22. Il lago dei ricordi
Ci mettiamo molto più tempo di quanto avessi immaginato ad arrivare al lago color cobalto che avevamo visto dalla cima alla piattaforma, tanto che, quando finalmente ci fermiamo sulle sue sponde, anche il nono cerchio ha cominciato a colorarsi di nero. Sotto i nostri piedi scintilla una sabbia costituita da polvere d'oro e poco più in là, legata a un paletto che emerge dall'acqua, una barca a remi attende immobile che accada qualcosa.
— L'anello dice di continuare ad andare dritti — affermo, dopo aver consultato l'oggetto.
— Un'altra volta in mezzo al lago, quindi. E dov'è il trucco, stavolta? — domanda Rohkeus con un tono di voce che fa trapelare tutto il suo scetticismo.
— Magari non c'è — rispondo esitante, ma in realtà non mi credo nemmeno io. Cauta, tocco con la punta della scarpa il pelo dell'acqua, provocando una serie di onde concentriche che lentamente vanno a morire, ma non accade nient'altro. Incoraggiato da questo mio gesto anche Gordost infila una zampa nel liquido azzurrissimo, rimanendo incolume.
— Forse dobbiamo solo raggiungere la barca e navigare fino all'altra sponda. — La mia voce è dubbiosa, mi sembra troppo semplice, ma magari per una volta la fortuna è dalla nostra parte. Rohkeus non ne è affatto convinto, è evidente dall'espressione corrucciata del suo viso, ma comunque mi segue quando percorro fluttuando la breve distanza che ci separa dalla piccola imbarcazione d'oro zecchino. Si arrampica a sua volta oltre il bordo e si lascia ricadere all'interno. Poi con mano inesperta slega la cima che ci tiene ancorati, facendo ondeggiare la barca con i suoi movimenti e rischiando così di scaraventarci tutti e tre in acqua.
— Ora immagino che ci tocchi remare — afferma, quando finalmente l'imbarcazione smette di dondolare e riacquista il suo equilibrio. Palesemente nessuno di noi due ne è capace, Gordost tantomeno, e quindi decidiamo di prendere un remo a testa, così da doverci concentrare su un solo movimento. Andare dritti è più difficile di quanto pensassi e ci mettiamo una mezza eternità ad arrivare dall'altra parte del lago, tanto che, quando finalmente metto piede a terra, sento il sudore colarmi sulla fronte in modo disgustoso, mentre i muscoli delle braccia tremano per lo sforzo. Per questo, quando guardo nuovamente l'anello, mi sento prendere dalla voglia isterica di rompere qualcosa.
— Per tutti i dannati fiumi! — impreco con rabbia.
— Che c'è?
— L'anello indica ancora il lago. Non ci posso credere. Abbiamo fatto tutta questa fatica per niente?
— In che senso indica ancora il lago? — ribatte il mezzelfo, incredulo.
— Quanti sensi ci sono, secondo te? — La risposta mi esce più pungente di quanto avrei voluto e così prendo un bel respiro profondo, lasciando che il vapore acqueo si depositi nei miei polmoni, prima di continuare. — Vuol dire che dobbiamo risalire in barca e tornare indietro, suppongo.
Rohkeus annuisce una volta, poi scavalca nuovamente la fiancata dell'imbarcazione, aspettando seduto che io e Gordost facciamo lo stesso. Con fatica remiamo seguendo il percorso inverso, mentre tengo controllato l'anello per non rischiare di sbagliare strada un'altra volta.
— Fermo! — urlo a un certo punto, facendo sobbalzare il mezzelfo sulla panca dorata su cui è seduto. — La direzione si è invertita di nuovo. Credo che dobbiamo fermarci da qualche parte nel mezzo dell'acqua — ipotizzo, anche se non capisco come possa essere quella la nostra destinazione.
Facciamo per un po' avanti e indietro finché la freccia diventa un puntino, forse a indicare che siamo arrivati, anche se intorno a noi non c'è nulla, solo lucente acqua color cobalto.
— E adesso? — sussurra Rohkeus, a un certo punto, dando voce ai miei pensieri. Mi sporgo oltre la fiancata per vedere se sotto la barca, nascosto, ci sia un qualche indizio, ma ovviamente trovo solo acqua e oro zecchino. Mentre mi tiro di nuovo dritta però l'occhio mi cade sull'anello, sulla cui superficie si è riformata la freccia, che ora indica verso il basso. Muovo la mano in diverse direzioni, osservando come il puntatore compaia solo quando tengo il braccio in verticale, trasformandosi in un puntino quando invece è posto in orizzontale.
— Credo che la nostra destinazione sia da qualche parte dentro il lago, esattamente sotto di noi — informo il mezzelfo, perplessa.
