Capitolo 3:Tra gli umani


Uscirono in ritardo da casa, e per questo si ritrovarono a pedalare all'impazzata per strada con le loro bici nell'ora di punta delle scuole. A poca distanza dalla New Hanover High School si trovavano, infatti, una scuola media e due elementari provviste anche d'asilo.

Il traffico perfetto per arrivare in ritardo già il primo giorno.

Per fortuna Gabe si era portato una piccola piantina della cittadina, ed era lui a scegliere la strada più veloce da fare per raggiungere al più presto la loro destinazione.

«Perché dobbiamo andare in bici a scuola e non con quei tranvicoli a due e quattro ruote? Sembrano senz'altro più comodi e meno faticosi da usare rispetto a...queste»protestò Annabel con il fiatone staccando per un attimo le mani dal manubrio, e indicando seccata la sua bici a fiori.

Gabriele sorrise compiaciuto.«Non sei tu che hai l'abitudine di fare una bella sudata di primo mattino Ann? E comunque non usiamo né la moto, né l'auto perché inquinano il pianeta. La bici è ecologica»le spiegò pazientemente tra una pedalata e l'altra.

«Ma ci vorrà un'eternità ad arrivare».

«Ma noi Angeli siamo abituati all'eternità, non credi?»domandò Gabriele in tono sarcastico.

Annabel mise su il broncio.«Ah. Ah. Molto spiritoso Gabe. Davvero una battuta divertente».

«E inoltre»continuò imperterrito Gabe gettandole un'occhiata derisoria.«Non avevi altro da metterti?»

Annabel indossava un vestito bianco con molti fiocchi, che la faceva sembrare una bambola di porcellana da collezione. Non proprio la tenuta adatta per andare in bici.

«È il mio vestito preferito Gabe. E andrebbe benissimo se andassimo in auto»replicò lei piccata. «E poi chi sei tu per criticare il mio vestiario? Non sei neanche te il massimo dell'eleganza».

Gabriele indossava una camicia a mezze maniche azzurra, un paio di jeans tutti tagliuzzati e un paio di sneaker blu.

«Ma sto molto più comodo di te sicuramente. E ora smettila di frignare. Siamo arrivati»replicò secco Gabe, chiudendo la cartina senza perdere l'equilibrio.

La scuola si stagliò davanti ai loro occhi.

Non era un edificio particolarmente alto, solo tre piani, ma tutto sommato carino. A base rettangolare, era di un rosso mattone e panna pieno di finestrelle. Si accedeva all'interno grazie a un portone bianco e a due scalinate laterali in marmo.

Gabriele rimase a bocca aperta. Era sempre stato affascinato dall'arte umana. E ne aveva viste di cose. Con i cinquecentocinquanta anni che aveva, ne aveva viste eccome, anche se la maggior parte sui libri.

Parcheggiarono le bici nell'area riservata.

Intorno alla scuola si estendeva un prato verdissimo tappezzato da pratoline profumatissime, su cui stavano seduti comodamente gruppi di ragazzi e ragazze. Doveva esserci anche un cortile dietro la scuola dove si poteva passare il tempo delle ore buca e l'intervallo pranzo che, secondo l'opuscolo che presentava la scuola che aveva trovato poggiato sul tavolino di vetro del soggiorno (sicuramente lasciato da Michael per conoscere meglio il luogo in cui avrebbe investigato e eh si, portato avanti la missione), presentava nel suo centro un'immensa quercia secolare. Calò un silenzio innaturale quando i loro futuri compagni li notarono. In quella scuola sembrava non essere obbligatoria la divisa, e per questo ognuno era vestito come più gli piaceva. Gabe notò diversi stili mischiati tra loro:i dark, i punk, gli studenti e le studentesse modello, gli sportivi, le cheerleader, i casual. Una moltitudine di originalità e differenze coloravano quella nuova mattinata di scuola.

Sentendosi troppi sguardi incuriositi puntati addosso, si sbrigarono a entrare nell'edificio. Dentro era molto simile all'esterno. Anche lì regnava il rosso mattone e panna, il tutto assemblato in uno stile vittoriano elegantissimo.

