Capitolo 18: La vita segreta di Andrew




AVVISO AI LETTORI: "questo capitolo segna una sorta di punto di rottura con i precedenti. Conoscerete infatti 2 nuovi personaggi, verrete catapultati nei meandri di una racconto romance, accattivante e dalle venature thriller, una scelta che può sembrare strana dopo quando è accaduto a Michael e Adam nella precedente pubblicazione, ma ho pensato che per smorzare i toni e per arricchire il racconto, c'era bisogno di un qualcosa di nuovo. Da questo momento prenderà inizio una storia parallela che si incrocerà nella maniera più inaspettata possibile a quella di Michael. Una storia dunque che, per i prossimi 3-4 capitoli, si alternerà a quella di Michael, Adam ed ovviamente anche a quella di Chris. Ed ora, siate pronti a conoscere Andrew?"

C'era una macchia di sangue sul cuscino del divano. Era impercettibile, si vedeva appena, si confondeva con il colore del tessuto, eppure Andrew la riusciva a vedere indistintamente. Forse perché conosceva ogni dettaglio, ogni centimetro di quella villetta alle porte di Harlem, oppure era la sua paranoia a parlare. La macchia di sangue era lì, prova inconfutabile di quello che è avvenuto in quella casa tre giorni fa, un evento tragico, guidato dalla rabbia, dall'ignoranza di una persona che ancora non capisce che, essere omosessuali oggi, non deve più un fattore di discriminazione. Il ricordo di quanto è accaduto era ancora fresco in lui, ma Andrew non riusciva a pensare ad altro, a quella macchia di sangue sul cuscino, a quella piccola prova che lo avrebbe messo sotto processo, che avrebbe permesso al detective Justin Cornell, di indagare sulla scomparsa di suo fratello. Non voleva arrivare a questo, doveva nascondere anche questa piccolo dettaglio e così poteva essere al sicuro, andare avanti con la sua vita e magari riuscire ad entrare nei pantaloni del sexy detective dai profondi occhi azzurri.

Andrew era un ragazzo come tanti, fisico mingherlino ma si notavano un paio di bicipiti sodi e muscolosi, aveva 25 anni, era senza lavoro e cercava di farsi strada nel mondo del giornalismo di oggi. Aspettava con impazienza una chiamata dal capo servizio di Vogue America, forse avrebbe potuto prendere parte ad uno stage di formazione in quella redazione così prestigiosa, forse non era detta l'ultima parola, forse poteva finalmente realizzare i suoi sogni.

Era un tipo solitario, di poche parole, non usciva quasi mai se non con la sua vicina di casa per andare al cinema, non aveva un amico, non aveva un fidanzato, la sua vita la viveva attraverso lo schermo di un PC. Ecco perché sapeva vita, morte e miracoli di tutte le star di Hollywood, e molto spesso questa sua conoscenza è stata indispensabile per alcune testate giornalistiche, che alla fine hanno però sfruttato le sue qualità per poi gettarle nella spazzatura. Ecco perché sperava che la redazione di Vogue lo richiamasse al più presto, poteva essere un modo per non pensare a quello che era successo, a quell'orribile gesto che ha – nel bene o nel male – cambiato la sua vita.

Andrew era belloccio, sapeva di essere un ragazzo carino, aveva uno sguardo penetrante, poca barba ed un taglio di capelli alla moda a cui teneva molto. Eppure a causa della sua situazione familiare, ha dovuto dire no all'amore, e rifugiarsi in mondo asettico, popolato di film porno ed autoerotismo. Si, era da troppo tempo che la mano di un uomo non lo sfiorava, ma non voleva rompere l'idillio che si era creato con il fratello.

Enrik, questo era il suo nome, si è preso cura di lui dopo che i genitori sono morti in un incidente d'auto, ha dovuto mettere da parte le sue aspirazioni per permettere di far vivere ad Andrew una vita dignitosa. Questo però lo aveva incattivito, lo ha reso una persona perennemente nervosa e povera di sentimenti. Enrik sapeva che suo fratello era omosessuale, ma non ha affrontato l'argomento di petto, ha sempre evitato il discorso, fino a quando Andrew ha deciso di farlo e la discussione è finita in tragedia.

