Capitolo 19
Daniel
Devo seriamente trovare qualcosa da fare per distrarmi, se non voglio rimanere con la mente bloccata a ieri sera. Forse potrei dormire, non mi farebbe male recuperare qualche ora di sonno persa per colpa della scuola. Sempre meglio che lanciare continue occhiate allo schermo del mio IPhone ogni minimo secondo che lo sento vibrare. Non sono uno che sta sempre al telefono, eppure, da quando sono rientrato a casa, mi ostino a controllare qualsiasi notifica mi arrivi che poi elimino subito dopo, scorrendo di lato con il pollice.
Accedo su Instagram e controllo svogliatamente le varie storie aggiornate nella schermata Home. Il profilo di Serena mi compare tra le tante icone a cerchio con il bordo colorato e ci clicco sopra. Porca puttana, vorrei non averlo fatto! Lei distesa su un asciugamano con gli occhiali da sole sul naso e i capelli leggermente umidi. In un angolo c'è scritto "Voglio l'estate" seguito da una faccina con le lacrime. Deve essere uno scatto fatto l'estate scorsa. Mi cade l'occhio sui suoi seni sodi e trattenuti dal bikini bianco. La pelle abbronzata e il fisico da paura non hanno nulla da competere con le altre ragazze con cui ho avuto a che fare e ne ho avuto un assaggio fenomenale poche ore fa.
Mi sento un'idiota a non essermi accorto prima di lei. Mi sentivo così chiuso in me stesso e catturato dai miei stupidi sentimenti che negli ultimi mesi mi ero completamente scordato dello schianto assoluto che Iris ha come migliore amica. Da quando è diventata così... sensuale come una gattina? L'ho sempre trovata una bella ragazza, ma cosa le è successo ultimamente da non riuscire a levarmi dalla testa il pensiero di lei? Il suo dolce profumo, gli occhi marroni, le labbra carnose, il suo corpo delineato ma morbido e cedevole tra le mie dita...
Chiudo Instagram prima che mi venga un'erezione incontrollabile. Metto il telefono in silenzioso, mi butto sul letto e chiudo gli occhi, imponendomi di non pensare più a niente e a nessuno.
"Daniel!".
Sento una voce, ma la riconosco distorta. Per un secondo credo di averla soltanto immaginata, ma poi si ripete. Continua a gridare il mio nome, ma al momento non sono capace di intendere e di volere. Sono intontito dal sonno e vorrei solo che mi lasciasse in pace.
"Svegliati, Daniel!".
Sempre più acuta e forte, mi sta stordendo le orecchie e la testa. Qualcosa mi scuote il braccio, aumentandone l'energia man mano che ripete il mio nome come un disco inceppato. Alla fine, apro gli occhi, dicendo addio al mio beato silenzio. Una figura si staglia davanti a me, ma non riesco a metterla a fuoco. Dopo qualche secondo i contorni cominciano a prendere forma, creando un volto femminile, due occhi marroni e dei capelli castani di media lunghezza.
"Vanessa?" biascico incerto, dato che i miei occhi a stento non la riconoscono.
"No, Babbo Natale!" commenta con il suo pessimo senso dell'umorismo.
Sbatto le palpebre, assicurandomi di avere davanti Vanessa e non...
"Chi credevi che fossi?" mi riscuote lei, studiandomi con il suo sguardo enigmatico.
Scuoto il capo e cerco di riprendermi velocemente dalla sonnolenza che ancora mi controlla la mente e il corpo. Per un attimo credevo di avere davanti Serena, ma poi ho rivisto i tratti adulti e maturi di Vanessa.
"Che ci fai qui?" le chiedo, alzandomi a sedere dal letto.
Un capogiro mi assilla la testa e mi porto la mano sulla tempia pulsante. Passo le dita tra i capelli scombinati, sperando di alleviare questo fastidio al più presto. Non mi sorprende che mi venga anche mal di testa da quanto ha strepitato Vanessa.
"Abbiamo l'albero da fare. Su, alzati!" mi informa.
"L'albero?" bofonchio con voce assonata.
Mi sento sempre più stordito dalle sue parole.
"Sì, è il 13 dicembre e in questa casa manca ancora l'albero di Natale. Dobbiamo rimediare subito" spiega, tutta euforica, e io alzo gli occhi al cielo.
