi un occhiolino e un sorriso d'incoraggiamento perché sì, sa quanto sarà difficile per me.


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