Forever Rain

Titolo: Forever Rain

Kim Namjoon non era un ragazzo molto socievole, amava rimanere chiuso nella sua stanza di Sangdo-dong ad ammirare il cielo scuro e nuvoloso, mentre una pioggia incessante continuava a picchiare contro il vetro della sua finestra, quasi a voler bussare e chiedere il permesso di entrare per fargli compagnia.

Per lui sarebbe potuto piovere per sempre, e dopo quel pensiero gli venne da sbadigliare. Era stato tutto il giorno seduto su una poltrona comoda a guardare il cielo, eppure si sentiva stanco, come se avesse lavorato.

Tirò indietro le coperte e si rannicchiò sotto al suo piumone colorato a mo' di galassia.

Si portò il piumone fin sopra il naso, rivolse l'ultimo sguardo della giornata al cielo e chiuse gli occhi, addormentandosi grazie alla melodia prodotta dal suono delle gocce d'acqua che si infrangevano contro l'asfalto.

***

Namjoon si svegliò di colpo a causa di un forte rumore di impatto sul vetro della sua finestra. La sua sveglia non era ancora suonata, ma quando guardò l'orario vide che non mancava tanto alle sei, quindi decise di alzarsi comunque per farsi una doccia e svegliarsi meglio.

Una volta uscito dalla doccia si asciugò, indossò una semplice maglietta nera e dei jeans dello stesso colore e scese al piano inferiore per fare colazione. Sua madre stava preparando le uova e suo padre stava ascoltando il telegiornale, che spense appena Namjoon si fece notare salutandoli.

I signori Kim ricambiarono il saluto del figlio, la madre con un bacio e un biscotto, il padre con una pacca sulla spalla.

Namjoon mangiò il biscotto in un attimo e si avviò verso l'ingresso, depositando nell'armadio le ciabatte da casa e sostituendole con delle converse nere. Afferrò lo zaino, che ritrovò nello stesso punto in cui lo aveva depositato il giorno prima, e circondò la maniglia della porta con una mano.

«Hey, tesoro, dove vai?» chiese la madre.

«A scuola», rispose lui con tono ovvio.

«A quest'ora?»

«Sì, voglio fare un giro.»

«Va bene... prendi l'ombrello, piove da ieri.»

Il moro sapeva che non gli sarebbe servito - più che altro che non l'avrebbe usato -, ma le diede ascolto. Indossò il suo montgomery e uscì di casa senza curarsi dell'acqua che gli stava piovendo addosso. Sembrava quasi che quelle gocce non lo bagnassero, anzi... pareva quasi formassero una specie di scudo trasparente attorno a lui. La pioggia lo proteggeva, così come il cielo notturno. Namjoon infatti non aveva mai avuto paura del buio, neanche da bambino; considerava il buio solo la parte più nascosta delle ventiquattr'ore e ne era incuriosito, anziché spaventato.

Inoltre di giorno il cielo era spoglio... se non per qualche nuvola, era una semplice distesa infinita di un azzurro tenue. Mentre di notte diventava una tela, un lenzuolo nero pieno di puntini bianchi, per non parlare della luna, così luminosa ed elegante. Apprezzava quest'ultima più del sole perché gli piaceva la sua capacità di brillare nonostante non producesse luce.

Quindi, il moro, si ritrovò a camminare di prima mattina sotto la pioggia, per le strade della sua città natale. Si fermò davanti ad un semaforo pedonale, aspettando che il verde scattasse, cosa che successe qualche attimo dopo, ma che il moro non notò perché si era distratto. Si era distratto a causa di una ragazza che stava correndo sotto la pioggia cercando di coprirsi il più possibile con il suo giacchetto di pelle, ma con una pioggia del genere era sufficiente a malapena l'ombrello.

Quando la ragazza stette per attraversare, il moro la chiamò con l'intenzione di darle il suo ombrello, ma lei sembrò non sentirlo. Namjoon, senza neanche saperne il motivo, iniziò ad inseguirla finché non la raggiunse, molti metri dopo. Lei era molto veloce e il ragazzo fece fatica a raggiungerla.