Ha ventitrè anni, ma si comporta ancora come una bambina. Con uno sbuffo annoiato mi lascio ricadere pesantemente sul materasso. Mi porto le mani al viso e mi stropiccio le palpebre pesanti.
"Nessuna lamentela, forza!" puntalizza, prima di allontanarsi e lasciare la mia stanza.
Allungo il braccio per afferrare il mio IPhone poco distante da me. Sono quasi le quattro del pomeriggio, non credevo di aver dormito così tanto. Clicco sull'icona di Instagram e un istinto primordiale mi incita ad andare sui direct. Ignoro i vari messaggi ricevuti e cerco con lo sguardo il nome di Serena. serenacaputo01, un pallino verde affianco al suo profilo. La tentazione di scriverle un messaggio è a dir poco irresistibile e la tastiera del cellulare non mi sta aiutando a collaborare. Le urla di Vanessa mi distraggono dal cedere completamente.
"Daniel!".
"Arrivo" sbraito, seccato, uscendo dall'app.
Mi alzo dal letto e infilo l'IPhone nella tasca dei pantaloni. Un'ora e mezza dopo l'albero di Natale è tutto addobbato di fili di luci natalizie e palline di ogni grandezza e colore. Vanessa è più contenta di me riguardo al Natale e alle solite cazzate sull'attesa e sulla sua magia. Non ho mai festeggiato il Natale con particolare entusiasmo perchè per me è solo una festività come tutte le altre, ma devo ammettere che negli ultimi tre anni è diventata più entusiasmante da trascorrere assieme grazie a...
"Daniel!" sento una voce energetica e soffice chiamarmi e il mio cuore si scoglie come neve al sole.
Un paio di iridi marroni mi osservano, in attesa della mia attenzione.
"Sì, piccola Luce?".
La bambina davanti a me mi indica con il dito l'oggetto rotondeggiante sul ripiano del tavolo da pranzo, al quale lei arriva a stento al bordo.
"La pallina..." mugugna.
Allungo la mano per afferrarla e porgergliela.
"Grazie!" esclama, esibendo un sorriso radioso e sgattaiolando via in direzione dell'abete sintetico.
Mi ricorda qualcuna che conosco molto bene e sta correndo proprio verso di lei. Raggiunge Vanessa e le allunga la pallina. Vanessa smette di parlare con mia madre e rivolge alla piccola lo stesso sorriso luminoso. Tale madre, tale figlia, no? è proprio Luce il motivo per cui ogni festività è diventata più calorosa e piena d'amore dalla sua nascita, avvenuta tre anni fa. Vanessa è rimasta incinta di Luce, quando aveva solo vent'anni. Il migliore uomo del mondo che l'ha messa incinta, non solo non è riuscito a controllarsi prima di eiaculare dentro di lei, ma l'ha pure abbandonata con una creatura che cresceva nel suo ventre. Se ci ripenso adesso, una rabbia cieca mi ribolle ancora nelle vene.
"Manca solo la stella in cima. Daniel, vieni a metterla tu" decide Vanessa, riscuotendomi dai brutti ricordi.
è sempre stata una ragazza solare ed estroversa e non si meritava quel bastardo che l'ha messa incinta. è stato solo un grande sollievo che sia sparito dalla sua vita. Non ha voluto nemmeno conoscere Luce, ma la bambina sta meglio con sua madre.
Ripongo l'IPhone sul tavolo e mi avvicino a lei, a Luce e a mia madre. Mentirei, se dicessi che non ho controllato il cellulare, mentre consegnavo alla bimba una pallina dopo l'altra. Ero sicuro che Serena mi avrebbe scritto su Instagram per parlare di ieri sera. Conosco abbastanza la mente femminile da sapere che si sarà fatta come minimo mille domande riguardo al nostro momento intimo.
Luce mi porge la stella cadente e io mi chino sulle ginocchia per prenderla sotto le ascelle e sollevarla. Le poggio un braccio dietro la schiena per sostenerla e lei avvolge le esili gambine attorno a me. Mi avvicino all'albero in modo che lei si allunghi per posizionare la stella sulla punta più alta dell'albero.
"Finito!" esplode Vanessa, sbattendo ripetutamente le mani e la piccola la imita.
Mi scappa una risatina e scuoto la testa.
"Che ne dite di fare merenda?" interviene mia madre alle nostre spalle.
