25. Occhi di corvo

Ci addentriamo nel bosco scheletrico, seguendo le impronte che avevano attirato la nostra attenzione pochi giorni fa. Non sono continuative e ricompaiono a intervalli irregolari, come se il terreno avesse differenti gradi di morbidezza. Oppure come se la persona che le ha lasciate fluttuasse a tratti, che segretamente è quello che spero, perché se una creatura può levitare allora c'è qualche possibilità che sia una ninfa. Fortunatamente, le impronte indicano la stessa direzione dell'anello, altra ragione per sperare che siano davvero le orme di Alveus, anche se, per quanto avanziamo a passo spedito, non incontriamo anima viva: intorno a noi ci sono solo rami adunchi e secchi che si impigliano in capelli e vestiti, rendendo difficoltoso camminare.

— Mi stavo chiedendo una cosa — esordisce Rohkeus dopo aver districato l'ennesimo legnetto dalla mia treccia ormai scombinata. — A proposito del tuo discorso dell'altro giorno, riguardo a tua sorella.

— Cosa? ­— domando, preoccupata. Forse avrei fatto meglio a non introdurre l'argomento.

— Finora ti sei concentrata su quello che pensava Iris, sui suoi sentimenti e sui tuoi, ma in questa equazione c'è un elemento che non è stato considerato, ossia Alveus.

— Che c'è da dire al riguardo? — intervengo in fretta, come se fossi stata punta da una vespa.

— Insomma, stava per sposarti. Non credi che si sarebbe accorto se, seppur inconsciamente, lo stavi prendendo in giro?

Esito prima di rispondere, riflettendo bene sulle parole da dire. — Tu non lo conosci, Alveus è così... — Cerco il termine giusto nella mia testa. — Genuino, direi. Fiducioso nei confronti degli altri, a volte anche troppo. Da piccola ero convinta che fosse stupido e ottuso, ma non è corretto. La realtà è che lui è convinto che, nel profondo, siamo tutti più buoni e gentili di quanto mostriamo. Per questo per Alveus è impensabile che una ragazza decida di sposare qualcuno per pura vendetta e sete di potere, non nella nostra comunità pacifica di ninfe, quantomeno.

— Da quel che ho potuto vedere non mi pare che siate tutti così carini e innocenti.

— Ma tu hai conosciuto solo gli elementi peggiori: per dare un giudizio non puoi basarti su me e Callàis, che siamo sempre stati le pecore nere della Comunità.

— Dimentichi che io sono stato al tuo villaggio prima di finire all'inferno e anche allora non è che fossero tutti disinteressati e sinceri. O almeno non nel commercio — ribatte, in viso l'espressione di chi sta ricordando un avvenimento poco piacevole del passato.

— Ovviamente io non condivido con Alveus questa visione eccessivamente positiva della gente, mi conosco troppo bene per poterlo fare. Tuttavia, certi giorni, è stata per me come una corda buttata in acqua per salvarmi mentre stavo per essere risucchiata delle rapide di quel fiume che è la vita. Voglio dire, se lui ne è così convinto un motivo ci deve pur essere, no? Magari il mondo non è calcolatore ed egoista come invece sembra a me. Sai, quando ho mostrato per la prima volta alle altre ninfe il mio nuovo potere lui era così sinceramente contento... — Non finisco la frase, lasciando sfumare le parole in un sorriso malinconico.

— Comunque, non avrebbe mai creduto che lo volessi sposare per una ragione che non fosse il mio amore per lui — concludo infine il discorso.

— Ma non mi sembri particolarmente gentile e sincera, perché ha scelto proprio te?

Tiro un calcio a un pezzo di corteccia, lanciandolo lontano. ­— Non lo so, forse è rimasto affascinato dalla maschera che mostravo in pubblico. Non ci crederai, ma con gli altri ero gentile e disponibile, sempre pronta ad aiutare chi ne aveva bisogno. O almeno, ero diventata così dal momento in cui avevo ottenuto il mio potere e avevo dato il via al mio piano di essere come Iris, ma meglio di lei. Ed era una maschera assolutamente credibile, sono convinta che l'unica a non esserci cascata sia mia sorella.

— A me però ti sei mostrata senza maschera.

