16. La fonte

Mentre guardo la roccia su cui stiamo camminando attraverso le mie dita, non posso fare a meno di sentirmi come se fossi stata imbrogliata. Perché nessuno mi ha avvertita che il nostro tempo qui è limitato? È giocare sporco, un po' come tirarmi in mezzo a una partita senza prima avermi spiegato le regole.

— Tutto bene? — chiede Callàis, fermatosi a sua volta qualche passo più avanti.

— Sì — risponde brusco il mezzelfo, infilando le mani in tasca con fare disinvolto e rendendo così chiaro che non vuole far sapere all'altro ragazzo del nostro problema. Callàis sposta lo sguardo su di me, palesemente non convinto, ma, dato che io non smentisco Rohkeus, dopo un attimo ricomincia a camminare.

Con le mie dita evanescenti accarezzo le orecchie di Gordost, venuto a strusciarsi uggiolando contro le mie gambe, e noto con sollievo che, benché stiano diventando trasparenti, per adesso hanno ancora la capacità di toccare e afferrare le cose.

Mentre riprendiamo la salita non posso fare a meno di angosciarmi sulle implicazioni della nostra ultima scoperta. Cosa ne sarà di noi quando saremo scomparsi del tutto? Diventeremo dei fantasmi, eterni e invisibili, destinati a vagare per sempre sulla terra? Oppure verremo rispediti dritti all'inferno da cui veniamo? In tal caso potremo ripetere la prova dell'acqua?

Sono talmente immersa nei miei pensieri da non accorgermi che gli altri a un certo punto si sono fermati e così vado a sbattere contro l'ampia schiena di Rohkeus. Per il contraccolpo, vengo sbalzata indietro e rischio di rotolare giù lungo tutta la salita rocciosa che abbiamo percorso, ma per fortuna il mezzelfo mi afferra per il polso, tirandomi in salvo.

— Lympha, stai attenta — ordina con una nota di preoccupazione nella voce quando realizza il pericolo che ho corso. Io annuisco svelta e, mentre lui mi aiuta a rimettermi in equilibrio sulle gambe, mi rendo conto che è la prima volta che mi chiama per nome. Un brivido mi attraversa la schiena. Suona così strano detto da lui, è come se la sua parlata spezzata lo rendesse in qualche modo più primitivo e vero, a differenza di quando lo pronunciano le ninfe, il cui tono melodioso e musicale ne fa un ornamento scintillante.

— Eccoci arrivati — afferma Callàis, ponendo fine alle mie inutili elucubrazioni mentali.

Davanti a noi si estende un piccolo balcone di roccia grigia al centro del quale scorre un impalpabile velo d'acqua. La fonte. In effetti me la immaginavo diversa, qualcosa di più spettacolare e maestoso, ma ora che ce l'ho davanti agli occhi non posso che dare ragione al ragazzo biondo: non è niente di che.

— Andiamo, vogliamo passare tutto il giorno a guardarla? — domanda Callàis con impazienza, avvicinandosi.

— Faccio io — ribatte Rohkeus, percorrendo la distanza che lo separa dalla sorgente a grandi falcate nell'intento di giungere a destinazione prima della ninfa.

— E ora con cosa la raccogliamo? — chiedo, dandomi della stupida per non averci pensato prima. Avremmo dovuto prendere un'ampolla al villaggio. Il mezzelfo però comincia ad armeggiare con la sua borsa, in cerca di qualcosa, e alla fine ne estrae una piccola bottiglia. In un paio di sorsi la svuota e poi si inginocchia, cercando di far passare l'acqua cristallina della fonte nell'imboccatura di vetro spesso.

— Quanta ne serve, secondo voi?

— Non saprei, non ho mai fatto rituali demoniaci, dovresti essere tu l'esperta — mi schernisce Callàis, sorridendo. Dal momento che sta guardando verso di me, non riesce a vedere l'occhiata astiosa che Rohkeus gli rivolge, occhiata che invece io posso apprezzare in tutta la sua pienezza.

— Credo che così possa bastare — afferma il mezzelfo, alzandosi e porgendomi la bottiglia chiusa. Io resto immobile a guardarla, senza allungare le mani.

— Perché devo farlo io? — domando con una voce vagamente lamentosa che mi fa sembrare una bambina nel bel mezzo dei capricci, ossia dipingendo un'immagine che assolutamente non mi si addice e a cui voglio rimediare.

