28. Danza macabra
La consapevolezza che Alveus è effettivamente passato da qui prima di noi mi risveglia da quello stato di trance in cui ero caduta, rendendo il mio cervello attivo, anche troppo, tanto che quasi non riesco a stare dietro ai miei stessi pensieri. Lo stesso non si può dire per Rohkeus, che invece rimane congelato sul posto, probabilmente non riuscendo a credere a quello che ha appena sentito.
— Per tutti i fiumi, Alveus è stato qui! — dico nuovamente, come se ripeterlo possa renderlo più vero. Intanto mi volto verso il mezzelfo per vedere dal vivo, e non riflessa nello specchio, la sua espressione spiazzata.
Accenno un paio di passi in direzione del letto, salvo poi cambiare idea e tornare verso Rohkeus, ma arrivo a malapena davanti al suo volto prima di fare nuovamente marcia indietro, con il cuore che mi batte veloce in petto. Non so cosa fare, cioè, lo so, ma non posso: la cosa più giusta e logica sarebbe interpellare l'anello e seguire la direzione da esso indicata, ma purtroppo siamo chiusi qui, in questa stanza fredda e asettica, prigionieri della regina inquietante di un popolo altrettanto inquietante.
— Come fai a esserne sicura? — mi chiede il mezzelfo, seguendo con lo sguardo il mio vagare. Alla sua domanda mi fermo, ma solo per voltarmi nuovamente e tornare davanti allo specchio.
— Lo vedi questo? — domando, indicando l'oggetto. Rohkeus annuisce una volta, aggrottando le sopracciglia, perché è ovvio che lo vede, come potrebbe essere altrimenti? — È il potere di Alveus.
Il mezzelfo resta un attimo in silenzio, pensieroso, prima di decidersi a parlare: — Creare specchi?
— Sì, cioè, no. Non proprio. Lui manipola l'acqua, vedi? — gli spiego toccando la superficie riflettente e creando così piccole onde concentriche che vanno a morire dove il liquido incontra la cornice.
Vorrei spiegarmi meglio, ma non riesco a fare uscire dalla mia bocca frasi di senso compiuto: il mio cervello va troppo veloce per poter tradurre i pensieri in parole da infilare una dietro l'altra, come le perle di una collana, fino ad ottenere un discorso con un capo e una coda. Pare però che Rohkeus abbia capito perché annuisce un'altra volta e si avvicina anche lui allo specchio. Solleva il braccio destro per toccarlo come ho fatto io, ma blocca il gesto a metà non appena si rende conto che lì non c'è più nessun dito con cui toccare alcunché. Cambia in fretta il braccio, forse sperando che io non abbia notato la sua esitazione, e poi sfiora con le sue dita tozze il pelo dell'acqua.
— Non ci posso credere — sussurra, e non so se si riferisce alla magia di Alveus o al fatto che non siamo mai stati così vicini a trovare per davvero il mio promesso sposo. Per quanto mi riguarda non posso fare a meno di ripetermi, nella mia testa: Alveus è stato qui. È stato realmente qui. E, per quanto ne sappiamo, potrebbe trovarsi ancora all'interno di questo edificio, magari addirittura nella stanza accanto alla nostra.
Guardo l'anello che ci ha guidati fino a qui e che, ovviamente, ora indica la porta. Come vorrei seguirlo, e come vorrei farlo subito, ma siamo chiusi qui dentro senza possibilità di scelta.
— Secondo te quanto è difficile scappare senza essere beccati? — chiedo, mentre un'idea malsana si fa strada nella mia testa. Rohkeus si guarda intorno, affacciandosi anche all'unica finestra della stanza e scrutando fuori con aria assorta e meditativa, prima di rispondermi: — Penso che sia un suicidio.
Ha ragione, lo so, e ne ero consapevole anche prima di porre la domanda, ma, per tutti i fiumi!, Alveus è a due passi da noi e siamo costretti ad accontentare una regina pazza che ci vuole come ospiti a una sua stupida festa? La cosa è così irritante e ridicola che, nonostante la frustrazione, o forse propria per quella, non posso fare a meno di ridacchiare come un'isterica.
