37. La biblioteca delle anime

— Lo ammetto: non pensavo che avresti mai trovato il tuo sposino, né mi aspettavo che anche la dolce gemella fosse in questo adorabile posto che è l'inferno — riprende a parlare Callàis, ignorando tutte le nostre domande e guardando Alveus e Iris con aria meravigliata e vagamente disgustata, come se appartenessero a una rara specie di rospo pustoloso.

— Smettila di divagare — lo rimprovero, infastidita dal suo solito atteggiamento supponente e derisorio. — Come ci hai trovati?

— Non ho trovato voi — mi corregge lui, puntiglioso. — Ho trovato te.

— E perché mi cercavi?

— Te l'ho già detto quella volta alla sorgente del fiume: tento di capire e tu sei la mia chiave.

Sei la mia chiave per uscire da qui. Nella testa mi risuonano le parole che mi aveva rivolto Rohkeus quella che mi pare un'eternità fa e che in realtà sono solo pochi giorni, e un'immensa tristezza mi travolge: sono stanca di essere il perno intorno a cui tutta questa vicenda gira, quella da cui tutti si aspettano qualcosa. Voglio solo trovare il mezzelfo e tornarmene a casa, anche se so che ormai ho preso la mia decisione e a casa non ci tornerò mai più.

Chiudo un attimo gli occhi, cercando di liberarmi la testa da ogni pensiero che non riguardi il qui e l'ora.

— Quella volta in realtà mi stavi usando per evocare il Principe. Se sei qui deduco che ce l'hai fatta da solo, quindi ora cosa vuoi da me? — domando, scrutando Callàis con fare inquisitorio in cerca dell'inganno.

— Certo, sono entrato, ma il demone non l'ho affatto visto e non ho ancora trovato la risposta a nessuna delle mie domande. Ma ora che ti ho trovata puoi evocarlo tu per me — afferma senza fare una piega, come se io non avessi niente di meglio da fare che servirlo.

Prima che io possa ribattere però interviene Iris, chiedendogli a bruciapelo: — Cos'è quel libro che hai in mano?

Alle sue parole tutti portiamo lo sguardo sul volume dalla copertina di cuoio consunto che la ninfa stringe nella mano sinistra, il braccio disteso lungo il fianco. Subito lo solleva per mostrarcelo, in volto un sorrisino trionfante, come se quel libro fosse un tesoro preziosissimo che lui possiede e noi no.

— Questo?

— Ne vedi altri? Hai forse donato la tua vista al dem- — tenta di ribattere di Iris, facendo il verso alle parole che lo stesso Callàis le ha rivolto poco prima, ma il ragazzo non la lascia nemmeno finire.

— È la bussola che mi ha condotto a te, Lympha — spiega, ignorando completamente mia sorella e puntando il suo sguardo acuto su di me.

— Spiegati.

— Certo, potrei farlo... Ma cosa ottengo in cambio? — chiede, assottigliando gli occhi.

— Perché devi essere sempre così difficile? Non puoi rispondere alla domanda e basta?

— Ah, come fai tu, intendi? Non sono certo meno disponibile e onesto di te. Della vera te, intendo, non quella che hai finto di essere per tutti questi anni.

— Ma Lym è davvero disponib- — comincia a difendermi Alveus, ma Callàis si volta verso di lui con sguardo omicida, mentre con la mano gli fa cenno di chiudere la bocca.

— Sta' zitto, idiota, non ho tempo per le tue scemenze. — Con queste parole lo mette a tacere, mentre un'espressione sbalordita si dipinge sul volto di Alveus, come se dopo tutte queste primavere ancora non si sia abituato al fatto che Callàis trascende dalla sua teoria secondo la quale tutti sono più buoni di quanto sembra.

— Facciamo un patto — affermo, riconquistandomi l'attenzione della ninfa dagli occhi azzurri, che si gira di scatto verso di me in un turbinio di boccoli biondi. Sorrido, sapendo che lui alle sfide non è capace di dire di no. — Se tu mi spieghi come funziona quel libro e come posso usarlo per ritrovare Rohkeus, io farò tutto il possibile per evocare il demone e permetterti di parlare con lui.