Luce non è ancora scesa con i piedi sul pavimento che già strilla un 'Sì' enorme quanto l'abete dietro di lei. Segue mia madre, attaccandosi alle sue gambe. Vanessa si abbassa per infilare la spina nella presa della corrente e le luci natalizie illuminano l'abete, creando serpenti di colori e abbagli.
"Che ne pensi?" mi interpella, osservando l'opera finale.
"è lo stesso albero che facciamo sempre" le faccio notare.
"Hai ragione, ma ogni anno cambia il modo in cui lo si decora. L'intreccio delle luci, il punto scelto di ogni pallina, l'umore che assorbe l'albero mentre gli si gira attorno... Il Natale non è mai lo stesso" mi confida con un sorriso sulle labbra rosse come il grande fiocco che porta dietro la testa.
Fingo di non essere interessato, ma sono contento che abbia conservato la stessa vivicità di quando era più giovane, ancora di più adesso che è madre. Avere Luce ha messo a dura prova la sua vita, ma non per questo si è lasciata abbattere.
"Vanessa, Daniel, volete un caffè?" ci chiede mamma.
Annuiamo entrambi. "Volentieri!" esclama Vanessa.
Ci dirigiamo in cucina e mi siedo vicino a Luce che sta mangiando dei biscotti al cioccolato a forma di omino di zenzero preparati da mia madre. Noto un'arancia sul portafrutta e inizio a sbucciarla. L'odore agrumato mi entra nelle narici e per un attimo mi sembra di risentire il profumo dolce del collo di Serena. Sono passate solo poche ore da questa mattina e la sua assenza non era mai stata così potente come adesso.
La voce di Vanessa mi riporta bruscamente alla realtà. "Daniel, va tutto bene?".
Riprendo a sbucciare il frutto. "Sì, perchè?".
"Sei strano oggi" commenta lei e io sollevo le spalle in segno di indifferenza, mentre mi porto alla bocca il primo sbiccio.
"è strano da stamattina" interviene mia madre e Vanessa la osserva, catturata da quella affermazione.
"Perchè dici così?" la interroga e io mi concentro sugli spicchi di arancia tra le dita.
"Ho solo mal di testa" metto in chiaro prima che possa saltare fuori qualche altre insinuazione.
In realtà non è vero, mi è passato appena mi sono destato del tutto per fare l'albero, però, è una valida scusa per giustificare il mio strano atteggiamento. Ho l'impressione che mia madre stesse per dire a Vanessa quello che è successo tra la notte scorsa e stamattina e di certo non è un loro problema. Mia madre consegna a me e a Vanessa una tazzina di caffè fumante e nero e Vanessa prende un biscotto dal piatto. Ne morde un pezzo, gustandosi il sapore del cioccolato sul palato. Dopo si chiede perchè non riesce a restare in forma...
"Non lamentarti, se ti spunteranno i brufoli" la metto in guardia.
"Sei insopportabile, oltre che strano oggi" mi apostrofa lei, riferendosi alle parole di mia madre.
Si distrae da Luce che le allunga un biscotto e io ne approfitto per rubarne uno anche io. Non ho avuto ancora modo di assaggiarli da quando mia madre li ha sfornati e lasciati raffreddare.
"Giù le mani!" mi ordina Vanessa, tentando di schiaffeggiare la mia mano, ma inutilmente.
"Non rompere..." sono sul punto di dire, ma mi blocco, quando mi ricordo di avere Luce affianco a me.
Qualche parola alternativa di 'palle'? Abbasso gli occhi sul omino che tengo tra le dita. Osservo le linee e le forme che delimitano i bordi del biscotto, gli occhi e la bocca all'insù realizzati con la glassa bianca. Alcuni omini hanno un cuore al centro del petto, altri dei colorati M&M's come bottoni immaginari e alcuni delle semplici X.
"Non rompere i biscotti" rimedio, addentandone un morso.
Per quanto non mangi dolce, devo ammettere che mamma è stata brava a realizzarli. Sono buonissimi, per non parlare degli M&M's.
"Non litigate, siete fratello e sorella" ci ammonisce mamma.
"è lui che ha iniziato" controbatte Vanessa e io mi trattengo a stento dal lanciarle un silenzioso dito medio.
è fortunata che c'è Luce con lei, altrimenti non mi sarei risparmiato.
"Avete diciasette e ventitrè anni, ma vi comportate ancora come quando eravate piccoli. Luce è molto più matura di voi due, vero, nipotina mia?" commenta mamma e la piccolina ride in risposta.
