43. Casa (parte 2)

Appena supero l'uscio del tunnel, rimango abbagliata dall'intensità della luce che piove dal cielo e devo schermarmi gli occhi con una mano per riuscire a scorgere il mezzelfo che si incammina verso un boschetto di alberi rachitici poco distante.

Quando riteniamo di esserci allontanati abbastanza, ci fermiamo in mezzo agli alberi, fronteggiandoci per qualche istante senza dire nulla. Cerco qualcosa di adatto con cui cominciare il discorso, ma tutto mi pare stupido e superfluo, non abbastanza delicato per affrontare la discussione che ci porterà a decidere cosa ne sarà del nostro futuro.

Poi Rohkeus appoggia il libro della sua vita in terra e si solleva la manica destra, mettendo in mostra i cerchi che indicano lo scorrere del tempo: solo venti e mezzo sono colorati di nero, il che significa che in realtà avremmo ancora altri sette giorni a disposizione. Questa volta il nostro problema non è il tempo.

Faccio scorrere gli occhi sul braccio del mezzelfo, oltre la spalla e il collo, per puntarli infine sul volto: la sua bocca è atteggiata in una linea dura e sottile, le labbra tanto strette da essere diventate quasi bianche, facendo così risaltare la piccola cicatrice sul labbro superiore. È ovvio che non avrebbe nessuna voglia di perdere la sua possibilità di uscire dall'inferno, guadagnata con tanta fatica, per persone che ha appena incontrato e che non conosce affatto, ma non dice nulla, consapevole di quanto io invece tenga a loro.

— Siamo in cinque e ci sono solo tre posti, come immagino sappiate tutti — afferma poi, incrociando il mio sguardo. — A meno che mi sono perso qualcosa, magari un altro patto.

Iris strabuzza gli occhi, mentre Alveus mi fissa con lo bocca aperta a formare una o.

— Cosa? — lo interrompe mia sorella. — In che senso ci sono solo tre posti?

— Lympha — mi richiama all'ordine Rohkeus, con un tono di rimprovero.

— No, non gliel'ho detto. — Fisso il mezzelfo, ma solo per non vedere la speranza morire sul volto delle due ninfe.

— Perché? — Il viso di Rohkeus si adombra mentre mi pone la domanda.

— Lym, che succede? Di cosa state parlando? — Mia sorella mi afferra per le spalle e mi scuote una volta, obbligandomi a girarmi verso di lei.

Io boccheggio, cercando le parole giuste, ma gli occhi disperati e arrabbiati di Iris trasformano la mia mente in un foglio bianco.

— Parla! — mi incita lei, scuotendomi ancora.

— Il patto...

— Il patto cosa?

— Il patto prevedeva che solo tre persone e un lupo avrebbero potuto lasciare l'inferno, una volta trovato Alveus — spiego tutto d'un fiato.

— Per tutti i fiumi, perché non ce lo hai detto prima? — È furiosa, non l'ho mai vista così: probabilmente sta pensando che avremmo dovuto andarcene quando eravamo solo noi tre e Gordost, come aveva suggerito lei. Di sicuro è pentita di avermi dato retta.

— Se ve lo avessi detto non avreste mai acconsentito a cercare Rohkeus. — Ora anch'io sono arrabbiata, perché so che quello che ho appena affermato è la verità, e se lo negasse Iris sarebbe solo una bugiarda.

Scuoto le spalle, sfuggendo alla sua presa, e per un attimo restiamo a guardarci in cagnesco.

— Anche tu lo sapevi, vero? — chiede quindi mia sorella a Callàis, che finora ha osservato in silenzio.

— Certo.

— E perché sei stato zitto?

Lui solleva le spalle con fare noncurante. — Perché non me lo hai chiesto. E poi, se anche te lo avessi detto, cosa avresti fatto? Avresti proposto di abbandonare anche me?

— Non dire sciocchezze. — Poi Iris si zittisce, ma vedo i muscoli della mascella contrarsi mentre stringe i denti con forza.

— E quindi adesso? — domanda Alveus con voce flebile.