Tanto cosa ho da perdere? Sono comunque bloccata all'inferno per l'eternità.

Le labbra di Callàis si tendono in un sorrisino soddisfatto, tipico di chi sa di aver giocato bene le proprie pedine nella partita della vita. Pensa di aver vinto, ma non sa che in realtà all'inferno a vincere sarà sempre il Principe, qualunque cosa noi facciamo.

— Lym! — mi rimprovera Iris, tutt'altro che contenta. ­— È pericoloso giocare ancora con il demone, non vale la pena rischiare.

— So quello che faccio — sbotto, infastidita dal suo atteggiamento da madre che rimprovera i cuccioli disubbidienti. Ma ancora più infastidito di me è Callàis, che la fissa con occhi sottili e poi afferma, la voce affilata e fredda come l'acciaio: — Accetto, Lympha.

Annuisco, senza nascondere la mia soddisfazione a Iris, e subito lo sprono a parlare. — Prego, illustraci come funziona il libro.

Lui lo volta dalla nostra parte in modo che possiamo leggere il titolo, inciso nella copertina con caratteri svolazzanti e laminato in foglia d'oro; tuttavia, per quanto mi sforzi, non riesco a decifrare neanche una lettera.

— Callàis, non si legge niente — osa intervenire Alveus, con voce tanto flebile e incerta che più che un'affermazione pare stia facendo una domanda.

L'altro ragazzo dà un'occhiata alla copertina e poi fa un sonoro sospiro, prima di rispondere: — Certo, è scritto con un alfabeto strano, sarà infernese o qualcosa di simile, ma con un po' di sforzo si riesce comunque a capire cosa vuol dire.

Alle sue parole tutti e tre cominciamo a fissare il libro intensamente, stringendo gli occhi a fessura e tentando di vedere al di là dei caratteri fisici incisi nella pelle consunta, ma per quanto mi sforzi non vedo altro che simboli incomprensibili. La prima ad arrendersi è Iris, che chiede: — Visto che a te viene facile, potresti per favore leggere tu per noi, Callàis?

Per un attimo gli occhi turchesi del ragazzo si tingono di sincero stupore. — Voi davvero non riuscite?

— Evidentemente il Principe ha scelto te come unico privilegiato in grado di comprendere il libro — affermo io, stanca di questa messinscena e desiderosa di andare oltre. Callàis punta lo sguardo su di me, mentre quell'espressione di straniamento così fuori posto sul suo viso svanisce di colpo, sostituita dalla più usuale arroganza.

— Bene — esclama, riprendendo il controllo della situazione. — Il titolo di questo libro è composto da un'unica parola: Lympha.

Sobbalzo, presa in contropiede. — Lympha? — gli faccio eco, sorpresa. Lui alza gli occhi al cielo, prima di ribattere: — È quello che ho detto.

— E dentro cosa c'è scritto? — chiede Iris, con aria seria.

Callàis sfoglia il libro, tenendolo girato verso di noi in modo da permetterci di vedere le pagine, che sono per lo più ricoperte da scritte nere in caratteri svolazzanti e da qualche illustrazione sparsa. Così come il titolo, anche i paragrafi interni sono per me illeggibili, ma ovviamente non vale lo stesso per le immagini, che rappresentano me in vari stadi della mia vita, come se si trattasse di un inquietante volume illustrato per bambini.

— Non l'ho letto tutto, ma credo che il libro parta da quando hai stretto il patto con il demone e racconti grossomodo la storia della tua vita da allora. In realtà le prime facciate sono dedicate alle tue generalità, tipo come ti chiami, chi sono i tuoi genitori, se hai caratteristiche particolari e così via. È davvero un bel libro, perché, se non hai voglia di leggere, le pagine sono in grado di proiettare gli eventi per permetterti di vederli con i tuoi occhi, come in una visione. Davvero molto interessante, Lympha — sottolinea lui, sorridendo in quel suo modo felino e irritante, mentre io sento le mie guance avvampare al pensiero di tutto quello che potrebbe aver visto in quelle pagine, soprattutto perché so che non è nel suo stile fare finta di niente.