Ogni anno che cresce diventa la copia sputata di sua madre. Anche lei indossa un fiocco rosso dietro la testa per fissare alcune ciocche dei suoi lunghi capelli castani.
"Diciotto" la correggo senza battere ciglio.
"Manca ancora al tuo compleanno" mi ricorda mamma.
Il campanello di casa trilla, interrompendoci. Chiunque sia là fuori, grazie! Non volevo affatto continuare a parlare della mia vita privata con mia sorella e mia madre. Cala il silenzio per brevi istanti, poi Vanessa aggrotta la fronte.
"Aspettiamo qualcuno?" si rivolge a mamma.
"No, nessuno" nega lei.
Porto lo sguardo sull'ingresso e un'improvvisa pressione mi schiaccia il petto. Il cuore inizia a battere più forte e l'adrenalina scorre prorompente nelle mie vene. Non so se sia per via del caffè, ma qualcosa scatta in me come le molle del mio materasso. L'istinto mi sta indicando la porta come se fosse la mia unica via di salvezza.
"Vado io" annuncio, avviandomi verso il battente.
Allungo la mano sul pomello e schiudo la porta. Un paio di iridi castane si scontrano con le mie e un accenno di sorriso si forma spontaneamente sulle mie labbra. Un lungo cappotto nero la avvolge fino al ginocchio, ma i bottoni sono aperti, lasciando intravedere ciò che indossa sotto. Pantaloni scuri a zampa, le cui maniche coprono un paio di stivaletti, fasciano perfettamente le gambe e i fianchi da capogiro e una maglia nera con lo scollo a V in pizzo mostra una pelle morbida e degna di essere riempita da baci e morsi. Dai miei baci e morsi. Mi soffermo sulle labbra da paura per poi tornare a fissare le sue iridi calde come la sensazione che provo al petto in questo momento. Serena...
"Ciao..." accenna.
"Ciao" ricambio.
China il mento con il chiaro intento di nascondere il suo disagio, mentre passano alcuni secondi. Le sue labbra sono schiuse e intuisco che vorrebbe rivelare ciò che trattiene in gola, ma non ne ha il coraggio. Un leggero venticello le sposta i lunghi capelli lisci dal petto scoperto, il mio paradiso perfetto. O il mio peggior inferno, devo ancora capirlo. Ho sempre avuto un debole per le tette, ma quelle di Serena mi fanno impazzire più di tutte quelle che abbia mai visto.
Sono sul punto di chiederle perchè si trova qui o come fa a sapere dove abito, considerando che ieri sera ho fatto parcheggiare la sua auto poco prima di arrivare qui, ma in un battito di ciglia il suo profumo dolce mi investe in pieno viso.
Le sue dita si stringono dietro la mia nuca e le sue labbra si spiaccicano con forza contro le mie. D'istinto porto le mani sulle sue costole frementi di desiderio e schiudo la bocca per ricambiare il bacio. Inclino il volto di lato e spingo la lingua all'interno della sua bocca, sentendola mugolare.
Mi prendo il suo sapore, mi approprio della sua lingua, le mordo le labbra e le rubo persino il respiro perchè in questo momento vorrei solo che questo bacio non finisse più. La faccio indietreggiare contro la parete della mia abitazione e sollevo il braccio per non lasciarla scappare.
Le sue dita si mescolano tra i miei capelli, mentre le mie stringono il suo sedere. Il suo secondo mugolio scoppia tra le nostre labbra come fuochi d'artificio. Mi stacco dalla sua bocca solo per farle prendere fiato da quanto espira profondamente.
Mordo il suo collo e scendo con rapidi baci sul suo petto, facendola inarcare contro la mia bocca. Sento le sue dita pressarmi sulle guance e torno con le labbra a un soffio dalle sue. La bacio nuovamente, non riesco a farne più a meno. Mi spingo contro di lei, la quale allarga leggermente le gambe e mi ritrovo in mezzo.
Abbandono le mani sulle sue natiche e le sposto dietro le sue cosce prima di sollevarla di peso. Le sue gambe mi avvolgono e la sostengo tra le braccia. Struscio il bacino contro il suo, almeno così sentirà quanto sono duro.