— Mantieni la calma — interviene Rohkeus, con voce tranquilla, prima che la situazione degeneri. — Da come ne parlava la bhanrigh, non dovrebbe mancare molto a quell'inutile festa: accontentiamola e poi ce ne andiamo, senza essere inseguiti da un manipolo di guardie e senza la maledizione di quella donna a pendere sul nostro capo.
Faccio un respiro profondo per calmare i miei nervi e annuisco, a dimostrazione che concordo, seppur malvolentieri.
— Visto che siamo costretti a stare qui, almeno approfittiamone e diamoci una ripulita — propongo non appena avvisto una tinozza colma d'acqua limpida su un mobile poco distante. Ed è effettivamente quello che facciamo, pulendoci a turno dal fango, ma purtroppo l'operazione richiede meno tempo di quello che avevo sperato e così ci ritroviamo di nuovo senza nulla da fare. Mi offro quindi di controllare ancora una volta la ferita di Rohkeus, benché non sia passato molto tempo dall'ultima volta che l'ho fatto, ma anche questa si rivela essere un'attività di breve durata, e così alla fine non possiamo che sederci sul bordo del letto, fianco a fianco, ad aspettare e a guardare Gordost accucciato sul pavimento, dal quale ci guarda a sua volta.
Continuo a far saltellare la gamba come valvola di sfogo, diffondendo sicuramente vibrazioni su tutto il materasso, ma, se anche gli dà fastidio, Rohkeus non dice nulla.
Quando finalmente la porta si apre, balzo subito in piedi. Nella stanza fa il suo ingresso una guardia che non avevamo mai visto, o almeno credo, perché in realtà non sono sicura di riuscire a distinguere gli elfi l'uno dall'altro. Questo in particolare ha folti capelli azzurri, pettinati con cura, e ora se ne sta ritto sull'uscio, in una posa rigida che forse spera incuta timore.
— La nostra amata bhanrigh vi manda a chiamare — ci informa lui, serioso, mentre si fa da parte per lasciarci passare.
Mi basta uscire dalla stanza per sentirmi già più libera, anche se il soldato non distoglie neanche per un attimo lo sguardo dalla nostra piccola comitiva. Lancio un'occhiata veloce all'anello e constato con piacere che la freccia indica la direzione che stiamo già percorrendo.
Più avanziamo, più i corridoi si popolano di gente che cammina di fretta in tutte le direzioni: per la maggior parte si tratta di elfi drow, ma tra loro noto anche qualche individuo di specie diversa. Alcuni non riesco nemmeno a riconoscere di che popolazione facciano parte, come la ragazza con la pelle verde e due braccia di troppo che le escono dai fianchi generosi; altri invece mi sono estremamente familiari, tanto che per un attimo mi pare di scorgere addirittura una ninfa. Da quel momento comincio a scrutarmi intorno con occhi vigili, sperando di vedere tra la folla una chioma plumbea e due occhi color smeraldo, ma purtroppo Alveus non appare da nessuna parte.
Facendoci strada tra tutti questi sudditi affannati, giungiamo infine all'entrata del palazzo di cristallo. Fuori l'ambiente è esattamente com'era quando l'abbiamo lasciato, con la stessa luce azzurra che scende dal cielo a illuminare questa desolata landa fangosa, con la differenza però che ora dai buchi nel terreno entrano ed escono continuamente elfi drow, portando cibi e bevande da posare sui lunghi tavoli disposti a raggiera intorno a un baldacchino centrale.
In realtà i tavoli sono già strabordanti di vivande, ma in qualche modo gli elfi riescono a farci stare, seppure in bilico, anche queste ultime aggiunte. Potrebbe sembrare quasi l'allestimento di una festa di compleanno, se non fosse per il fatto che nei piatti riccamente decorati si trovano vermi striscianti e non torte, e che i liquidi nelle brocche ribollono in modo inquietante.