— Mi è piaciuta soprattutto la prima scena, quella del patto: era così scenografica — afferma infatti, con aria drammatica. — Ma devo dire che, benché disgustosa, anche quella in cui tu e quell'idiota del tuo fidanzato fate sesso nel sottobosco è stata molto interessante: non credevo che Alveus fosse in grado di essere così uomo, se capite cosa intendo — conclude ammiccando nella nostra direzione.

Alveus abbassa immediatamente lo sguardo, il volto nascosto dai capelli, che lasciano però vedere chiaramente la punta delle orecchie diventare bordeaux. Sono sicura che vorrebbe solo seppellirsi per l'imbarazzo, sensazione che condivido pienamente, anche se a prevalere in questo momento è la rabbia nei confronti di Callàis: mi ribolle in petto alimentata dall'imbarazzo stesso, che dovrebbe rendermi schiva e ritrosa e che invece accresce solo il desiderio di mozzargli la lingua e cucirgli insieme le labbra, nel tentativo di farlo stare zitto per sempre e magari di fargli anche sparire dal volto quel sorrisino irritante.

— Ti sei divertito abbastanza? — gli chiedo, la voce resa vibrante dal tentativo di contenermi. — Ora possiamo andare avanti?

— Ma certamente — risponde lui, con un tono di finta accondiscendenza, mentre comincia a sfogliare in fretta le pagine fino ad arrivare all'ultima. — Qui in fondo c'è una mappa, che segna tutti i luoghi in cui ti sei spostata da quando hai fatto il tuo patto fino ad ora ed è così che ti ho trovata. Vedete, qui in cima c'è anche una bussola che indica la direzione da seguire.

Osservo con attenzione le pagine color avorio che il ragazzo sta indicando con le sue dita affusolate: sono fittamente ricoperte da disegni precisi e minuziosi, tanto che per coglierne appieno la bellezza servirebbe una lente di ingrandimento, e in mezzo ad essi spicca una linea sinuosa più spessa delle altre che presumo indichi il cammino della mia vita. In alto sulla destra, proprio come ha detto Callàis, fa bella mostra di sé una bussola il cui ago ora sta puntando dritto verso di me.

— Ma quindi questo libro non ci è utile per trovare Rohkeus, se tratta soltanto di me — affermo, tentando di mascherare la delusione.

— Dove lo hai trovato? — interviene allora Iris, sfiorando delicatamente le pagine con un dito dall'unghia spezzata.

— Secondo voi? — chiede lui, invece di rispondere alla domanda di mia sorella.

— Per tutti i fiumi, Callàis! Piantala e rispondi, per una buona volta! Non abbiamo tempo per i tuoi giochetti — sbotto io, al limite della pazienza.

— Come sei suscettibile, Lym! In una biblioteca, ovviamente.

— Una biblioteca? — esclamiamo io e Iris quasi in coro, mentre Callàis sorride, beandosi nel nostro stupore.

— La Biblioteca delle Anime — specifica lui.

— E cosa sarebbe? — chiede Alveus, pendendo dalle labbra dell'altro ragazzo.

— Come dice il nome, si tratta di un posto in cui sono raccolti i libri su tutte le persone che sono mai entrate in contatto con il Principe, come Lympha, come tutti noi.

— Come Rohkeus — concludo io in un soffio. Se troviamo il libro del mezzelfo, la mappa sarà senz'altro in grado di condurci da lui. — Callàis, portaci lì — intimo al giovane, ma lui fa un sorriso soddisfatto e comincia a muovere il dito indice a destra e a sinistra davanti alla mia faccia.

— Decisamente no.

— Abbiamo fatto un patto, ricordi? Rispettalo — ribatto irritata.

— Ma io l'ho rispettato: ti ho spiegato come funziona il libro e come puoi usarlo per ritrovare il tuo amichetto. Il mio compito è finito.