«Hey, ti serve un ombrello?» le chiese cortesemente.

«Non ti conosco neanche, perché dovrei accettare?» rispose la ragazza in modo scontroso, guardandolo negli occhi.

Namjoon, per un attimo, rimase a bocca aperta: quella ragazza lo aveva colpito con la sua bellezza. Capelli neri con delle piccole ciocche blu e viola sparse qua e là, occhi scuri come la pece, resi ancora più scuri dal contorno di eyeliner nero. Indossava una giacca nera di pelle, piena di borchie, e dei pantaloni, anch'essi neri e di pelle. Alle unghie, corte e mangiucchiate, uno strato di smalto nero, un po' rovinato. Sembrava una rocchettara, e forse lo era.

«Hey, ti senti bene?» chiese la ragazza sventolando una mano davanti al viso di Namjoon. Lui ci mise ancora qualche secondo a metabolizzare quello che la ragazza gli aveva detto e fu sul punto di risponderle quando lei parlò ancora.

«Senti, mi stai facendo prendere un sacco di acqua e perdere tempo, quindi se proprio devi dammelo quel cazzo di ombrello.»

Namjoon si riprese del tutto e glielo porse sorridendole. Non sapeva cosa fosse, ma c'era qualcosa in quella ragazza che lo attraeva. Senza accorgersene, iniziò a camminare con lei.

Dopo qualche attimo di iniziale silenzio, la ragazza parlò: «Tu non hai bisogno dell'ombrello?»

Stava per risponderle che non ne aveva bisogno perché la pioggia era la sua migliore amica e che lo proteggeva, ma sarebbe risultato strano. Non si era mai preoccupato di risultare strano agli occhi di qualcuno, ma quella ragazza era diversa. Gli importava della sua opinione, gli sarebbe importato se le fosse parso strano. Quindi si limitò a dire: «No, devo cercare di ammalarmi per saltare una verifica che avrò tra qualche giorno.»

«Anche io ci avevo provato una volta, ma i miei genitori sono delle merde e mi hanno mandata a scuola lo stesso, anche con trentanove di febbre. Dopo quella volta non ho più tentato.»

Namjoon si chiese come si poteva mandare a scuola la propria figlia con una febbre da cavallo, ma poi si ricordò di abitare in Corea, un Paese dove certi comportamenti sono la norma. E dove lo studio e il lavoro vengono prima di qualsiasi altra cosa.

Il ragazzo si accorse dopo un po' che la ragazza aveva diretto i suoi passi verso il centro di Seoul.

«Vivi in città?» chiese alla rocchettara.

«Cosa? Io, vivere in una lurida città piena di persone che ti guardano male qualsiasi cosa tu faccia? No, grazie, sto andando lì per prendere il treno e andarmene.»

«Andartene?»

«Sì, ho deciso di scappare di casa» rispose lei come se nulla fosse.

Se in quel momento Namjoon avesse avuto dell'acqua in bocca, si sarebbe sicuramente strozzato per la sorpresa. Si chiese se la ragazza stesse scappando di casa perché portava rancore ai genitori per quella volta in cui l'avevano mandata a scuola con la febbre...

«Ma poi perché lo sto dicendo a te...?» sputò. «Non so neanche chi tu sia, potresti essere un detective privato ingaggiato dai miei genitori» anche se non penso spenderebbero mai così tanti soldi per me... aggiunse mentalmente.

«Fai bene a fidarti poco degli estranei, ma non pensare male di me, sono un semplice ragazzo uscito da casa con l'intenzione di andare a scuola.»

«E di prenderti un bella broncopolmonite, in base a quanto hai detto prima. Spero solo che i tuoi genitori non siano come quegli stupidi dei miei.»

«Cosa hanno fatto di male i tuoi genitori per meritarsi tutto questo odio da parte tua?»

«Fidati, fanno schifo e basta» rispose fermandosi di colpo. Chiacchierando, erano arrivati in città, e da lì entrarono in un bar per cercare la stazione dei treni su Google Maps.

