Capitolo 12
Serena
La prima cosa che faccio ogni mattina, quando mi sveglio, è controllare l'orario. 7:37. Borbotto qualcosa di incomprensibile, probabilmente sul fatto che ho aperto gli occhi troppo presto per essere domenica mattina. Sento uno strano peso che grava sui miei capelli sparpagliati sul cuscino.
Nala non dorme sopra la mia testa, preferisce stare affianco a me, muso contro viso a guardarci negli occhi, mentre mi fa i grattini sul petto. Inoltre il peso che grava sulla mia chioma è molto più leggiadro di quello di una gatta adulta come Nala.
Come un fulmine a ciel sereno, ricordo che ho dormito con la porta chiusa tutta la notte per evitare che il gattino che avevo trovato il giorno prima, abbandonato in un vaso in giardino, girovagasse per case a mia insaputa. Con uno scatto mi volto, scorgendo una palla pelosa dormire tranquilla sul mio cuscino, ma soprattutto sui miei lunghi capelli. Questa sì che non me l'aspettavo! Credevo volesse dormire sulla cuccia.
Allungo una mano e lo sfioro delicatamente con le punta delle dita. Non si muove, come se non sentisse il mio flebile tocco. Un terribile presentimento mi assale la mente. Se fosse morto? Provo a sfiorarlo con più enfasi e lui solleva la testa, soffiando e miagolando. Deve essersi persino dimenticato che durante la notte si è avvicinato a me per dormire sui miei capelli. Un sospiro di sollievo mi scappa dalle labbra. Che spavento!
"No, no, scusa! Non volevo spaventarti" lo rassicuro.
Tento di rimediare, allungando la mano, ma stavolta la blocco a pochi centimetri da lui per lasciare che mi annusi. Voglio che si assicuri che non gli farò del male. Con dolcezza provo a sfiorare il capo con le dita e il gattino socchiude leggermente le palpebre. Passo le dita lungo tutto il suo piccolo corpo, dalla schiena fino alla corta coda. Quando sposto le mani sotto il mento, uno dei punti deboli di un gatto, abbassa completamente le palpebre e si lascia andare a qualche rantolo di fusa. Di riflesso le unghie escono e si infilano nel tessuto morbido della federa del cuscino. Almeno adesso non usa più gli artigli per minacciarmi e graffiarmi.
La mattinata prosegue tranquillamente e il micetto ha già fatto amicizia con Diana. All'inizio era rimasto immobile, quando ha visto quell'animale gigantesco venirgli vicino. Diana si è distesa a pancia in giù, ha allungato il muso nero verso di lui, rimanendo di qualche centimetro di distanza, e ha atteso pazientemente, poggiando il mento sulle zampe allungate. Era il suo modo per fargli capire che non voleva fargli del male.
Ora gli sta sempre vicino per proteggerlo da Nala, la quale, al contrario di lei, non ha accettato la presenza del nuovo piccolo di casa. Tipico di tutti i gatti adulti che, a loro volta, quando erano cuccioli, importunavano gli altri gatti anziani. Almeno adesso sanno come si sente ad avere un improvviso ospite che cerca le loro attenzioni. Mentre con Diana e con me si è mostrato subito indisposto, con Nala non ha esitato ad avvicinarsi, probabilmente perché riconosceva in lei una sorta di seconda mamma.
Alle 10:40 ricevo un messaggio su Instagram. Forse qualcuno ha accettato la mia proposta. Non ho ancora chiamato il gattile, in totale attesa di qualche aggiornamento.
Daniel: È ancora valido il tuo annuncio sul gattino?
Aggrotto le sopracciglia, stranita dal suo messaggio. Non mi aveva già detto ieri che non conosceva nessuno?
Serena: Sì, perché?
Daniel: Potrei avere qualcuno.
