1. Principessa
Sorrido al mio volto riflesso nello specchio, mentre mia madre mi intreccia fiori tra i capelli. La osservo lavorare alle mie spalle con espressione concentrata, attenta a non farsi sfuggire nemmeno la più piccola ciocca, per far sì che io sia splendida per il giorno più importante della mia vita.
La mia immagine trema quando sfioro il velo d'acqua che funge da superficie riflettente. Da quando Alveus, il mio promesso sposo, ha imparato a gestire il suo potere di plasmare l'acqua a proprio piacimento, tutti vogliono avere in casa uno dei suoi specchi. Ricordo quando mi ha mandato questo, il primo che avesse mai fatto e, a suo parere, il migliore che gli sia mai riuscito. Non so se è vero, ma di sicuro è splendido.
Continuo a fissarmi, mentre la mia immagine si ricompone. Sono davvero soddisfatta di quello che vedo: i fiori colorati, della stessa tonalità viola-bluastro dei miei occhi, risaltano contro i sottili capelli bianchi, che risplendono come se fossero fatti di luce. Mia madre ha fatto davvero un buon lavoro, come sempre.
Due colpetti leggeri risuonano alla porta.
— Avanti — rispondo, mentre mamma mi appunta l'ultima ciocca al di sopra dell'orecchio a punta.
Nello specchio osservo la figura diafana di Iris stagliarsi nel vano dell'ingresso alle mie spalle, elegante nel suo vestito rosa come i fiori di pesco che porta in testa. Per un istante i nostri sguardi si incontrano sulla superficie cristallina e nei suoi occhi ambrati scorgo nitidamente l'espressione che assume ogni volta che mi guarda, e solo quando guarda me. Come se fosse sempre dispiaciuta, nostalgica quasi. Come se guardasse un ricordo rovinato dal tempo, qualcosa che non riesce più a comprendere e che la angustia. Se non sapessi che è impossibile, giurerei di vedervi anche una punta di rabbia.
Impossibile, certo: la dolce e comprensiva Iris non si arrabbia mai con nessuno, neanche quando dovrebbe.
— I membri della Comunità si stanno già radunando intorno alla Roccia — ci comunica mia sorella, voltandosi verso mia madre e addolcendo lo sguardo.
— Così in fretta? Ma è appena tramontato il sole! Dobbiamo ancora finire di prepararci, e poi ci sarà il banchetto nuziale, e solo allora andremo alla Roccia — esclama lei, contando gli eventi sulle dita man mano che li nomina. Eppure non dovrebbe stupirsi: è risaputo che quando c'è un matrimonio la Comunità non sta più nella pelle, specialmente quando si sposa un membro importante. Come me.
— Non preoccuparti, mamma. Lo sanno che fino all'alba non accadrà nulla. Ho sentito una ragazza dire che semplicemente non voleva perdere il posto — spiega Iris, nel tentativo di tranquillizzare nostra madre.
— Oh, per tutte le acque dei fiumi! Addirittura? Vedi di riservarne tre, per me, te e papà.
— Sì, mamma, già fatto. Ho lasciato tre coniglietti a tenerli occupati per tutta la notte.
— Grazie, Iris, sei un tesoro.
Mia sorella le sorride e poi ci volta le spalle per uscire dalla stanza, ma esita prima di chiudere la porta.
— Auguri, Lympha — mi dice in un sussurro.
Corruccio lo sguardo mentre la osservo andarsene. A cosa si riferisce? Alla mia futura vita coniugale o ai festeggiamenti per la nostra ventiduesima primavera, che cade esattamente oggi? Entrambe le ipotesi sono possibili, anche perché era da ieri che non vedevo mia sorella. Sono anni ormai che il giorno del nostro compleanno lei non passa dalla mia camera come prima cosa quando si sveglia.
In realtà, quest'anno i festeggiamenti si sono persi nei preparativi del matrimonio: non so quanta gente si sia ricordata che oggi è anche la sua festa e non solo la mia. Una piacevole soddisfazione mi scalda il petto e trattengo a stento il sorriso che tenta di aprirsi sul mio volto.