— Va bene, dammi — esclamo afferrando in fretta la bottiglia. — Mi servono dei carboni ardenti, disposti in cerchio. E dobbiamo scrivere un incantesimo di evocazione, credo. Voi ne conoscete uno?

— Accendi un fuoco — ordina bruscamente il mezzelfo a Callàis, che lo guarda a braccia conserte senza muovere un muscolo.

— Puoi anche accendertelo da solo.

— Sei voluto venire con noi, almeno renditi utile.

— Ti ricordo che siete stati voi a chiedermi aiuto.

— Ma nessuno ti ha obbligato a seguirci fin qui.

— Faccio io — esclamo per far smettere quell'inutile perdita di tempo che è il loro stupido litigio. Con un paio di legnetti do vita a un'esile fiamma, che diventa via via più vigorosa, e, non appena ottengo abbastanza carboni, li dispongo in cerchio cercando di non ustionarmi le mani.

Posizionato l'ultimo, Rohkeus mi si affianca, si inginocchia e, seguendo il mio cerchio di carboni ardenti, comincia a scrivere delle parole in una lingua che non conosco usando un bastoncino bruciato tenuto stretto tra le dita semitrasparenti. È terribilmente concentrato, con espressione così cupa che mi fa quasi paura. Callàis lo sta guardando con i suoi affilati occhi cristallini e pare analizzarlo come farebbe con una farfalla infilzata su uno spillo. Mi chiedo dove il mezzelfo abbia imparato quell'incantesimo di evocazione.

— Finito — afferma infine, rimettendosi in piedi.

— Non sta succedendo niente — si azzarda infine a dire il ragazzo biondo, dopo qualche attimo di silenzio assoluto. È teso come un filo di ragnatela e l'ansia traspare dalla sua voce. — Sicuro che la formula sia giusta?

— Sì — risponde secco Rohkeus, senza lasciare adito a dubbi.

Mi sistemo i capelli con un gesto nervoso e poi varco il cerchio, la bottiglia in mano. Mi schiarisco la voce.

— Principe — lo chiamo con un tono che spero sembri convincente. Una folata di vento mi colpisce in pieno viso e va a spegnere anche quel che restava del fuoco.

— Principe — riprovo a voce più alta. — Abbiamo la scintilla d'acqua, la prova è conclusa.

Tendo la bottiglietta al cielo come se fosse un trofeo, sperando forse nella comparsa di una mano enorme dalle nuvole o qualcosa del genere. Ma il vento si placa e nessuno mi risponde.

— Abbiamo sbagliato qualcosa — commenta Callàis con voce delusa.

— Forse era la tua idea a essere sbagliata fin dal principio — ribatte duramente il mezzelfo. — Fidarci di te è stata una pessima idea e ora abbiamo perso un'intera giornata.

— Prego, seguiamo allora la tua, di idea. — La voce della ninfa gronda sarcasmo, mentre i suoi occhi si assottigliano in un'espressione di disprezzo.

— Smettetela, non mi pare il caso di litigare — cerco di farli ragionare, ma nessuno dei due mi ascolta.

— Cosa ci facevi in biblioteca di notte? — continua Rohkeus, con tono basso e vibrante.

— Che importanza ha? E poi cosa c'entra?

— Pensi che non abbia visto cosa stavi leggendo prima del nostro arrivo? Demoni e creature dell'inferno, magia nera e patti di sangue, ecco cosa recitava il libro che hai lasciato aperto sul tavolo. Perché sei così interessato alla magia demoniaca?

In realtà la mia domanda ora è un'altra. — Perché non ci hai fatto leggere quel libro? Se era sugli incantesimi degli inferi magari conteneva anche la risposta al nostro quesito.

Il mio tono è di accusa e attira lo sguardo gelido di Callàis su di me.

— Lo stavo già guardando io, non c'era bisogno che lo sfogliassimo tutti, e comunque alle "scintille d'acqua" non faceva nemmeno un accenno.

— Perché leggerlo di nascosto la notte? — torna all'attacco il mezzelfo. — Cosa nascondi?

A rispondergli è solo un silenzio ostile.

— Però Rohkeus ha ragione: cosa ci facevi in biblioteca di notte, Callàis?

La ninfa si lascia andare a una delle sue risate fischiate e inquietanti che mi fa rizzare i peli sulle braccia.

— Ovviamente c'è sempre qualcuno che sospetta di me. Bene, Lym, rispondi tu a una domanda: cosa hai visto quando Alveus è sparito?