Agli alberi rinsecchiti che compaiono intervallandosi ai tavoli sono appesi brandelli di tessuto nero, delicati e leggeri come seta, immobili a causa dell'assenza di vento: a vederli da lontano mi ricordano enormi pipistrelli neri. O uomini impiccati.
Una musica dalle note basse e opprimenti si diffonde nell'aria, pesando sul mio cuore come un macigno. Gordost probabilmente deve pensarla come me, perché uggiola e si struscia contro la gamba di Rohkeus, con le orecchie basse.
La guardia ci guida attraverso la distesa di tavoli, diretta verso il baldacchino allestito nel centro. Per raggiungerlo siamo costretti a farci spazio a gomitate tra la folla di elfi, presenti in una quantità che non credevo possibile: qualcuno è già ubriaco, altri ballano al ritmo della musica angosciante che impregna l'aria, altri ancora attingono a piene mani dai piatti da portata ammucchiati sui tavoli. Un elfo davanti a me, a un certo punto, solleva una manciata di larve da un vassoio per poi infilarsele in bocca che ancora si muovono. Faccio un balzo indietro, trattenendo un conato di vomito e rischiando di inciampare in una vecchia accasciata al suolo, le mani strette intorno a una bottiglia piena di un liquido rosso non meglio identificato, ma per fortuna Rohkeus mi prende al volo e io riesco a riacquistare l'equilibrio.
Con molta fatica arriviamo al baldacchino, posto su una pedana rialzata e raggiungibile grazie a una decina di gradini, da cui la bhanrigh, seduta comodamente su un divano rivestito di velluto nero, osserva tutto con occhio attento. O almeno credo che lo stia facendo, perché è immobile con lo sguardo fisso verso un punto imprecisato all'orizzonte, un corvo sempre posato sulla spalla e gli altri aggrappati con i loro artigli allo schienale del divano. Mi guardo in giro a mia volta e non posso fare a meno di notare che, da quassù, la marea di elfi drow che si allarga tutt'intorno sembra un gigantesco formicaio, in cui gli insettini che lo popolano si muovono in modo caotico, camminando persino gli uni sugli altri.
Intorno alla bhanrigh, seduto in terra su dei cuscini a loro volta neri, si trova un gruppo di sudditi, presumibilmente gli stessi che la accerchiavano anche nella sala sotto la cupola di cristallo, mentre alle sue spalle alcuni soldati, capeggiati da Deamhan, la proteggono. La nostra guida si ferma davanti alla regina e comincia a gesticolare, comunicando in quel linguaggio a me incomprensibile. Lei annuisce, e poi rivolge a noi la sua attenzione ma non il suo sguardo. — Benvenuti, miei cari ospiti. Spero che la festa sia di vostro gradimento.
Non so se si aspetta una nostra risposta. Probabilmente no, visto che subito dopo aver parlato ordina qualcosa, con un gesto sprezzante della mano, a un ragazzo accomodato sui cuscini. Il giovane scatta in piedi e va a recuperare, da un tavolo poco distante, una ciotola d'argento contenente un grappolo di quella che pare uva, ma di un rosso tanto intenso da sembrare dipinta col sangue.
Il ragazzo, che non dimostra più di sedici primavere, si accomoda sul divano al fianco della donna e comincia a staccare gli acini uno alla volta, facendoli cadere tra le labbra della bhanrigh. A un certo punto una goccia scarlatta cola da un angolo della sua bocca, rigandole il mento e cadendo poi sulla pelle nera dell'incavo tra i suoi seni, che l'abito bianco lascia più che intravedere.
Mi ritrovo a seguire il percorso della goccia con le labbra socchiuse, incantata, fino che essa scompare del tutto, nascosta dall'abito. Un brivido di desiderio mi attraversa, scaldandomi le viscere. Non capisco cosa stia accadendo e questo mi spaventa: cosa mi sta facendo questa donna? Non riesco a spiegarmi perché mi attragga in modo tanto intenso e irrazionale, al punto che a volte, quando la guardo, mi dimentico di tutto: di Rohkeus al mio fianco, di Alveus che devo salvare, di me stessa.