Ricordo, invece, che da bambina Iris si destava all'alba per poter essere al mio fianco quando la prima luce del sole avrebbe baciato il fiume, portando con sé la fine di un anno e l'inizio di quello nuovo.
Per la nostra Comunità nulla ha più importanza della luce. Se venerassimo un dio sarebbe sicuramente il sole che ogni giorno sorge e permette a ognuno di noi di continuare a esistere. Non c'è ninfa che non rimanga incantata davanti ai colori vividi del bosco o ai riflessi dell'acqua del fiume che attraversa il villaggio. C'è chi racconta che la vecchia Aranea stia addirittura cercando l'incantesimo per trasformarsi lei stessa in luce.
— Tutto a posto, Lym? — chiede mamma, aggrottando le sopracciglia.
— Sì, sono pronta. — Mi alzo e faccio ondeggiare il vestito. Di tutti gli abiti che mia madre ha tessuto questo è senz'altro il più bello: creato con un'impalpabile tela di ragno dai riflessi iridescenti, è stato poi decorato con finissimi ricami d'argento. Si muove leggero, assecondando i miei passi e fluttuando come fosse fatto di aria.
— Ferma lì! — Il grido di mia madre mi fa immobilizzare sul posto, spaventata. — Un filo sporge dal vestito. Ora te lo sistemo subito.
— Mamma — sibilo tra i denti. — Calmati.
— Lym, è importante che tu sia perfetta — mi rimprovera lei, mentre sistema il minuscolo difetto dell'abito grazie ai fili di ragnatela che le fuoriescono dalle dita. — Ecco fatto, molto meglio — afferma poi, sedendosi con l'espressione soddisfatta di chi ha appena scampato un grosso pericolo.
La situazione è ridicola: dovrei essere io quella agitata, non è mica mia madre che si sposa, e invece sento solo un vago formicolio diffuso, come se l'emozione si espandesse nel mio corpo a piccole dosi, permettendomi di rimanere lucida. Sono elettrizzata, ma forse non come ci si aspetta che io sia. Un sacco di gente si sposa, è la ovvia e perfetta continuazione di una storia d'amore, non c'è niente di speciale.
Mi chiedo cosa stia facendo Alveus in questo momento. Me lo immagino a casa sua, che cammina avanti e indietro, attendendo con ansia il momento in cui diventerà mio marito. Probabilmente sorride impacciato a tutti quelli che entrano ed escono, creando un continuo via vai che lo agita ancora di più. Oppure è già pronto per il banchetto, seduto al tavolo di quella che sarà casa nostra, e mi sta aspettando impaziente.
— Sei agitata? — La domanda di mia madre mi fa sobbalzare.
— Come potrei non esserlo? — le dico con un sorriso forzato, sapendo che è quello che tutti si aspettano che io risponda. Subito però distolgo lo sguardo, non riuscendo a fissare i suoi occhi che sembrano capaci di leggermi dentro.
— Sembri così tranquilla, tesoro. Ah, come ti invidio, bisognerebbe essere capaci di prenderla così, la vita — borbotta lei più che altro a se stessa, mentre si alza nuovamente dalla sedia. — Guarda me: non riesco nemmeno a stare ferma!
Come a voler confermare le proprie parole comincia a camminare per la stanza, mentre io la guardo scettica. Forse sarebbe meglio se mi facessi venire un po' d'ansia anch'io. Dicono che sia contagiosa, ma pare che con me non funzioni.
— Lym! — esclama, facendomi sobbalzare un'altra volta. — Non hai messo il braccialetto.
Sospiro, alzando gli occhi al cielo, mentre mia madre comincia a frugare nel cofanetto dove tengo i miei pochi gioielli. Sposta le cose, per poi rimetterle accuratamente al loro posto, finché non trova quello che cerca.
— Eccolo! — esulta soddisfatta, estraendo il bracciale di corda intrecciato che Iris mi ha regalato tanti anni prima. Indossarlo per il matrimonio è l'ultima cosa che vorrei, ma mia madre pare tenerci così tanto che non ho modo di oppormi.