Apro la bocca per ribattere qualcosa di piccato e risentito, ma Iris mi batte sul tempo, cercando di moderare i toni che sicuramente prenderebbe la conversazione se intervenissi io.

— Per favore, Callàis, non trovi che sia meglio realizzare un fronte comune e cercare di aiutarci a vicenda, data la situazione difficile già di per sé? — cerca di rabbonirlo, usando un tono calmo. Quello che ottiene però è solo di spegnere il sorrisino soddisfatto che gli attraversava il volto.

— Lo sai che non sopporto quando fai così.

— Così come?

— Quando ti comporti come se fossi la paladina della pace e dell'amore fraterno.

Stavolta sono io a bloccare sul nascere la risposta di Iris. — Callàis, smettila di prenderci in giro. Al di là del significato letterale delle parole, il significato della mia richiesta era chiaro: ti aiuterò quando avrò trovato Rohkeus, se tu però avrai prima dato una mano a me. Punto. Quindi ora portaci in questa Biblioteca delle Anime cosicché io possa trovare il libro del mezzelfo e onora il patto, oppure vattene e non aspettarti niente da me. Chiaro?

Il ragazzo fissa su di me i suoi occhi duri e pungenti come uno zaffiro grezzo e afferma, senza alcun tipo di esitazione: — Cristallino.

Dal tono di voce e dall'espressione pare quasi soddisfatto della mia uscita brusca e imperiosa, come se per lui fosse un toccasana dopo le parole gentili di mia sorella.

Chiude il libro di scatto, facendo sobbalzare Alveus che ha seguito il nostro battibecco senza dire nulla, e con passo deciso si avvia verso l'acqua trasparente del torrente, sulla sponda del quale si ferma. — Allora andiamo.

Tiro un sospiro di sollievo, rilassando le spalle che sono state in tensione fino ad ora, e lo seguo nell'acqua fredda.

— Perché camminiamo nel torrente? — gli domanda Iris, mentre Alveus scivola sull'argine fangoso alle sue spalle e si aggrappa al suo braccio per non cadere in terra.

— Più avanti gli alberi si fanno più fitti e intricati, rendendo difficile proseguire all'asciutto. E comunque basta seguire questo corso d'acqua per arrivare alla Biblioteca.

— E non potevi dircelo subito? — lo rimprovero, ma le mie parole, anziché dargli fastidio, paiono divertirlo.

— Vederti arrabbiata è stato molto più appagante — ribatte infatti.

Se fossi una bambina raccoglierei una manciata di fango e gliela lancerei dritta in faccia, ma non lo sono e quindi cerco di trattenere l'impulso. Nel frattempo Gordost, che non ha mai smesso di fissare Callàis con sguardo truce, salta nell'acqua al mio fianco, schizzando me e il ragazzo da capo a piedi e generando sul viso di entrambi un'espressione sorpresa che pare divertirlo molto.

Callàis assottiglia gli occhi ed emette un verso di disappunto che assomiglia incredibilmente al sibilo di un serpente velenoso, tanto che per un attimo temo per l'incolumità del lupo, ma subito si volta, dandoci le spalle, e si incammina a passo spedito seguendo la corrente. Noi ci affrettiamo a stargli dietro, uno in fila all'altro, primo fra tutti Gordost che si frappone tra noi e lui come a volerci difendere.

Dopo pochi passi Alveus mi si affianca, sfiorandomi con tocco leggero una mano. Io la ritraggo subito come se fossi entrata in contatto con un'ortica, salvo poi rimetterla al suo posto con espressione colpevole. Tuttavia lui pare non essersi accorto di nulla, forse troppo preoccupato da qualcos'altro, e mi domanda con voce molto interessata: — Ma questo mezzelfo...

— Rohkeus — lo correggo automaticamente, senza nemmeno pensare prima di aprire bocca.

— Sì, Rohkeus — mi asseconda lui, ma con in viso la stessa espressione che aveva assunto quella volta che gli era capitato di mangiare un limone troppo aspro. — Com'è fatto?