— Allora saltiamo — ribatte lui, pratico, mentre si alza in piedi facendo ondeggiare pericolosamente la barca. Un'immagine macabra dei nostri scheletri che si adagiano accanto a quelli di molti altri incauti viaggiatori, tra cui Alveus, sul fondo dorato del lago mi riempie la mente, ma non faccio in tempo a dire nulla che Rohkeus si tuffa con poca eleganza nell'acqua, schizzando me e il lupo. Appena scompare oltre la superficie, tutta la distesa color cobalto diventa improvvisamente luminosa e brillante, tanto da far male agli occhi.
— Gordost, che succede? — domando spaventata, cercando freneticamente il mezzelfo nel lago ora iridescente come la madreperla, ma Rohkeus non compare da nessuna parte. Mentre cerco di limitare l'attacco di panico che sento crescermi dentro, sul pelo dell'acqua vedo comparire piano piano un'immagine e, per un attimo, mi vengono in mente gli specchi di Alveus.
Ci metto un po' a mettere a fuoco la scena mostratami dal lago, ma, quando finalmente riesco a distinguere tutti i dettagli, questi sono così vivi che mi pare di essere io stessa nella grande stanza dai muri di pietra che si manifesta davanti ai miei occhi. Al centro dell'ampio salone si allunga un tavolo ricoperto da una tovaglia cremisi sulla quale fa bella mostra di sé un ricco banchetto; riconosco salse di tutti i colori, verdure crude e cotte, un cesto d'uva e, con mio sommo disgusto, due o tre tipi di animali uccisi, scuoiati e poi cotti in modo barbaro. Al centro della tavola riesco a distinguere un maialino, posto lì come un trofeo, ancora tutto intero e con in bocca una mela. Un conato di vomito mi assale, costringendomi a spostare gli occhi dalle vivande e posarli sui convitati.
Seduta compostamente sulle sedie in legno dall'alto schienale vi è una moltitudine di gente che non riconosco, tutti intenti a tagliare con forchetta e coltello il cibo che dei servitori obbedienti pongono loro nel piatto. A capotavola, imperioso e regale, siede un uomo dalle spalle larghe la cui importanza è tanto palese e opprimente che pare nessuno osi muovere un muscolo senza la sua approvazione. C'è molto silenzio, che sarebbe totale se non fosse per il tintinnare delle posate nei piatti e il rumore di mandibole che masticano.
— Zio, mi chiedevo se aveste già pensato all'organizzazione del Galà del Solstizio d'Estate di quest'anno — afferma all'improvviso una voce dal ritmo spezzato, rispettosa e insolente al tempo stesso. A parlare è stato un giovane vestito con un elegante gilet dorato e seduto alla sinistra dell'uomo a capotavola. Rohkeus. È esattamente uguale a ora eppure incredibilmente diverso, come se fosse un gemello del mezzelfo che ho conosciuto io. Stessi capelli castano chiaro, stessa postura decisa e regale, ma in lui c'è qualcosa che non riesco a definire e che lo rende ostile.
— Assolutamente sì, se ne sta occupando la Commissione per le Feste, come sempre — ribatte l'uomo con tono vagamente scocciato, come se quello che ha appena detto fosse un'ovvietà. Guardandolo i miei occhi non possono a fare a meno di inciampare nel suo grande naso a becco d'uccello.
— Certo — risponde nuovamente Rohkeus, infastidito. — Quello che volevo sapere è se quest'anno posso essere io a tenere il discorso di apertura della serata e a iniziare le danze.
— Rohkeus, non essere sciocco! Lo sai che quel ruolo spetta a Eristys, in qualità di erede.
Tutti i presenti si voltano a guardare il ragazzino seduto dall'altro lato di quello che immagino essere il re dei mezzelfi. Il giovane dapprima sbarra gli occhi, sorpreso di essere stato tirato in causa, e poi abbassa in fretta lo sguardo nel piatto, muovendosi sulla sedia imbarazzato da tutta quell'attenzione. Il suo viso tondo e imberbe gli dà un'aria infantile, forse facendolo sembrare più piccolo di quanto in realtà non sia.
— Lo sappiamo tutti che l'ultima volta si è messo in ridicolo davanti a tutto il popolo, con quella gaffe incredibile. Io potrei fare di meglio — sbotta Rohkeus, attirando nuovamente su di sé gli sguardi.
— Come ho già detto quel ruolo spetta all'erede, non ho altro da aggiungere. — Detto questo il re riprende a mangiare, come a sottolineare la definitività delle sue parole.
— Per me va bene — si intromette Eristys, a bassa voce. — Cioè, va bene se Rohkeus vuole parlare al mio posto. — Lo dice guardando il re di sottecchi, temendo probabilmente il suo giudizio. A ragione, perché subito l'uomo sbatte le posate nel piatto di ceramica, puntando gli occhi sul ragazzo.
— Ho detto che quel ruolo spetta all'erede.
— Io sono l'erede! — esclama Rohkeus, senza riuscire a trattenersi.
— No. Eristys è l'erede — lo contraddice il re, mantenendo un tono basso e contenuto che mi fa venire in mente un gatto che, immobile e attento, controlla il suo territorio. Alle sue parole Rohkeus si alza, facendo stridere la sedia sul pavimento di legno.