Mi ritrovo a boccheggiare come un pesce, non sapendo bene come ribattere alla sua affermazione, ma vengo salvata da un gracchiare di corvi che interrompe il nostro discorso e ci fa immobilizzare sul posto. Vedo il braccio destro di Rohkeus correre alla cintura, a cui avrebbe dovuto pendere la spada nel suo fodero, se solo non fosse stata spostata sull'altro lato del corpo. Uno degli uccelli neri si posa su un ramo poco distante, fissandoci con i suoi occhietti brillanti e malevoli.

Gordost comincia a ringhiare, rivolto verso il pennuto, ma Rohkeus lo tranquillizza accarezzandogli il pelo folto tra le orecchie.

— Buono, bello, non ci sta facendo niente.

— Per ora — mi sento in dovere di sottolineare, sentendomi tutt'altro che rilassata e a mio agio. — Ti ricordo che l'ultimo corvo che abbiamo incontrato ha tentato di uccidermi.

Tuttavia questa volta l'animale sembra avere solo intenzione di guardarci, seguendo con cura maniacale ogni nostro passo dapprima con gli occhi e poi volando alle nostre spalle non appena usciamo dal suo campo visivo. Poi, man mano che avanziamo, se ne aggiunge un altro e poi un altro ancora, finché ci troviamo a camminare in mezzo a uno stormo di corvi neri, alcuni posati sui rami secchi, altri che svolazzano fragorosamente sopra le nostre teste.

— Questa cosa non mi piace per nulla — mormora Rohkeus, tra sé e sé. Sono pienamente d'accordo con lui e sto per dirglielo quando, all'improvviso, qualcosa attira la mia attenzione: nel terreno, a un paio di passi da noi, si apre un buco scuro, grande abbastanza da permettermi di infilarmi al suo interno, se decidessi di farlo. Fortunatamente l'anello non indica quella direzione e io tiro un sospiro di sollievo, perché quella fenditura ha un qualcosa di ben poco rassicurante. Non appena ce la lasciamo alle spalle, però, alla nostra sinistra ne compare un'altra e così via, finché tutta la superficie fangosa sotto agli alberi è costellata di buchi che si perdono nelle profondità della terra.

Sono così impegnata a guardare in basso che non mi accorgo dell'edificio che piano piano si sta delineando davanti ai nostri occhi fino a quando Rohkeus non attira la mia attenzione.

— Lo vedi anche tu? — mi domanda, la voce colma di meraviglia. Il suo dito indica una costruzione a forma di cupola visibile a tratti tra i rami degli alberi e che sembra fatta di puro diamante. Dal corpo centrale si allungano ali laterali, ma da qui non so dire se seguano o no una particolare geometria; anch'esse sono leggiadre come il resto dell'edificio, che nel complesso risulta raffinato come un centrino di pizzo tessuto con un filo di ragnatela. È così etereo e fuori luogo rispetto al terreno fangoso su cui sorge che pare un angolo di cielo caduto per errore all'inferno.

Riporto lo sguardo sui buchi vicini ai nostri piedi e mi chiedo come le due cose siano collegate. Non appena però abbasso gli occhi faccio un balzo indietro, disgustata dalla biscia nera che si attorciglia davanti alle mie scarpe.

— Che schifo! — non posso fare a meno di esclamare. — Rohkeus, diamoci una mossa ad attraversare questo posto inquietante — esorto il mezzelfo con voce vagamente stridula, spingendolo da dietro per farlo procedere lungo la nostra strada. Lui, che era ancora incantato a fissare la mirabile costruzione di cristallo, si riscuote e me lo immagino alzare gli occhi al cielo mentre borbotta: — Quante scene per un serpentello. Ma voi ninfe non dovreste essere un tutt'uno con la natura?

— Iris ama tutti gli animali indistintamente, io no — gli spiego piccata, mentre lancio un'ultima occhiata mista di disgusto e sfida al rettile nero, che mi risponde con un rapido movimento della lingua. Quello che non avevo previsto è che, andando avanti, il numero dei serpenti sarebbe aumentato a tal punto da non sapere più dove mettere i piedi.

Sono una persona coraggiosa e impassibile, e non ho paura dei serpenti: continuo a ripeterlo nella mia testa, sentendomi anche vagamente stupida, ma non sortisce nessun effetto, tant'è vero che mi ritrovo a camminare nella scia di Rohkeus, nella speranza che il suo incedere deciso spaventi quegli esseri striscianti, facendoli arretrare e quindi allontanare da me. Inoltre, i corvi che continuano a seguirci non migliorano certo la situazione.

