13. La prova dell'acqua
Rimango per un attimo a fissare il punto dove la fata è scomparsa, seguendo con gli occhi le piccole onde concentriche lasciate dal suo passaggio. Mi chiedo se possiamo fidarci davvero di lei, se esiste qualcuno qui all'inferno di cui io mi possa fidare. Di Rohkeus mi sono fidata, nonostante all'inizio volesse mangiarmi. È in questo momento che lo realizzo. E mi chiedo cosa in lui mi abbia spinto a credergli. Come posso essere sicura che non mi stia mentendo? Come faccio a sapere che a un certo punto non baratterà la mia vita o le mie aspirazioni con qualcos'altro per lui più vantaggioso?
— Tutto a posto, ninfa? — mi domanda lui, vedendomi incantata a fissare l'acqua ormai immobile.
— Sì — gli rispondo, guardandolo con una punta di diffidenza di cui lui però non pare accorgersi.
— Credi che la fata abbia detto la verità? — gli chiedo, avvicinandomi a una delle grandi porte di ossidiana.
— Non lo so, ma non abbiamo altra scelta che crederle.
Ovviamente ha ragione, perché se decidessimo di non farlo saremmo ancora punto e a capo, senza nessuna idea per andare avanti.
— Facciamo prima la prova dell'acqua — decido infine, optando per l'elemento a me più familiare. Senza nemmeno ribattere Rohkeus si avvicina a sua volta alla porta e la spinge con mano decisa. La lastra nera si spalanca di scatto, rivelando un rettangolo di luce che ci risucchia senza possibilità di scampo. All'improvviso mi ritrovo sballottata in quel nulla troppo luminoso, che mi scaraventa in una grande massa di acqua gelida, mentre una voce che pare venire da tutte le parti sussurra, suadente: — Trovate la scintilla d'acqua.
E poi tutto diventa estremamente confuso. Mi sembra di essere finita in un fiume impetuoso che mi trascina all'infinito, violento, confondendo l'alto e il basso. I polmoni bruciano mentre consumano le ultime briciole di vapore acqueo. Forse non avremmo dovuto fidarci di quella fata.
D'un tratto l'acqua si placa e tutto diventa incredibilmente calmo. Il mio fisico non ce la fa più a trattenere il respiro e spalanco la bocca in quello che sembra un urlo disperato. Mille bollicine salgono libere verso la superficie e io le seguo, ormai allo stremo delle forze. Sarebbe ironico, per una ninfa d'acqua, morire affogata.
Riemergo, tossendo e respirando a pieni polmoni un'aria che non mi è mai sembrata così buona. Nuoto con bracciate casuali fino a riva e mi trascino sulla sponda fangosa. Sposto i capelli che mi si sono appiccicati alla faccia, mentre il mio cuore cerca di recuperare il suo battito normale. All'improvviso Gordost salta al mio fianco, scuotendo il suo pelo nero come la notte e spandendo goccioline tutt'intorno, subito seguito dal mezzelfo, che sbuca dall'acqua respirando rumorosamente.
Riacquistata la calma, mi guardo intorno: siamo in una radura verdeggiante, limitata da grandi alberi su tutti i lati e in mezzo alla quale scorre un fiume. La luce calda del sole calante illumina l'ambiente, che in realtà mi è terribilmente familiare, tanto che, con uno sforzo di immaginazione, riesco persino a vedere delle piccole ninfe che corrono sull'erba smeraldina.
— Per tutti i fiumi! — esclamo, alzandomi in piedi di scatto.
— Che succede? — riesce a chiedermi Rohkeus, tra un colpo di tosse e l'altro.
— Non è possibile! Questa è casa mia...
Butto fuori le parole in un soffio, troppo stupita per fare alcunché. Perché l'inferno mi ha spedita in questa proiezione del mio villaggio? Perché è solo una proiezione, giusto?
Devo avere un'aria sconvolta perché il mezzelfo, che intanto si è messo al mio fianco, mi richiama subito all'ordine.