Nel frattempo ordinarono anche due caffè - che Namjoon si offrì di pagare senza, però, avere successo -, che bevvero in un sorso mentre erano ancora bollenti. Uscirono velocemente dal bar e si avviarono verso la stazione. La ragazza comprò il biglietto di una linea che portasse a Daegu, da sua zia, con la quale era cresciuta perché viveva a Sangdo-dong quando lei era piccola.

Una volta conservato il biglietto nel portafogli che ripose nel suo zainetto, la rocchettara trascinò Namjoon vicino a una panchina, invitandolo a sedersi vicino a lei.

«Non ho ancora capito perché tu mi abbia seguito fino a qui» disse lei guardando i treni che ogni tanto passavano.

«Non ho ancora capito perché tu voglia scappare di casa» ribatté lui, serio. «E poi... hai il mio ombrello» aggiunse sorridendo e indicando l'oggetto che copriva e proteggeva il capo della ragazza dalla pioggia.

«E tu avresti camminato sotto la pioggia fino al centro di Seoul per un ombrello del cazzo?»

«È già la seconda volta che insulti quell'ombrello, ti ha fatto qualcosa?» chiese il moro ridendo.

«No, anzi... mi è stato molto utile, grazie» rispose la ragazza, sorridendo. Finalmente Namjoon fu in grado di vedere il suo sorriso e si concentrò intensamente sulle labbra della giovane incurvatesi per la prima volta in una forma felice. Dicono che sorridere faccia venire le rughe ai lati degli occhi, le cosiddette "zampe di gallina", e Namjoon si mise a contare quante persone aveva conosciuto con quel piccolo particolare. E pensò che dovevano essere persone molto fortunate.
Il ragazzo continuò a guardare intensamente quelle labbra e l'impulso di baciarle si fece largo in lui. Tuttavia riuscì a trattenerlo dentro di sé e rispose: «Non c'è di che.»

Distolse lo sguardo dalla ragazza prima di commettere qualche gesto spontaneo e lo rivolse al cielo. Si rese conto che quella era la prima volta che lo aveva guardato in tutto il giorno, e non era da lui, ma in quel momento la sua attenzione era stata posta da qualcosa di più forte di lui su qualcuno che si trovava sulla Terra.

«Come ti chiami? Sai, detto sinceramente non penso che quest'informazione potrà essermi utile dal momento che sto per andare a vivere a duecentoquaranta kilometri da qui, ma... solo per curiosità.»

«Mi chiamo Namjoon, Kim Namjoon. Tu, invece?»

«Lee Soyon» rispose semplicemente.

Namjoon le rivolse uno sguardo veloce, per poi tornare a guardare il cielo. Pioveva di meno, ma pioveva ancora, e al moro andava più che bene. La pioggia lo faceva sentire al sicuro, per davvero.

«Posso farti una domanda, Kim Namjoon?»

«Chiamami Nam» rispose lui cortese, dandole poi il permesso di porgergli la domanda.

«Perché non hai usato l'ombrello per te stesso?»

Il ragazzo rimase per un attimo senza parole sentendo quella domanda e quando le ritrovò cercò di dire: «Te l'ho detto, io--», ma fu interrotto da Soyon: «Intendevo il vero motivo. Perché non mi vuoi dire la verità?»

«Perché risulterei strano...»

«E cosa ti importa?»

Niente, non me ne importa un bel niente se gli altri mi giudicano male, ma non voglio che tu mi giudichi male, avrebbe tanto voluto tirare fuori quelle parole dettate dal nulla, ma, ancora una volta, si trattenne e rispose: «Perché la pioggia mi protegge, l'ha sempre fatto. È la mia migliore amica, il mio angelo custode, e io non posso scappare da lei nascondendomi sotto un ombrello...»

«E perché consideri la pioggia come la tua "protettrice"?»

«Perché quando piove la gente si fa gli affari suoi, non è impegnata a guardare come si comportano gli altri, o come mi comporto io...»