Continuiamo ad avanzare finché, a un certo punto, mi sento attraversare da una scossa che dai piedi sale fino alla testa, lasciandomi frastornata. Per non cadere in terra mi attacco alle spalle di Rohkeus, ma anche lui è instabile sulle gambe, tanto che rischiamo di precipitare al suolo insieme, ma veniamo salvati all'ultimo da delle braccia forti, che ci afferrano con violenza, separandoci.

Tento di ribellarmi, contorcendomi come i serpenti che ancora popolano il terreno, e, nel frattempo, cerco di estrarre dal fodero la nuova spada che Rohkeus mi ha donato. Non vedo chi mi ha afferrata, ma a giudicare dalla forza con cui mi tiene stretta, cercando di impedirmi ogni movimento, non deve essere qualcuno che io possa definire "amico". Ogni mio sforzo però è inutile: per quanto cerchi di sottrarmi alla sua presa, non ho nessuna speranza contro la presenza oscura che mi blocca alle mie spalle.

In un ultimo disperato tentativo mi volto verso il mezzelfo, sperando che sia riuscito a liberarsi e ora sia pronto a darmi una mano, ma anche lui è immobilizzato e vederlo così, maneggiato come farebbe una bambina con una bambola di pezza, mi fa venire da piangere. Ha provato a estrarre la spada, ma deve essere stato disarmato senza molte difficoltà perché ora l'arma giace in terra, mezza sepolta dai serpenti che strisciano sulla lama affilata senza ferirsi. Vedere Rohkeus che si ribella senza successo, così indifeso e sconfitto, è come assistere alla morte di un grande predatore finora imbattibile.

A tenerlo fermo sono due creature sottili e allungate, le cui membra sembrano troppo delicate per poter esercitare la forza necessaria a braccare un mezzelfo massiccio come Rohkeus. Lascio scorrere i miei occhi sulla loro pelle nera come una notte senza luna, sui loro vestiti bianchi e fluttuanti, che sembrano fatti della più fine tela di ragno, fino ad arrivare ai loro capelli chiari. Una fascia dorata cinge la fronte di quello che sembra essere il capo, tenendogli fermi i capelli bianchi, così come bianca è la corta barba che gli incornicia la bocca.

L'essere che mi tiene ferma mi fa abbassare la testa con un colpo deciso, come se fosse infastidito dalla mia indagine accurata dei suoi compagni, e poi, dopo un cenno dell'uomo con la barba bianca, mi spinge, obbligandomi a camminare. Con la coda dell'occhio mi guardo intorno, cercando di capire da dove siano spuntati questi guerrieri, e lo sguardo mi cade su Gordost, immobilizzato come noi e trasportato da altri tre esseri dalla pelle color ebano.

In poco tempo veniamo condotti fino alla struttura di cristallo che aveva tanto meravigliato Rohkeus, ma che ora non pare più tanto bella e invitante. Ci fermiamo per un attimo davanti al portone semitrasparente, giusto il tempo necessario affinché questo venga aperto da altre persone come quelle che ci stanno trasportando, e poi riprendiamo il nostro cammino all'interno dell'edificio. Non vedo il mezzelfo, poiché la creatura che tiene ferma me è quella che apre la spedizione, ma dai colpi attutiti e dai versi che sento posso dedurre che Rohkeus non si stia facendo trascinare passivamente.

Veniamo guidati attraverso infiniti corridoi che a me paiono tutti uguali, fino a che passiamo davanti al salone che si trova sotto la cupola. Non ci fanno entrare in quella sala, ma la intravedo attraverso un portone aperto mentre ci sbattono all'interno di una stanzetta poco distante. Rotoliamo con poca grazia sul duro pavimento di cristallo, mentre la porta viene sbarrata alle nostre spalle. Il mezzelfo ci mette appena un attimo a rialzarsi, scagliandosi subito sulla lastra che chiude l'ingresso, ma i nostri carcerieri l'hanno già bloccata, intrappolandoci all'interno.

Rohkeus non si arrende, dando ancora un paio di energiche spallate alla porta, ma questa non si muove, ricambiando l'attacco con un tintinnio che sfuma nell'aria non appena il mezzelfo si lascia scivolare in terra, la schiena appoggiata alla parete, arrendendosi.

— Cosa sono quelli? — domando, realizzando ancora una volta quanto poco io sappia di tutte le creature che popolano questo e l'altro mondo.