Per un attimo mi fermo, sorpresa dalla sua domanda, ma riprendo subito il cammino. — Perché?

— No, così, tanto per sapere... — spiega debolmente lui, facendo calare la voce sulle ultime parole.

— Se ti riferisci all'aspetto esteriore — interviene Callàis, senza nemmeno fingere di non stare origliando — è decisamente spiacevole. Certo, poi anche il carattere lo è, ma se fossi in te farei bene a preoccuparmi: sicuramente è più intelligente di quanto tu possa mai ambire a essere.

— Oh, per tutti i fiumi! — interviene Iris alle mie spalle. — Hai finito di dare dell'idiota ad Alveus?

— Poverino, non è nemmeno capace di difendersi da solo — ribatte Callàis in falsetto.

— Certo che mi so difendere da solo, ma credo non valga la pena litigare per questo — risponde il mio promesso sposo con tono arrendevole. — E comunque non sono affatto preoccupato — conclude, calcando troppo la parola "affatto".

— Idiota — bisbiglia l'altro ragazzo, prima di velocizzare il passo e aumentare così la distanza che ci separa.

Per un po' nessuno dice niente, mentre ai nostri lati gli alberi rachitici si fanno sempre più vicini e intricati, proprio come aveva predetto Callàis. Più andiamo avanti, più i loro rami si protendono verso il fiume, andando a creare una volta sopra le nostre teste e oscurando così il cielo, finché diventano così fitti che mi pare di essere sepolta in una tomba.

Alveus cammina ancora al mio fianco, la sua spalla contro la mia, ma non tenta più di prendermi per mano né accenna a qualunque altro tipo di contatto, anche se ogni tanto alza gli occhi sul mio viso in cerca di un segno che possa confermare o confutare qualunque cosa gli stia girando per la testa. Quando capita mi sforzo di sorridergli, anche se sorridere è l'ultima cosa di cui ho voglia.

A un certo punto, pur di far finire questo gioco di sguardi, mi rivolgo a Callàis, che cammina una decina di passi davanti a noi. — Come hai fatto a entrare all'inferno? — gli domando. Mi aspetto un commento infastidito e scortese, invece lui ribatte solamente: — Sono entrato.

— Questa non è una risposta.

— Può non piacerti, ma è la verità. Hai presente il cerchio di evocazione che tu e il tuo amichetto avete disegnato alla sorgente del fiume?

Annuisco, decidendo di fingere di non aver sentito la parola "amichetto".

— A quanto pare ha cominciato a funzionare a scoppio ritardato. Quando siete scomparsi, lasciandomi lì da solo, ho provato nuovamente a evocare il Principe e qualcosa è successo: le scritte intorno al cerchio si sono accese e hanno cominciato a fumare, cose se fossero fatte di fuoco a stento trattenuto nei propri confini, e nel vapore che si è venuto a creare si è aperta una porta. L'ho varcata e così eccomi qui.

— Nessun patto? — chiedo sorpresa.

— No.

— Nessun prezzo da pagare? — interviene Iris, a sua volta stupita.

— Niente di niente.

— Ma come è possib- — tento di ribattere, ma Alveus mi interrompe prima che io possa concludere la frase. — E quello cos'è?

Tutti ci voltiamo nella direzione indicata dalla sua mano, dove le acque del torrente si uniscono a quelle di un altro affluente e si tingono di un rosso cupo.

— Ah, ci conviene uscire. Tanto da qui in poi gli alberi spariscono.

In effetti sulla sponda i tronchi si sono già fatti un po' più radi, permettendoci di camminarvi in mezzo senza rimanere incastrati. Quando raggiungiamo la biforcazione, mi fermo un attimo a guardare le due acque che si mischiano in modo pigro, con volute lente e sonnolente.

— Ma è sangue? — chiedo, mentre un brivido mi risale la schiena.

— Così pare — è la risposta lapidaria di Callàis e io decido di non approfondire oltre la questione.