Probabilmente lei pensa che sia bello iniziare una nuova vita senza però dimenticare chi si è stati prima, ma non capisce che è proprio questo il mio problema: non voglio ricordare la ninfa che ero quando Iris mi ha regalato il bracciale. Preferisco che nessuno la ricordi.
E poi non voglio dare a mia sorella questa soddisfazione.
Più volte sono stata tentata di gettare l'oggetto nel fiume: sarebbe stato un modo molto semplice per sbarazzarmene. Poi avrei potuto dire di averlo perso e nessuno avrebbe fatto domande. Eppure, non ci sono mai riuscita. Scuoto la testa, cercando di farvi uscire questo pensiero che mi ossessiona e che non riesco mai a scacciare, forse perché manifesta una mia debolezza e io mi sono impegnata tanto per non averne nemmeno una.
Do un'ultima occhiata all'intreccio delle corde, e poi faccio ricadere il braccio lungo il fianco. All'improvviso però mi irrigidisco e una strana tensione mi stringe il petto in una morsa. Per un istante non riesco a capire perché, ma poi un ricordo legato al braccialetto affiora alla mia mente, nonostante io abbia tentato per anni di seppellirlo: dieci primavere.
No. Quell'incontro forse non era nemmeno reale, e lo dimostra il fatto che la giornata è quasi finita e non è ancora accaduto nulla. Cerco di ricacciare il pensiero nell'abisso da cui è uscito, ma questo non smette di torturare la mia anima con i suoi tentacoli avvelenati.
Intanto mia madre si è allontana di un passo e ora mi sta scrutando da capo a piedi, come se fossi un'opera d'arte che non convince del tutto nemmeno il suo creatore. Resta ferma qualche istante, con gli occhi dorati seri e attenti che mi analizzano minuziosamente e con lo sguardo reso ancora più affilato del solito dalla crocchia elegante in cui sono legati i capelli, che le tira la pelle di fronte e tempie.
— Lym, hai un fiore fuori posto. Oh, santi fiumi, non si può proprio vedere! — E allunga le sue dita febbrili verso la mia testa.
— Mamma, va benissimo — affermo, scostandomi. Le sue continue attenzioni cominciano a irritarmi.
— Esco, vado a fare due passi — la informo e mi dirigo verso la porta senza nemmeno darle il tempo di ribattere. Levito leggera giù dal ramo del grosso albero su cui sorge la nostra casa e, una volta toccata terra, inspiro una grande boccata di aria fresca. Poi mi avvio verso il nord del villaggio.
In giro non c'è molta gente: probabilmente si stanno tutti preparando per l'evento oppure, come ha detto Iris, sono già alla Roccia. A me però va bene così, almeno posso godermi la passeggiata senza essere obbligata a chiacchierare con ninfe troppo curiose e invadenti.
La tranquillità che emana dalle case silenziose genera un piacevole contrasto con l'ansia frenetica di mia madre e sento già scemare l'irritazione. Cammino fiancheggiando il fiume che taglia in due il villaggio e che ora gorgoglia lento, accompagnandomi senza dare fastidio. L'erba è morbida e fresca sotto i miei piedi nudi, e a ogni passo che faccio mi sento più rilassata.
A un certo punto, delle grida di bambini provenienti dall'altra sponda attirano la mia attenzione: nella tenue luce lasciata dal sole dopo il tramonto, intravedo due piccole ninfe che escono di corsa da una delle casette di legno che giacciono sul terreno, intorno al tronco di una grande quercia. I bambini stanno fuggendo dalla madre, che li insegue con un pettine in mano, e sembra a tal punto la parodia della situazione che anch'io ho appena vissuto che non riesco a trattenermi dal sorridere.
Alla fine, arrivo alla base della cascata che limita il villaggio a nord. Il rumore qui è così forte che mi riempie le orecchie, mentre gli schizzi mi pungono il viso come spilli da sarta. Ho sempre amato questo posto, selvaggio e indomabile, in grado di esternare tutta la rabbia che provavo da piccola e che spesso tenevo chiusa dentro, riempiendo tutti gli spazi disponibili nel mio corpo fin quasi a scoppiare. Venire qui era una benedizione, una sorta di catarsi. Mi sentivo capita, come se l'acqua fosse l'unica in grado di leggere veramente la mia anima.