— Non lo so — biascica Rohkeus a testa bassa, le braccia posate mollemente sulle gambe. — A giudicare dalle orecchie sottili e appuntite devono essere una specie di elfi o fate, ma non ne ho mai visti con la pelle di quel colore.

Una coltre di silenzio cala nella stanza prima che io mi arrischi a fare la domanda che, ne sono certa, stiamo pensando entrambi: — E cosa vogliono da noi?

Vedo il mezzelfo scuotere lentamente la testa, come perso nei suoi pensieri. Ci mette un po' prima di parlare, anche se in realtà la risposta è talmente scontata che non c'era nemmeno bisogno che dicesse qualcosa: — Non ne ho idea.

Lo guardo, mente cerco di analizzare la situazione a mente fredda: ci hanno catturati, trasportati con la forza nella loro magione di vetro e poi rinchiusi in una stanza, lasciandoci però tutti i nostri bagagli e perfino la spada. Cosa significa? Quale carceriere farebbe l'errore di lasciare armi ai propri prigionieri? Ovviamente si tratta di una cosa fatta apposta. Quindi non siamo prigionieri? Oppure siamo tanto deboli che non temono le nostre reazioni?

— Perché mi stai fissando? — sbotta a un certo punto Rohkeus, facendomi sobbalzare. Abbasso gli occhi e lo sguardo mi cade sulla sua fasciatura, su cui intravedo una macchia rossastra, probabilmente provocata dalla lotta contro gli uomini che lo hanno immobilizzato. Mi avvicino in fretta, gattonando sul pavimento, ma lo faccio in un modo tanto brusco e improvviso che il mezzelfo si ritrae spaventato.

— Allunga il braccio, devo controllare la ferita — ordino perentoria. Lui obbedisce di controvoglia, come sempre, ma per fortuna la situazione non è grave come temevo. Comunque, tanto per andare sul sicuro, gli spalmo altre erbe magiche.

— Ho perso la spada — dice lui di punto in bianco. Alzo gli occhi dal mio lavoro, puntandoli sul suo viso dall'espressione assente. Apro la bocca per dirgli che non c'è problema, può prendere la mia, ma mi rendo conto prima ancora di emettere fiato che le mie parole non sarebbero in nessun modo consolanti.

— L'aveva forgiata Vilpiton apposta per me, per festeggiare il mio diciottesimo compleanno — sussurra poi, forse parlando più a se stesso che a me. Gordost si avvicina a noi, leccando Rohkeus in viso e accucciandosi ai suoi piedi. Con delicatezza finisco di medicare la ferita, dopodiché mi siedo a mia volta di fianco al mezzelfo e così restiamo tutti e tre in attesa che qualcosa accada. Tutt'intorno a noi vediamo muoversi ombre indefinite oltre le pareti di cristallo, ma è impossibile dire cosa stia accadendo al di fuori di questa stanzetta.

Non ho idea di quanto tempo sia passato quando finalmente l'uomo con i capelli bianchi apre nuovamente la porta, facendomi sobbalzare. Fermo sulla soglia, ci fa segno di alzarci con gesti decisi, mentre ci fissa con i suoi occhi allungati, dall'iride verde come l'erba appena nata, ma senza pupilla. Prima non me n'ero accorta e questo dettaglio non fa che rendere tutta la situazione ancora più strana e inquietante.

Lo assecondiamo e ci facciamo condurre dai suoi uomini lungo il corridoio da cui siamo venuti, fino a fermarci davanti alla grande sala sotto la cupola. Ora il portone è chiuso e l'uomo si blocca proprio davanti a esso. Con dei velocissimi gesti delle mani comunica qualcosa agli altri guerrieri, che subito ribattono allo stesso modo, mentre io sposto lo sguardo dall'uno agli altri, stupita e impaurita al tempo stesso. Sembra soddisfatto delle risposte ricevute perché annuisce una volta con il capo e poi si rivolge a noi, parlando in un linguaggio a me sconosciuto. Mi volto verso Rohkeus, ma il suo volto rispecchia la mia espressione perplessa.

— Ora mi capite? — domanda a un certo punto la creatura, attirando la nostra attenzione. La sua voce è melodiosa, molto più di quanto mi aspettassi.

— Sì — risponde il mezzelfo per entrambi.

— La nostra bhanrigh è pronta a ricevervi — ci informa lui, enigmatico e lapidario.