Sgrano gli occhi, quando lo leggo. Che bella notizia, proprio quello che mi serviva! Anche se ormai mi sono legata a quel diavoletto nero e bianco, mi dispiacerebbe doverlo consegnare al gattile. Non che mi disprezzi esistenza dei rifugi per animali, ma preferisco trovare qualcuno a cui affidarlo con la consapevolezza che in un gattile, invece, potrebbe restare per mesi o anni prima di poter essere adottato. A parte ciò, però, i rifugi per animali sono un tetto sicuro e amorevole per i poveri trovatelli.
Serena: Davvero?! Potresti mandarmi un suo contatto così gli scrivo.
Daniel: Non serve: sono io.
Non credo di aver capito. È lui il contatto? Se voleva il gattino, perché non me l'ha detto fin da subito? Forse non era sicuro di volerlo tenere.
Serena: Vorresti tu il gattino?
Daniel: Se non hai ancora trovato nessuno, sì.
Serena: Ok... quando pensavi di venirlo a prendere?
Almeno adesso ha una scusa più che plausibile per presentarsi a casa mia senza inventarsi di voler salutare Iris o farle una sorpresa.
Daniel: Posso passare oggi pomeriggio?
Rifletto per qualche secondo sul programma della giornata. Non ho nessun particolare impegno, devo solo sistemare gli appunti di storia e filosofia.
Serena: Certo, per che ora?
Daniel: Verso le 16.
...
Sono le 15:51. Fra pochissimo Daniel dovrebbe essere qui.
Mentre sistemavo gli appunti, il micetto è riuscito a salire sopra la mia scrivania, scoprendo così il modo in cui ha fatto a raggiungere il letto per dormire sui miei capelli stamattina. Si aiuta con i manichi dei cassetti dei due comodini che affiancano il letto, sfruttandoli come fossero dei sostegni per l'arrampicata. E così ha fatto anche per la scrivania.
Trovava curioso e bizzarro il modo in cui la penna si muoveva al ritmo delle parole che scrivevo sul quaderno. Persino adesso sta cercando di acciuffarla a zampate per prenderla in bocca e rosicchiarla con i suoi dentini piccoli, ma taglienti. Si può dire che già mi assomiglia, dato che ho l'abitudine di mordicchiare i tappi delle penne, mentre sono concentrata sui compiti.
Il campanello suona e il diavoletto fa un piccolo balzo per la paura, quando sente Diana abbaiare dal piano inferiore. Mi appresto a lasciare la camera con lui tra le braccia. È proprio scalmanato, mentre agita le zampette perché vuole graffiarmi e mordermi le dita. E io che pensavo che, ora che avevo la sua fiducia, non avrebbe avuto motivo di farmi male.
"Mamma, papà, è arrivato Daniel. Vado ad aprirgli" annuncio ai miei in salotto.
"Va bene" risponde mia madre.
Stranamente non hanno commentato nulla su Daniel, considerando la loro onnipresente curiosità in fatto di ragazzi. Meglio così! Entrambi sanno che Daniel è il migliore amico di Iris e che è fidanzato, quindi presumo che questi pochi dettagli abbiano frenato la loro voglia di fare domande inappropriate. L'unica cosa che ho premurato loro di non dire è che ci siamo baciati in vacanza a Sirmione, commettendo anche un atto di tradimento nei confronti della ragazza di Daniel, ma non posso farmi scappare questo segreto, soprattutto con mia madre, sapendo quanto non approverebbe.
Esco in giardino con Diana attaccata alle gambe perché sa che ho in mano il suo nuovo amichetto. Mi avvicino al cancello e sorrido a Daniel. Noto che in mano stringe il manico di un trasportino per animali.
"Ciao!".
"Ciao" ricambia lui.
Quasi eludo i suoi occhi verdi, concentrandomi ad aprire il cancelletto e a farlo passare. È più difficile con un gatto in una mano, ma alla fine ce l'ha faccio. Lui avanza di qualche passo e io chiudo il cancello, mentre Diana lo annusa come è solita fare, quando qualcuno entra nel suo territorio. Daniel si lascia esaminare e si china per sfiorarle il capo.
