40. Measan-Ura

Questa volta Iris non ci prova neanche a farmi cambiare idea. Abbassa la testa e la scuote sconsolata, ormai consapevole che nulla di quello che lei possa dire o fare riuscirebbe mai a distogliermi dal mio intento.

Sfoglio in fretta le pagine fino ad arrivare alla mappa di cui ci ha parlato Callàis qualche giorno fa e che riporta tutte le tappe della vita di Rohkeus dal momento in cui ha incontrato il Principe fino a oggi. In alto, fa bella mostra di sé una bussola disegnata a inchiostro nero con eleganti tratti, il cui ago punta in direzione del mezzelfo, invitandomi a seguirlo.

— Andiamo? — chiedo, mentre dentro di me combattono due speranze diverse: da una parte vorrei che si rifiutassero di accompagnarmi, perché, da quello che ho potuto vedere nel libro, liberare Rohkeus da Measan-Ura non sarà una cosa semplice e non vorrei che nessuno di loro rimanesse ferito o peggio; dall'altra però sto pregando affinché non mi lascino sola, nonostante tutti gli attriti e gli imbarazzi che ora si sono formati tra di noi.

Per un po' nessuno mi risponde, tanto che comincio a temere di essermi solo immaginata di aver posto la domanda.

— Andiamo — afferma poi Iris, senza esitazione nella voce. Evidentemente legge il sollievo sul mio volto, perché subito aggiunge: —Non ti lascerò soccombere da sola nella tua follia.

Alveus non dice nulla, ma, quando sposto lo sguardo su di lui, vedo che si sta sistemando la bisaccia in spalla, preparandosi a partire. Fa di tutto per non incrociare i miei occhi, mantenendo i suoi bassi come se la spallina della borsa fosse la cosa più interessante di tutto l'inferno, ma non si oppone e io lo prendo per un tacito assenso. Non un perdono, ovviamente, ma una specie di tregua in cui la necessità di rimanere uniti è più forte dei drammi personali.

Mi alzo, pulendomi il vestito dalla polvere, e faccio per avviarmi nella direzione indicata dalla bussola quando mi accorgo che Callàis è ancora sdraiato sul pavimento, immobile.

— Callàis, che stai facendo?

La mia domanda cade nel vuoto e devo porla un'altra volta prima che lui, a occhi chiusi, si decida a rispondermi: — Niente.

— Questo lo vedo.

— E allora cosa chiedi a fare?

— Alzati — gli ordino brusca.

— E se io non volessi venire con voi? — Socchiude appena gli occhi e mi guarda da sotto in su.

— Per tutti i fiumi, non ci credo che vuoi restare qui da solo, magari per sempre.

— La mia fame di conoscenza è stata saziata. Non che la cosa mi faccia piacere, avrei dovuto stare più attento a cosa desideravo, ma ormai è fatta. In ogni caso, il mio viaggio termina qui.

— Per favore, Callàis, non puoi dire sul serio — interviene Iris in tono accorato.

— Certo che no — affermo decisa, avvicinandomi al ragazzo a grandi passi. Una volta arrivata al suo fianco mi fermo e gli tendo una mano. — Su, alzati.

Lui la fissa con gli occhi stretti a fessura, scettico, e domanda in tono canzonatorio: — Hai paura di sentire la mia mancanza?

Non gli rispondo nulla, ma seguito a fissarlo senza muovermi neanche di un passo e alzando le sopracciglia in un muto ordine. Il suo viso si deforma nel solito sorriso affilato e lui afferra la mia mano, tirandosi su con un movimento svogliato. Poi si ferma davanti a me, stringendo la presa un attimo di troppo prima di lasciarmi andare.

— Muoviamoci, sono stanco di sentirvi frignare — afferma, fornendoci una scusa per il suo cambio di idea, ma in realtà lo vedo che sta ancora sorridendo. Si incammina verso l'uscita della biblioteca, e io lo seguo, con gli occhi di nuovo puntati sulla bussola.