Si avviarono in segreteria dove trovarono la segretaria, una donna di mezza età con gli occhiali poggiati sulla punta del naso a uncino, ed eleganti capelli corti castano scuro, trattenuti disciplinati con una tonnellata di lacca, davanti al monitor di un computer antiquato. Pur sembrando concentrata sul suo lavoro, aveva un'aria afflitta, il volto contratto in una smorfia di dolore. Teneva le labbra contratte come chi sta trattenendo le lacrime, riuscendo però a mantenere un certo contegno.

Gabriele si proruppe in un colpetto di tosse per attirare l'attenzione della donna, che alzò gli occhi dal suo lavoro.

«In cosa posso esservi utile?»

La sua voce era un po' roca, forse dal continuo urlare contro gli studenti "maleducati", o come una che aveva pianto di recente.

«Siamo Gabriele e Annabel Cortés».

«Oh»esclamò la segretaria, come ricordatosi improvvisamente di una cosa importante.

«Oh certamente. Benvenuti alla New Hanover High School. Mmm...»disse poi picchiettando le unghie smaltate sulla tastiera.«Qui dice che sei Gabriele Cortés Altamirano». Guardò negli occhi Gabe.«Devo confermare tutti e tre i nominativi?»

«Preferisco solo Gabriele Cortés»rabbuiandosi un attimo appena al ricordo del padre, ma si riprese in fretta.

La segretaria annuì, modificando i suoi dati.«Ho fatto le modifiche opportune, molto bene. E voi? Siete solo Annabel Cortés?»domandò rivolta ad Annabel.

Ann si strinse il labbro. Pur trovando il cognome Cortés molto bello, le seccava il fatto che non poteva usare il suo, Duport, una delle poche cose che rammentava di sé.

«Si»rispose frettolosamente, stringendo i denti.

La segretaria confermò i dati dei due ragazzi in un batter d'occhio.

«Fatto. Spero che vi troverete bene qui. Ecco. Queste sono le vostre combinazioni del lucchetto dei vostri armadietti, e questo l'elenco delle vostre lezioni».

Detto questo tornò al suo computer.

«Tipino simpatico la segretaria, eh Gabe?»commentò Annabel in tono sarcastico, non appena si furono allontanati dalla postazione della donna.

«Non essere severa con lei»la rimproverò Gabriele.«Tod Brown è suo nipote. Era»aggiunse serio.«È ancora scioccata per quello che è successo la scorsa notte».

«Come lo sai Gabe?»

Il ragazzo la guardò sorpreso.«Non hai letto nel suo animo il dolore che sta provando?»

Era sempre stata una sua caratteristica innata quella di percepire la sofferenza altrui, a volte soffrendo con loro, soprattutto quando si trovava imponente di fronte al loro dolore. Ma questo accadeva prima che si chiudesse in se stesso, escludendo dalla sua vita ciò che lo circondava, sia quando era vivo, sia da quando era morto diventando un Angelo. Fino a quando, dieci anni prima, aveva deciso di debellare il muro che aveva eretto tra sé e il resto.

Annabel scrollò le spalle.«Non ho fatto caso»rispose, gettando poi un'occhiata al foglio che reggeva tra due dita, facendo una smorfia di disappunto, mentre poi lo piegava in quattro.

«E comunque»continuò la ragazza«non avremo né l'armadietto vicino...». Gli sventolò il foglietto a un soffio dal viso del compagno.

«...né le lezioni in comune. Peccato. Sentirai un mondo la mia mancanza»concluse per lei Gabe.

Annabel sentì un tuffo al cuore, ma cercò di rimanere impassibile.«Certo. Sarà così quando gli asini voleranno, caro mio Gabrieluccio. Ci si vede a pranzo. E mi raccomando, sii puntuale». Lo salutò con la mano come una bambina impertinente, e sparì tra i ragazzi urlanti.

Gabriele si mosse a fatica tra la calca di studenti per raggiungere l'armadietto metallico che gli era stato assegnato, che trovò dopo aver svoltato per due volte. Non appena lo raggiunse, lo fissò disorientato.

E adesso come faceva ad aprirlo?