"È lui il nuovo arrivato?" parla per primo, abbassando lo sguardo sul gattino tra le mie braccia.
"Esattamente! È già una peste" affermo, accarezzandolo e lui trattiene la mia mano tra le sue zampe per mordere le dita come se fosse un giocattolo.
Colgo Daniel osservarci in silenzio e mi ritrovo ad arrossire di disagio. Mentirei se dicessi che non sono agitata ogni volta che sono con lui. Anzi, sarei più tranquilla cinque minuti prima di una verifica o di un'interrogazione.
"È un maschio?" mi chiede.
"In realtà, non lo so. Di solito si scopre il sesso di un gattino verso i due mesi, ma lui ha ancora gli occhi azzurri e ciò significa che più o meno ha solo un mese di età" espongo le mie conoscenze sul mondo dei gatti e Daniel lo coglie subito. "Vedo che te ne intendi di gatti".
Mi incanto ad osservare le sue iridi verdi. Quegli occhi... siete la mia rovina, lo sapete, vero? Distolgo lo sguardo e lo chino sul cucciolo.
"Ho esperienza con i gatti. Li ho sempre avuti in tutta la mia vita" affermo.
Lui annuisce e dopo qualche secondo mi rivolge un'altra domanda. "Perché non puoi tenerlo tu?".
Se fosse per me, lo terrei eccome, ma è per mia madre che devo rinunciare all'idea di adottarlo. Dall'altra parte, non ha tutti i torti sul motivo della sua opposizione.
"Non posso, ho fin troppi gatti" accenno.
"Troppi? Non hai solo una cagna?" commenta con la confusione che traspare nelle iridi.
Scuoto la testa. Per sfortuna di mia madre non ho solo Diana.
"Affatto! Ho una cagna, sette gatti e due tartarughe" gli confido, quasi con una punta di orgoglio nella voce, e lui spalanca le palpebre dalla sorpresa.
"Non si direbbe" constata.
È vero, a primo impatto sembrerebbe che abbia solo Nala e Diana, ma la verità è che gli altri sei gatti trascorrono le loro vite da nomadi randagi alla continua ricerca di libertà e di piaceri mondani, quindi non è facile trovarli tutti a casa. La loro improvvisa scomparsa mi fa spesso preoccupare perché ho sempre il terrore che siano stati investiti da qualche macchina, che siano stati rapiti o che qualcuno abbia intenzione di far loro male. Sono soprattutto i maschi che hanno il vizio di sparire e nel mio piccolo branco sono quattro, mentre i restanti tre sono femmine.
"Sono tutti abituati a girovagare nei dintorni della casa, senza mai allontanarsi troppo" gli faccio notare.
È strano parlare con lui così spensieratamente e se, non ci fossero degli sporchi trascorsi tra noi, sarebbe piacevole conversare come due semplici amici. Ma il nostro bacio a Sirmione mi fa rammendare che non potremmo mai esserlo completamente, non da parte mia e non finché mi sento così trasportata da lui.
Il micetto mi riscuote dai miei pensieri, mordicchiandomi l'unghia. I suoi occhi azzurri sarebbero in grado di possedere il cuore di chiunque, ma solo io sto imparando a mie spese quanto queste pupille pure e innocenti nascondino una vivacità aggressiva. È così diverso dal gattino impaurito e tremolante che ho trovato fino a poche ore prima. Chissà se sarà maschio o femmina?
"Hai già in mente un nome?" domando a Daniel, tornando a guardare i suoi occhi.
Il verde è il simbolo della speranza e, ogni volta che li osservo, alimenta in me il desiderio di creare un qualcosa tra noi. Probabilmente sono un'ingenua innamorata solo a pensarlo.
"Non ancora. Quando saprò il suo sesso, deciderò anche il nome" decreta.