— Io me ne voglio andare, che sia chiaro — puntualizza Callàis, senza farsi nessuno scrupolo. Messa così a nudo la sua posizione, incrocia le braccia al petto e si appoggia all'albero più vicino, nell'attesa di sentire i nostri interventi.

— Tutti ce ne vorremmo andare, questo mi pare ovvio — gli dico, infastidita dalla sua mancanza di tatto; poi mi schiarisco la voce, prima di continuare. — Però in realtà voi siete qui per colpa mia... — comincio a dire, ma Iris mi blocca subito, alzando una mano nella mia direzione e guardandomi con gli occhi ambrati che balenano scintille.

— No, non se ne parla, tu non resti qui — afferma, con un tono deciso e al contempo disperato. — Era questo il piano che stavi covando mentre ci tenevi nascosti i dettagli del patto? Sacrificarti per il bene comune?

— E chi, allora? Alveus, che non ha nessuna colpa? Rohkeus, che ha venduto la mano per potersene andare? Tu, magari?

— Potremmo fare un altro patto col Principe —risponde lei, lasciando tutti senza parole. La mia bocca si spalanca in un involontario moto di stupore, mentre gli occhi di tutti si puntano su di lei, compresi quelli di Callàis che stava cominciando ad annoiarsi per il nostro teatrino dell'altruismo.

— E perché dovrebbe accontentarci? — domanda Alveus. — Cos'abbiamo da offrirgli, ormai?

— Lui accetta sempre i patti delle persone disperate — spiega lei, sostenendo la propria tesi.

— Non quando si è stufato: nessuno gatto gioca all'infinito con il topo, a un certo punto gli viene fame e se lo mangia — ribatto, ricordando come l'ultima volta il demone si fosse rifiutato di stringere un altro accordo con me.

— Ma non lo puoi sapere a prescindere.

— Oppure Callàis potrebbe aprirci un passaggio per andarcene: in fondo lui non ha avuto bisogno di fare nessun patto per entrare, magari può usare lo stesso metodo per uscire — propone Alveus, prima debolmente e poi con più coraggio, convinto che la sua sia una buona idea. E in effetti lo è: se il ragazzo riuscisse a replicare quello che ha fatto per venire qui all'inferno, potremmo anche riuscire ad abbandonare questo mondo tutti illesi.

Sentitosi chiamato in causa, Callàis si raddrizza di scatto, guardandoci come se fossimo tutti matti.

— Forse non ricordate bene il mio racconto, ma io non so come ho fatto a entrare — si difende subito lui, scrutandoci uno a uno negli occhi per essere sicuro che capiamo bene le sue parole. — C'era in terra il cerchio disegnato dal mezzelfo, che ha cominciato a funzionare senza che io facessi nulla di particolare.

— Rohkeus, puoi disegnarlo di nuovo? — gli domando, speranzosa. Lui annuisce serio, poi stacca da un albero dei rametti che gli sembrano adatti e me li porge.

— Accendimi un fuoco — ordina. Sotto le sue direttive e aiutata dalle altre ninfe, creo dei carboni adatti alla scrittura e glieli porgo. Lui ne afferra uno, cercando una posizione comoda per impugnarlo con la sinistra, senza però riuscire a trovarla e tenendolo quindi in mano un po' come gli viene. Ci mette un sacco di tempo a disegnare il cerchio, che alla fine risulta essere storto e informe.

— Spero vada bene ugualmente — dice infine, alzandosi in piedi e osservando il suo lavoro, che lo lascia evidentemente insoddisfatto. — Prego, ninfa.

Callàis sbuffa, alzando gli occhi al cielo, e poi fa un passo dentro il cerchio. Aspettiamo qualche istante col fiato sospeso, ma nulla accade: le scritte non si illuminano di rosso e nessun vapore inquietante si alza intorno al ragazzo.

— Forse devi dire qualcosa — propone debolmente Alveus.