Forse anche Andrew si era incattivito, forse era diventato egoista, ma non riusciva più a vivere in quello stato, continuando a mentire, ad essere deriso, ad anteporre la sua felicità per nascondere il suo vero Io. Il coltello che era in cucina aveva fatto la cosa giusta, aveva agito spinto dalla furia di Andrew ed, in poco tempo, le urla e le imprecazioni erano finite. Non fu versata una lacrima, Andrew ha pensato solo a nascondere il cadavere, a pulire tutto, a nascondere ogni prova e... iniziare a vivere.

Sorseggiava un caffè di fronte al patio, con uno sguardo rivolto a quella dannatissima macchia di sangue e con un altro rivolto al suo piccolo giardino, mentre cercava di mettere ordine fra i suoi pensieri. Era una giornata uggiosa in quel di New York, l'afa era passata ma c'era una forte umidità tanto da bagnare le strade e renderle scivolose. Quel giardino era la tomba di Enrik, ai piedi di quel grande albero piantato anni fa da suo padre. Sapeva che era un nascondiglio temporaneo, ma fino a quando non si sarebbero calmate le acque, Andrew poteva tenere a bada il grande acume del detective Justin Cornell.

Si era invaghito di quel detective, di quell'uomo sulla quarantina così bello, così dolce che, prima di tutto lo ha consolato e lo ha rassicurato. "Troveremo tuo fratello, Andrew. Farò tutto il possibile".

Se solo sapesse che il fratello era morto, colpito da un fendente mortale, tutto sarebbe cambiato, ma tre giorni dopo il fattaccio, la polizia non aveva nessun sospetto, nessun indizio su cosa fosse successo.

"Sono 24 ore che non lo vedo tornare a casa. Sto in ansia" aveva mentito Andrew al telefono.

Dovette denunciare il fatto alla polizia, raccontare che era rimasto tutto il giorno a casa da quando il fratello era uscito per recarsi al lavoro. Andrew è stato furbo nell'aver distrutto il suo cellulare, si averlo seppellito insieme ad Enrik, di aver lasciato tutte le sue cose in ordine e di non aver toccato le carte di credito. Avrebbe fatto credere che fosse sparito nel nulla senza un motivo, forse a causa del peso che portava dentro fin dalla morte dei genitori, nessuno avrebbe potuto pensare che in quella casa si sarebbe consumato un macabro omicidio.

Andrew continuava a sorseggiare il caffè e la sua mente vagava, cercava di ricostruire tutto quello che è accaduto negli ultimi 3 giorni, pensava solo ed esclusivamente al detective Cornell, voleva rivederlo, guardarlo di nuovo negli occhi, ma sapeva che non poteva chiamarlo, avrebbe dato nell'occhio e non pensava minimamente di voler cadere nella lista dei sospettati. Eppure non riusciva a togliersi dalla mente il viso di quel detective tanto dolce quanto attento. Andrew sapeva che la sua giornata sarebbe trascorsa così, fra dubbi, incertezze ed una telefonata che forse non sarebbe mai arrivata, per questo il ricordo del detective Cornell, lo avrebbe mantenuto con i piedi per terra, avrebbe impedito di perdere il lume della ragione.

La coscienza stava per bussare alla porta di Andrew, ma il ragazzo non voleva in nessun modo cadere in una spirale di commiserazione. È vero aveva ucciso suo fratello, l'unico parente che gli era rimasto, ma si era meritato di morire, era una persona cattiva e senza il benché minimo senso dell'amore. Andrew ha fatto la cosa la giusta ed ora, deve solo trovare un modo per andare avanti, vivere da solo e soprattutto trovare un lavoro, così Enrik avrebbe capito che lui non è un 'frocio buono a nulla'.