«È per questo che ami così tanto anche il cielo? Perché la tua protettrice viene da lì...» domandò lei portando il suo sguardo verso l'alto.

«Esattamente. E poi penso che ogni tanto guardare il cielo serva a ricordarci che siamo esseri minuscoli in confronto al Tutto e che dovremmo smetterla di pensarci grandi e vederci per quello che siamo

«Sei un poeta, cazzo.»

«Tu invece sembri una scaricatrice di porto» ribatté lui ridendo, mentre lei gli fece la linguaccia, poi girando la testa dall'altra parte.

«Eh, dai, ridi un po', che in questo mondo ci pensa già il cielo a lacrimare.» disse il moro guardandola e puntando l'indice verso l'alto per mostrarle cosa intendesse con la sua frase. Soyon si voltò di nuovo verso di lui, lo guardò negli occhi - per quelli che sembrarono secoli e che furono, invece, solo pochi attimi - e sorrise.

Stavolta Namjoon non si trattenne affatto: si sporse in avanti e appoggiò le sue labbra su quelle morbide di lei, azzerando le distanze fra i due corpi.

Soyon all'inizio rimase rigida, ma poi si lasciò andare. Dal bacio casto che avrebbe dovuto essere, si trasformò in qualcosa di dolce. Namjoon e Soyon si baciarono come se tra i due ci fosse stato un legame secolare, quando invece si erano conosciuti neanche un'ora e mezza fa.

Si stavano ancora baciando, quando arrivò il treno per Daegu. I due si staccarono, scuri in volto per l'imminente separazione, ma in fondo non si erano innamorati perdutamente l'uno dell'altra, si erano soltanto presi una cotta adolescenziale, che sarebbe passata nel giro di poche settimane.

La ragazza, una volta in cabina, aprì un finestrino del treno, e iniziò a sbracciarsi per salutare il moro, continuando ad urlare il suo nome mentre il mezzo partiva.

«Namjoon! Namjoon! Nam--» il ragazzo si svegliò di soprassalto, davanti a lui la madre che aveva appena finito di chiamarlo.

«Sei in ritardo per la scuola, cambiati e scendi a fare colazione.»

Il moro era ancora frastornato. Si sfiorò le labbra con l'indice, ma... non sentì nulla. Possibile che fosse stato tutto un sogno? Possibile che se lo ricordasse comunque così bene? Possibile che il suo cervello fosse stato in grado di introdurre così tanti dettagli in un film prodotto dal suo subconscio?

Evidentemente sì, era possibile. Senza dire una parola Namjoon si avviò verso il bagno, fece una doccia veloce e poi si vestì. Non badò molto al suo outfit, aveva ancora la testa fra le nuvole.

Quando scese di sotto, vide la madre che stava lavando i piatti della colazione e il padre che fumava la pipa mentre guardava la TV.

«Ciao, mamma. Ciao, papà» disse entrando in cucina.

«Ciao figliuolo» rispose il padre facendo poi un tiro di pipa.

Namjoon si sedette davanti alla sua tazza di latte caldo, al quale lato si trovavano delle fette biscottate con un sottile strato di marmellata ai mirtilli sopra.

Il ragazzo era ancora perso nei suoi pensieri quando captò qualcosa dalla televisione. Il padre stava guardando il telegiornale, sul quale stavano dando la notizia di una ragazza scomparsa. I pensieri di Namjoon raggiunsero subito il nome Lee Soyon, finché non sentì proprio quel nome e non vide una sua foto comparire sullo schermo del televisore.

Un'irrefrenabile voglia di incontrare la ragazza, spinse Namjoon a tornare al semaforo al quale l'aveva vista per la prima volta, nei suoi sogni.

Corse verso l'ingresso, si infilò le scarpe velocemente lasciando le ciabatte da casa sul pavimento e non prese neanche lo zaino. Salutò i genitori, afferrando il cappotto quasi in corsa e si mise a correre verso quel semaforo.

Quando lo raggiunse, all'inizio non c'era nessuno, ma aspettò finché non vide una sagoma sfocata correre verso di lui, per poi svoltare e attraversare.