Ho già un vago sospetto a tal proposito. Il pelo nero che ricopre quasi completamente la testa e la zona superiore, lasciando bianco solo il muso, la parte terminale delle quattro zampe e la parte inferiore, cela in realtà delle piccole chiazze aranciate. Sono quasi invisibili, infatti, l'ho notato soltanto stamattina, quando ha iniziato ad avere i primi approcci giocherelloni con me.
Quasi sicuramente è una femmina. I gatti dai tre colori sono la maggior parte delle volte femmine, anche se esiste una rarissima percentuale di essere maschi. Per adesso è troppo presto. Quando, fra qualche settimana, il manto inizierà a cambiare, il sesso comincerà a evolversi e le iridi prenderanno il colore definitivo, si saprà se avrò ragione o meno. Un miagolio di richiamo ci costringe a chinare lo sguardo.
"Cosa c'è, piccolo?" sussurro al cucciolo, il quale ci sta scrutando con occhi curiosi.
Parlo con gli animali come se loro avessero la capacità di rispondermi nella mia stessa lingua. Mi sento quasi patetica di fronte a Daniel. Il gattino emette un altro miagolio. Deve avere fame perché non mangia da qualche ora.
"Hai fame? Vuoi la pappa?" continuo a sussurrargli e al sentire nominare la parola 'pappa' lui inizia a miagolare più forte.
È già un viziatello!
"Ti dispiace se gli do da mangiare prima che andiate?" propongo a Daniel.
"Nessun problema" afferma.
"Vieni, andiamo a sederci qua fuori" lo invito con un cenno del capo.
Ci dirigiamo sul retro della casa dove c'è il laghetto e il tavolo in legno con le sue sedie.
"Accomodati!" esclamo e lui si siede su una delle tre sedie presenti, poggiando il trasportino ai suoi piedi.
"Tieni, prendilo in braccio per qualche secondo. Devo rientrare in casa per prendergli da mangiare" spiego, allungando il cucciolo verso di lui.
Diana tenta di sollevarsi sulle zampe posteriori per afferrare il micetto con la sua bocca gigantesca e poterci giocare, ma prontamente riesco ad evitarlo. Le nostre dita si sfiorano, quando lui prende l'animale e avverto uno strano formicolio pervadermi i nervi sensibili del corpo, a partire dalla mano. Spero solo che sia una mia impressione e che lui non l'abbia sentita. Deve essere il freddo di questi giorni. Abbasso ancora di più le maniche della felpa, anche se mi copre già fino alle dita.
"Vuoi qualcosa da mangiare o da bere, mentre sono in cucina?" gli chiedo.
"No, niente. Sono a posto così" rifiuta lui.
Recupero una confezione di crocchette per gatti perché non voglio abituarlo a mangiare solo cibo fresco confezionato. Riempio la ciotola di acqua tiepida e verso un pugno di crocchette da lasciare in acqua per qualche minuto. Diana accorre in cucina, avendo riconosciuto il rumore di cibo, e sta osservando la mia attività con interesse e curiosità, posizionata alla mia destra. Dall'altra parte sento un miagolio. Non può essere il cucciolo! Volto lo sguardo e alla mia sinistra c'è Nala, deve aver sentito anche lei il rumore. So già cosa vuole: scatoletta.
"Tu, no, Nala, lo sai che mamma non vuole che ti dia le scatolette" le ricordo e lei emette un altro miagolio di protesta.
Come un'invocazione alla Madonna, la voce di mia madre mi coglie totalmente di sprovvista, facendomi scappare un sussulto di paura.
"È lui il migliore amico di Iris, vero? Daniel?".
Mi giro indietro, trovandola comodamente seduta con le braccia appoggiate sul ripiano in marmo del tavolo da cucina. Come ho fatto a non sentire i suoi passi? Il mio cuore batte velocemente nel petto, non so se per lo spavento o per la domanda che mi ha appena rivolto.
Cerco di ritrovare un briciolo di coraggio nel parlare di Daniel con mia madre, considerando che non parlo di lui con nessuno per quel segreto che solo noi due sappiamo.
"Sì, è lui" mi limito ad affermare, deglutendo la tensione che tenevo intrappolata in gola.