— Cosa? Porta, apriti? — lo prende in giro Callàis, facendo sfarfallare le dita come a voler lanciare un incantesimo fatto di polvere magica. — Io ve l'avevo detto — aggiunge poi, a giustificare il suo fallimento. Lascia cadere le braccia lungo i fianchi e stringe gli occhi a fessura, pensando a chissà cosa. Poi solleva di colpo la testa, rivolgendo gli occhi al cielo.

— Però, padre, almeno qualche capacità utile potevi donarmela — esclama con un astio che non avevo mai sentito uscire dalla sua bocca, nonostante gentile non lo sia mai stato.

Vedo gli occhi di Rohkeus spalancarsi per lo stupore, ma non faccio in tempo a spiegargli nulla che una fitta nebbia si avvicina a noi, strisciando rasente al suolo, e comincia ad allacciarci le caviglie. Si muove con volute lente e pigre, come un gatto sornione che fa le fusa, tanto densa da nascondere il cerchio alla nostra vista.

Io ti ho dato la vita, piccolo ingrato, dovresti ringraziarmi.

La voce sembra provenire da ovunque e da nessuna parte, e il timbro profondo e suadente del Principe mi fa salire un brivido lungo la schiena. Mi stringo le braccia al petto, mentre il mezzelfo mi si affianca con aria protettiva ma senza toccarmi.

Callàis scoppia in una risata priva di gioia. — Ringraziarti? E per cosa? Se sono così è solo colpa tua: se mia madre non mi ha mai amato, se nessuno lo ha mai fatto, è solo colpa tua!

Sulle ultime parole la sua voce cresce di tono e assume una nota tanto sofferente che per un attimo provo il desiderio di allungare una mano verso di lui e di poggiargliela sul viso, per trasmettergli l'affetto che non sono in grado di esprimere a parole ma che vorrei lui sentisse. Perché, per quanto non lo sopporti, per me lui è stato una persona tremendamente importante, nel bene e nel male, e vorrei che lo sapesse, che non pensasse di essere solo.

— Io ti ho messo al mondo, ma tutto il resto è dipeso soltanto da te: non attribuire ai padri le colpe dei figli.

— Non dire sciocchezze — risponde Callàis, con i pugni chiusi lungo i fianchi, stretti con tanta forza da avere le nocche bianche. — Se non fossi stato un demone...

Ma il Principe non gli lascia nemmeno il tempo di finire la frase.

— Tu non sei un demone, sei una ninfa a tutti gli effetti, così ho deciso quando ti ho creato — afferma, senza perdere la calma. — Tua madre mi aveva chiesto un figlio e lei era una ninfa, così le ho donato un bambino che era una ninfa come lei, esattamente come voleva: io rispetto sempre i miei patti. Se vuoi biasimare qualcuno per il tuo comportamento, puoi prendertela solo con te stesso. Io ho influito sulla natura del tuo potere, ma sei stato tu a decidere come usarlo e come rapportarti con gli altri. Non sono stato io a plasmare il tuo carattere.

— Ora sarebbe colpa mia se mi sono adattato al potere malvagio che mi hai lasciato?

Una risata divertita e inquietante riempie l'aria, avvolgendoci come la nebbia fredda che ci accarezza la pelle e che mi dà l'impressione di essere sfiorata dalle anime dei morti.

La magia di per sé non è né buona né cattiva: a essere buono o cattivo è l'uso che ne viene fatto. Il tuo potere non è più distruttivo di quello di Alveus, come hai potuto vedere, eppure lui ha scelto di usarlo per aiutare gli altri. Tu no. Avresti potuto dare una mano alle altre ninfe per liberare dalle erbacce i loro orti, ma non lo hai fatto. Quindi smettila di assillarmi con i tuoi piagnistei.

Callàis abbassa il capo, incassando il colpo, e poi sibila a denti stretti: — Adesso facci uscire di qui.

Come concordato, tre persone e un lupo potranno lasciare l'inferno.

— Facci uscire tutti.

No.

— E se stringessimo un nuovo patto? — interviene Iris, cercando di mostrare più coraggio di quanto in realtà non abbia. Mi volto di scatto verso di lei, incenerendola con lo sguardo, ma mia sorella non fa caso a me, troppo concentrata sulle parole del Principe.