— Mi chiedevo una cosa — interviene Iris, obbligandomi a fermarmi di nuovo. — E se anche nostra madre avesse fatto un patto col demone, Lym? E se fosse questo il motivo per cui tu sei nata senza poteri?

Rimango congelata sul posto, mentre questa eventualità si gonfia nella mia testa; i vari modi in cui potrebbe essere andata mi fluttuano nella mente, affastellandosi l'uno sull'altro, e mi paiono tutti possibili, tanto che per un attimo mi convinco che sia reale e che anche io sia frutto del peccato, esattamente come Callàis.

— Non credo lo voglia sapere — interviene il ragazzo, scuotendo la testa per scostare i boccoli biondi da davanti agli occhi. Lo dice con cognizione di causa, di sicuro lui avrebbe preferito non conoscere la verità, ma io? Io voglio sapere oppure no?

— Io sì, però — afferma Iris, come rispondendo ai miei pensieri. — Non riguarda solo lei.

Si volta verso di me, come cercando l'autorizzazione nei miei occhi, ma io la fisso smarrita senza sapere cosa dire; per questa volta lascio che sia lei a decidere anche per me.

Ci facciamo guidare da Callàis in questo mare di libri fino a raggiungere la lettera M, ma non troviamo nessuna "Medulla", nonostante Iris lo obblighi a controllare due volte, tanto per essere sicuri. E per togliere ogni ombra di dubbio ci fermiamo anche alla F di "Flumen", nel caso il patto lo avesse fatto nostro padre. Qui in effetti un libro lo troviamo, e il cuore comincia a galopparmi in petto quando il ragazzo lo estrae dal ripiano, ma alla fine il Flumen in questione si rivela essere morto ormai da quasi trecento primavere.

— A quanto pare voi siete delle ninfe purissime — afferma Callàis, chiudendo di scatto il volume. Nella sua voce mi pare di percepire un velo di delusione, quasi avesse sperato che anche noi fossimo come lui per potersi così sentire meno solo. Meno diverso. Lo comprendo, era quello che desideravo anch'io prima di stringere il patto con il demone: trovare qualcuno come me e consolarmi nella nostra uguaglianza. Tuttavia ora non posso che sentirmi immensamente sollevata dal fatto che non sia così, che il mio essere nata senza poteri sia solo un errore di natura senza nessun intervento demoniaco.

La mia espressione rilassata evidentemente infastidisce il ragazzo, perché subito riprende a parlare, distogliendomi dai miei pensieri. — A questo punto possiamo anche proseguire alla ricerca del tuo vero amore, Lympha. Un'altra volta.

L'ultima frase è un colpo basso del tutto gratuito e immotivato nei confronti di Alveus, che infatti abbassa lo sguardo cercando di farsi il più piccolo possibile.

— Smettila — sbotto, rivolgendo a Callàis uno sguardo di fuoco. — Non è che ogni volta che qualcosa ti fa stare male per sentirti meglio devi per forza far star male gli altri.

— E io che pensavo che fosse Iris la sorella empatica — ribatte lui in tono canzonatorio.

— Potreste smetterla di punzecchiarvi a vicenda, per cortesia? — si intromette Iris prima che io possa rispondergli a tono. — Troviamo questo benedetto mezzelfo e poi andiamocene da questo inferno. — Ci volta le spalle e si avvia verso l'uscita della biblioteca.

Resto ferma a fissarla mentre si allontana, con la treccia di capelli bianchi che le ondeggia sulla schiena, mentre la mia menzogna mi stringe il cuore. Ora che si è aggiunto Callàis, una volta trovato Rohkeus saremo in cinque e questo vuol dire che qualcun altro dovrà rimanere all'inferno con me. Ma chi? Come posso condannare uno di loro?

