27. Uno sguardo rivelatore
La visione scompare così com'è iniziata e io mi ritrovo nuovamente sotto l'immensa cupola di cristallo, seduta sul morbido cuscino davanti alla bhanrigh. Sento ancora la disperazione di Rohkeus scorrermi nelle vene, al punto che non ho nemmeno il coraggio di alzare gli occhi verso il suo volto, ma non tanto per la paura di quello che potrei leggervi quanto perché non voglio che lui veda gli stessi sentimenti sul mio.
Per qualche istante il silenzio regna sovrano, finché a spezzarlo è la donna dai capelli rosa con la sua voce flautata. — Cosa ne pensi, Deamhan, della storia del nostro ospite?
— Credo che sia una di quelle che alla bhanrigh piacciono molto — risponde lui, serio e lapidario.
Lei sorride melliflua, lo sguardo perso in tutt'altra direzione rispetto a quella in cui ci troviamo noi o il suo interlocutore, tanto che mi sorge il dubbio che la donna sia cieca. Questa incertezza mi spinge a fissarla con estrema curiosità, pur senza farlo in modo troppo palese poiché non voglio in nessun modo indispettirla.
— Hai ragione, questa è una di quelle storie a cui non so resistere — conferma la donna rivolta alla guardia, mentre accarezza sulla testa il corvo seduto sulla sua spalla. — Sono però rimasta abbastanza offesa dal fatto che non abbiate bevuto ciò che vi ho offerto — aggiunge poi con un tono che è al contempo rattristato e minaccioso. Forse dopotutto non è cieca, altrimenti come potrebbe saperlo?
In ogni caso non è opportuno farla irritare e così, seppur controvoglia, sorseggio il liquido nero dal bicchiere che ho stretto saldamente in mano per tutta la durata del racconto. Ha un sapore strano, acido eppure dolce come nettare, e non so dire se vorrei sputarlo o berne ancora.
— Molto meglio — afferma soddisfatta. — Non sopporto la gente che non apprezza la mia ospitalità. E tu, Rohkeus Terävästä Terästä, non bevi?
Giro leggermente la testa verso il mezzelfo in modo da riuscire a scorgerlo con la coda dell'occhio. Il suo sguardo basso, perso nelle profondità oscure del bicchiere e adombrato dalle folte sopracciglia, si risolleva di scatto quando la bhanrigh lo chiama per nome.
— Cosa c'è dentro? — chiede atono, al che io riporto gli occhi sul fondo del mio bicchiere, consapevole che avrei dovuto pormi la stessa domanda prima di bere.
La donna sorride, mettendosi più comoda sul divanetto. Il velo bianco che la veste dalla vita in giù scivola leggero sulle sue gambe, mettendo in mostra ampie porzioni di pelle nera. Mi ritrovo a fissarla incantata, mentre pensieri inopportuni mi invadono la mente: mi domando quanto la sua pelle sia calda e setosa, e come sarebbe accarezzarla con le mie mani. Mi tiro uno schiaffo mentale per riportarmi al presente, ma non riesco a distaccarmi troppo da queste elucubrazioni senza senso, che mi spaventano e mi lasciano una strana sensazione addosso.
— È maleducazione fare domande su ciò che ti viene generosamente offerto, mezzelfo ingrato — afferma la regina rispondendo a Rohkeus, sempre con voce leggiadra ma che non riesce a nascondere una punta di irritazione. — Stai forse rifiutando il mio dono?
Spero vivamente che Rohkeus beva subito quella sostanza nera, qualunque cosa essa sia, perché ho l'impressione che non potrà nuocerci più del trattamento che ci riserverebbe la bhanrigh se la dovessimo contrariare. Fortunatamente il mezzelfo coglie l'antifona e inghiotte in un sol sorso tutto il contenuto del bicchiere.
Un ampio sorriso sboccia sul viso perfetto della donna. — Dato che avete accontentato in modo soddisfacente la mia richiesta, vi accorderò il permesso di attraversare le Terre di Loth, ma a una condizione: prima di andarvene dovrete partecipare alla festa che avrà inizio a breve nel mio regno. È sempre bello avere ospiti in più, in queste occasioni.
