Flyer
Si strinse nella giacca di pelle consunta rabbrividendo appena, mentre continui refoli di quell'aria ghiacciata s'infilavano come coltelli nel bavero sudicio. Seduto sull'asfalto, in un angolo di marciapiede sovrastato dalle fronde dorate di un acero affacciate oltre i cancelli del parco, guardava con fare distante e sofferente l'enorme grattacielo che si stagliava immenso ed imponente dall'altra parte della strada.
Sarebbe rimasto lì fino a tarda notte, nonostante la coltre di nuvole scure minacciasse un imminente temporale tuonando di continuo e avanzando come un'armata sulla città, e poi sarebbe andato a dormire in uno di quegli squallidi dormitori in cui si rifugiavano tutte le povere anime buie che non avevano niente di meglio che fosse disposto ad ospitarle, aspettando che sorgesse una nuova alba sulla sua vita spenta.
Viveva così ogni singolo giorno, senza soldi, senza alcun tipo di occupazione, completamente solo, nel continuo ripensare ad un passato che l'avrebbe tormentato per sempre.
Viveva così da dieci, lunghi, interminabili anni, e ancora non era riuscito ad abituarsi all'idea che le cose, per lui, sarebbero rimaste così per sempre.
Socchiuse gli occhi e la sua mente lo riportò indietro, al giorno dell'incidente. Ci pensava di continuo, era un'ossessione bruciante che si affacciava indesiderata dai meandri più oscuri della sua mente quando meno se l'aspettava, e per quanto si sforzasse, per quanto cercasse di estirparla dal suo ricordo, si ripresentava sempre, e lo intrappolava in una spirale di rimorsi che lo divoravano da dentro. Non smetteva di domandarsi che cosa sarebbe successo se, quel diciassette novembre di dieci anni prima, non avesse lasciato che l'ira s'impadronisse di lui, privandolo della lucidità che, forse, sarebbe riuscita a fermarlo.
Era nato in una famiglia agiata e aveva vissuto i primi anni della sua infanzia e gli ultimi dell'università senza che gli mancasse nulla, e immaginava che avrebbe intrapreso la carriera di suo padre una volta terminati gli studi se non fosse stato per l'incidente.
Era notte, quando era successo. Non litigava spesso con lei, sua moglie, solo a volte. C'erano alti e bassi nella loro relazione, ma dopo due anni, diceva Rose, che aveva segretamente combinato il loro incontro a un corso di ballo serale, dopo due anni è normale.
Lui era ubriaco. Di nuovo.
E lei aveva frapposto tra loro un ultimatum, lo sapeva che lui li odiava, gli ultimatum, avrebbe dovuto stare più attenta.
Doveva decidersi a smettere di bere o se ne sarebbe andata, e a lui importava di lei, davvero, ma il tocco gelido della bottiglia contro le sue dita gli faceva spesso dimenticare il valore di tutto il resto.
Lui proprio non poteva accettare, non poteva. Era un passatempo che lo intratteneva da diversi anni ormai, certo, ma l'idea di aver sviluppato una dipendenza era lontana da lui quanto il pensiero che, se avesse continuato, lei se ne sarebbe andata davvero, e tutto avrebbe perso improvvisamente di significato.
- Posso smettere quando voglio, lo sai. - aveva sbraitato agitando le braccia con movimenti larghi ed insicuri. Le diceva sempre così, e ogni volta la loro conversazione scemava in un singulto soffocato, come se non fosse mai avvenuta.
Quella sera, però, quella sera di dieci anni prima, sua moglie aveva insistito.
Lui non l'aveva fatto apposta, davvero, non voleva farle del male, non le avrebbe mai fatto del male.
Ma quello schiaffo era stato troppo sonoro, la spinta troppo forte, lei era caduta all'indietro, e lui non l'aveva visto, non se n'era accorto, ma c'era il tavolo di cristallo che le aveva regalato qualche mese prima alle sue spalle.
Era esploso in un'infinità di frammenti luminosi, che erano scintillati come prismi incandescenti alla luce tangenziale della lampada appoggiata lì vicino.
Un grido, un'ambulanza.
Erano entrati in casa come delle furie, l'avevano raccolta da terra, incosciente, un rivolo di sangue che le scivolava sui capelli biondissimi sporcandole la nuca. L'aveva seguita mentre la portavano via, poi un paio di braccia si erano strette intorno alle sue per trattenerlo, era lui il colpevole, non era stato difficile da capire.
- Non berrò più, più, lo prometto. - Una promessa che le aveva fatto tante volte, lanciata come un grido di dolore mentre guardava il suo viso per l'ultima volta prima che le porte dell'ambulanza separassero i loro sguardi.
Buio.
Dopo un paio di settimane, in completa salute e sotto lo sguardo incredulo dei medici che avevano più volte stentato a credere che si sarebbe ripresa, dopo la diagnosi di un trauma cranico, era stata rimessa dall'ospedale. Un vero miracolo, avevano detto.
Nei giorni che si erano susseguiti, però, si era accorto della devastante realtà che, a differenza di lei che, più consapevole, più forte e forse un po' più cinica di prima, aveva ripreso ad essere la persona spensierata che era sempre stata, di quello che era stato lui prima dell'incidente non era rimasta che un'ombra sconfitta e desolata. Non voleva più avere nulla a che fare con lo sfarzo della sua vecchia vita, aveva perso la sua arroganza ed era svanito come cancellato da un colpo di vento quel suo desiderio di godere di ogni istante, di non lasciarsi sfuggire nulla che lo facesse sentire vivo.