— Ninfa, non distrarti, concentrati sulla missione: per quale motivo siamo finiti qui? Cosa c'è nel tuo villaggio che possa essere definito "scintilla d'acqua"? — mi sprona a pensare, con la sua aria imperturbabile e indagatrice.
— Non ne ho idea, forse la vecchia Aranea lo sa...
— Bene, chiediamoglielo.
— No! — esclamo con una voce stridula che non mi appartiene. Con una mano artiglio il suo braccio, impedendogli di compiere anche un solo passo. I suoi occhi grigi si assottigliano mentre mi fissa, come se mi stesse studiando.
— Perché no? Chi è la vecchia Aranea, un mostro spaventoso?
— No, è solo la nostra capovillaggio, ma non possiamo andare da lei. Non possiamo chiedere aiuto a nessuno.
Lui continua a fissarmi e mi sembra di vedere un gigantesco punto di domanda stampato sul suo volto.
— Non è davvero il caso che io mi faccia vedere, la mia comparsa improvvisa potrebbe causare qualche problema — affermo decisa, ripensando alla mia uscita di scena in grande stile. — Per non parlare poi di te! Qui nessuno ha mai visto un mezzelfo, creeresti il panico.
— Non vedo perché sia un problema, tanto nulla di tutto questo è reale, le persone che incontreremo scompariranno quando lasceremo questo angolo di inferno.
— E se non fosse così? Come fai a esserne sicuro? Qui tutto sembra estremamente vero e "giusto". Voglio dire, sembra davvero il mondo reale, con tutte le cose al loro posto. E comunque, se non lo fosse, sarebbe una proiezione prodotta dalla mia mente e la vecchia Aranea non saprebbe niente di più di quello che so anch'io.
Lui resta un attimo zitto, riflettendo sulle mie parole. Alla fine annuisce, come a darmi almeno parzialmente ragione.
— E quindi cosa suggerisci di fare?
— L'unica nostra possibilità è la biblioteca: a noi ninfe piace registrare tutto in innumerevoli papiri, se non dovessimo trovare lì quello che cerchiamo non saprei dove altro andare. Il problema è che è situata nel centro del villaggio ed è praticamente impossibile arrivarci senza essere visti — rifletto ad alta voce, scrutando Rohkeus e il lupo in modo significativo. Il mezzelfo mi analizza a sua volta, forse pensando che a rigore, se tutto è una proiezione della mia mente, neanche nei libri può esserci qualcosa che io non so. Ma personalmente preferisco chiedere prima ai papiri, che non possono parlare né, ancora più importante, giudicare, soprattutto perché non sono convinta che tutto questo non sia reale.
— Ci proveremo — afferma alla fine, deciso, senza perdere tempo. — Su, facci strada.
Mi incammino circospetta verso le prime case del villaggio, ma la voce di Rohkeus mi ferma dopo pochi passi.
— Ninfa, ci tengo a chiarire una cosa fin da ora: noi proveremo a fare come dici tu, a entrare senza essere visti, ma se non dovesse funzionare sappi che non mi interessa se dovrò sfilare nudo davanti a tutte le ninfe del tuo villaggio o cos'altro. Sono disposto a fare qualunque cosa pur di lasciare quell'inferno. E credo che tu sia d'accordo con me.
Mentre parla i suoi occhi d'argento sono puntati nei miei, inchiodandomi sul posto. Da quello sguardo capisco che qualunque cosa io possa fare non basterà a fermarlo e non posso che annuire.
Camminiamo in silenzio, mentre rifletto sulle sue parole. Ha ragione, ha dannatamente ragione. Anch'io sono disposta a fare qualunque cosa pur di salvare Alveus, no? Eppure non voglio che gli altri mi vedano, non voglio che sappiano il disastro che ho combinato prima che io lo abbia risolto e in questo momento mi odio perché so che si tratta solo di uno stupido moto di orgoglio. A voler ben vedere, tutto è accaduto solo per colpa del mio stupido orgoglio. Se solo mi fossi accontentata di quello che avevo... Un brivido mi attraversa la schiena. Accontentarsi non è mai stato nelle mie corde.