— Tu rimani qui? — mi domanda sottovoce Alveus, come se temesse che non gli sia più consentito parlarmi. In effetti tutti gli altri si sono rimessi in cammino e ora stanno già sparendo tra i labirintici scaffali ricolmi di libri. Scuoto la testa per scacciare i pensieri e supero il ragazzo che, senza aggiungere altro, riprende il cammino alle mie spalle.

Rifacciamo tutto il percorso al contrario fino ad arrivare all'ingresso della caverna, dove la grande cascata rossa si manifesta in tutto il suo inquietante splendore davanti ai nostri occhi. A questo punto io passo in testa alla spedizione, assumendone il comando.

La bussola ci guida per circa quattro giorni, durante i quali ripercorriamo per un tratto la strada che avevamo già fatto all'andata, il che mi fa piuttosto irritare: eravamo così vicini alla nostra meta, eppure ci siamo allontanati di parecchio per raggiungere la biblioteca, perdendo tempo prezioso.

A un certo punto però deviamo sulla sinistra, addentrandoci in un fitto bosco di alberi spogli che non avevamo mai visto prima, o almeno così credo, dato che non è affatto facile trovare punti di riferimento in questo panorama mobile.

Incredibilmente, nulla ostacola il nostro cammino lungo tutto il tragitto e così, alla fine, giungiamo a una radura dall'aria familiare, in mezzo alla quale spicca un grosso masso scuro che riconosco subito essere quello che nasconde l'ingresso a Measan-Ura. Tendo l'orecchio, aspettandomi quasi di sentire il carro tirato dagli orchi avvicinarsi in lontananza, ma tutto il luogo è permeato da un silenzio tanto assoluto da risultare innaturale.

— E adesso? — mi domanda Iris, spezzandolo. — Come pensi di riuscire a entrare?

Consulto un'altra volta la bussola, sperando di leggere in quella piccola freccia nera la risposta, ma lei si ostina a puntare dritta davanti a me, muta ed enigmatica.

— Non ne ho idea, questa pietra non credo riusciremo a spostarla. E comunque non ci conviene entrare dall'ingresso principale... Scommetto che da qualche parte ce n'è uno secondario.

— Probabile, ma come facciamo a trovarlo?

Comincio a guardarmi intorno, come se bastasse per individuare una seconda entrata. Non so cosa mi aspetto di trovare, forse un grosso cartello a forma di freccia con la scritta "per di qua", ma ovviamente nulla mi salta all'occhio: intorno a noi ci sono solo alberi rachitici, terreno secco e arido, e questo grosso sasso nero.

— Cosa dice la bussola? — domanda mia sorella.

— Indica la pietra... Secondo voi perché è la via più breve o perché è l'unica?

— Come faccio a saperlo? Ho forse scritto "veggente" sulla fronte? — interviene Callàis, alzando le spalle. — Magari il tuo cane pulcioso sente qualche odore particolare.

Evito di fargli notare nuovamente che Gordost è un lupo, preferendo invece girarmi verso l'animale che, come se avesse davvero compreso le parole del ragazzo, comincia ad annusare il terreno polveroso. Gira intorno a tutti noi, in piedi di fianco alla pietra, e poi si allontana diretto verso gli alberi, ma solo per tornare con le orecchie basse e gli occhi tristi.

— Guardate il suolo! — esclama a un certo punto Callàis, facendomi sobbalzare. Alle sue parole tutti abbassiamo lo sguardo, scrutando attentamente la terra vicino ai nostri piedi.

— Cosa dovremmo guardare? — domanda Alveus con un fil di voce, parlando forse per la prima volta da quando oggi ci siamo svegliati. Per tutto il viaggio è stato estremamente silenzioso, camminando in fondo alla fila perso nei suoi pensieri e evitandomi il più possibile. Avrei voluto fare qualcosa per consolarlo, ma non avevo idea di cosa e quindi ho lasciato che fosse Iris a prendersi cura di lui.