Mi chino per infilarmi in uno stretto corridoio che si snoda nella parete rocciosa e che, dopo pochi passi, si apre su una piattaforma che si affaccia sul retro della cascata. Era qui che mi nascondevo da bambina quando non volevo essere trovata. Potevo passarci delle ore, accoccolata nel ventre della roccia e protetta dagli sguardi indiscreti.
Non credevo che qualcun altro conoscesse questo posto ed è per questo che rimango sbalordita quando, arrivata sulla piattaforma, vedo una lampada accesa. Strizzo gli occhi, cercando di scorgere la figura al di là della luce.
— Lym! — esclama Alveus.
Per la sorpresa sobbalzo e sbatto la testa contro il soffitto basso del corridoio.
— Per tutti i fiumi! Che ci fai qui? — gli domando, mentre mi massaggio la sommità del cranio. Lui mi fa segno di avvicinarmi e di sedermi sulla nuda pietra, di fianco a lui.
— Volevo stare un po' da solo, a casa mia sono tutti impazziti. E poi speravo di vederti — mi spiega sorridendo, ma subito i suoi occhi color smeraldo assumono un'espressione preoccupata. — Ti sei fatta male? Fammi vedere.
— No, non è niente — minimizzo io, mentre mi accomodo alla sua destra. Appoggio il palmo della mano sulla parte lesa e una sensazione di fresco mi solletica la cute. Il dolore in un attimo scompare.
— L'importante è che non si siano rovinati i fiori, altrimenti mia madre darà di matto, quando li vedrà — aggiungo poi, sbuffando.
— Tua madre? Stiamo parlando della stessa Medulla, quella che è sempre pacata e controllata? — mi domanda, mentre verifica che la mia acconciatura sia in ordine.
— Già, oggi sembra che sia stata rapita dai folletti e sostituita con un'altra persona.
— Sono proprio curioso di vederla — afferma, un attimo prima di concludere la sua ispezione. — Tutto a posto, c'era solo un fiore ammaccato, ma ora che l'ho tolto nessuno si accorgerà di nulla. — Allontana quindi le mani dai miei capelli, ma una ciocca rimane impigliata alle sue dita e si sfila dall'accurata pettinatura, finendomi davanti alla faccia.
— O santi fiumi! Scusa, Lym, scusa. E adesso che faccio? — domanda, con l'orrore dipinto in volto. La sua espressione è davvero ridicola e io non posso fare a meno di sghignazzare.
Allunga le mani verso la ciocca ribelle, ma è evidente che non sa come metterla a posto perché le sue dita rimangono sospese davanti alla mia faccia, indecise sulla prossima mossa. Per toglierlo d'impaccio, afferro io i capelli e li tiro indietro, cercando di incastrarli tra gli altri.
— Risolto — lo informo e lui subito si rilassa, realizzando che il danno non era poi così grave come aveva temuto.
Restiamo in silenzio ad ascoltare il rombo dell'acqua, ognuno perso nei propri pensieri. La roccia su cui sono seduta è umida e fredda e rabbrividisco nel vestito leggero.
— Come conosci questo posto? — domando all'improvviso, mentre lui mi passa un braccio intorno alle spalle, attirandomi a sé per scaldarmi. Il calore del suo corpo si diffonde attraverso i nostri vestiti e io poggio la testa sulla sua spalla.
— Me ne ha parlato Iris, una volta. Mi aveva detto che tu ci passavi un sacco di tempo e lei non sapeva cosa fare per farti preferire la sua compagnia a quella della cascata. Dovevamo avere qualcosa come dieci o undici primavere. — Un sorriso gli si allarga sul viso, ma io non condivido affatto il suo stato d'animo. Le mie dieci-undici primavere sono state tutto tranne che dei momenti che mi piace riportare alla mente.