— Niente — affermo con aria confusa, non capendo dove vuole andare a parare.

— Esatto, niente, perché c'era una nebbia fittissima. O almeno così mi è stato raccontato.

— Cosa intendi dire? Tu c'eri.

— Già. Buffo, vero? Io c'ero, ma ho vissuto un'esperienza diversa. Di nebbia non ne ho vista, l'aria era limpida e ho potuto osservare nitidamente Alveus che spariva pian piano, dissolvendosi come acqua che evapora al sole. Ma la parte peggiore era la voce, così suadente e ammaliante, mi ha quasi strappato l'anima dal petto. Avrei voluto seguirla fino in capo al mondo, fino agli inferi, e senza nemmeno pensarci un attimo. Era come un richiamo a cui è impossibile dire di no, tanto che quando è sparita mi sono ritrovato col viso bagnato di lacrime per averla perduta. Perché a nessuno ha fatto questo effetto? Perché?

Ora Callàis non sorride più e il suo tono disperato mostra quanto questa cosa lo torturi.

— Questo, mezzelfo accusatore, ti basta come motivo per leggere di notte libri sui demoni? Soddisfatto?

— Per questo hai voluto seguirci fin qui ed eri così impaziente, speravi che noi potessimo aiutarti a rispondere alle tue domande, magari richiamando il Principe sulla terra — ragiona Rohkeus a voce alta.

Realizzare che probabilmente è così e che, se Callàis ha scelto di aiutarci, in realtà è stato solo per aiutare se stesso mi ferisce più di quanto io sia disposta ad ammettere. Mi pare che abbia tradito un qualche patto non detto tra noi due, una sorta di lealtà reciproca, anche se a voler ben vedere la prima ad aver spezzato questo tacito accordo sono stata io dieci primavere fa.

— Ma avete fallito, quindi è stato tutto inutile. Forse dovrei riprovarci da solo — afferma la ninfa, mentre con un gesto deciso mi sfila la bottiglia dalle mani che stanno diventando sempre più invisibili e, mi accorgo con un moto di paura, insensibili, tanto che quasi non percepisco niente quando mi viene sottratto l'oggetto.

Non faccio neanche in tempo a reagire che Rohkeus ha già estratto la spada e con un movimento fluido si è portato davanti a Callàis, la lama puntata alla gola della ninfa e i loro volti a un palmo uno dall'altro.

— Mettila giù — ordina il mezzelfo con un tono tagliente come la sua arma, gli occhi d'acciaio puntati in quelli di Callàis una spanna più in alto dei suoi. Nonostante un filo d'acqua gli stia colando dal taglio sul collo, la ninfa sorride, ma in modo tanto crudele che un brivido mi attraversa la schiena. Vorrei intervenire e fermarli, ma non so come fare.

— Altrimenti? — domanda malizioso il ragazzo biondo, mentre alza di scatto la mano libera e la porta al volto di Rohkeus. La pelle del mezzelfo comincia a sfrigolare e raggrinzirsi nel punto in cui è a contatto con le dita della ninfa e ci metto un secondo a capire cosa abbia intenzione di fare Callàis. Lo ucciderà, risucchierà tutta la vita dal suo corpo finché non rimarrà solo un guscio marcio e vuoto.

Esco correndo dal cerchio per raggiungerli, ma Gordost è più veloce e con un balzo scaraventa Callàis al suolo, dove lo sovrasta schiacciandolo con il suo peso. Il ragazzo tenta di toccare il pelo del lupo con le sue mani mortifere, entrambe libere ora che la bottiglia è andata a schiantarsi al suolo rompendosi in mille pezzi, ma l'animale prova a staccargliele a morsi e Callàis è costretto a ritirarle e nasconderle.

Intanto io mi inginocchio davanti a Rohkeus, che si è lasciato cadere in terra mentre con le mani si nasconde il viso, in silenzio e con lo sguardo basso. Con un gesto delicato gli sollevo il mento e gli sposto le dita, cercando di vedere quello che nascondono. Un gemito strozzato mi esce involontario dalle labbra: tutta la parte destra del suo viso è attraversata da venature nere ed è livida e raggrinzita. La sfioro delicatamente con i miei polpastrelli e lui ha un sobbalzo, benché si sforzi di non mostrare il suo dolore.