Resto zitta un attimo, interdetta dalla sua richiesta che per noi non è altro che un'ulteriore e inutile perdita di tempo, ma d'altra parte come possiamo dirle di no?
— E cosa si festeggia? È una ricorrenza particolare? — chiedo, cauta.
— Ricorrenza? Assolutamente no — afferma scandalizzata, come se la mia fosse la domanda più sciocca che le sia mai capitato di udire. — Come può ricorrere qualcosa se, qui nelle Terre di Loth, il tempo non passa? Ed è esattamente questo che festeggiamo: il non scorrere del tempo, l'eterno ripetersi dello stesso attimo, ora e per sempre. Festeggiamo la perdita dei concetti di ora e di per sempre, che si sono fusi in un'unica entità fino a sparire, sbranati dal semplice esistere, senza confini e limitazioni. E ogni momento è buono per festeggiarlo, dato che tutti i momenti sono uguali. Chiaro?
La risposta della bhanrigh mi lascia molto perplessa poiché quello che lei elogia come un privilegio a me pare tanto una condanna, ma, come ho imparato, contraddirla non porterebbe a niente di buono e quindi annuisco, dandole ragione.
— Deamhan, portali nelle stanze degli ospiti, cosicché possano riposare un po' prima della festa — ordina brusca all'uomo in piedi al suo fianco, che annuisce obbediente e ci fa cenno di alzarci e seguirlo.
Sono stata seduta tanto a lungo su questi cuscini che, non appena mi rimetto in piedi, sento le giunture dolermi in modo sospetto, sensazione che sbiadisce dopo qualche passo. Siamo ormai arrivati alla porta quando la bhanrigh ci richiama, facendoci voltare verso di lei. — Mi raccomando, forestieri, se volete lasciare le Terre di Loth vedete di non rovinarmi la festa. — Lo dice con voce pacata, come praticamente ogni cosa, ma questa volta ha i suoi occhi rosa privi di pupilla fissi su di noi e io mi sento inchiodata sul posto, mentre un brivido mi percorre la spina dorsale. Fa paura, quella donna, ma in modo velato, come un'elegante serpe che striscia leggera sulla pelle, accarezzandola fino a quando non la morde all'improvviso, riversando nelle vene tutto il suo veleno.
Con uno strattone del braccio Rohkeus mi trascina fuori dalla sala, risvegliandomi dal mio incanto, e mi ritrovo così a correre dietro alla guardia dalla pelle nera che ora ci sta conducendo in silenzio attraverso una serie infinita di corridoi. A un tratto, svoltando un angolo particolarmente brusco, mi ritrovo faccia a faccia con qualcuno proveniente a passo svelto dalla direzione opposta ed è un miracolo se non finiamo entrambi in terra.
— Scusa, non ti avevo visto — mi affretto a dire, mentre anche lui borbotta qualcosa in una lingua che non riconosco. Mi chino per aiutarlo a raccogliere la pila di panni puliti che teneva impilati tra le braccia e che il nostro incontro-scontro ha fatto cadere in terra. Mentre glieli porgo mi accorgo che la sua pelle è bianca come il latte, che le sue fattezze sono tozze e disarmoniche, e che è più basso di me almeno di un paio di spanne, caratteristiche che lo rendono molto diverso dagli elfi neri che vivono in queste Terre. Probabilmente resto a fissarlo un attimo di troppo, perché lui, dopo aver recuperato i panni in tutta fretta, abbassa lo sguardo, imbarazzato, e si allontana di corsa lungo il corridoio.
— Ma chi era quello? — domando a nessuno in particolare, voltandomi verso gli altri che mi stanno attendendo qualche passo più avanti, Deamhan con espressione impazientita, Gordost seduto composto e Rohkeus con sguardo truce e corrucciato. Sinceramente non mi aspetto una risposta e per questo sono molto sorpresa quando invece il soldato soddisfa la mia curiosità. — Era solo uno dei servi della bhanrigh — afferma, rimettendosi in cammino.