Non sarebbe mai riuscito a fuggire da quello straziante rimorso, lo seppe dal primo istante in cui si ritrovò solo con il fantasma di sé stesso.
Non avrebbe più potuto continuare la sua vita con la donna che amava, l'aveva ferita una volta e se fosse rimasto avrebbe vissuto accompagnato dal tormento che potesse accadere di nuovo.
E così se n'era andato, aveva portato via tutte le sue cose.
Desiderava solo che Rose potesse riprendere ad essere felice anche senza di lui, perché sarebbe riuscito solo a farle altro male. E lei non lo meritava. Quella che era stata sua moglie meritava tutto il bene del mondo.
Così, da dieci anni, passava ogni secondo, ogni minuto, ogni giorno della sua ormai misera ed insignificante esistenza pensando a come sarebbe stata la sua vita se tutto questo non fosse successo, seduto davanti al grattacielo che era stata la loro prima casa.
Nelle ore più buie della notte, quando la stanchezza era troppa per lasciarlo dormire, si permetteva di perdersi in elucubrazioni tanto tortuose quanto inutili, e si chiedeva se proprio non ci fosse un modo per cambiarlo, il passato. Ma non c'era, non c'era mai, nemmeno quando lo cercava per ore e avrebbe dovuto abbandonarsi all'idea che non l'avrebbe mai trovato.
* * *
- Signore? - lo riscosse una voce. L'uomo aprì gli occhi.
Di fronte a lui si ergeva la figura massiccia di una donna, il viso circondato da una cascata di capelli ricci, il corpo formoso avvolto da un'uniforme scura. Una poliziotta. Guai in vista, si disse, e si strofinò il viso con il palmo ruvido.
- Mi dispiace. - asserì la donna aggiustandosi la cintura. - Lei non può stare qui, se ne deve andare.
Le rivolse un'occhiata arrabbiata, in principio, poi incredula, mentre lo raggiungeva piano l'eco lontana di ingranaggi che riprendono piano a funzionare. Fu come se qualcosa si fosse sbloccato, dentro di lui, in quel cuore che aveva a lungo creduto vuoto e irrimediabilmente inanimato.
Non seppe che cosa di lei gli fece questo strano effetto, se la mandorla perfetta degli occhi così simili a quelli di Rose o la catenina leggera che luccicava appena sotto il taglio severo della divisa. O forse fu semplicemente la sua voce, quel tono materno e severo insieme, che gli si accostava con autorevolezza, ma senza pregiudizi.
Si alzò e, senza una parola, si allontanò da lì, il viso ombroso rivolto al cemento ancora umido di pioggia.
Fu dopo una decina di minuti di interrotta camminata alla ricerca di un nuovo riparo che, mentre le gocce di pioggia cominciavano a cadere su di lui, lo vide, un rettangolo colorato che campeggiava al centro del marciapiede di fronte ai suoi occhi.
Non riuscì mai a spiegarsi cosa fosse stato a spingerlo a raccogliere da terra quel volantino e a pulirlo dalla pioggia che aveva cominciato a insudiciarlo, ma lo lesse tutto, come se fosse già cosciente che sarebbe stato per lui più importante di qualsiasi altra cosa gli fosse mai capitata tra le mani fino a quel momento.
Perché sentì il cuore allargarsi a dismisura, tanto da fargli quasi male, nel petto, sentì gli occhi brillargli di sale e di una sensazione troppo a lungo dimenticata quando lesse che al numero 47 di Madison Ave tenevano una conferenza basata sulla testimonianza di un uomo che si era pentito di tutte le volte che sua moglie era stata vittima delle sue mani troppo spesso preda della rabbia, e che poi era cambiato, aveva deciso di ricominciare.
Dicono che non sia mai troppo tardi. Mai troppo tardi per fare la cosa giusta. Dicono che non si possa cambiare il passato, ma che ci sia sempre la possibilità di costruire un futuro che non cammini sulle orme degli errori commessi. Dicono che non sia mai troppo tardi per ricominciare una vita, per quanto spezzata possa sembrare, e dicono che a volte sono le persone più piccole, quelle che hanno tanto sofferto e che dalla vita hanno appreso tutto quello che potevano apprendere, che fanno le cose più grandi.
E così aveva raccolto quel volantino, quel volantino che gli era scivolato di fianco con le ali sottili di una nuova speranza e che non avrebbe mai notato se non fosse stato per quella donna.
Se non poteva cambiare quello che era stato, poteva fare in modo di evitare che altri compissero il suo stesso sbaglio. Sarebbe andato a quella conferenza, avrebbe ascoltato cos'avevano da dire, come prima cosa, e poi si sarebbe reinventato, avrebbe cercato di ottenere le qualifiche necessarie, sarebbe diventato un avvocato, uno psicologo, un sociologo se fosse stato necessario, e la sua vita, forse, sarebbe cambiata, nell'assottigliarsi del rimorso che veniva lenito dal tentativo di creare del bene sul male compiuto.
Non poteva cambiare il passato, Joseph Stein, ma stava solo a lui decidere cosa fare del suo futuro.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top