— Chi? — faccio appena in tempo a chiedere, prima che il portone venga spalancato e i soldati ci spingano, con poca delicatezza, all'interno della sala.

Ci ritroviamo in un ambiente enorme, circolare come la cupola che ci sovrasta e da cui entra la luce azzurra proveniente dal cielo, che si riflette sulle pareti di cristallo colorando tutto di turchese e dando l'impressione di essere immersi in un sogno. Nonostante le sue dimensioni esagerate, la stanza sarebbe completamente vuota se non fosse per il gruppetto di persone sedute proprio nel centro. Si tratta di una decina di creature dalla pelle nera accomodate in terra, su cuscini che paiono di seta, e disposte intorno a un divanetto di rami secchi intrecciati su cui siede una donna che, da questa distanza, non riesco a distinguere bene.

I guerrieri, entrati dopo di noi, ci spingono in avanti con le loro braccia sottili e forti, invitandoci ad avvicinarci al piccolo manipolo di gente che ora si è voltata a guardarci, fissando su di noi una serie di occhi senza pupille. Sono tutti silenziosi in un modo inquietante che mi fa sentire parecchio a disagio, ma mi sforzo di camminare a testa alta perché non ho nessuna intenzione di mostrare quanto io sia spaventata.

Quando arriviamo a pochi passi dal gruppetto, i soldati ci fanno fermare e poi cominciano a gesticolare rivolti verso la donna intorno a cui tutto sembra girare. Non posso fare a meno di fissarla, come se i miei occhi e la mia mente fossero ancorati al suo volto, che mi appare come la cosa più bella che abbia mai visto. La sua pelle è nera, come quella di tutti gli altri, ma i suoi lineamenti hanno la perfezione del diamante, meravigliosi ed eterni. Sembra molto giovane, quasi mia coetanea, ma c'è qualcosa in quel volto che mi suggerisce che in realtà ha vissuto molti più anni di quelli che dimostra. I capelli, rosa come le camelie, le scendono lisci lungo tutta la schiena e incorniciano il suo corpo formoso, ricoperto da un abito di veli che lascia ben poco all'immaginazione.

Mentre il guerriero con i capelli bianchi continua a muovere le mani nell'aria seguendo una logica a me incomprensibile, la donna accarezza con leggerezza il corvo che le siede sulla spalla destra, nero come la sua pelle. Quando finalmente l'uomo rilassa le braccia lungo i fianchi, lei si gira verso di noi, ma i suoi occhi rosa paiono non guardarci e scrutare invece qualcosa oltre, come se potesse vedere al di là del tempo e dello spazio.

— Viandanti — ci interpella, con voce flautata. — Cosa ci fate nelle mie Terre?

Tutti sono immobili, in attesa della nostra risposta.

— Non sapevamo che questo territorio fosse di qualcuno, vorremmo solo attraversarlo per poter continuare il nostro cammino — le spiego timorosa, desiderando solo di andarmene al più presto.

La donna sorride, continuando ad accarezzare il corvo che ora ha i suoi occhietti malevoli puntati su di noi.

— Vorreste, quindi, un lasciapassare per attraversare indenni le Terre di Loth. E pensavate di farlo senza dare qualcosa in cambio alla bhanrigh che le governa? ­— continua con tono suadente.

— Come abbiamo già detto, non pensavamo fossero tue — interviene Rohkeus, deciso.

— Straniero, porta rispetto alla bhanrigh Dorcha — lo ammonisce severamente l'uomo con i capelli bianchi.

­Una risata cristallina sfugge dalle labbra della dama, rimbalzando sulle pareti di vetro come farebbero le perle di una collana cadendo in terra. — Deamhan, non essere così duro. Quanto tempo è che non vedevamo così tanti stranieri nelle nostre Terre?

Alle sue parole, il capo dei guerrieri si fa da parte, in silenzio.

— Prego, viandanti, accomodatevi insieme a noi — riprende lei, tornando a rivolgersi a noi.

— In realtà, vorremmo poter ripartire subito e togliere il disturbo — mi azzardo a dire, il più gentilmente possibile.

— Ho detto: accomodatevi insieme a noi — ribatte lei con un tono che non ammette repliche. Tutti aspettano con il fiato sospeso, in tensione, curiosi e spaventati, e noi non possiamo fare altro che sederci sui morbidi cuscini che ricoprono il pavimento.