Serena mi tiene stretta a sè e, da quando ci siamo baciati, non si lascia scappare le mie labbra per nulla al mondo. Se solo fosse più istintiva, si lascerebbe scopare qui all'istante, contro il muro. Uno schiarirsi la gola si intromette tra i nostri sospiri e Serena si affretta a mettere distanza tra noi, spingendomi dal petto con le mani.
La deposito a terra e mi trattengo dal ringhiare contro la persona alle nostre spalle. E chi poteva rovinarmi il momento, se non Vanessa? Ci osserva sbigottita e confusa. Non so quale delle due emozioni sovrasta l'altra.
"Scusate... io-io non..." sento Serena farfugliare dall'imbarazzo.
Le sue guance sono rosse e tenta di coprirsi frettolosamente con il cappotto invernale. Non mi ero neanche accorto che una parte del soprabito le fosse scivolato lungo la spalla. Peccato, avevo un bel vedere davanti agli occhi.
"No, non preoccuparti" la rassicura mia sorella.
Nella sua voce colgo un pizzico di divertimento e di provocazione, ma la incenerisco con lo sguardo. Non le conviene scherzare perchè non sono affatto dell'umore, soprattutto per lo stato bisognoso in cui si trova costretto il cazzo.
Avverto le unghie di Serena graffiarmi i dorsi delle mani per togliersele dai fianchi, ma io affondo ancora di più la presa nella sua carne modellata dai jeans scuri. Col cazzo che se ne va, dopo avermi infilato la lingua in bocca e fatto eccitare nei boxer.
"Daniel" mi richiama Serena e punto le pupille nelle sue, cogliendoci una grande serietà.
"Possiamo parlare?".
Mi limito ad assentire e lascio ricadere le braccia lungo i fianchi. Mi giro indietro con l'intento di mandare via mia sorella, ma lei si è già volatilizzata sul posto. Sarà tornata da sua figlia e da nostra madre. Torno a fissare Serena e allungo la mano verso la sua.
"Vieni".
La trascino per il braccio, incitandola a seguirmi.
"Dove?" mi interroga, mentre sorpassa l'ingresso.
Lancio una rapida occhiata all'entrata della cucina da cui provengono le voci di mia sorella e mia madre. Almeno non le vedo curiosare nella nostra direzione.
"In camera mia" la informo, indicandole con il capo la scalinata.
Appena lo dico, sento il braccio di Serena opporsi e mi volto indietro.
"N-No... non mi sembra il caso..." allude.
"Non volevi parlare?" la schernisco e riconosco il rossore pizzicarle gli zigomi.
Mi trattengo dal sorriderle meschinamente perchè stava indirizzando la sua mente ad altro, quando ho nominato la sua stanza. Anche se, per un attimo ho seguito la stessa direzione dei suoi pensieri.
Le lunghe tende sono tirate di lato e la stanza è parzialmente rischiarata dalla luce esterna. Mia madre ha una mania di lasciare le tende scoperte per far entrare la luce e l'aria, fosse per me le lascerei sempre chiuse.
Sento lo sguardo di Serena bruciarmi sulla schiena e mi giro per incrociare i suoi occhi. Fortunatamente avevo rifatto il letto prima di scendere di sotto all'arrivo di Vanessa.
"Ieri... quello che è successo... in discoteca, nella mia macchina..." accenna.
Si ferma, si sistema qualche ciocca dietro l'orecchio e si lecca le labbra secche. Mi è difficile concentrarmi così, quando ho pensieri che vanno oltre l'usare la lingua come sta facendo lei.
Cerco di non muovermi troppo per via del pacco fastidioso dentro i pantaloni. Indosso una tuta da ginnastica grigia e una semplice t-shirt, perciò non è difficile abbassare lo sguardo e trovarci una grossa sorpresa.
"Sì?" la incito.
"Non fraintendermi, è stato bello... ma perchè è accaduto?".
"Deve esistere per forza un perchè?" insinuo.
"Che intendi?" mi chiede.
Sollevo le spalle con indifferenza. "è successo e basta".
"Allora perché ti comporti in modo strano con me?" non demorde lei.
"Non mi sembra" taglio corto.
"Ah, no? Certe volte sei distaccato e mi ignori come se non esistessi, altre volte, quando siamo solo noi due, mi guardi in modo intenso... come se volessi mangiarmi..." formula.
"Non è così. Forse è solo una tua impressione" metto in chiaro, scuotendo il capo.
