Prologo
Non esistevano, in natura, farfalle grigie.
In tutte le Terre Emerse, ve n'erano di allegre come l'astro che splende a mezzogiorno; fiere come ritti steli d'erba luccicanti di rugiada; tranquille come un lago se non tira vento; vivaci come l'ametista estratta da rocce vulcaniche; passionali come il fuoco che divampa in un falò; armoniose come l'aurora aranciata che tinge il cielo d'oriente quando si sveglia il giorno.
Il grigio era il colore degli Insensati.
Umani di scarto, apatici e irresponsabili, mendicavano o rubavano incapaci di fare altro e, se anche avessero voluto, nessuno li avrebbe presi a servizio. Vivevano ai margini della società, lungo le sponde del Fiume Lento, dove erano nati e dove sarebbero morti.
Non c'erano donne-farfalla tra gli Insensati: solo chi aveva il sangue rosa poteva volare senza ali, perché più leggero.
Rare e per ciò preziose, esse erano molto ambite tra gli uomini di Posizione Elevata, "belle da esibire, sciocche da sottomettere".
Elian era una donna-farfalla.
La sua pelle diafana riluceva al brillare del sole. I lisci capelli serici erano cascate d'oro che le scivolavano fluenti sulle spalle. Gli occhi puliti come acquamarina non conoscevano menzogne, né il corallo delle sue labbra ne aveva mai pronunciate. Libera come l'aria, adattabile a mutevoli situazioni e pronta nell'apprendere, studiò Storia della Genetica e divenne Ricercatrice presso l'Istituto di Scienze Umane. Compiuti ventiquattro anni, ottenne il permesso di sposare il suo compagno di lavoro Ramor, con cui amoreggiava sin dall'adolescenza.
La cerimonia si sarebbe svolta nel Parco Grande in coincidenza con la Festa di Primavera, tra aiuole di narcisi e cespugli ricolmi di bacche dolci e succose. Lunghi tavoli rettangolari erano stati disposti sui sentieri, e nei forni di ogni casa cuocevano polpette di patate, involtini di verza, frittelle di carciofi, pizzacce di ricotta e cannella, torte al cioccolato e biscotti di ogni forma e qualità.
La cittadinanza di Sohave era in subbuglio per il raro evento di una Coesione d'Amore e tutti gli abitanti adulti, dal primo all'ultimo, provavano abiti e scarpe e cappelli, trucchi e acconciature e discorsi di buon augurio.
Elian aveva già indosso il suo vaporoso abito di organza bianca con le maniche a sbuffo e si guardava, radiosa, allo specchio. La sua amica di lavoro Arissa le stava acconciando i capelli.
Dalla camera accanto arrivò un tonfo, poi un altro.
E poi fu affanno. Disperazione. Catene.
I genitori di Elian morirono avvelenati, due ore prima del matrimonio. Il colpevole non fu trovato né cercato, e i corpi, bruciati nell'immediato, non poterono più farne il nome.
Smontati i tavoli e buttati i cibi nelle pattumiere, Sohave riprese la sua routine e dimenticò in fretta.
Elian restò chiusa nelle segrete del Palazzo di Sicurezza per due giorni e due notti. L'unico parente in vita, lo zio Rorror, ne acquisì il Diritto di Proprietà, che subito promise all'Alto Generale dell'ente Salute e Benessere in cambio di trecento barili d'orzo.
Il mattino stabilito per la compravendita, Ramor e i suoi fedeli organizzarono un gran baccano al Mercato delle Donne Nuove e Usate, rapirono Elian e la portarono nel Castello Blindato in cima alla Collina Inespugnabile, alla quale si accedeva attraverso una mulattiera erta e desertica. Ovunque lo sguardo si voltasse, non si vedevano che vallate disabitate, solcate da torrenti e delimitate dalle Montagne Aguzze, oltre alla immensa distesa azzurra verso sud.