Piccola e ingenua ninfa, forse non hai capito come vanno le cose: io stringo patti solo quando ho qualcosa da guadagnare.

— Cosa vuoi in cambio?

— Iris! — grido, tentando di farla tacere. Mi avvicino a lei e la tiro per un braccio, reclamando la sua attenzione, ma lei non ha orecchie che per il demone.

Non c'è più nulla che possiate darmi — risponde lui, uccidendo ogni sua speranza. — Sono le vostre anime sofferenti che fanno andare avanti questo mondo. Io sono l'inferno e l'inferno è me; ogni ramo, ogni granello di polvere è il mio corpo, e ogni patto che stringo mi rende più grande e potente. Io vi concedo quello che mi chiedete e vi dono dolore camuffato da felicità, ma farvi uscire da qui non vi porterebbe nessuna sofferenza. Quindi no, non potete stringere un nuovo patto: solo tre persone e un lupo lasceranno l'inferno, questo prevedeva l'accordo e così sarà.

Non appena le parole del Principe si spengono ingoiate dalla nebbia, quest'ultima comincia a ritirarsi, convergendo verso due alberi i cui rami formano un arco alto quanto potrebbe esserlo una porta. Lì, il vapore comincia a vorticare come se fosse sottoposto a un vento impetuoso, mentre le fronde prive di foglie si allungano e si contorcono su se stesse a creare elaborati ghirigori che decorano quella che deduco essere l'uscita da questo mondo. È incredibilmente delicata e bella, quasi fuori posto qui all'inferno, ma soprattutto ho desiderato così tanto trovarla che adesso che ce l'ho davanti agli occhi non riesco a crederci: temo che, non appena uno di noi allungherà una mano anche solo per sfiorarla, questa scomparirà in una nuvola di fumo, così come è apparsa.

Restiamo tutti in silenzio a fissare i moti ora lenti e ammaliatori del fumo che ci impedisce di vedere al di là della porta, dove ciò che abbiamo sempre chiamato casa ci aspetta. Non ho idea di quanto tempo resterà aperta, di sicuro non abbastanza da permetterci di trovare una soluzione al nostro problema: dobbiamo agire adesso, tre di noi devono attraversarla mentre due rimarranno qua. Fra tutte le scelte difficili della mia vita questa è sicuramente la più difficile di tutte: chi altro verrà condannato a passare tutta l'eternità al mio fianco qui all'inferno?

Poi all'improvviso un'idea mi attraversa la mente, facendomi spalancare gli occhi. Forse è una pazzia e non ho alcuna certezza che funzionerà, ma so che non c'è alternativa e, in tutta sincerità, vi ripongo molta fiducia.

— Ho un piano! — esclamo, mentre tutti si voltano verso di me. Prima di continuare, incrocio lo sguardo di Rohkeus in cerca di coraggio e sperando di trovare nei suoi occhi le parole più appropriate per esprimere il vortice di pensieri che mi riempie la mente. — Forse Callàis non è in grado di creare una nuova porta, ma potrebbe riuscire a tenere aperta quella che già c'è per il tempo sufficiente a farci passare tutti.

Le occhiate scettiche e speranzose di dei miei compagni mi scavano il volto, prime fra tutte quelle del ragazzo biondo, palesemente poco convinto della mia idea. Eppure ha senso, sono sicura che come ha potuto varcare il confine tra i due mondi a suo piacimento una volta possa farlo ancora. Ha solo bisogno di un aiuto e quell'aiuto è la porta che il demone ha creato per noi.

— Se attraversiamo il portale tutti insieme sarà questione di un attimo. Solo un attimo, Callàis, puoi riuscirci: in fondo anche il Principe ha detto che la tua magia deriva da lui, con i suoi pro e i suoi contro — dico con tutta la sicurezza di cui sono capace, sostenendo il suo sguardo pungente.

— Non lo so — ribatte Iris, mordicchiandosi le labbra in un atteggiamento pensoso. — E se non funzionasse?