Cala il silenzio. In realtà ieri sera per me è stata... diversa. Per la prima volta, dopo mesi che mi sono lasciata con Amelia, non mi sento di reputarla una semplice scopata. Probabilmente perchè sono andato a letto con una ragazza molto più vicina a me di quanto immaginassi. Serena è la migliore amica di Iris e Iris è l'amica a cui sono legato di tutte quelle che conosco. Ma la loro amicizia speciale non cambia nulla tra me e Serena: non voglio e non posso lasciarmi guidare dai miei sentimenti perchè sono proprio quest'ultimi che mi hanno fatto cadere tanto in basso con Amelia.
"Quindi?" mi apostrofa.
Serena non mi ha mai espresso esplicitamente il suo interesse nei miei confronti, anche se mi sembra chiaro che dopo ieri sera qualcosa ci lega. Evito di avvicinarmi a lei perchè, se lo facessi, sarebbe la fine per entrambi. Lascio andare un sospiro e calcolo le parole giuste da dire.
"Abbiamo passato una bella serata e condiviso un momento piacevole".
"Mi stai dicendo che ieri sera non ha significato niente per te?" ipotizza, incrociando le braccia al petto e facendo gonfiare i seni visibili dalla scollatura a V.
Tento di non lasciarmi distrarre dal richiamo del suo corpo e distolgo lo sguardo altrove.
"Cosa vorresti che ti dicessi, Serena? Che non sei stata una delle tante gattine che alzano il culo in attesa di un cazzo che entri loro dentro?" sfogo.
Serena piega le labbra in un'espressione dritta. Immagino che questa non fosse certo la risposta che si aspettava da me. Rimango muto per qualche secondo, poi chino la testa e la scuoto prima di tornare a incrociare il suo sguardo.
"Senti... non volevo essere brusco con te. Sto solo cercando di dirti che...".
"Che sono solo stata una gattina a cui hai affondato il cazzo. è tutto chiaro e non ho dubbi a riguardo" mi interrompe con lingua tagliente.
La preferisco quando mi bacia in modo dolce, calmo e caldo. No, ma che sto pensando?! Non devo distrarmi!
"Mi sono lasciato quest'estate, sono passati sette mesi. Non mi sento pronto per una relazione" le confesso.
Mi sono fatto una promessa e intendo mantenerla: niente più relazioni serie. Cerco solo il sesso nelle ragazze e non voglio far soffrire Serena perchè sento che non si merita il mio rifiuto.
Sono contento di averla nella mia vita e mi piace la sua amicizia, ma io voglio solo questo fine da lei. Serena desidera da me qualcosa di più serio e intimo che io non posso darle. Forse non potrò più concedere a nessun'altra.
"Possiamo continuare a essere amici" propongo.
Lei sbatte le ciglia per richiamare le lacrime che rendono lucidi i suoi occhi e si limita ad annuire. Le sue iridi sono così trasparenti da potermici specchiare.
"Non riesco a vederti come un semplice amico" la sento sussurrare prima di voltarmi le spalle per andarsene.
D'istinto la mia mano corre sul suo braccio. "Ehi" la richiamo e lei si ferma, ma non si volta.
Forse crede che non l'abbia sentita e, per il bene di entrambi, fingerò che sia così. Neanche io riesco più a vederla nello stesso modo: non riesco a non voler sfiorare la sua pelle, a non voler più sentire le sue labbra sopra le mie, a non voler cancellare la tristezza sul suo viso e dentro quegli occhi caldi e a non voler più il suo corpo vicino. Mi manca lo strano calore che ho provato ieri sera con lei e non era solo perché eravamo uniti fisicamente.
Tuttavia, non posso cedere: devo combattere contro il desiderio di scopamerla e la ripicca di non voler più nessuna nella mia vita. Ho perso fiducia nel genere femminile per colpa di Amelia e Serena non ha idea di come ho passato gli ultimi mesi. Io non perdono, mai!
"Va bene. Amici" conclude.
Annuisco e ci scrutiamo in viso per diversi secondi. Solo adesso mi accorgo che è leggermente truccata: le ciglia lunghe, le labbra lucide e gonfie e le guance rosee.
"Forse è meglio che vada. È tardi e sei in compagnia" constata.
'In compagnia' presumo intenda, quando ha visto Vanessa. Mi limito ad annuire, anche se una parte di me vorrebbe specificare che Vanessa è una delle poche donne che merita di affiancarmi. La accompagno fino alla porta d'ingresso.