Elian e Ramor vissero felici per sette anni, lavorando per un Gruppo di Ricerca Abusivo e nascondendo al mondo il frutto della loro unione, attorniati dalla bellezza della natura.
Ma questa non è una favola e un giorno il bel sogno svanì.
Ramor lo capì dall'odore del vento e dal silenzio: il temuto stava per accadere.
Come ogni mattina, era salito sulla torre più alta per godersi il panorama. Infilò la testa tra due merli e i suoi acuti occhi neri scrutarono l'orizzonte sereno. Il mare era calmo, ma il suo spirito si agitò: nel cielo terso non c'erano nuvole né uccelli e non udiva altro che il soffio del suo respiro e il battito accelerato del suo cuore.
Tutto quanto riusciva a vedere della terraferma era suo, ereditato insieme a servitù e guardie. Ogni centimetro di recinzione era sorvegliato, eppure avvertì la morsa della paura comprimergli lo stomaco. Si appoggiò al muro per riprendersi. Gli succedeva spesso di essere colto dall'ansia. Non aveva potuto sposare Elian; ella era ancora Proprietà Privata dello zio Rorror; per quanto si sentisse al sicuro, non era abbastanza, senza un regolare contratto a dichiarare che nessuno avrebbe potuto portarla via. Inspirò profondamente e abbassò per un attimo le palpebre.
Un ronzio sconosciuto, da lontano, gli colpì gli orecchi.
In un batter d'occhio, cinque elicotteri militari smossero l'aria sopra la sua testa e le mitragliatrici presero a sparare.
Ramor fu rapido nel reagire. Scese di corsa i gradini fino al piano sottostante e in pochi passi raggiunse la stanza dove sua figlia giocava tranquilla insieme alla tata, seduta a terra sopra un tappeto di fibre naturali. Indossava un abito giallo a gonna larga che terminava con una balza bianca. Come suo solito, era a piedi nudi. Stava facendo le treccine a una bambola vestita come lei. Era bella, sua mamma in miniatura: stessa pelle, stessi capelli, ma gli occhi contenevano un mare più profondo, che si sollevò per accoglierlo.
«Principessa.»
La voce gli morì in gola. Non c'era tempo per la contemplazione; dopo, ce ne sarebbe stato anche troppo per la nostalgia.
«Papà. Giochiamo insieme?»
«Sì, tesoro mio. Oggi facciamo un gioco nuovo.»
Dai corridoi, giunse il tramestio di passi pesanti. Qualcuno gridava, qualcun altro, dalle feritoie lungo i muri che davano all'esterno, rispondeva agli spari. La tata lo interrogò muta, Ramor non rispose. Con movimenti misurati per non spaventarla, prese in braccio la bambina e la portò sulla torre più vicina.
La confusione svegliò Elian da un sonno profondo. Sollevò le lenzuola e balzò giù dal letto. Si avvicinò alla finestra e vide un uomo calarsi da un elicottero sul ballatoio che circondava l'edificio. Le sembrò di vivere un incubo. Erano pronti ad essere attaccati da terra e da acqua, ma non dal cielo. Senza perdere tempo a coprirsi, in top e culotte di seta bianca, scalza, con i capelli scarmigliati, si affrettò verso la stanza dei giochi.
La tata era ancora seduta a terra e stringeva a sé la bambola. Le lacrime solcavano le sue gote arrossate.
«Dov'è?» fu quanto riuscì a pronunciare.
«Ramor, l'ha presa lui.»
Elian emise un sospiro di sollievo, che ebbe breve durata.
«Alzati, svelta, dobbiamo scendere nei sotterrai, li troveremo lì.»
La tata scosse la testa.
«No.»
«Cosa dici? Muoviti, dobbiamo sbrigarci.»
Elian cercò di tirare la tata per un braccio, ma quella restava inerte.
«L'ho sentito andare verso la torre.»
«La torre? Perché? Sei sicura?»
«Sì.»
Elian tremò; le mancò il fiato.