— Immagino che in tal caso due di noi non riusciranno a passare — le rispondo, imitando inconsapevolmente il suo gesto come se fossi il suo riflesso, ma smettendo di farlo appena me ne rendo conto. — Voi che ne pensate?

— È rischioso, ma non mi vengono in mente altre idee — afferma Alveus, con le sopracciglia corrucciate per la preoccupazione.

— Io non garantisco nulla — ci mette in guardia Callàis, sgravandosi del peso del suo possibile fallimento. — Potrei non essere capace di una cosa del genere.

Ne sono consapevole, ma è un rischio che sono disposta a correre. In fondo, tentare una cosa del genere è un po' come giocare con il fuoco e il rischio di rimanere bruciati è estremamente alto. Tuttavia non dico niente di tutto ciò perché non voglio che boccino il mio piano.

Rohkeus tace, continuando a fissarmi con occhi indagatori, ma io mi volto verso il portale, dandogli le spalle per sfuggire al suo tacito giudizio. Guardo Callàis avvicinarsi e osservare minuziosamente l'elegante struttura, come se fosse in cerca delle istruzioni per fare quello che deve. Sfiora i rami con le sue dita eleganti e alcune scintille brillano nell'aria lì dove la sua pelle incontra il legno. Il suo volto si illumina di sorpresa e comprensione, come se avesse effettivamente sentito qualcosa in quella porta, qualcosa di affine a lui.

— Va bene, proviamo.

Annuisco, mentre trattengo il respiro nell'attesa della reazione degli altri.

— Facciamo passare prima Gordost — interviene il mezzelfo, serio. Dal momento che nessuno trova niente da ribattere, si rivolge al lupo, inginocchiandosi davanti al suo muso e accarezzandolo tra le orecchie: — Vai, bello. Te lo meriti.

Un'espressione tenera gli addolcisce i lineamenti quando Gordost gli lecca la faccia prima di dirigersi verso la porta, alla quale si avvicina circospetto. Annusa la struttura meticolosamente in modo da assicurarsi che non sia pericolosa, poi si gira un'ultima volta verso Rohkeus, che gli sorride e gli rivolge un gesto di incoraggiamento con il mento. Solo a questo punto il lupo ci volta le spalle e, con un balzo elegante, svanisce oltre la porta in una nuvola di scintille. Sapendolo finalmente libero, non posso fare a meno di sorridere.

— Ora tocca a noi — afferma quindi Rohkeus, rivolgendosi a Callàis e cancellando dal viso ogni traccia della dolcezza che lo aveva animato fino a un attimo prima. — Come pensi di fare?

La ninfa gli sorride sorniona, come a far intendere che ha già pensato a tutto e non c'è nessun bisogno di preoccuparsi. — Percepisco l'energia che attraversa il portale quindi dovrei essere in grado di manipolarla, almeno in teoria. Penso che potrebbe funzionare se mi mettessi a metà strada, esattamente nel passaggio, in modo da essere nella porta e sfruttare la mia magia per non farla chiudere, un po' come quando si infila un piede nell'uscio.

Detto questo infila un braccio nella nebbia e tutti tratteniamo il respiro. Per un attimo temo che il vortice lo risucchi, risputandolo dall'altra parte, ma il ragazzo rimane esattamente dov'è, mentre piccole scintille danzano intorno alla sua spalla. Poi, senza esitazione infila anche una gamba, risultando infine tagliato esattamente a metà.

Un'espressione improvvisa di fatica e sofferenza gli si dipinge sul viso. — Muovetevi, non è piacevole rimanere qui in mezzo.

Lo vedo stringere in un pugno teso la mano visibile la di qua della porta, mentre i muscoli gli si contraggono per lo sforzo.

— Va bene — si fa coraggio Iris, palesemente non convinta. — Diamoci la mano e attraversiamo insieme.

Mi afferra la sinistra, mentre porge l'altra ad Alveus e io faccio lo stesso con Rohkeus. Il calore e la ruvidezza del palmo di lui contrastano con la morbidezza e la freschezza di quello di mia sorella, e io li stringo entrambi, grata di averli avuti al mio fianco.