Erano quindi appena le 10 di mattina nel momento in cui Andrew cercava di trovare un senso a tutta questa follia. Si sedette al PC, controllò la mail nella speranza di ricevere qualche notizia importante di un lavoro che non c'è, ma istintivamente, andò a sbirciare la bacheca Facebook del detective Cornell. Era bloccata, chiusa, solo chi gli era amico poteva vedere le sue foto, poteva conoscere i suoi segreti.

"Però ha un cazzo di sorriso che fa sbarellare il cervello" pensò Andrew mentre cliccò sulla foto profilo. Non riusciva a pensare ad altro, non riusciva a credere il che detective che stava indagando sull'apparente scomparsa del fratello, gli aveva riattivato il cuore, gli aveva dato conforto, seppur in minima parte, gli aveva fatto credere nella bontà umana, una bontà che Andrew aveva dimenticato. Ma non poteva anzi non doveva provare un sentimento verso quel detective, anche se era molto affascinate, doveva reprimere questa attrazione o la situazione sarebbe sfuggita di mano.

Ricorda che ha aspettato più di 24 ore prima di chiamare la polizia e denunciare la scomparsa di Enrik, in questo frangente ha nascosto il cadavere in giardino, ha distrutto il cellulare del fratello ed ha ripulito casa, facendo scomparire ogni traccia del delitto, tranne quella macchia sul cuscino del divano. Poi tutto è avvenuto troppo in fretta, tutto cominciava a diventare reale ed Andrew, mentre rammentava il primo incontro con Justin Cornell, andava quasi in fibrillazione.

Si presentò di pomeriggio tardi a casa di Andrew. Aveva un viso serio e contrito, ma i suoi occhi azzurro cielo, facevano trasparire un animo buono e gentile. Era alto, molto alto, era un uomo sulla quarantina con i qualche capello grigio, aveva la barba incolta ed indossava un completo blu scuro, una camicia bianca ed una cravatta in tono con il colore del vestito. Era stanco, lo si vedeva dalle occhiaie, ma a quanto pare era ligio nel suo lavoro.

"E' il signor Palmer?" disse con un tono deciso

"Si, sono io" rispose titubante Andrew

"Sono venuto a farle qualche domanda in merito alla sparizione di suo fratello, la mia collega lì fuori ha preso la chiamata"

"Ma certo, la prego si accomodi"

"Dammi pure del tu" sorrise Justin.

Andrew lo fece accomodare in salotto, vicino al divano incriminato, preparò una tazza di caffè e la offrì al detective

"Non ha ricevuto nessun contatto nelle ultime 24 ore?"

"No detective, sono un po' preoccupato. Ieri aveva il turno serale a lavoro ma non è più tornato"

"E dove lavora suo fratello?"

"Allo Starbucks qui in zona" disse Andrew. Aveva collegato tutto, sapeva che Enrik era andato via da lavoro, che era tornato a casa e poi era morto fra il salotto e la cucina.

"Vivevate da soli?"

"Si, i nostri genitori sono morti più di 10 anni fa a causa dell'uragano Katrina. Erano in visita da alcuni parenti"

"Sono desolato" disse il detective e guardò fisso Andrew negli occhi.

"Grazie, ma per fortuna siamo andati avanti"

"Aveva amici, nemici?"

"Non saprei, usciva poco. Essendo che io ancora non ho trovato lavoro, era lui che badava a tutto"

"Doppiamente desolato"

"Dovrei avere una risposta a breve ma ora come ora sono un po' preoccupato per mio fratello" fingeva Andrew

"Diramerò una segnalazione, farò tutto il possibile per ritrovare suo fratello. Se hai dubbi, domande o altro non esitare a chiamarmi" disse il detective mentre gli porgeva il suo biglietto da visita. "Dietro c'è il mio numero personale. Non esitare a chiamare anche se ti vuoi sfogare. Sono desolato per quello che ti è successo" e poi posò una mano sulla spalle di Andrew. Entrambi si guardarono intensamente di nuovo. Il cuore di Andrew stava battendo all'impazzata.