— Con permesso — dice tra i denti prima di allontanarsi dalla tavola e lasciare la stanza. Con portamento altezzoso attraversa i lunghi corridoi e le lussuose stanze della grande dimora in cui si trova, fino a scendere nell'ala del castello in cui, a giudicare dalla povertà degli arredi e dalla pulizia più scarsa, vive la servitù. Spalanca una porta in legno grezzo senza nemmeno bussare, per poi fermarsi sull'uscio a braccia conserte. La stanza è abbastanza piccola ed è dominata da un letto nel quale ora sono aggrovigliate due persone in palese atteggiamento amoroso. Una delle due, dai folti capelli rossi, alza la testa di scatto, lasciandosi poi ricadere sul cuscino una volta riconosciuto l'intruso.
— Rohki caro, al momento siamo impegnati, torna più tardi.
L'altra figura invece si tira su a sedere avvolgendosi nelle coperte, attenta e seria come può esserlo una persona interrotta sul più bello in camera da letto. È un giovane dal viso sottile e aperto, i cui lunghi capelli scuri sono al momento spettinati e sparati in tutte le direzioni.
— Che succede? — domanda preoccupato.
— Vilp, tesoro, te lo dico ora e vale per sempre: non è che ogni volta che Rohki ti cerca si tratta di una questione di vita o di morte, sono certa che può aspettare. Così come sono certa che potrebbe imparare a bussare — ribatte Huba, allungandosi languida sul materasso e lanciando al mezzelfo in piedi sull'uscio un'occhiata velenosa. Nel muoversi offre a tutti i presenti nella stanza un'ampia visione del suo seno nudo, ma la cosa pare non interessarle minimamente.
— Mio zio non vuole farmi leggere il discorso di apertura — spiega Rohkeus, indifferente all'inopportunità del suo ingresso nella stanza.
— Come avevamo immaginato, d'altra parte — gli risponde l'altro ragazzo, raccattando i vestiti dal pavimento con una mano, mentre con l'altra tiene saldo il lenzuolo, imbarazzato.
— Eristys è un bambino patetico, non riesce nemmeno a guardare in faccia suo padre quando gli parla, come può essere lui il futuro re? — sbotta Rohkeus, sedendosi sul bordo del letto come se fosse il proprio.
— Rohki, lo sai che non è una questione di competenza, ma di discendenza. — Il tono di Huba è scocciato, così come infastidita è la sua espressione mentre si analizza distrattamente i capelli in cerca di doppie punte.
— Lo sappiamo tutti che io sono molto più adatto.
— Lo abbiamo sempre saputo — concorda Vilpiton, annuendo vigorosamente, mentre la strega se ne esce con un teatrale: — Amen.
— La cosa non può andare avanti così, dobbiamo intervenire — decide Rohkeus con sguardo febbrile, sbattendo un pugno sul palmo aperto dell'altra mano. — Non so ancora cosa, ma qualcosa devo fare. E voi mi darete una mano.
Così come era iniziata la visione scompare, dissolvendosi nell'acqua del lago e lasciandomi con il desiderio di saperne di più. Tornare alla realtà è come risvegliarsi da un incantesimo, tanto che devo sbattere un paio di volte le palpebre prima di ricordarmi dove sono e cosa sto facendo. Mi guardo intorno, ma di Rohkeus non c'è più nessuna traccia. Non so cosa sia la scena che ho appena visto, probabilmente un avvenimento del suo passato, e non conosco nemmeno il motivo per cui il lago me l'ha mostrata. Potrei interrogarmi per giorni sul significato di tutto questo, ma il tempo non è dalla mia parte e così mi alzo in piedi nella barca mettendo a tacere le domande; come ha fatto il mezzelfo prima di me, salto nell'acqua, fendendone però la superficie in modo preciso e senza schizzi, seguita da Gordost.
Il lago è tanto gelido da togliermi il respiro e devo fare uno sforzo per non farmi scappare subito dalla bocca tutta la mia riserva d'aria. Stringo le labbra, sperando di arrivare presto sul fondo, ma continuo a sprofondare nell'acqua cobalto per un tempo infinitamente lungo. Lampi bianchi mi balenano dietro le palpebre chiuse, seguiti da immagini che dimentico subito dopo averle viste. Iris? No, non è lei. O forse sì? Cosa succede? Cosa sto vedendo?
Un dolore al cuore mi prende all'improvviso, non intenso come una pugnalata, ma sordo e sottile come la perdita di qualcosa di amato, come se il cuore stesso fosse un gomitolo che piano piano mi viene sfilato dal petto. Con le mani cerco di trattenerlo, ma in realtà non c'è niente che stia fuggendo e così mi ritrovo solo ad artigliare la pelle sotto alla stoffa morbida del vestito.
Alveus? Sei tu?
Immagine. Immagine. Luce bianca. Cosa ho visto?
Non lo so.
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