"È un bel ragazzo..." mi mette alla prova lei.
"Sì, e quindi?" cerco di restare indifferente.
Un bel ragazzo è dire poco. Per me lui è unico, come la stella che brilla più di tutte le altre presenti nel cielo scuro. Non intendo solo fisicamente, ma anche caratterialmente.
Sono sicura che nel verde dei suoi occhi si nasconde un prato infinito con tutti i suoi fiori che lui matura in silenzio. Peccato che quei fiori non li lascia cogliere da me, impedendomi di conoscere la sua essenza e di apprezzarli.
"Non è che, forse, hai qualche interesse per lui o lui per te?" continua a sondare il terreno mia madre.
'Non riesco a starti lontana...'
'Voglio solo toglierti questo abito indecente...'
'Chiuderci in uno di questi bagni e baciarti come non ti ho mai baciata...'
'Infilarti la lingua in bocca per sentire il tuo sapore...'
'Metterti sopra il ripiano del lavandino e aprirti le gambe...'
'Levarti queste dannate calze per riscoprire la morbidezza della sua pelle...'
Se le sue parole significano ciò che mia madre intende per interesse, allora, sì, Daniel ha un interesse per me. Ma solo io so che è di natura prettamente fisica.
Lui non riesce a starmi lontana perché gli piace il brivido della chimica dei nostri corpi.
Lui vuole togliermi gli abiti perché prova il desiderio di spogliarmi.
Lui vuole baciarmi perché vuole sentire la sua lingua avvolta alla mia.
Lui vuole aprirmi le gambe perché lo eccita sentire le mie cosce strette intorno al suo bacino.
Lui vuole accarezzare la mia pelle perché prova sollievo nel segnarla con le dita virili.
Per me il tutto è incrementato dalla forza contrastante dei miei sentimenti.
Io non riesco a stargli lontano perché la sua vicinanza mi da sollievo.
Io voglio togliergli gli abiti perché desidero conoscere la sua anima.
Io voglio baciarlo perché voglio sentire il suo cuore pulsare in gola, anziché nel petto.
Io voglio permettergli di entrare perché lui è l'unico che fa esplodere il mio corpo di mille sensazioni.
Io voglio toccarlo perché possa avvicinarmi al suo cuore e scoprirne la forza che lo fa battere.
Trattengo tutto ciò dentro e fornisco una risposta del tutto diversa.
"Non c'è nulla del genere, l'amicizia che condividiamo con Iris è l'unico rapporto che ci lega" taglio corto.
Con la coda dell'occhio la scorgo inarcare le sopracciglia in segno di sfida. 'Certo, ci credo' ho letto nelle sue iridi azzurre, ma non aggiunge altro per non insistere. Sa che, se dovessi avere bisogno della sua confidenza, mi precipiterei da lei.
"Non dare scatolette ai gatti o a Diana" mi raccomanda, sollevandosi dalla sedia e dirigendosi in salotto per continuare a guardare la tv con mio padre.
Svuoto la ciotola dall'acqua, cercando di trattenere i croccantini inzuppati lungo il bordo. Tornare da Daniel, ora, mi sembra un'idea sconsiderata, ma non voglio farmi influenzare dalle parole evasive di mia madre perché mi bastano già le mie solite paranoie.
Con un sorriso di circostanza e il viso, rigorosamente basso per non dover incrociare i suoi occhi verdi, mi appresto a tornare in giardino. Poggio la ciotola sul tavolo, sperando che mia madre non scopra che farò mangiare il gattino sulla tovaglia bianca, e quest'ultimo diventa un concerto esasperato di miagolii alla vista del cibo. Daniel lo lascia andare con una risatina divertita, dato che già cercava di dimenarsi per accorrere neanche fosse il suo ultimo pasto.
"E ha mangiato solo qualche ora fa" commento, mentre lo osserviamo sporcarsi i sottili baffetti, ogni volta che infila il muso nella ciotola.