Mi volto verso il mezzelfo, in cerca di una risposta o forse solo di un conforto, ma anche il suo sguardo è puntato sul seno della bhanrigh e sul suo viso riesco a leggere un'espressione bramosa e assorta che non avevo mai visto prima in faccia a nessuno, sicuramente succube anche lui della malia della bhanrigh.
Gli tiro uno schiaffo sulla spalla, che probabilmente risulta essere più forte di quanto lo era nelle mie intenzioni perché Rohkeus ha un sussulto, come se fosse appena stato svegliato da un sonno profondo, e subito si gira verso di me, alzando il braccio destro per massaggiarsi il punto dolente, ma ottenendo solo di fregare la bendatura sulla stoffa della maglia, gesto che gli genera più dolore che sollievo.
Apre la bocca per rimproverarmi, ma improvvisamente realizza il motivo per cui l'ho colpito e così strabuzza gli occhi, senza emettere suono.
— Sedetevi — ci ordina la regina, indicando due cuscini con un movimento svogliato della mano. — E voi — continua, rivolta a due giovani ragazze in abiti succinti — offrite loro da bere e da mangiare.
La guardia con i capelli azzurri mette una mano sulla mia spalla e una sulla spalla di Rohkeus, e ci spinge in terra, obbligandoci a sederci, mentre le due ragazze si affannano a riempire bicchieri e piatti fino a farli strabordare. L'ultima cosa che desidero è mangiare e bere quello che ci viene offerto, ma non so come fare a rifiutare senza risultare maleducata e così rivolgo il mio sguardo preoccupato al mezzelfo, che sta fissando a sua volta i piatti che ci vengono posati davanti con un misto di orrore e disgusto stampato in viso.
All'improvviso però un profumo dolcissimo e invitante raggiunge le mie narici, facendomi voltare verso il bicchiere che una ragazza ha appena posato di fianco al piatto e che contiene lo stesso liquido nero che la bhanrigh ci ha precedentemente obbligati a bere. Non dovrei portare quella bevanda alle labbra, una parte razionale del mio cervello ne è consapevole, ma essa mi attira come fa il nettare con le api, e prima ancora che me ne renda conto ho già allungato la mano verso il calice e ho ingollato tutto il suo contenuto.
Se la prima volta che l'ho assaggiato l'ho trovato di pessimo gusto, ora riesco a percepirne solo la dolcezza e lo trovo tanto delizioso che vorrei berne ancora, e subito. Come se mi avesse letto nel pensiero, una delle due fanciulle me ne versa dell'altro, riempiendo fino all'orlo il bicchiere che tengo ancora stretto tra le dita e che in un attimo è di nuovo vuoto.
D'un tratto la musica, che era andata in crescendo, si zittisce e su tutta la festa cala un silenzio tombale, interrotto solo da uno squillo di tromba. Evidentemente è un segnale che tutti riconoscono, perché la gente comincia a urlare e non si capisce se siano grida di gioia o di paura.
— Ecco il mio momento preferito — afferma serafica la bhanrigh, mentre il giovane che prima le aveva portato l'uva ora le massaggia le spalle. — Guardate e ammirate, forestieri.
Intanto alla tromba si è aggiunto un rullo di tamburi, che diventa via via più veloce e al quale si sommano uno alla volta altri strumenti fino ad ottenere una musica lamentosa e stridente, che sembra il pianto disperato di una donna sottoposta ad atroci sofferenze.
Non capisco cosa stia succedendo, so solo che, se già l'atmosfera era angosciante prima, ora è diventata realmente straziante e insostenibile, e mi domando come faccia la regina a continuare a sorridere.
Un boato si solleva dalla folla nel momento in cui, da un portone del palazzo di cristallo, comincia a uscire una colonna di persone. All'inizio non riesco a distinguerle bene, per via della distanza, ma non appena si avvicinano un urlo strozzato sfugge dalla mia bocca.