— Callàis, che hai fatto? — urlo arrabbiata. Sono furiosa nei suoi confronti e per la prima volta lo vedo come lo hanno sempre visto tutti: uno scherzo di cattivo gusto della natura, pericoloso e indomabile.

Lui e Gordost hanno raggiunto una situazione di stallo in cui si fissano senza muoversi di un millimetro.

— Mi difendo, Lympha, mi pare ovvio — risponde con voce affilata, trattandomi come se fossi stupida. — Non sono certo stato io il primo ad attaccare.

— Avresti potuto ucciderlo. Perché devi sempre essere così egoista? — esclamo, suonando ipocrita alle mie stesse orecchie.

Lui ride, anche se in questa situazione di divertente non c'è niente.

— C'era una sola persona che non mi guardava come se fossi un rigurgito dell'inferno ed eri tu — afferma all'improvviso. — Ma è stato tanto tempo fa perché poi sei diventata come tutti gli altri, hai preferito trasformarti in qualcosa di diverso, qualcosa di corrotto e sbagliato, pur di apparire perfetta ai loro occhi. Per questo non chiedo che tu mi capisca e non so che farmene della tua rabbia perché per me la tua opinione ora non vale più di un battito di ciglia.

Benché non lo abbia mai odiato così tanto in tutta la mia vita le sue parole mi fanno male e non so nemmeno io perché.

— Nella sacca ci sono le erbe curative — sussurra Rohkeus, attirando nuovamente la mia attenzione. — Mettine un po' sulla ferita, ma non esagerare perché ne sono rimaste poche.

Ubbidisco subito e, seguendo le sue istruzioni, ne sminuzzo alcune, le unisco a un po' d'acqua e poi le applico come una pomata sul suo viso. Cerco di fare il più piano possibile, ma le mie mani hanno perso del tutto la sensibilità e non ho idea di quanta forza io ci stia mettendo. In realtà non so nemmeno dove siano le mie dita, ormai quasi del tutto trasparenti. Il mezzelfo non emette suono, ma mi basta vedere la sua espressione tesa per intuire quanto male faccia. Inoltre la luce del sole al tramonto lo colpisce in pieno viso, rendendone ancora più drammatica la sofferenza.

— Il tuo aiuto non ci serve più — mormora lapidario, rivolto a Callàis, durante una pausa tra un'applicazione e l'altra, mentre io sto prendendo nuova pomata sulle dita. — Tornatene a casa.

— No, io devo trovare il demone, devo capire — afferma con un tono che non ammette repliche, mentre Gordost si allontana guardingo, permettendogli di alzarsi, ma tenendolo comunque sotto tiro.

— Liberissimo di cercare le tue risposte, ma lo farai senza di noi — afferma Rohkeus, un attimo prima che io ricominci a spalmargli la crema sulla parte lesa, riducendolo nuovamente al silenzio. Lo faccio con un gesto deciso, perché non voglio che ricomincino a litigare come non voglio che si eliminino a vicenda. In questo momento in realtà non sono arrabbiata solo con Callàis, ma anche con il mezzelfo: perché non può impegnarsi a essere più accondiscendente, una volta tanto? Perché è così terribilmente difficile essere un po' altruisti?

E alla testa mi saltano un sacco di altri perché: perché dobbiamo azzannarci come cani rabbiosi anche adesso che la nostra salvezza è appesa a un filo? Perché le uniche due persone che possono aiutarmi non riescono a collaborare? Perché tutto deve essere così complicato?

Sento le lacrime pungermi dietro gli occhi, ma faccio di tutto perché non scendano. Poi, d'un tratto, la mano quasi invisibile di Rohkeus si avvicina al mio viso e ci si poggia sopra, delicata come una carezza. Io rimango paralizzata e non capisco cosa stia facendo finché non allontana nuovamente la mano dal mio volto: sulle sue dita scivola ora una singola goccia, una lacrima sfuggita al mio controllo.

La luce del sole morente la fa brillare come se fosse fatta di diamanti.

— Scintilla — sussurra semplicemente Rohkeus, fissandomi negli occhi.

Scintilla d'acqua.

Il corpo del mezzelfo comincia a diventare trasparente troppo in fretta, così come il mio e quello di Gordost. D'improvviso mi sento leggera come l'aria e temo di venire spazzata via da un po' di vento, mentre la vista mi si appanna. L'ultima cosa che vedo prima di cadere nell'oscurità è Callàis, fermo in piedi con un'espressione di orrore stampata in viso e una mano allungata verso di me come a volermi afferrare.

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