Per non pensare ad Alveus, assottiglio gli occhi nel tentativo di riuscire a scorgere cosa ha attirato l'attenzione di Callàis. All'inizio non vedo nulla, ma poi finalmente capisco: sono appena accennate nella polvere e forse se qualcuno non me le avesse fatte notare non me ne sarei mai accorta, ma ora non posso non notare i segni delle ruote di un carro che arrivano dalle nostre spalle e si fermano vicino al sasso. Tuttavia non è su questo che il ragazzo biondo ha focalizzato la sua attenzione; ad aver attirato il suo sguardo sono state sicuramente altre linee ancora meno evidenti, che si separano da quelle principali prima di raggiungere il masso e che lo aggirano per poi continuare il loro tragitto dirette verso i tronchi scuri, tra i quali si perdono.

— Ci dev'essere un motivo se alcuni carri vanno avanti, invece che fermarsi qui — sussurro tra me e me.

— Touché, Lympha — conferma Callàis, con in viso un'espressione soddisfatta, come se fosse contento che ad aver capito per prima sia stata proprio io.

— Seguiamo le tracce, quindi — incito gli altri, mentre il mio lato orgoglioso fa un piccolo saltello di gioia davanti al compiacimento di Callàis.

Seguiamo i segni delle ruote per un tratto abbastanza lungo, perdendoci in mezzo ai secchi rami ritorti che ricordano le dita adunche di una vecchia strega, finché arriviamo a un insieme di massi neri ammucchiati uno sull'altro in modo confuso tra due alberi dal tronco grosso e segnato dal tempo. Questi sassi sono decisamente più piccoli di quello che chiude l'entrata di Measan-Ura, ma la dimensione è l'unica differenza che riesco a notare e questa considerazione fa fare al mio cuore un guizzo di speranza.

— I segni delle ruote finiscono qui, poi girano e tornano indietro — ci fa notare Iris, fermandosi davanti alla montagnetta di pietre e guardandosi intorno.

— Secondo voi per cosa viene usato questo ingresso? — domando, affiancandola e inginocchiandomi per scrutare il terreno e i sassi più in basso.

— Magari per trasportare oggetti che gli schiavi non devono vedere? — mi risponde lei, abbassandosi con me.

— Tipo cosa?

— Non lo so — afferma, alzando le spalle. — Oppure potrebbe essere usato solo per caricare e scaricare merci.

— Di sicuro l'entrata è sotto una di queste pietre.

Accarezzo con mano incerta la più vicina e la sento liscia e fresca al tatto, tanto lucida da sembrare che qualcuno ci abbia passato sopra la cera. La luce turchese proveniente dal cielo limpido si riflette sulla superficie nera come l'ebano, ammiccando nella mia direzione.

— Proviamo a spostarle — concludo, mettendomi di nuovo in piedi.

— Sarebbe meglio che non variassimo la loro posizione per non lasciare tracce del nostro passaggio — dice Callàis, accarezzando a sua volta la superficie d'ossidiana; poi d'un tratto, come travolto da un pensiero improvviso, irrigidisce i muscoli della mano, mettendo in evidenza i tendini e facendo stridere le unghie sulla pietra. Mi chiedo cosa gli stia passando per la testa in questo momento, ma anche cosa gli passi per la testa in generale: prima non voleva neppure alzarsi dal pavimento della biblioteca mentre ora è tutto intento ad aiutarci a portare a termine l'impresa nel migliore dei modi. Cosa gli ha fatto cambiare idea? E cosa si aspetta da tutto questo viaggio? Nonostante la sua attuale disponibilità, non sono mai riuscita a fidarmi completamente di lui e non ne sono capace neppure adesso.

— Dobbiamo spostarli uno per volta e ricordarci esattamente come erano disposti — continua il ragazzo, socchiudendo gli occhi a fessura come se davanti a sé non avesse dei semplici sassi ma un difficilissimo rompicapo.