Si guardò attorno confuso. Notò che molti ragazzi facevano ruotare delle piccole rotelle con dei numeri incisi sopra, con movimenti precisi. Dopo aver compiuto la procedura per tutte e tre le rotelline, il lucchetto si apriva magicamente. Aprì il foglio che gli aveva dato la segretaria, trovandoci appuntato in alto un codice a tre cifre: 545.

Gabe scostò lo sguardo dal codice al lucchetto, e poi di nuovo al codice. Che fosse il codice che doveva usare, pensò. Valeva la pena tentare. Come aveva visto fare dagli altri ragazzi, ruotò le rotelline nella sequenza che aveva. Il lucchetto si aprì ubbidiente, e Gabe poté così aprire il suo armadietto. L'interno presentava una sbarra di metallo con attaccate delle grucce da bucato per la giacca, un ripiano superiore dove riporre i libri e i quaderni che avrebbe dovuto recuperare ad ogni cambio dell'ora e una nicchia in basso dove infilarci la borsa con dentro la tenuta da ginnastica.

«Maledetto lucchetto»sentì una voce imprecare alla sua sinistra. Apparteneva a un ragazzo dai capelli ricci castani, occhi scuri e carnagione olivastra, intento a picchiarsi con il lucchetto che non ne voleva sapere di collaborare.

«Aspetta»intervenne Gabe.«Dammi la tua combinazione». Ora che aveva capito il trucchetto, lo trovava quasi divertente.

Il ragazzo lo fissò per un po', ma alla fine si decise a bofonchiarla poco convinto.

Gabe ci mise pochi secondi, e l'armadietto si aprì con un cigolio.

«Ecco fatto».

Il ragazzo si aprì in un sorriso cordiale.«Grazie. Mi chiamo James Evans»si presentò, porgendogli la mano.

«Gabriele Cortés. Gabe per gli amici»rispose restituendo la stretta.

«Sei nuovo?»

«Mi sono trasferito qui da pochi giorni».

"Per la verità sono sceso dal Paradiso usando il teletrasporto celeste. Ah, e ti ho già detto che sono in missione per salvare vite umane dal male in persona?"

La verità risuonava anche a lui molto simile a una barzelletta e, a pensare in questo modo alla situazione a cui doveva far fronte, lo faceva sentire quasi un supereroe, cosa che senz'altro non era vera.

«Forte. Da dove vieni?»

Gabe ebbe un vuoto di memoria. Eppure aveva ripassato tutte le informazioni quando si stava rilassando nella vasca neanche un'ora prima.

"Da dove hanno deciso che veniamo io e Ann?" pensò, cercando di riportare a galla un nome, mentre attaccava con dello scotch, che aveva gettato velocemente nello zaino la sera prima mentre preparava la cartella ancora scombussolato e spaesato, nell'anta interna, l'orario delle sue lezioni per averlo sott'occhio, ostentando indifferenza.

Sul volto di James cominciò a dipingersi una sorta di dubbio.

«Da Barcellona»esclamò Gabe, nominando la prima città che gli era venuta in testa. La mente, però, gli aveva giocato un brutto tiro. Era proprio da lì che veniva, prima di diventare un Angelo. Michael, per non risvegliare in lui ricordi dolorosi, aveva scelto si una città spagnola, ma Valencia. Urgeva chiedere al fratello di fare una piccola modifica al luogo da cui, stando alla copertura, venivano.

Gli occhi di James scintillarono dall'emozione.«Io adoro la Spagna. Mi insegneresti un po' di spagnolo?»

Gabe scrollò le spalle.«Perché no?».

Per fortuna gli aveva chiesto di insegnargli la sua lingua madre. A differenza degli altri Angeli, non conosceva tutte le lingue del mondo com'era invece tenuto a fare. Cinese, tedesco, russo erano per lui arabo.

«Mmm...come si dice:"Ciao amico, come va?

«Hola amigo, como te vas?»

«Wow che forza! Mi insegnerai altro?»

Gabe sorrise.«Certo, amico. Ma non adesso. Prima però dovrei raggiungere la biblioteca, per recuperare i libri che mi serviranno».

«Ti accompagno io. Non è lontana».

Zigzagarono tra i ragazzi intenti a raggiungere le proprie aule.

«Come mai hai scelto di venire proprio qui a Wilmington? In genere la gente tende a fuggire da qui, perlomeno in questi ultimi tempi»domandò James con curiosità.