In poco tempo arriviamo alle prime case del villaggio e ci nascondiamo dietro un tronco al limitare del bosco, i cui alberi si diradano per fare spazio alle nostre dimore. In giro non si vede nessuno, ma si sentono in lontananza voci urlare e parlare in modo concitato.
— E ora? — domanda Rohkeus, scrutando alternativamente me e le casette di legno. Con un gesto della mano gli faccio segno di stare zitto. Ci sono innumerevoli vie per arrivare da qui al centro del villaggio, mi chiedo quale sia quella meno trafficata. Devo stare alla larga da casa mia e da quelle di Alveus e della vecchia Aranea, che sicuramente sono un focolaio di attività. D'improvviso ho un'idea.
— Seguitemi — sussurro ai miei due compagni di viaggio. Costeggiamo il villaggio ancora un po', finché non ci infiliamo in un pertugio minuscolo tra due case e che termina in una viuzza altrettanto minuscola. Quando mi giro a controllare che Gordost e Rohkeus, più possenti di me, ci passino senza problemi, la prima cosa che scorgo è il baluginio degli occhi gialli del lupo, che brillano nella penombra che sta cominciando a diffondersi per le strade. Spero che la notte scenda in fretta, perché di sicuro gioca a nostro favore. Aspettare il buio sarebbe saggio, ma purtroppo non abbiamo abbastanza tempo.
Al termine della viuzza sfociamo in un sentiero di moderate dimensioni, ma per nostra fortuna è anch'esso deserto. Purtroppo la stessa cosa non si può dire della strada successiva, una delle principali del villaggio. Ci accucciamo tutti e tre tra una parete di legno e un gruppo di arbusti proprio mentre si avvicina un gruppetto di ninfe. Parlano tutte insieme, una sopra l'altra, sussurrando però, come se avessero paura ad alzare troppo la voce.
— Non ci posso credere che Aranea l'abbia detto veramente — sento dire una con veemenza, zittendo tutte le altre. Un singhiozzo conclude la sua frase come un punto.
— Su, cara, non piangere, sicuramente si sbaglia. Sarà colpa della stanchezza che la fa straparlare — afferma un'altra voce, con fare dolce.
Mi sporgo un pochino, quel tanto che basta per vedere di chi si tratta, e il cuore mi si stringe in una morsa quando distinguo, in mezzo a tutte le altre, la madre di Alveus che cerca di trattenere le lacrime. Nebula è sempre stata una ninfa gioiosa, capace di vedere il lato positivo delle cose anche quando questo non esiste, ma ora i suoi lineamenti sono tanto deformati dal dolore da farla sembrare un'altra persona.
— E se avesse ragione? E se mio figlio, il mio povero bambino, fosse davvero perduto per sempre? L'avete sentita anche voi, ha detto che per lui non c'è più speranza — afferma la ninfa, tra un sospiro bagnato di lacrime e l'altro. — Smarrito negli inferi per l'eternità.
— Sicuramente è stata troppo affrettata, in fondo ancora non sappiamo bene cosa sia successo. Vieni, ora ti riportiamo a casa.
— È stata Lympha, è tutta colpa sua. L'avete sentita quella voce nella nebbia. Come abbiamo potuto essere tutti così ciechi? Così sciocchi! L'abbiamo sempre saputo che non era normale, eppure abbiamo tutti cambiato idea quando d'un tratto si è presentata con quello straordinario potere. Da dove lo ha preso? È figlia di un demone, ecco cos'è — afferma di nuovo la ninfa, la stessa ninfa che solo pochi giorni fa mi stava accogliendo gioiosa nella sua famiglia, ringraziando tutti i fiumi che suo figlio avesse trovato una moglie così adorabile. Ogni sua parola è per me un coltello. Mi chiudo a riccio, rannicchiandomi il più possibile nell'oscurità, mentre le voci si allontanano.