— Cominciamo da quello davanti a cui finiscono i segni delle ruote — propongo, mentre con le mani cerco un punto su cui far presa per spostare la pietra. Riesco a trovare una sporgenza e faccio leva, ma il masso non si muove nemmeno di un dito finché sia Iris che Callàis non mi danno una mano; in tre riusciamo a spostarlo e a poggiarlo delicatamente in terra, tentando di non fare neppure il minimo rumore.

Come avevamo immaginato, dove prima c'era la pietra ora si apre un tunnel angusto che si perde nell'oscurità. Tuttavia l'apertura è solo parzialmente libera, nascosta in parte da un altro masso posto sulla sinistra. Alveus, che fino ad ora era rimasto alle nostre spalle in silenzio, vi si avvicina, allungando le mani e preparandosi a spostarlo, ma Callàis lo blocca subito con tono autoritario.

— Non serve, ci passiamo anche così, seppure un po' a fatica.

Alveus ritrae le braccia come se si fosse scottato, senza nemmeno osare mettere in discussione le parole dell'altro ragazzo.

— Io entro — li informo, raddrizzando la schiena e alzando la testa in una posa che spero mi dia un'aria inflessibile. — Se volete voi potete aspettarmi qui.

— Macché, sei forse matta? — esclama Iris con tono troppo alto e tappandosi subito la bocca. Si guarda un attimo intorno per accertarsi di non aver attirato l'attenzione di nessuno e poi riporta gli occhi su di me, in viso un'espressione a metà tra l'arrabbiato e il preoccupato.

— Non hai idea di quello che troverai in fondo a questo tunnel — continua, indicando con un gesto accusatorio la galleria incriminata.

— Non vedo scale, quindi probabilmente è davvero un canale per far passare le merci in arrivo. Non c'è motivo che sia controllato tutto il tempo, quindi se sono fortunata potrei non trovare nessuno.

— Ma se non lo sei? — rincara la dose, puntandosi le mani sui fianchi come fa nostra madre quando è alterata perché qualcuno ha messo in disordine le sue cose. Un groppo mi ostruisce la gola, ma lo ricaccio subito giù, sperando che nessuno si sia accorto di questo mio momento di debolezza proprio ora che devo apparire forte e sicura di me.

— Io vengo con te — afferma Alveus con voce bassa ma decisa, infilandosi le mani in tasca. Tutti ci voltiamo a guardarlo, sorpresi che abbia parlato.

— Che c'è? — domanda d'impulso, sollevando su di noi i suoi grandi occhi verdi.

— Non voglio che voi rischiate la vita per me. Perché di sicuro non la rischiate per Rohkeus. — Mi impunto, decisa a non cedere.

— Lympha, non ci penso proprio a farti andare da sola in questa impresa suicida — argomenta lui con un tono che non ammette repliche. — Tu potrai anche non amarmi più, ma i miei sentimenti nei tuoi confronti non sono affatto cambiati: preferisco morire con te ora piuttosto che passare la vita a pentirmi per non aver fatto tutto ciò che era in mio potere per aiutarti.

Rimango un attimo a osservarlo senza sapere che cosa ribattere, grata di averlo al mio fianco nonostante tutto, ma al contempo imbarazzata da questa sua dichiarazione.

— Cosa ho fatto io per meritarmi il tuo amore? Sono sempre stata una persona orribile ed egoista, perché fra tutte le ninfe del nostro villaggio hai scelto proprio me? — Le parole mi escono di bocca prima che io possa rendermene conto.

Lui mi guarda con espressione malinconica, mentre forse pensa a me non come sono ora ma come ero quando lui si è innamorato. Mi chiedo cosa veda, cosa abbia sempre visto in me che nemmeno io sono stata in grado di notare.