Perché in effetti non sono persone, o almeno, non lo sono più. Quelli che si avvicinano al baldacchino, muovendosi a ritmo di musica, sono scheletri, pallidi e orribili scheletri, le cui ossa bianche rilucono alla luce azzurra che scende dal cielo. Danzano uno in fila all'altro, assecondando l'incessante stridio degli strumenti che ora riempie l'aria, assordante.
Vorrei poter spegnere tutto: ciò che vedo, ciò che sento, ciò che provo. E invece non posso fare a meno di farmi pugnalare occhi e orecchie con questa tremenda e macabra danza, che si avvicina sempre di più a noi e alla regina. Gli scheletri continuano a ballare per tutto il tragitto, con le ossa che schioccano quando sbattono una contro l'altra e con i teschi privi d'espressione che, per quanto impossibile, sembrano guardarsi intorno cercando aiuto.
La gente si fa da parte, creando spazio per farli passare anche quando di spazio non ce n'è, come se avesse paura di essere contagiata sfiorando per sbaglio uno degli scheletri. Tutti urlano, qualcuno piange, ma non la regina: lei continua a ridere, come se non avesse mai assistito a niente di più bello.
Mentre la colonna di ballerini gira intorno al baldacchino, Rohkeus trova la forza d'animo necessaria per porre una domanda: — Cosa sono quelli?
L'elfo con i capelli azzurri si siede al suo fianco, un bicchiere colmo di liquido nero stretto in mano. Nonostante la postura sia sempre rigida e dritta, pare un po' più rilassato, forse a causa di quello che ha mangiato o bevuto.
— Quelli? Sono i nostri prigionieri.
— In che senso?
— Sono gli elfi che hanno disobbedito alla bhanrigh o hanno infranto le nostre leggi.
— Cosa gli è successo? — chiedo con voce incerta, tenendo lo sguardo fisso sulla guardia per non dover più vedere gli scheletri.
— Se fossimo nel mondo da cui proveniamo, sarebbero cadaveri esanimi e sepolti, ma qui, nelle Terre di Loth, noi elfi drow non possiamo morire. — Esita un attimo, prima di continuare: — Li abbiamo fatti sbranare dai cani, finché di loro non è rimasto altro che ossa e cervello, e ora sono condannati a restare così per l'eternità, languendo nelle nostre prigioni e pentendosi per quello che hanno fatto. Alle feste la bhanrigh li fa danzare come monito, cosicché nessuno commetta più gli stessi errori.
Sento un rigurgito risalirmi in gola, ma questa volta non riesco a trattenermi e faccio giusto in tempo ad arrivare al bordo della piattaforma rialzata prima di vomitare. Lo stomaco mi si contrae ancora un paio di volte a vuoto e solo dopo qualche attimo riesco a mettermi di nuovo seduta, prendendo grandi respiri. Intravedo vagamente che Rohkeus e Gordost mi si sono avvicinati e che neanche loro sembrano godere di ottima salute, ma quanto meno non hanno vomitato.
— Prendi un po' di questo — mi consiglia il soldato, passandomi un bicchiere con dentro il liquido nero. — Ti farà stare meglio.
Afferro il calice in automatico e di nuovo vengo investita dall'inebriante profumo di quella bevanda, che la mia volontà troppo debole non riesce a impedirmi di bere. Effettivamente, dopo avere svuotato il bicchiere mi sento più in forze, quel tanto che basta per permettermi di scorgere lo sguardo di ammonimento di Rohkeus: non bere, sembrano dire i suoi occhi.
Ha ragione, ma non ci riesco; non sono in grado di impedire a me stessa di ingollare tutta la bevanda che mi viene versata a più riprese nel bicchiere e che mi fa sentire più leggera e, in un certo senso, felice. Forse il mezzelfo dopotutto si sbaglia, e questa bibita è tutto quello di cui ho bisogno.