— Molto meglio — afferma la bhanrigh, rilassando i tratti del volto e tornando a sorridere, suadente. Fa un paio di gesti con le mani, in risposta ai quali un uomo poco distante balza subito in piedi, uscendo dalla sala. Soddisfatta, si allunga sul divano con movimenti voluttuosi che mi ricordano quelli di una gatta sdraiata pigramente al sole. Il drappo semitrasparente che costituisce la parte superiore dell'abito le scivola lungo le braccia, andando a scoprire in parte i seni. Vorrei distogliere lo sguardo, ma per qualche motivo che non riesco a comprendere non posso fare a meno di fissarla.

— Cosa mi offrite in cambio della possibilità di attraversare le Terre di Loth? — ci domanda con voce ammaliante, senza guardarci, a differenza del corvo, i cui occhi non si perdono nemmeno il nostro più piccolo movimento.

— Non abbiamo molto da offrire — le rispondo, dopo un attimo di esitazione. Lei ride nuovamente, in un modo che mi fa rabbrividire, come se avessi detto una cosa molto divertente e sciocca.

— Tutti hanno sempre qualcosa da offrire — afferma poi, calcando tanto la frase che non posso fare a meno di leggervi dentro una miriade di significati, e non tutti innocenti. Evidentemente anche Rohkeus ha avuto la mia stessa percezione perché i suoi occhi si stringono a fessura, come a voler analizzare minuziosamente le intenzioni della donna che ci sta di fronte. Nel frattempo, il cortigiano che era uscito è rientrato nella stanza, reggendo un vassoio decorato con foglie in bassorilievo sul quale sono disposti una brocca e dei bicchieri di cristallo. Con estrema precisione ed efficienza, versa una bevanda nera nei calici che poi porge a tutti i presenti, noi per primi.

— Potrei chiedervi qualunque cosa — continua la donna, facendo ruotare il liquido nel bicchiere. — Ma mi accontenterò di una storia. Ovviamente purché sia bella.

Non credo di aver compreso bene. ­— Vuoi... cioè, volete che vi raccontiamo una storia? — domando perplessa.

— No, mi dovete mostrare una storia.

Con la mano libera fa un gesto rivolto verso il soffitto e subito due corvi, prima nascosti sopra un cornicione alla base della cupola, piovono in picchiata verso di noi. Faccio appena in tempo a coprirmi il volto con le mani prima che uno degli uccelli si posi sulla mia spalla, pungendomi il collo, per poi volare sullo schienale del divano, accanto all'altro corvo. Sul becco di entrambi gli animali pende una goccia rispettivamente di acqua e di sangue, che la bhanrigh raccoglie nel suo bicchiere. Fa girare il liquido nel calice una volta e poi sorseggia la miscela appena creata. Con espressione disgustata, mi giro verso Rohkeus, ma il suo viso è impassibile come sempre.

— Lympha, figlia di Flumen e Medulla, dalla Comunità della Polla, villaggio delle ninfe — afferma la donna, probabilmente assorbendo le informazioni dall'acqua che mi scorre nelle vene e che lei ha appena bevuto. — E Rohkeus , figlio di Theo e Kivi Terävästä Terästä, da Valtakunta, città dei mezzelfi. Due personalità interessanti, con storie altrettanto interessanti. Chi di voi due vuole mostrarmi la propria?

La sua domanda cade nel vuoto, nessuno di noi ha il coraggio di farsi avanti: le nostre vicende sono state un segreto per così tanto tempo che è difficile tirarle fuori ora.

— Allora decido io — rompe il silenzio la bhanrigh, gli occhi puntati su un punto imprecisato della cupola. — Rohkeus Terävästä Terästä, voglio la tua. Se mi piacerà abbastanza avrete il vostro lasciapassare, altrimenti resterete con me fino a che non mi sarò stancata di voi.

Il mezzelfo fa un respiro profondo, chiamando a raccolta tutto il suo coraggio. — C'era una volta...

— No, non così — lo interrompe subito la donna, stizzita. Con un gesto ordina qualcosa a uno dei corvi, che subito si alza in volo, pungendo nuovamente Rohkeus sul collo e facendo poi cadere le gocce di sangue nei bicchieri di tutti i presenti. Mentre l'uccello vola sopra la mia testa, una goccia scarlatta mi cade sulla mano, ma la mia pelle la assorbe prima che io possa asciugarla.

— Ora non devi fare altro che pensare alla tua storia. Mi raccomando, non deludermi.

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