— Non c'è risposta a questa domanda — sussurra, senza abbassare lo sguardo. — Mi sono innamorato e basta, così come ci si innamora di un tramonto: tutti i giorni vedi il sole scendere oltre l'orizzonte e tingere di rosso il cielo, e non ci fai caso perché lo ritieni normale. Ma poi un giorno di punto in bianco e senza un motivo apparente te ne accorgi: per la prima volta lo vedi per davvero, riconosci la meravigliosa tavolozza con cui dipinge il cielo e che ti riempie gli occhi di splendore, e da quel momento non puoi più farne a meno. — Prende un respiro, prima di continuare. — Non ho mai pensato che tu ti comportassi in maniera egoistica, come ti ho già detto, anzi: ho sempre ritenuto che il tuo fosse un comportamento da imitare perché hai deciso di essere buona con gli altri, gentile e disponibile, nonostante la tua natura ti spingesse a fare il contrario. Volevi piacere ed essere amata, e questo tuo sforzo ti ha resa amabile. E non so se è per questo che ti amo, ma vorrei che bastasse per spiegarti che non sei affatto la persona orribile che credi di essere.

Le sue parole mi girano e rigirano nella testa anche quando lui smette di parlare, si riflettono mille volte producendo infiniti echi e mi ammaliano: vorrei che avesse ragione lui, ma se prima non avevo alcun dubbio che si sbagliasse ora non ne sono più così certa. Nonostante il mio nuovo potere, se non mi fossi impegnata sarei rimasta la bambina scontrosa e solitaria che sono stata per molte primavere, su questo non c'è alcun dubbio, ma in quale luce va guardato questo mio tentativo di cambiare? Conta di più che l'ho fatto per primeggiare, per guadagnare il primo gradino del podio fra tutte le giovani della Comunità, oppure che nel tentativo di essere la migliore sono realmente diventata migliore, aiutando chi ne aveva bisogno e rendendomi sempre disponibile nei confronti di chiunque mi avesse chiesto un favore? Può essere che, cercando di superare gli altri, io abbia in realtà superato me stessa?

Non lo so più, queste due verità si intrecciano nella mia mente confondendosi l'una con l'altra fino a portarmi a chiedermi se si tratti davvero di due cose distinte e se non siano semplicemente due facce della stessa entità. Mi domando se, dopo il patto con il demone, la gente abbia cominciato a stimarmi per il dono che ho ricevuto in regalo, come ho sempre pensato, o piuttosto perché io ho cominciato per scelta a comportarmi in modo diverso. Se avessi assunto quei modi di fare senza aver stretto l'accordo con il Principe, sarei stata apprezzata in ugual modo?

Mi prendo la testa tra le mani, nel tentativo di trovare un senso ai miei pensieri.

— Lym, va tutto bene? — mi domanda Iris, posandomi una mano sulla spalla e facendomi sobbalzare. Me la scuoto di dosso in un gesto automatico, mentre rispondo: — Sì, certo.

Mi avvicino di un passo al buco che scende nelle profondità della terra, cercando di trovare il fondo del tunnel ma senza riuscirci.

— Preferirei che voi...

— Smettila — mi interrompe bruscamente Callàis. — Tanto lo sai che questi due idioti e il cane rognoso non ti lasceranno andare da sola, e io non ho nessuna voglia di stare qui a rigirarmi i pollici mentre vi aspetto, soprattutto considerato che molto probabilmente non riuscirete a lasciare Measan-Ura vivi. Chiaro? Quindi piantala con queste smancerie e muoviamoci.

Mi dà fastidio ammetterlo, ma ha ragione lui e ne sono consapevole, quindi non resta altro da fare che arrendermi al loro volere.

— Però vado prima io — affermo con un tono talmente deciso che questa volta nessuno ha il coraggio di replicare. Mi affaccio al tunnel, cercando nelle sue profondità il coraggio di cui ora ho bisogno. Prendo dunque un bel respiro e mi siedo in terra, infilando con attenzione prima i piedi e poi il busto. Esito un attimo prima di far sparire anche la testa oltre la superficie, valutando la larghezza della galleria, che si rivela grande abbastanza da permettermi di allontanare le gambe di almeno un braccio prima di incontrare le pareti. Alla fine però non ho altra scelta che lasciarmi scivolare nell'oscurità.