— Chi l'avrebbe detto allora che un giorno ci saremmo ritrovati qui, a poche ore del nostro matrimonio, con tutta la Comunità che scalpita per vedere il tuo abito da sposa? Bellissimo, tra parentesi.
Ora sto sorridendo anch'io.
— Da qualche parte ho letto che, in alcune culture, vedere l'abito della propria futura moglie prima del matrimonio porta sfortuna — lo informo. Sento il suo petto sobbalzare, mentre ridacchia.
— Che sciocchezza!
Poi d'un tratto si fa serio e io mi raddrizzo.
— Cosa c'è? — gli domando, guardandolo dritto negli occhi. Lui esita un attimo prima di rispondermi.
— So che non dovrei dirtelo, ma ho sentito mio padre parlarne con un'altra ninfa... Pensano di farti fare il Rito d'Iniziazione, dopo che ti sarai sposata.
Un sorriso immenso mi si accende sul viso. Finalmente! Dopo quattro primavere di apprendistato passate a osservare dalle panche più lontane, potrò entrare ufficialmente nel Consiglio della Polla, sedermi a fianco di tutti gli altri membri e dire la mia durante le riunioni.
Il Consiglio è l'unico organo di governo della nostra comunità. È presieduto dalla vecchia Aranea, la ninfa più anziana del villaggio, nostra guida materiale e spirituale, e vi partecipa un membro per ogni famiglia. Io sostituirò mio padre e, da domani, rappresenterò anche la mia nuova famiglia con Alveus. In realtà anche lui aveva cominciato l'apprendistato, ma, quando è diventato chiaro che mi avrebbe sposata, ha lasciato tutto per dare a me la possibilità di continuare, poiché una famiglia non può avere più di un esponente.
— È fantastico, Alveus! — esclamo, abbracciandolo di slancio.
— Sì — risponde lui, riflettendo la mia gioia e ridendo a sua volta. — È davvero fantastico!
Poi mi prende il viso tra le mani e mi bacia. Sono così elettrizzata che, dopo aver ricambiato il bacio, non posso fare a meno di alzarmi e accennare un passetto di danza.
— Però, Lym, devi fare finta di non sapere niente quando ti faranno la proposta ufficiale, mi raccomando.
— Non preoccuparti, sarò talmente felice di sentirlo uscire dalla bocca della vecchia Aranea in persona che nessuno sospetterà nulla. Hai fatto bene a dirmelo.
Senza riuscire a smettere di sorridere gli prendo la mano e comincio a tirare, cercando di farlo alzare.
— Balla con me — gli ordino, giocosa. Lui scatta in piedi così in fretta da farmi perdere l'equilibrio, ma riesce ad afferrarmi prima che io cada in terra.
— Sempre ai suoi servigi, principessa — mi sussurra, tenendomi stretta e facendomi fare una giravolta. Inventiamo i passi di una danza inesistente e irripetibile, così come irripetibili sono le emozioni che sto provando: il matrimonio, il Rito di Iniziazione... Tutto è perfetto, così come deve essere.
Dopo un ultimo giro, Alveus mi ferma tra le sue braccia, ridacchiando e stringendomi a sé. Poi l'occhio gli cade su qualcosa alle mie spalle e, portandosi una mano ai capelli color del piombo, esclama: — Ma è tardissimo! A casa mia mi avranno già dato per morto. — Mentre parla il viso gli si accartoccia in una smorfia a metà fra il disperato e il preoccupato che gli dà un'aria molto dolce e ingenua.
Mi voltò anch'io. Al di là della cascata, il cielo si è ormai fatto scuro.
— Di sicuro a essere morta è mia madre, per colpa dell'ansia — ribatto, scuotendo la testa.
— Dobbiamo proprio andare — sospira lui. — Prima del banchetto devo anche cambiarmi l'abito — spiega, indicando i pantaloni di tela grezza che indossa e che non hanno nulla di diverso da quelli che porta tutti i giorni.
Annuisco e a malincuore lo seguo fuori dalla grotta, rassegnata a subire ancora l'ansia di mia madre e sperando di riuscire a sopportarla per tutta la durata del banchetto.
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