Così legati ci avviciniamo al vortice di nebbia, fermandoci a un passo dal saltarci dentro. Rivolgo un ultimo sguardo a Callàis, che ora ha gli occhi chiusi e il viso contratto in un'espressione concentrata, poi riporto gli occhi sulle volute di fumo davanti a noi, valutando le dimensioni della porta: affiancati così ci passeremo al pelo.

— Conto fino a tre e poi saltiamo, va bene? — chiede Iris con un tono che vorrebbe essere deciso, ma che suona solo spaventato.

— Va bene — le risponde Alveus, un po' più convinto.

— Uno — comincia mia sorella.

Chiudo gli occhi e respiro, in cerca di coraggio.

— Due.

Arriccio le dita dei piedi sul terreno arido e abbasso gli occhi. Tutto i miei muscoli sono tesi e pronti a scattare al momento giusto.

— Tre — esclama infine Iris e in un istante percepisco il suo corpo muoversi in avanti, così come sento la sua mano e quella di Rohkeus che tirano le mie mentre io mi faccio indietro e lascio la presa. Libero le mie dita dalle loro, che sento scivolare sulla pelle mentre cercano di afferrarmi nuovamente senza però riuscire a stringere nient'altro che l'aria perché io ormai non ci sono più.

La voce disperata di Iris che urla il mio nome è tanto straziante da riempirmi gli occhi di lacrime e così, mentre cado di schiena, riesco a malapena a vedere le loro figure indistinte collidere con la nebbia in un mare di scintille. Poi un intenso bagliore mi acceca, obbligandomi a serrare le palpebre, mentre prego che loro siano riusciti a passare.

Devono essere passati, il mio piano era perfetto.

Mi si stringe il cuore al pensiero di averli imbrogliati, ma ho dovuto farlo. Non si può ingannare il Principe, questo lo so bene, e non ho mai pensato di poterlo fare: il suo patto era chiaro, non c'era possibilità di trovare cavilli che ci avrebbero permesso di lasciare tutti insieme l'inferno. Se lui aveva deciso che solo tre persone avrebbero potuto uscire, così sarebbe stato.

Tre persone, più Callàis.

La mia folle idea era questa: come da accordo Rohkeus, Alveus e Iris sarebbero tornati a casa, tre persone appunto, mentre confidavo nella più fragile e incerta supposizione che anche il ragazzo biondo ci sarebbe riuscito grazie alla magia demoniaca che gli scorre nelle vene. Come ha precisato il Principe, Callàis non è un demone e forse non è abbastanza forte da riuscire ad aprire un portale da solo, ma sono ragionevolmente sicura che sia in grado di attraversarne uno già creato. In fondo, lui è riuscito a entrare all'inferno da solo.

Certo, li ho ingannati tutti, ma nessuno di loro mi avrebbe permesso di sacrificarmi, ed è giusto che sia andata così.

Spero solo che un giorno possano perdonarmi.

Resto sdraiata in terra con gli occhi chiusi finché la luce che penetra attraverso palpebre non si spegne, facendomi piombare nell'oscurità, ma anche a quel punto non oso guardarmi intorno, sapendo che è tutto finito e che sono rimasta sola.

— Ninfa, lo sapevo che stavi tramando qualcosa — afferma a un tratto e con un certo disappunto una voce dalla parlata spezzata, facendomi spalancare gli occhi in un moto di stupore.

— Rohkeus? — esclamo, non riuscendo a razionalizzare quello che vedo. Il mezzelfo si erge in piedi davanti a me, con lo sguardo adombrato, mentre alle sue spalle, nel punto in cui fino a un attimo fa stava il portale, non c'è più niente. — Cosa ci fai qui?

— Cosa pensavi di fare? Dimmelo! — mi urla contro, lasciandosi cadere in ginocchio a un palmo da me. ­— È stata una mossa stupida

— Perché non hai attraversato la porta? — riesco solo a chiedere, mentre il mio cervello si rifiuta di accettare quello che vedo. Cosa ho sbagliato?