Dapprima la caduta è lenta, frenata in parte dalla roccia irregolare che crea attrito con il mio vestito, ma dopo poco comincio a prendere velocità, con la pietra fredda che mi fa rabbrividire e mi graffia la pelle dove il l'abito non arriva o dove si è spostato. Trattengo a stento la necessità di urlare, concentrando le mie energie nel desiderare intensamente che questa caduta finisca presto.

Quando infine una luce comincia a colpirmi dal basso, non faccio nemmeno in tempo a gioirne perché ormai vado talmente veloce che l'istante successivo sono già fuori dal tunnel. Precipito nel nulla, accecata da questa improvvisa luminosità, per attimi infiniti e poi con un tonfo sprofondo nell'acqua.

La morsa fredda del liquido è tanto inattesa che mi ritrovo completamente sommersa e con la bocca piena d'acqua prima ancora di riuscire a riempirmi i polmoni di aria. Annaspo, cercando di risalire in superficie con l'aiuto di un solo braccio poiché con l'altro tengo ancora stretto a me il libro su Rohkeus, ma è solo quando con i piedi tocco il fondo che riesco a darmi la spinta per riemergere boccheggiando.

Mi aggrappo ai bordi di pietra di quella che si rivela essere una vasca ricolma di acqua fino all'orlo, posizionata accanto a una parete anch'essa di pietra grezza. Mi tiro fuori a fatica, respirando a grandi boccate e sventolando in aria il libro per farlo asciugare più in fretta, ma faccio appena in tempo a poggiare entrambi i piedi sulla nuda pietra che qualcun'altro precipita nella vasca, schizzando ovunque e investendomi in pieno con una piccola cascata.

Con un gesto stizzito sposto indietro i capelli che mi si sono appiccicati davanti agli occhi e mi sporgo oltre il bordo, allungando una mano a Iris, che la afferra e la tiene stretta come se da quel contatto dipendesse tutta la sua vita. La aiuto a uscire dalla vasca e poi insieme facciamo lo stesso con gli altri, che cadono a uno a uno nella vasca come ciliegie mature.

— Dove siamo finiti? ­— mi domanda sottovoce mia sorella quando ci ritroviamo tutti in piedi e gocciolanti.

— Non ne ho idea — le rispondo, bisbigliando a mia volta, anche se, in caso ci fosse stato qualcuno nelle vicinanze, con tutto il rumore che abbiamo fatto cadendo nell'acqua ormai ci avrebbe già sentito.

Mi guardo intorno, ma la stanza, illuminata solo da una finestrella posta in alto su una parete, non fornisce molti indizi: è praticamente vuota, fatta eccezione per la vasca, alcuni scaffali con qualche strumento di lavoro e un paio di carriole. Probabilmente si tratta di un magazzino, o comunque di un ambiente di passaggio.

— Secondo me lo usano davvero come via per mandare oggetti dall'esterno a Measan-Ura: li fanno scivolare giù per il tubo, cadono nell'acqua che attutisce l'impatto e poi li mettono sugli scaffali o li portano dove serve. Almeno credo — cerco di spiegare, improvvisando.

— Non che abbia importanza — afferma Callàis, ponendo fine al discorso e scrutando l'ambiente circostante con gli occhi stretti. — Quello che importa ora è trovare il mezzelfo senza prima farci ammazzare.

Alle sue parole apro di scatto il libro, come se mi fossi ricordata all'improvviso di averlo ancora tra le mani, e un mugolio spaventato mi sfugge dalle labbra quando mi rendo conto che le scritte delle prime pagine hanno cominciato a sbavarsi. Ci soffio sopra, nel patetico tentativo di rimediare al danno, ma ormai quel che è fatto è fatto; l'importante è che la bussola sia abbastanza chiara e leggibile. E per fortuna è così.