— La gente è brava a parlare. Parla sempre, quando non sa cos'altro fare — sussurra Rohkeus al mio fianco, con un tono duro e dolce che solo lui riesce a fare. Alzo lo sguardo e lo vedo cercare qualcosa nella bisaccia, da cui infine estrae un fazzoletto bianco ricamato che mi porge.
— Tieni, le lacrime non si addicono a un guerriero.
— In realtà hanno ragione, sai? — sento il bisogno di fargli sapere. Vorrei che mi insultasse anche lui, che si accorgesse di che mostro orrendo sono e che mi ferisse con altre parole affilate, perché me lo merito. — Ce l'ho mandato io all'inferno.
Lo fisso dritto in volto, aspettando il colpo. Sperando, quasi.
— Chi sono io per giudicare? — risponde invece lui, con tono sofferto. — Ti svelerò una cosa: io ci ho mandato Gordost, all'inferno. Sei forse peggiore di me?
Il mio sguardo va immediatamente al lupo, rannicchiato accanto a noi.
— E lui ti ha perdonato?
— Lo ha fatto, alla fine.
— E tu... ti sei perdonato?
— No, non lo farò mai, per svariati motivi. Per molte delle cose a cui dovrei rimediare non c'è più nulla che io possa fare, ma Gordost può ancora essere salvato. Ci tirerò entrambi fuori dall'inferno e forse questo mi farà stare un po' meglio.
Si alza in piedi, cauto.
— Andiamo, ora non c'è più nessuno. Mi sono pianto addosso abbastanza a lungo da sapere che non serve a niente, quindi asciuga le tue lacrime e cerca di rimediare al tuo errore.
Rohkeus non sembra affatto tipo da piangersi addosso, ma le sue parole riescono comunque a farmi riprendere un po' di coraggio. Ha ragione, l'unica cosa da fare è salvare Alveus. Spero che anche lui, come Gordost, sappia perdonarmi, un giorno.
Mi tiro in piedi a mia volta e sgattaioliamo come tre ladri nelle strade ormai buie. In giro c'è pochissima gente, sono tutti rintanati in casa come se avessero paura della notte, ma nessuno sta dormendo e lo si capisce dalle innumerevoli luci accese a tutte le finestre.
Incredibilmente arriviamo nella radura in centro al villaggio, su cui si affaccia anche la Roccia, che attira il mio sguardo come una candela fa con le falene. Sembra passata un'eternità dall'ultima volta che l'ho vista, il mio mondo è andato in mille pezzi eppure lei è ancora lì, immobile e immutata, come se nulla fosse successo. Chissà come appaiono ridicoli e insignificanti i problemi di noi mortali a lei che è di pietra ed eterna.
La biblioteca si trova di fronte alla Roccia, esattamente dalla parte opposta della piazza. Apro la porta lentamente, cercando di non fare rumore.
— Ma voi ninfe non usate le serrature? — sussurra Rohkeus mentre entriamo.
— No, perché dovremmo? Tutto il villaggio ne è sprovvisto.
— Non temete i ladri?
— E chi dovrebbe rubare? I cerbiatti? Da qui non passa mai nessuno e le ninfe non ne sono capaci. Diciamo che tendenzialmente sono molto generose e, se ti serve una cosa di un altro, basta chiedere...
Mi interrompo bruscamente quando intravedo una luce muoversi tra due librerie.
— C'è qualcuno — sussurro in modo concitato.
— Un ladro?
— Zitto.
Cerco in fretta un luogo dove nasconderci, ma nel buio non riesco a distinguere nulla a parte quella luce, che si avvicina in fretta. Prima che io possa fare qualunque cosa ci raggiunge, fermandosi ad appena un paio di braccia da me e rischiarando il volto di colui che la porta. Riccioli biondi spettinati ricadono sul viso del ragazzo, coprendogli gli occhi.
Al mio fianco, sento Rohkeus estrarre la spada in un sibilo metallico.
— Lympha! — esclama sorpreso il nuovo arrivato. — Non pensavo che ti avrei rivista così presto.
— Nemmeno io, Callàis.
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