"Non può essere. Non può... Offrire la nostra bambina al mio posto!"
Ne avevano parlato tante volte.
«Sei la mia vita», le diceva. «Rinuncerei a qualsiasi cosa pur di non perderti.»
«Non alla libertà. Non farlo. Prometti.»
Lui prometteva e rispondeva:
«Darei tutte le mie terre e i gioielli e le armi. Non mi servirebbero a nulla senza te.»
Non avevano mai incluso nei discorsi la loro figlioletta.
Non l'aveva mai considerata come merce di scambio, il suo valore era inestimabile; aveva sempre creduto che lo fosse anche per lui.
"Ma è un uomo. Ha insito in sé il Principio del Possesso. È sua, può farne ciò che vuole, anche darla via, per pochi spiccioli, o per ottenere la Proprietà della donna che ama, o che dice di amare."
Il disgusto e la delusione offuscarono la sua vista, ma resero lucida la mente.
"Devo fermarlo."
Ciò significava esporsi al pericolo.
" Che ci uccidano entrambe, semmai."
Prese una boccata d'ossigeno e si mosse, più veloce che poteva, verso la torre.
Uscì allo scoperto nell'istante stesso in cui Ramor sollevava sua figlia sopra la testa.
Restò congelata a guardarlo. Le dava le spalle, larghe e possenti. Slanciato e muscoloso, inguainato in maglia e pantaloni neri aderenti, e stivali alti fino al ginocchio, era imponente. L'unico uomo che l'avesse mai fatta sentire protetta, dopo suo padre, ora la spaventava. Nelle sue grandi mani sembrava tenesse un moscerino.
Lo sentì parlare, ma non comprese le sue parole. Gocce di sudore freddo le imperlarono la fronte.
Ramor non aveva esitazioni: stava per compiere l'unico gesto che nei suoi ragionamenti avesse un senso; non li aveva condivisi con Elian; lo incoraggiava la certezza che sarebbe stata d'accordo.
«Principessa. Cosa devi ricordare sempre?»
«Io so volare.»
«Addio, tesoro mio.»
Da est verso ovest un enorme uragano alzò la sabbia della costa, poi deviò verso di loro. Elian lo vide avvicinarsi minaccioso. Aveva qualcosa di strano. Le ricordò l'arcobaleno che aveva visto un pomeriggio dopo la tempesta, tanti anni addietro, quando i suoi genitori erano ancora vivi. Loro non avrebbero permesso a nessuno di farle del male. Contrari alle leggi sulla cessione delle donne- farfalla, avevano speso buona parte del loro patrimonio per farla andare a scuola, pagando multe salate e attirando l'astio delle autorità, e dello zio Rorror.
"Com'ero bello, quando ero giovane e ancora mi illudevo che fosse possibile cambiare la mentalità delle genti di potere!"
Elian si perse nei ricordi, sognante.
Se ne destò appena in tempo per vedere Ramor lanciare la piccola nel vuoto.
Dietro di lei, due uomini armati fino ai denti la trattennero per le braccia. Scalciò e spinse il busto in avanti, nell'atto di raggiungere Ramor. Glielo impedirono, avvolgendola con una spessa corda di cotone naturale. Le sue urla riempirono la vallata.
L'uragano scompigliò i capelli lunghi di Ramor; aveva mille ali di cento colori.
Avvolse la Principessa e la trasportò dove un'ansa raccoglieva un terreno fertile non segnato sulle mappe ufficiali.
Adagiata tra le margherite, la bimba si guardò intorno con la boccuccia spalancata. Credendo ancora che fosse un gioco, volò con i coleotteri e le api regine, saltò con le cavallette, volteggiò con le libellule. Poi vide, ferma sopra un sasso, una farfalla grigia, e si rattristò.
Il giorno trascorse e calò la sera. Sei paia di occhi emersero da una boscaglia. Sei paia di braccia scarne si allungarono su di lei, addormentata sulla riva del Fiume Lento.
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