Prima di avventurarci nei meandri di Measan-Ura, mi prendo un attimo per guardare cosa stia facendo ora Rohkeus e apro il libro alle ultime pagine. Dalla carta bagnata si solleva la solita nuvoletta di vapore, che poi condensa a formare l'immagine del mezzelfo chino in mezzo ai campi di grano, la camicia un tempo bianca ora strappata e di un colore indefinito.

Gordost uggiola a vedere il suo amico in quelle condizioni e io gli accarezzo le orecchie con dolcezza, nel tentativo di consolarlo. Poi faccio un gesto a tutti i miei compagni, invitandoli a seguirmi. In silenzio, do una spinta leggera alla porta che ci separa dal mondo esterno e che si apre senza nemmeno un cigolio, rivelando un corridoio scavato nella pietra. Sulla parete opposta a quella su cui si trova l'ingresso alla stanza, però, si susseguono delle grandi finestre ad arco, che permettono l'ingresso di una intensa luce violetta. Ci avviciniamo ad esse, dopo esserci assicurati che non ci sia nessun elfo drow a presenziare il corridoio.

Un "oh" di meraviglia si solleva all'unisono di fronte allo spettacolo che si svela davanti ai nostri occhi: l'ambiente è lo stesso che avevamo visto nel libro di Rohkeus, ma dal vivo è ancora più splendido. La galleria in cui ci troviamo è scavata a metà della parete rocciosa che delimita Measan-Ura e quindi ci conferisce una privilegiata posizione sopraelevata decisamente panoramica.

Ovunque giriamo lo sguardo, i nostri occhi abbracciano infinte distese di campi rigogliosi e alberi verdissimi, i cui rami sono carichi di frutti pronti per essere colti; inoltre il tutto è ammantato dalla luce dei cristalli sulle pareti, che conferiscono al luogo l'aspetto di un sogno. Ma ciò che più mi colpisce è il profumo dolcissimo dei fiori e della frutta fresca, che mi solletica le narici e mi fa venire l'acquolina in bocca.

— I campi di grano sono laggiù in fondo — mi informa Callàis, pragmatico, indicando con un dito una macchia dorata in lontananza. — Come pensi di raggiungerli?

Resto un attimo in silenzio, con gli occhi persi nel punto in cui dovrebbe trovarsi Rohkeus, e poi mi volto verso gli altri.

— È praticamente impossibile fare tutta quella strada senza essere notati — ragiono ad alta voce.

— Potremmo fingere di essere a nostra volta schiavi — propone Iris con tono incerto, poco convinta lei stessa della propria idea.

— Che è il primo passo per diventarlo davvero — la schernisce Callàis. — E poi gli schiavi mica possono spostarsi liberamente dove vogliono.

Arriccio le labbra, girandomi nuovamente verso la natura feconda e dai colori così vivaci che per un attimo mi sento presa in giro. Poi spalanco gli occhi e mi volto di scatto verso Callàis.

— Ci serve un diversivo!

Alle mie parole il ragazzo solleva un sopracciglio, con aria scettica e in attesa di ulteriori delucidazioni.

— Se seminiamo confusione e panico nessuno farà caso a noi — comincio a spiegare in modo concitato, mentre un'idea prende forma nella mia testa.

— E come pensi di fare? — domanda Iris, confusa.

— Guardate! — esclamo indicando il mondo oltre le finestre. — Tutto è verde, fresco e profumato, cosa accadrebbe se all'improvviso ogni cosa marcisse, se le foglie seccassero e la frutta andasse a male?

Come se fosse stato punto da una vespa, Callàis spalanca gli occhi e li punta su di me, cominciando a capire.

— Cosa intendi...

— Callàis, distruggi tutto.


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