Gabe sentì il cuore accelerare. Non poteva certo dirgli tutta la verità.

«Volevo trovare una città tranquilla e per nulla caotica, e l'occhio è caduto qui». Odiava mentire, ma non poteva far altrimenti. Metterlo a conoscenza della verità non avrebbe fatto altro che metterlo nei guai.

James di tutta risposta, si proruppe in una debole risata triste.

«Hai scelto senz'altro il momento sbagliato per venire qui Gabe. Quando mi sono trasferito io due anni fa, ti avrei senz'altro dato ragione. Non c'è paragone di quiete con la città da cui provenivo».

«Perché? Da dove vieni?»

«Washington. E credimi se di dicessi che lì si che a volte non si viveva tranquilli»ribatté facendogli l'occhiolino.

Distolse, poi, lo sguardo.«Si, si viveva bene qui, finché non sono cominciati gli omicidi».

Prese fiato.«La prima è stata Claire, una mia compagna di classe. Un tipo ordinario, una ragazza con la testa a posto ecco. Forse l'avresti conosciuta, ma è morta a inizio Settembre».

Fissò Gabe negli occhi tristemente.«Stava tornado a casa dopo essere stata da un'amica, ma non arrivò mai. La mattina dopo la trovarono a pochi isolati, a terra nel suo sangue e con le vene tagliate. Idem è stata la sorte di altre due ragazze, se non erro del terzo anno. Non ricordo bene, le conoscevo solo di vista, in fondo Wilmington non è di certo una metropoli».

Alzò le spalle sconsolato.«Poi sono arrivate le vittime maschili: Bill, l'ex caposquadra nella nostra squadra di football, i Wildcats, ora sostituito da Raulf».

«Chi è Raulf?»

James lo fissò compassionevole.«Lo incontrerai, se avrai lezioni in comune con lui. Lo riconoscerai subito».

Gabe annuì.«Continua a raccontare».

E James continuò:«Il secondo è stato Charlie, il mio vicino di casa, di un anno in meno di noi. E infine Tod. Tutti e tre frequentavano il Feuer Bar».

Quel nome fece rabbrividire Gabe dalla testa ai piedi.

«Che nome lugubre»commentò arricciando il naso.

«Credimi, oltre ad avere un nome che mette i brividi, è un posto quasi spettrale in cui è meglio non metterci mai piede. Ah, siamo arrivati...»

Non appena misero piede nella stanza, il cuore di Gabriele perse un battito. Se esisteva un Paradiso ulteriore a quello da cui veniva, doveva avere senz'altro le sembianze di una biblioteca.

Enormi scaffali traboccanti di libri troneggiavano su di loro. Appesi su ognuno di essi c'erano cartigli in pietra somiglianti a pergamene che identificavano le materie trattate dai libri lì riposti.

Fu la voce di James a riscuoterlo.

«Vieni Gabe. La signora White ci potrà essere d'aiuto».

Si avvicinarono in silenzio a quella che doveva essere la bibliotecaria, la signora White. Era la classica donna che ci si poteva aspettare a mettere in ordine libri:pelle olivastra, capelli castani con ciocche argentee, occhi grigi dietro a un paio d'occhiali dalla montatura rossa. Vestita in stile anni 70' sembrava uscita direttamente da un romanzo.

«Mhm...Signora White?»

La donna alzò gli occhi dal libro che stava leggendo.

«Evans, le devo ricordare che deve restituire un libro di Anatomia Generale e Il Codice da Vinci già da una settimana?»gracchiò. Si vedeva lontano un miglio che era un'amante della puntualità.

«Glieli farò avere al più presto»si scusò James. «Oggi ho solo accompagnato il mio amico».

La donna annuì, posando lo sguardo sul ragazzo al suo fianco. «Tu dei essere il nuovo arrivato, Gabriele Cortés. Tieni. Qui c'è la lista dei testi di cui hai bisogno».

Gli porse un foglio su cui erano elencati i testi che gli sarebbero serviti per le diverse materie. Come la segretaria non aggiunse altro, e s'immerse nuovamente nella lettura.

«È un tantino acida, ma ci farai l'abitudine Gabe»lo rincuorò James quando raggiunsero gli scaffali.