"Grazie Detective"

"Chiamami Justin" e si diresse verso la porta.

Andrew lo salutò con un sorriso, ma non si espose troppo, non voleva dare l'occhio.

"Dico davvero Andrew, senza nessun problema. Chiamami quando vuoi" e gli mise di nuovo la mano sulla spalla.

Andrew rimane sull'uscio senza dire nulla, continuò a seguire Justin con lo sguardo fino a che non sparì in fondo alla strada. Chiuse la porta alla sue spalle e con le lacrime agli occhi tirò un sospiro di sollievo.

Il suno del suo cellulare lo fece tornare alla realtà. Andrew trasalì, solitamente il suo telefono non squillava mai. Fece una corsa in soggiorno ma non fece in tempo a rispondere. Sul display apparve un numero che non conosceva, ma la curiosità era troppa, poteva essere la redazione di Vogue, poteva essere chiunque, così Andrew compose il numero ed aspettò.

"Salve Andrew, sono il detective Justin Cornell"

Rimase senza parole, interdetto, con lo sguardo fisso nel vuoto "Ora ti stavo pensando, ora stavo ricordando il tuo sguardo su di me" pensò fra se e se

"Buon giorno Justin, scusami non ho fatto in tempo a risponde"

"Credevo non fossi in casa"

"Purtroppo sono sempre qui. È successo qualcosa?" la voce di Andrew tremò.

"No, mi spiace non ci sono novità. Ho diramato le segnalazioni ma sembra che suo fratello sia scomparso nel nulla come una nuvola di fumo"

Andrew non riuscì a parlare

"Domani sera comunque sono in zona Harlem, più o meno. Ti posso invitare per una cena? Un panino nulla di che" disse Justin

"Ti ringrazio ma..." Andrew era ancora senza parole, non sapevo cosa rispondere. Era un atto di cortesia questo oppure un tranello?

"Sei solo da tre giorni, sei un po' giù. Volevo soltanto conoscerti meglio magari per avere più informazioni su Enrik, per l'indagine" tergiversò Justin

"Sei così gentile" ed Andrew si mise subito la mano davanti la bocca come pentito di quello che aveva appena detto.

"Allora ci sei per domani? magari ti distrai un po' invece di rimanere sempre attaccato al telefono"

"Ok però non voglio approfittare della tua ... gentilezza"

"E' una brutta faccenda, Andrew. Capisco come ti puoi sentire..."

"Mi capiva, perché questo legame?" si domandò Andrew"

"... ci vediamo alle 8 al Burger King vicino al parco"

"Non è una zona raccomandabile la sera" disse Andrew

"Ci sono io, non preoccuparti. Ora devo andare" è Justin riattaccò.

Andrew rimase senza parole. Il detective che stava indagando su i suoi segreti lo aveva inviato ad uscire, ma allora anche Justin era gay? oppure era un'uscita disinteressata per conoscere qualche dettaglio in più sulla faccenda? Non sapeva cosa pensare, non aveva più la forza di fare niente erano appena le 10 di mattina.

"Che sarà mai, un panino, una coca cola e poi dritto a casa. Non è detto che Justin mi vorrà arrestarmi ... ma in caso mi può ammanettare al letto" pensò Justin.

Abbozzò un sorriso, salvò il numero in rubrica e poi andò in cucina a versarsi un'altra tazza di caffè. Non voleva più ragionare sulla questione, aveva depistato il detective in maniera ottimale – o almeno così pensava – nessuno poteva immaginare del litigio avvenuto qualche sera fa, nessuno avrebbe fatto caso alla terra dissotterrata in giardino, nessuno avrebbe notato quella macchia di sangue sul cuscino, Andrew era in una botte di ferro.

Gli faceva strano che i rimpianti per il gesto che ha compiuto non si erano presentati, non avevano bissato alla sua porta, a quanto pare uccidere Enrik era la cosa giusta da fare, la persona da sacrificare per dare una svolta alla sua intera esistenza.

Continua...

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