Quando riesco finalmente a rimettermi in piedi e a tornare al mio cuscino, gli scheletri sono scomparsi, forse ricondotti nelle loro prigioni, e la regina è impegnata a baciare appassionatamente un uomo con un paio di grandi ali blu, che prima non c'era. Sono entrambi adagiati sul divanetto a scambiarsi effusioni in modo molto intimo, tanto che sento una vampata di gelosia scaldarmi le viscere. Come osa quella creatura baciare la regina così spudoratamente? Prima però che io possa fare qualunque cosa si avvicina Deamhan che, con aria seria e imperturbabile, si rivolge alla guardia con i capelli azzurri: — Miann, la nostra amata bhanrigh ha detto di portare gli ospiti a divertirsi tra la folla.
Il soldato annuisce obbediente e, dopo aver bevuto un altro bicchiere di quel liquido nero, ci fa segno di seguirlo. Sinceramente è l'ultima cosa che voglio: non posso lasciare la bhanrigh in balia di tutti quegli spasimanti invadenti, devo restare qui, al suo fianco; ma Miann ci trascina giù dalla pedana rialzata, e in un attimo siamo in mezzo alla folla.
Il vociare delle creature che bevono, mangiano e danzano mi aggredisce immediatamente, frastornandomi, tanto più che mi sento instabile sulle gambe, forse perché non mi sono ancora ripresa del tutto da quando ho dato di stomaco. Barcollando mi giro di nuovo verso il baldacchino e lancio un'ultima occhiata alla regina, che è ancora intenta ad amoreggiare con quell'essere alato che ora le sta baciando il collo scendendo piano piano giù, verso i seni scoperti.
Evidentemente Miann deve aver scorto il mio sguardo omicida perché, dopo aver ingollato un altro bicchiere, mi rimprovera: — Suvvia, non essere invidiosa: chi si fa sedurre dalla nostra amata bhanrigh e va a letto con lei poi è costretto a servirla come uno schiavo per tutta l'eternità. — Con un gesto della mano indica l'entourage che la circonda, pronto a servirla e riverirla in ogni più piccola cosa. — E quelli sono solo alcuni.
Eppure non mi sembra così terribile, servire e amare la regina per l'eternità, anzi, al momento non riesco a immaginare niente di più bello.
— Lympha, allontaniamoci — afferma Rohkeus, ma la sua voce ha un tremito e non sembra per nulla decisa. Tuttavia riesce a trovare abbastanza forza di volontà per trascinarmi dietro di sé, mentre ci immergiamo tra la folla, facendoci largo a spintoni.
Più ci allontaniamo più sento svanire il desiderio di essere sdraiata sul divanetto a baciare la bhanrigh al posto dell'uomo alato, come se il filo che ci unisce diventasse sempre più sottile e sfilacciato fino a rompersi del tutto. Al suo posto si fa strada un'altra sensazione: la gente e la musica, che prima aggredivano in malo modo i miei sensi, ora mi attraggono, invitandomi a unirmi a chi sta già ballando nell'esiguo spazio tra i tavoli e sopra di essi.
Mi giro verso i miei compagni, ma la guardia si è persa da qualche parte in mezzo alla folla e non riesco a distinguere i suoi capelli azzurri da nessuna parte. Non che mi importi, almeno ora siamo liberi di fare quello che vogliamo.
Prendo Rohkeus per la mano e lo trascino verso un tavolo sopra il quale stanno già ballando altre persone, chi in modo sensuale, chi in maniera assolutamente scatenata e priva di logica. Vorrei essere anch'io in grado di esprimermi come loro con il mio corpo, senza vincoli e limiti, e vorrei che il mezzelfo lo facesse con me. La musica mi scorre come acqua nelle vene e mi chiama come una sirena fa con i marinai.
Sono già con un piede sul tavolo, quando qualcosa mi blocca. Mi volto verso Rohkeus, che si è immobilizzato rifiutandosi di seguirmi quassù. La sua espressione seria mi fa sfuggire una risata dalle labbra: è incredibilmente carino con quello sguardo accigliato e preoccupato.