Riprendiamo il cammino lungo la sponda, sulla quale gli alberi si fanno sempre più isolati fino a sparire del tutto e il fango lascia il posto a un deserto roccioso ricoperto di polvere. Altri affluenti si uniscono al torrente, alcuni scarlatti come le fragole mature, altri tanto scuri da sembrare quasi neri.

Lentamente anche il cielo cambia colore, tingendosi della stessa sfumatura inquietante delle acque dense e viscose che ci corrono a fianco. Tutto pare impregnato di sangue, al punto che mi aspetto di veder emergere quella sostanza rossastra anche dalla roccia su cui stiamo camminando, come se si trattasse delle lacrime dei morti che immagino sepolti sotto i nostri piedi in quello che pare un immenso cimitero senza lapidi.

Avanziamo in questo deserto macabro per circa quattro giorni, o almeno così credo, poiché per quattro volte ci fermiamo a riposare e a mangiare quel poco di cibo che avevamo con noi e che si esaurisce durante l'ultima sosta. Spero che manchi ormai poco, me lo ripeto in continuazione cercando di convincermene, ma è solo quando arriviamo a un dirupo e Callàis esclama: — Eccoci — che mi concedo un grande sospiro di sollievo.

Uno in fila all'altro come bambini ubbidienti, ci sporgiamo dal precipizio per guardare in basso. Al nostro fianco il torrente, che ormai si è fatto tanto grosso da essere un vero e proprio fiume, scorre placido fino al bordo del burrone, da dove precipita per diversi piedi prima di riprendere la sua sinuosa corsa sul fondo.

Rimango a guardare stupita l'inquietante cascata che il fiume di sangue genera prima di infrangersi sulla nuda pietra in una miriade di schizzi; ricorda terribilmente quella che c'è vicino al nostro villaggio e che da piccola amavo tanto, ma è come se fosse una copia distorta e malata, la versione avvelenata di quello che dovrebbe essere uno spettacolo bellissimo e che invece appare come un presagio di sventura. Mi stringo le braccia al petto, cercando almeno una parvenza di conforto: non provo nemmeno l'ombra della tranquillità che mi ha sempre dato lo scrosciare roboante dell'acqua che precipita, sostituita invece da una sorta di inquietudine che mi scorre sotto pelle.

Il rumore che produce la cascata è tanto forte che distinguo appena le parole di Callàis. — La Biblioteca è quella — ci informa, indicando uno spettacolare ingresso scavato nella roccia di una delle pareti del burrone. Per arrivarci percorriamo una ripida e dissestata scalinata che pare una cicatrice incisa nella pietra; i gradini sono tutti storti e si sbriciolano sotto i nostri piedi, ma riusciamo ad arrivare in fondo tutti interi.

— Ma è bellissima! — esclama Alveus, urlando per farsi sentire sopra lo scroscio dell'acqua e con gli occhi rivolti all'ingresso.

Sinceramente non so se "bellissima" è la parola che avrei usato io: "maestosa" e "minacciosa" forse avrebbero reso meglio l'idea.

Percorro con lo sguardo le statue di pietra malamente abbozzate che sovrastano l'arco di ingresso: rappresentano degli strani mostri con le ali, ma i loro lineamenti sono tanto rozzi da far pensare che il loro creatore sia morto prima di riuscire a portare a compimento l'opera. I loro volti malformati scrutano in basso verso di noi, con il chiaroscuro dovuto alla luce rossastra proveniente dal cielo che contribuisce a creare una sensazione di terrore irrazionale che mi stringe il cuore in una morsa. A completare l'opera, una serie di rocce appuntite circonda l'apertura da tutti i lati andando a formare quella che mi ricorda la dentatura di uno squalo.

— Ma non c'è nemmeno la porta? È così facile entrare? — domanda Alveus, un po' perplesso. Ha ragione, al posto del portone che anch'io mi sarei aspettata c'è solo una grande cavità nera di cui non si vede la fine e che sembra portare direttamente nelle viscere dell'inferno.

— L'altra volta sono entrato e basta — gli risponde Callàis con un'alzata di spalle, avviandosi verso l'inquietante varco, e a noi non resta altro da fare che seguirlo.


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