Qualche ora più tardi Daniel decide che è il momento di andare. Mi dispiace separarmi dal cucciolo, ma allo stesso tempo sono molto felice di poterlo affidare alla persona che, più di tutti, posso fidarmi. Adesso, oltre a Iris, questo gattino sarà un altro ago della bilancia che ci terrà uniti.
"Mi mancherà il diavoletto" confesso a Daniel, mentre lo seguo alle sue spalle verso il cancello.
A un passo dall'uscita si volta lentamente.
"Potrai sempre venirlo a trovare ogni volta che vorrai. Ho notato il modo in cui te ne sei preso cura" constata e gli sorrido, apprezzando la sua generosità.
"Posso salutarlo un'ultima volta?" gli chiedo il permesso.
"Certo" approva lui, allungando le mani per affidarmi il micetto.
Lo prendo in mano, ignorando il fatto che le nostre dita si sono toccate per la seconda volta, e lo avvolgo tra le mie braccia come si farebbe con un neonato.
So che non è la posizione ideale per tenere un gatto, ma sono sempre stata abituata così.
"Anche se ti ho tenuto con me per poche ore, sono stata fortunata ad averti incontrato. Non meritavi di essere stato abbandonato dal mondo, ma per fortuna ti ho trovato un nuovo mondo dove sarai felice. Stammi bene, ci rivedremo presto" confesso a bassa voce, accarezzandogli la testolina.
Lui socchiude le palpebre e allunga le zampette sul mio petto. Inizia a fare le fusa e avverto una leggera pressione delle sue unghie proprio sui seni. Per fortuna la felpa che indosso è abbastanza pesante da proteggermi dalle sue dimostrazioni di affetto.
Daniel si allunga di un passo verso di me e sento la sua figura ingombrarmi addosso. Anche se è poco più alto di me di qualche centimetro, in questo momento mi sembra di essere diventata una nana e lui un gigante. Un gigante bellissimo dal quale dovrei scappare il più lontano possibile.
I suoi scintillanti occhi verdi mi intrappolano totalmente nel suo mondo tant'è che in un primo momento non mi accorgo delle sue mani incerte sulle mie. Credevo volesse riprendersi il cucciolo, ma, quando le sue dita cominciano a percorrere i polsi e a oltrepassare le maniche, i brividi non mi risparmiano, nonostante la pesantezza del maglione.
"Daniel, che stai facendo?" tento di fermarlo, anche se la mia mente vorrebbe solo gridargli di continuare.
"Shh..." ci pensa lui a zittirmi.
Si fa sempre più vicino e posa delicatamente la fronte contro la mia. Inizio a tremare, potrei seriamente perdere la presa sul gattino che stringo tra le mani. Sento le sue dita avanzare sulla mia pelle, trascinandosi dietro le maniche della felpa. Ai gomiti si blocca e lo vedo inclinare il viso per chinarsi sul mio orecchio.
"Se sarà una femmina, ho già in mente un nome" il suo sussurro tra i capelli sciolti.
Non capisco perché abbia voluto bisbigliarmelo all'orecchio come se fosse un segreto. Le sue dita fanno ritroso sulla pelle delle braccia fino a fermarsi sui piccoli graffietti delle mani causati dal cucciolo. Li sfiora con i pollici attentamente.
"Grazie, gattina..." conclude, serrando la presa sull'animaletto.
Istintivamente lo lascio andare e Daniel si china sultrasportino abbandonato ai nostri piedi per metterlo al sicuro. Il micetto inizia a miagolare, probabilmente starà pensando che verrà abbandonatonuovamente.
Senza concedermi un ultimo sguardo, Daniel mi dà le spalle e inizia ad allontanarsi. Io sono ancora bloccata sulla soglia, mentre lo osservo camminare lungo il marciapiede. Un'improvvisa ondata di vento mi colpisce il viso e,come se avessi ricevuto una sorta di schiaffo sulla guancia, mi ridesto e chiudo il cancello.
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