"Ci vediamo" mi saluta.
"Ciao".
Mi sorride timidamente e si avvia. Non nego di fissarle il culo, mentre si allontana e richiudo il battente prima di cambiare idea sul nostro rapporto. Con la consapevolezza che verrò assalito dalle domande impiccioni di mia sorella, ritorno in cucina. Lei e mia madre smettono di conservare e si voltano a osservarmi incuriosite. Incrocio i loro occhi predatori.
"Che c'è?" domando loro.
"Chi era quella ragazza?" prende parola mia sorella.
Come volevasi dimostrare... Distolgo lo sguardo e mi accorgo che manca Luce. Eppure non sono stato tanto tempo da solo con Serena, o forse sì?
Ignoro la domanda. "Dov'è Luce?".
"È andata a cercare Aneres. Chi è la ragazza di poco fa?".
Aneres... persino la mia gattina tricolore mi lega all'identità che Vanessa vuole conoscere a tutti i costi. Ogni volta che la vedo girovagare per casa, mi ritorna in mente quel giorno di due mesi fa che mi è stata regalata. Ero quasi certo che fosse femmina per via del suo pelo tricolore bianco, nero e arancione e quello stesso pomeriggio a casa di Serena avevo già deciso il nome. "Aneres? Ma che nome è?! Cambialo!" aveva commentato mia sorella, ma io non me ne sono curato. Era stata abbandonata da un mondo di merda e si meritava un nome unico come la persona che mi sta rubando la mente da tempo.
"Fottiti" sbotto, risedendomi a tavola.
Il caffè rimasto sul fondo della tazzina è ormai freddo e storco le labbra in segno di disapprovazione.
"Daniel!" mi sgrida mamma.
Non dovrebbe sorprendersi ancora sul mio pessimo linguaggio perché sono sempre così.
"Forse dovresti dirlo a te stesso. Quella ragazza ti ha fottuto per prima" dichiara, indicando con gli occhi le mie parti intime.
Si sta trattenendo dal ridere, quando io sono solo nervoso per via dell'eccitazione che scorre ancora nel mio corpo. Non mi vergogno di come sono messo, ma non posso farci nulla. Quei suoi occhi mi stanno fottendo il cervello troppo facilmente.
"Cos'è questo profumo dolce?" domanda Vanessa, arricciando il naso.
Si alza dalla sedia e aggira il tavolo da pranzo per avvicinarsi a me. Aggrotto le sopracciglia e, prima che possa capire le sue intenzioni, allunga il collo, dilatando le narici.
"Sai di agrumi e di arancia" constata, ritraendosi.
Il profumo di Serena...
"Ce lo aveva addosso anche questa mattina, quando è rientrato a casa" interviene mia madre.
"Che significa?" vuole curiosare mia sorella.
"La ragazza di poco fa deve essere la stessa con cui tuo fratello ha trascorso la notte fuori" dichiara mamma e Vanessa spalanca la bocca in una O che potrebbe entrarle le mosche dentro.
"Significa che non sono affari tuoi" specifico in tono duro.
Le urla di Luce sovrasta la mia intenzione di rivolgere a mia sorella il secondo dito medio da quando è arrivata. "Ho trovato Aneres!" esclama, saltellando.
Tra le mani stringe la gattina. Ha solo tre mesi, ma a me sembra cresciuta di un anno.
"Dov'era?" chiedo a mia nipote con l'intento di distarmi dall'inquisizione di Vanessa.
"Sotto il letto della tua camera" articola, mentre si avvicina a me.
Sposto leggermente la sedia per permetterle di depositare Aneres sulle mie gambe. Passo una mano sotto la pancia della micetta per farle i grattini, mentre Luce le accarezza la testolina.
"Ancora non ho capito perché l'hai chiamata Aneres" confabula mia sorella, osservandoci coccolare la più piccola di casa.
"Come ti è venuto in mente questo nome così particolare?" mi chiede mamma.
Chino il capo sulla gattina che mi sta facendo la pasta sul tessuto dei pantaloni. Non rivelerò mai il segreto dietro il suo nome. È una particolarità troppo speciale e intima per me.
"Solo un'intuizione folle" concludo.
Le iridi verdi di Aneres si fondono con le mie, ma mescolato al verde riconosco il giallo e per un secondo in quell'ambrato rivedo le stesse sfumature calde delle iridi della sua padrona originaria.
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