— E perché è così diverso? — chiedo di nuovo, sperando di non irritare il nostro accompagnatore e di ottenere invece qualche altra risposta.
— Perché, le persone diverse da noi elfi drow non possono servire la bhanrigh, secondo te?
Elfi drow. Non so cosa siano, ma quanto meno ora ho un nome. Certo, non che saperlo cambi qualcosa.
— Ovviamente sì, è solo che mi chiedevo cosa ci facesse qui.
— Vedi di chiederti meno cose — afferma lui, troncando bruscamente la conversazione. Nessuno dice più nulla fino a quando arriviamo davanti a una porta di cristallo che Deamhan spalanca, invitandoci poi a entrare. All'interno tutto pare fatto del più raffinato vetro, dai mobili al letto alle tende, che sembrano tessute con un purissimo filo trasparente.
— Aspettate qui finché qualcuno non vi verrà a chiamare — ci informa, lapidario, prima di girare sui tacchi e chiudere con un tintinnio la porta alle sue spalle. Rimango un attimo in piedi, all'ingresso della stanza, non sapendo bene che fare, salvo poi decidermi a muovere qualche passo fino al letto, sul quale mi siedo con poca eleganza.
— E adesso? — domando a Rohkeus, ancora fermo davanti alla porta. Inizialmente lui non risponde nulla, dandomi il tempo di lasciar vagare lo sguardo, che scivola sulla perfezione di queste splendide pareti che ora per noi sono un po' come le sbarre di una prigione.
— Cosa vuoi fare? Non è che quella ci abbia lasciato molta scelta — afferma infine il mezzelfo, attirando di nuovo la mia attenzione su di lui. Mentre parla non mi fissa in volto, probabilmente ancora turbato da quello che è stato costretto a mostrare. Sembra che gli manchi il coraggio di affrontarmi, come se avesse paura di scoprire quello che ora penso di lui, il che in effetti non ha molto senso: non si può certo dire che le sue azioni siano state peggio delle mie.
In un certo senso però lo capisco, perché si tratta della stessa sensazione che ho provato io quando lui ha scoperto la mia storia, anche se non ha nessun motivo di temere il mio giudizio. È un po' come quando le persone si vergognano di trovarsi nude le une di fronte alle altre: ognuno pensa di avere chissà quali oscuri segreti da nascondere, ma in realtà siamo fatti tutti allo stesso modo.
Il punto è che non mi importa di quello che Rohkeus ha fatto e nemmeno del perché lo ha fatto, anche se so che forse dovrebbe. Voglio dire, ha compiuto azioni orribili e su questo non c'è dubbio, averlo scoperto non dovrebbe lasciarmi indifferente, ma per quanto mi impegni non riesco a non vedere davanti a me lo stesso mezzelfo di prima.
— Rohkeus — lo chiamo, tentando di fargli riportare su di me lo sguardo, risultato che ottengo solo quando ripeto il suo nome una seconda volta. — Chi sono io per giudicare? — affermo decisa, ripetendo la frase che lui aveva detto a me e fissandolo dritto in volto in un modo che spero risulti sincero e onesto.
Ora ho tutta la sua attenzione, forse anche troppa: i suoi occhi carichi di cose non dette restano incatenati ai miei per un tempo che mi pare infinito, ed è uno sguardo pesante, un po' come le nuvole prima di un temporale, pregne di pioggia e pronte a esplodere. Ho l'impressione che Rohkeus mi stia caricando con le sue preoccupazioni e i suoi rimpianti, così come ho fatto io quando ho riversato su di lui tutti i miei dubbi sul mio amore per Alveus; e forse è davvero così perché quando finalmente distoglie lo sguardo, distratto da Gordost, sembra effettivamente più leggero, quasi si fosse appena tolto un peso dalle spalle.
Lo osservo mentre si china ad accarezzare il lupo tra le orecchie e so che dovrei essere sollevata dal fatto di non dover più sostenere il peso di quello sguardo, eppure tutto quello che vorrei è che riagganciasse nuovamente i suoi occhi ai miei, perché ora che non sono più al centro della sua attenzione mi sento come se qualcosa di indefinito si fosse spostato dal centro del mio petto.