— Dai, Rohki, vieni a divertirti — cerco di convincerlo, strascicando le parole e facendo gli occhi dolci.
— Scendi da lì. Sei ubriaca.
— Non dire sciocchezze! — lo rimprovero, issandomi con poca eleganza sopra il tavolo e rischiando di cadere un momento dopo. Il legno sotto i miei piedi sembra ondeggiare come se fosse una barca ed è una cosa estremamente divertente. — Non fare quella faccia imbronciata. Sì, è adorabile, ma dovresti proprio scioglierti ogni tanto.
Mi inginocchio, in modo da avere il viso alla stessa altezza del suo, e con gli indici tento di sollevargli gli angoli della bocca, così da disegnare un sorriso sul suo viso. Rohkeus però mi afferra saldamente un polso, fermandomi a metà del gesto, e così mi ritrovo con una mano sulla sua guancia e l'altra immobilizzata nella sua presa.
Ridacchio, perché ora il sorriso che volevo creare si è trasformato in una smorfia deforme, come una maschera per metà felice e per metà triste. Tuttavia, la risata mi muore sulle labbra quando i miei occhi incontrano i suoi, seri e fissi nei miei. Mi ricordano le nuvole che coprono il cielo prima che piova, così grigi e intensi, e sento che potrei perdermici se li fissassi troppo a lungo. Eppure non riesco a distogliere lo sguardo, perché non c'è nient'altro che merita di essere guardato. Se posassi altrove i miei occhi sarebbe uno spreco di tempo, come se stessi buttando via l'occasione che mi è stata concessa.
Nemmeno lui distoglie lo sguardo, nuovamente incatenati l'uno all'altro come era accaduto prima nella stanza di cristallo. Senza nemmeno accorgermene avvicino ulteriormente il mio volto al suo e mentre lo faccio è come se tutto il resto scomparisse: non sento più la musica, né la gente, restano solo i suoi occhi e i tratti spigolosi del suo viso. E le sue labbra, che non si ritraggono quando le sfioro con le mie.
All'improvviso qualcosa mi afferra per le spalle, scaraventandomi prima sul tavolo e poi in terra, con violenza. Urlo, e Rohkeus cerca di afferrarmi, ma una coppia di soldati lo immobilizza, prendendolo da dietro.
Sbatto con la testa contro lo spigolo del tavolo e il dolore è tanto forte che mi acceca per un attimo. Cado a peso morto al suolo, ma subito delle mani forti mi afferrano con violenza per le braccia e cominciano a trascinarmi tra la folla, le gambe che strisciano sul terreno polveroso mentre cerco di puntare i piedi per arrestare la corsa degli elfi che mi stanno portando chissà dove. Con lo sguardo appannato cerco Rohkeus e Gordost, ma sono stati fagocitati dalla folla e non riesco a trovarli.
La musica mi rimbomba nella testa, che ora pulsa allo stesso ritmo dei tamburi, e ogni pulsazione è come una stilettata al cervello tanto intensa che temo possano sanguinarmi occhi e orecchie. Cerco di liberare le braccia, urlando affinché qualcuno si decida ad aiutarmi, ma tutti continuano a ballare in modo frenetico senza nemmeno voltarsi nella mia direzione, come se fossi diventata invisibile e muta.
I loro volti che ridono appaiono ai miei occhi come maschere grottesche divertite dalla mia sofferenza. Cerco di nuovo di liberarmi, ma i miei tentativi sono deboli e fiacchi e non possono nulla contro la forza degli elfi.
Non capisco dove mi stiano portando finché non mi tirano in piedi, mettendomi davanti a loro anziché continuare a trascinarmi, e davanti ai miei occhi si staglia la porta dalla quale prima sono usciti gli scheletri danzanti. Rimango paralizzata, senza riuscire a muovermi né a parlare, e le guardie mi trascinano oltre l'ingresso senza che io possa fare niente per impedirlo.
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