La ragazza, mentre correva, cercava di ripararsi dalla pioggia con il suo giacchetto di pelle e Namjoon capì che era lei.

Partì all'inseguimento, finché non la raggiunse, pronto a rifare tutto da capo. Con una sola eccezione però... stavolta non l'avrebbe lasciata andare via.

THE END

conclusa alle h 1:53 AM (+ aggiunta delle 9:41/9:42 AM)
revisione conclusa alle h 22:12 PM
iniziata il giorno: 08/09/2019
conclusa il giorno: 11/09/2019
parole: 2495 (solo storia)
parole: 3058 (totali)

Spazio Autrice

ciao ARMY! spero che questa os sul nostro leader vi sia piaciuta. ci ho lavorato davvero tanto e scriverla per me è stato bellissimo!
spero che vi regali le stesse emozioni che ha regalato a me :)

detto questo, buon compleanno kim namjoon, e baci a tutte.

qui sotto vi lascio lo speciale!

*SPECIALE*

Caro Kim Namjoon,

finalmente anche il tuo compleanno è arrivato.

Non sai quanto io abbia aspettato questo momento, non sai con quanta gioia io abbia aspettato di poter finalmente scrivere i sentimenti che provo per te.

Prima di tutto: il giorno del tuo compleanno ha reso il rientro a scuola uno dei sette giorni più felici della mia vita, ma parliamo di cose serie...

Hai una voce fantastica e le canzoni che scrivi sono poesia. Solo qualche giorno fa ho ascoltato per la prima volta Moonchild, ma è diventata subito la mia canzone preferita tra quelle del tuo album. L'ho capito alla prima frase, quando solo con poche parole mi avevi già provocato una scarica elettrica che si è propagata in tutto il mio corpo.

Mi hai distrutto tutti i feels che avevo con la tua voce e i tuoi testi, e quando mi ricapita di leggerli mi viene da piangere dall'emozione. Hai una voce unica, e uno stile tutto tuo che mi piace molto.

Durante queste vacanze sei venuto in Italia, eri in Veneto e poi a Milano, molto vicino a me... potevo quasi sentire il tuo battito cardiaco, e a proposito di questo... anche Heartbeat mi distrugge i feels, soprattutto la tua parte.

Le tue parti nelle canzoni, sia che siano intro sia che si trovino in mezzo o alla fine, sono quelle che aspetto più volentieri ed è perché, come ho già detto, la tua voce è unica.

Inoltre hai un carattere fantastico, da vero leader, ma anche da ragazzo tenero e dolce. Vuoi bene ai tuoi fratelli e lo dimostri in tutto, si vede, ma si vede anche da come loro si comportano con te: bene. E questo fa capire che avete un legame forte.

La tua voce non è bellissima solo quando canti, ma anche quando parli e basta (sì, le due cose non sempre viaggiano insieme). Ogni volta che ti sento parlare penso: "ma questo chi è, un dio?" E poi amo la pronuncia che hai quando parli inglese, ti fa sembrare ancora più sexy e stimo il fatto che tu sia riuscito a imparare una lingua completamente da solo, come piacerebbe fare a me.

Certo, io non ho centoquarantotto di quoziente intellettivo, ma se seguirò il tuo esempio sono sicura che ce la farò.

Kim Namjoon, hai reso il mio 2019 un anno fantastico, non solo con le tue canzoni, ma anche con la tua presenza. Il semplice fatto di averti conosciuto mi ha resa felice.

Inoltre mi ritrovo molto nelle cose che scrivi nei tuoi testi, soprattutto Forever Rain. Sai una cosa? All'inizio non mi piaceva neanche troppo, e ora ci ho scritto una storia. Perché alla fine il testo mi ha convinto e ho rivalutato l'interpretazione che le hai dato. Una canzone davvero stupenda, credici.

Ti amo Namjoon, spero di dimostrartelo appena avrò la possibilità di venire ad un vostro concerto.

Auguri piccolo, buon anno e grazie ancora di tutto, ti amo <3

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