Ho sempre desiderato ardentemente essere il perno intorno a cui tutte le altre persone ruotano: volevo essere la figlia perfetta, la fidanzata perfetta, la guaritrice perfetta. Desideravo essere l'incarnazione di tutto ciò che essere perfetti implica e volevo che fosse vero in tutto, nella vita privata come in quella pubblica, e per ottenere questo la gente doveva guardarmi, osservarmi e adorarmi. Per essere ritenuta perfetta dovevo necessariamente essere al centro dell'attenzione. Ma ora... Ora è diverso. Non voglio che Rohkeus mi guardi perché sono priva di difetti. Voglio che lo faccia perché, per una volta, essere guardata con tale intensità scalda il mio cuore e non il mio egoismo. Perché, per una volta, non si trattava di un freddo sguardo adorante unidirezionale, ma era davvero come se stessimo condividendo qualcosa di profondo e vero.
Balzo giù dal letto: non riesco più a stare seduta e ferma, sento il bisogno di muovermi, di fare qualcosa, di allontanare questi pensieri che non mi so spiegare e che mi affollano la mente. Io non penso a cose come la condivisione reciproca di emozioni e sentimenti. Attraverso un semplice sguardo, per di più! No, queste sono cose che potrebbe dire Iris, tra noi due è sempre stata lei quella melensa e inutilmente romantica. Romantica! Cosa c'entra ora il romanticismo? Niente, assolutamente niente, così come fuori luogo sono tutti gli altri pensieri che continuano a girare in tondo come pesci in una boccia di vetro.
Sto impazzendo, ecco qual è la verità: tutta questa storia mi sta facendo ammattire. Devo trovare Alveus e riportarlo a casa; solo così potrà tornare tutto alla normalità. Salveremo Iris e poi ci sposeremo, e sarà come se questa avventura non fosse mai esistita. Anche Rohkeus tornerà a casa, insieme a Gordost, e forse non ci vedremo più. E sarà un bene perché lui mi fa sentire allo stesso tempo forte ed estremamente fragile e io odio sentirmi debole, così come odio tutti questi dubbi nuovi che si affastellano nel mio cervello mischiandosi a quelli vecchi che ormai conoscevo così bene e che ora appaiono così diversi e sbagliati.
— Lympha, fermati, che succede? — mi domanda preoccupato il mezzelfo, poggiando con decisione la mano sulla mia spalla e fermando così il mio girovagare, sia fisico che mentale. La forza della sua presa riesce in qualche modo a calmare la mia mente inquieta, così come il calore della sua pelle attraverso la manica scioglie i nodi di ansia che stavano cominciando a stringermi il petto; per un attimo mi sento come una barca che, dopo tanto vagar per mare, riesce finalmente a ritornare in porto.
Ma dura solo un attimo, perché poi il mio sguardo viene catturato da qualcosa alle spalle di Rohkeus a cui prima non avevo fatto caso: uno specchio con la cornice in vetro che riflette la scena di noi due, fermi in mezzo alla stanza, con Gordost sullo sfondo accucciato sul grande letto matrimoniale. Si tratta solo di un comune specchio, niente di particolare, ma in esso c'è un qualcosa di tremendamente famigliare che in un primo momento non riesco a identificare.
Sposto la mano del mezzelfo dalla mia spalla e, senza dire niente, mi avvicino alla parete a cui l'oggetto è appeso. Distinguo chiaramente nel riflesso Rohkeus che si volta per seguirmi con lo sguardo, che ora appare veramente preoccupato, e mi domando se anche lui sia giunto alla conclusione che io sia impazzita.
Sfioro la superficie riflettente con le dita, generando mille cerchi concentrici che vanno a distorcere l'immagine dei miei grandi occhi viola spalancati dallo stupore.
— Che succede? — domanda ancora Rohkeus, tutto d'un fiato, un attimo prima che io parli a mia volta, con un sussurro incredulo.
— Alveus è stato qui.
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