— Quando mi hai lasciato la mano ho cercato di frenare la mia avanzata, ma ormai mi ero dato lo slancio e non ci sono riuscito. Ho solo potuto rallentare, abbastanza da essere stato l'ultimo a entrare in contatto con il vortice di nebbia, che mi ha sbalzato via come se fosse fatto di pietra e non di vapore, esplodendo poi in una miriade di scintille — mi risponde, puntando i suoi occhi d'argento nei miei. — Qualunque cosa avessi in mente non ha funzionato.

Rimango a fissarlo, sbalordita dal mio essermi sbagliata in modo così clamoroso. Ero certa che Callàis sarebbe riuscito a passare come quarta persona, ma a quanto pare nemmeno lui è in grado di distorcere un patto del Principe. Nessun può imbrogliare il demone, nemmeno suo figlio, e così il portale ha rifiutato di far passare Rohkeus poiché già tre persone lo avevano varcato.

All'improvviso mi sento tanto stupida per aver anche solo potuto credere in un piano così idiota. Raccolgo le ginocchia al petto, maledicendomi perché ora per colpa mia il mezzelfo ha perso la sua occasione per tornare a casa ed è bloccato qui per sempre.

— Ehi, non è colpa tua — mi dice Rohkeus, addolcendo il tono di voce e posandomi una mano sulla spalla, esitante. — Ci hai provato.

Mi scosto, certa di non meritarmi la sua comprensione, e lui resta in silenzio, rispettando il mio desiderio.

Quando sono certa di poter parlare senza far tremare la voce, gli domando: — Perché hai rallentato? Se non lo avessi fatto magari ora tu saresti tornato a casa e al tuo posto ci sarebbe qualcun altro.

— Ma tu saresti morta, qui all'inferno senza di me. — Lo dice con certezza e serietà, come se per lui fosse più importante sapermi al sicuro che lasciare questo mondo. Vorrei ringraziarlo e al contempo urlargli contro che è uno sciocco, ma taccio, il viso sepolto tra le braccia poggiate sulle ginocchia.

— E adesso? — gli domando infine.

Lo guardo di sottecchi, sollevando appena il volto che rimane comunque nascosto dai capelli sporchi, mentre lui si alza cercando qualcosa in terra. Alla fine si china, afferrando un oggetto che inizialmente non riesco a distinguere ma che poi si rivela essere il libro della sua vita.

— Come funziona questo? Alveus ha detto che lo hanno usato per trovarci.

Mi scosto una ciocca dalla faccia e mi siedo più composta, preparando una spiegazione breve ed efficace. — Racconta di te e di tutto quello che hai fatto dalla prima volta che hai incontrato il demone fino a ora. In fondo c'è anche una mappa con tutte le tappe e una bussola che indica la direzione in cui ti trovi.

— Una mappa?

— Esatto.

Poggiato il libro in terra, lo sfoglia fino a trovare la cartina e la fissa intensamente, analizzandola. Poi annuisce, come se avesse trovato la risposta a una domanda importante.

— Possiamo usarla per ritrovare il mio castello — sentenzia, richiudendo di scatto il libro e porgendomelo. Lo afferro e me lo stringo al petto, troppo provata per ribattere alcunché. Forse ritrovare quel palazzo e ritornare al punto di partenza è davvero la cosa migliore che ci resta da fare.

Visto che non mi muovo da dove sono, Rohkeus mi porge la mano, invitandomi ad alzarmi. Io la afferro e uso la sua forza per rimettermi in piedi. Poi il mezzelfo fa un sorriso timido ed esitante, senza lasciami andare, e afferma: — Forza, andiamo a casa.




Nota dell'autrice

E così eccoci qui, in attesa ormai del solo epilogo. Scrivere questo capitolo non è stato affatto semplice: volevo che la conclusione avesse senso anche per voi e non solo nella mia testa. Spero di esserci riuscita e di non avervi delusi proprio sulle note finali. In caso contrario, fatemelo sapere e perdonatemi.

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