«Accidenti»esclamò all'improvviso Gabriele.

Ora la sua copertura sarebbe saltata e Michael l'avrebbe ucciso.

«Cosa c'è?»domandò allarmato James, in bilico per recuperare il libro di letteratura da un ripiano abbastanza alto.

«Non dovremmo essere a lezione?»

L'amico si rilassò.«Abbiamo ora buca»rispose con una scrollata di spalle.

«Come sai che anch'io ho "ora buca"?»

James arricciò le labbra in tono di scuse. «Ho dato un'occhiata al foglio con le tue lezioni mentre lo stavi attaccando sull'antina del tuo armadietto. Le abbiamo tutte in comune, tranne le ore di musica e letteratura inglese. Peccato, ti avrei aiutato a sopportare quel tremendo supplizio. Ecco...abbiamo finito».

Con l'aiuto del suo nuovo amico, Gabe riuscì a trasportare tutti i pesanti libri fino all'armadietto.

Stava per riporli al suo interno, quando sentì un brivido gelido salirgli su per la spina dorsale.

Si guardò attorno.

I suoi occhi azzurri incrociarono quelli amaranto di una ragazza bellissima molto particolare che avanzava austera. Indossava un top rosso sotto un gilet in pelle nero con borchie, una minigonna nera sopra i leggins neri infilati in anfibi neri pieni di lacci. Alle mani portava guanti in pelle senza dita, sull'anulare un anello nero. I capelli biondi, che sembravano un'aureola, incorniciavano un visino pallido tonificato da eyeline e ombretto nero e un piccolo piercing, una sorta di brillantino sul naso. Sembrava una cantante rock.

Quando il vicino, un ragazzo tutto sommato carino dai capelli castano scuro e occhi anch'essi amaranto, le mormorò qualcosa all'orecchio distolse lo sguardo.

James seguì lo sguardo dell'amico.

«Lilith»mormorò.

Gabe si riscosse.«Cos'hai detto?»

Lilith era il nome di un Demone Superiore, l'attuale Originario che aveva il controllo sul Settimo Cerchio. Aveva letto su un libro che era stata la prima e unica moglie di Lucifero. In origine era stata la prima donna creata dal Suo Signore e Protetta di Lucifero. Venne cacciata dall'Eden e sostituita da Eva, per aver rifiutato di giacere con Adamo. Fu ritrovata da Lucifero, ed essendo innamorata di lui, si era lasciata sottoporre al primo Daemon Ritus, un arcano rituale che poteva tramutare qualsiasi creatura in un essere oscuro. Il predecessore di suo fratello l'aveva uccisa, aizzando una terribile vendetta del Signore dell'Inferno che aveva scatenato innumerevoli guerre, carestie ed epidemie tra gli umani.

E ora era da quasi vent'anni si risentiva parlare di questo Demone, anche se si sapeva che non si trattava della stessa creatura. Michael era molto evasivo a riguardo, come se cercasse di nascondere qualcosa.

James indicò la ragazza che li aveva appena oltrepassati, e che si stava allontanando continuando a percorrere il corridoio col suo passo quasi marziale.

«Si fa chiamare così, anche se il suo vero nome è Elisabeth Meyer».

Quel nome riaccese un ricordo nella sua mente, ma come era arrivato velocemente era sbiadito.

«Ha un cognome insolito per queste parti».

«Sua madre è italiana, mentre il padre è della Baviera. O almeno così c'è stato detto. Non è il tipo che parla molto di sé».

«Mi piacerebbe conoscerla»dichiarò Gabe sognante, incurante delle parole che gli erano appena uscite dalle labbra.

James scosse la testa.«Pessima idea amico. Sarà bella finché vuoi...ma c'è qualcosa di oscuro e malato in lei».

Gabe osservò ancora una volta il profilo delicato della ragazza, prima che svoltasse l'angolo e sparisse.




Angolo autrice:
Tadaan ecco un nuovo cappy ^^
E vi piace l'incontro tra Lilith e Gabriele? :3
Ahah ne vedremo delle belle nei prossimi a venire.
Ringrazio chi sta seguendo questa storia, mi rendete felicissima :)
Bacioni
FreDrachen

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