Parole in lettere

Si presume che una ragazza di diciannove anni nel pieno possesso delle proprie capacità fisiche e intellettive sia in grado di aprire una busta. Se non a mani nude, con l'aiuto di un banale coltello da cucina.

Eppure io ho diciannove anni e una busta in una mano, e non ne sono capace.

L'ho presa senza accorgermene assieme alla pubblicità, sono salita in casa e mentre facevo passare, buttandoli man mano nel cestino sotto al lavabo, le copie delle copie delle copie di quegli orrendi volantini che intasano la cassetta della posta ogni benedetto giorno, me la sono ritrovata fra le mani.

Ho controllato che non ce ne fossero altre e ho privato della mia vista il resto di quello spreco di carta, ripensando alle volte in cui avevo sorpreso i tizi del volantinaggio mentre cercavano di stipare nel buco della cassetta sopra il mio nome la quinta copia di quegli annunci pubblicitari che la riempivano già al punto da farmi credere che avrebbe cambiato colore diventando verde per la nausea, e che l'avrei fatto anch'io, se non me ne fossi andata, e che l'avrebbe fatto pure il tizio del volantinaggio, nel caso avessi deciso di non andarmene, visto il desiderio impellente di ficcarglieli tutti in bocca per vedere se avesse voglia, poi, di assaggiarne la sesta copia; infine, ho chiuso il cestino con la gamba. Non ho letto chi me l'avesse mandata finché non ho aperto il cassetto e l'ho girata dalla parte scritta.

È da quel momento, probabilmente, che il cassetto si sta chiedendo cosa l'abbia aperto a fare se la mia mano è ancora sospesa a mezz'aria, sopra i coltelli.

È da quel momento, sicuramente, che io mi sto chiedendo che effetto possano avere dieci stupide parole scritte impeccabilmente accanto al mio nome.

I miei stupidi ed inutili vaneggiamenti mentali riguardo le mie disavventure con i postini e la cassetta della posta mi appaiono improvvisamente ancora più stupidi ed inutili e in men che non si dica il mio cervello se ne libera come io stessa ho fatto qualche minuto fa, quando ero ancora in grado di muovere un muscolo, con quegli stupidi ed inutili volantini a cui si riferivano.

Sbatto le palpebre un paio di volte e mi decido a scostare lo sguardo dalla busta. Chiudo il cassetto.

Poi allungo il braccio libero, senza fare un passo (nel mio appartamento ogni cosa è letteralmente a portata di mano), e schiaccio l'interruttore della luce. Il buio mi avvolge.

Qualunque cosa sia scritta sulla lettera che senza dubbio contiene, non voglio leggerla sotto un'abbagliante lampadina. Mi avvicino alla finestra.

Strappo la carta. Dentro c'è, come prevedevo, un foglio piegato in due. Lo apro.

La lettera non è lunga. La leggo lì, in piedi.


27 Agosto

Cara Sara

Non è stato facile trovarti. Ho cercato in qualsiasi modo di farmi dire dai tuoi genitori dove ti trovassi, ma ogni mio tentativo si è rivelato vano. Sono sempre stati molto discreti, e non li biasimo per la loro resistenza: al contrario, li ammiro, perché hanno rispettato la tua volontà. Non so quanti genitori l'avrebbero fatto.

In ogni caso, dopo la sua ultima visita, tua madre ha ceduto. Non voglio dirti il perché: questo spetta a lei.

Voglio solo dirti, Sara, che Luca sta bene. Non posso mentirti: non vuole nemmeno sentir nominare il tuo nome. Eppure sa, così come sappiamo bene anche noi, che quella sera la colpa non è stata solo tua. Non ti odia. Credo che odi più se stesso, adesso, ma non spetta a me spiegare nemmeno questo. L'odio e la rabbia sono inspiegabili, in fondo, e cancellano ogni certezza. Spetta a me, come madre, dirti che l'odio e la rabbia stanno cancellando anche Luca, e temo che ad un certo punto il processo diventerà irreversibile e niente sarà più come prima.

Forse tu penserai che nulla è già come prima. Ti sbagli: ogni giorno è un nuovo passato, e il prima che intendo io è il sorriso di Luca che riesce ancora a spuntargli quando scherza con i suoi amici, è la ripresa che, pian piano, sta tentando di farsi strada in lui.

Sento che tutte le parole che potrei aggiungere sarebbero inutili e sprecate. Non voglio scriverti che capisco come ti senti o che tutto andrà bene, perché non so nessuna delle due cose. So, però, che se non tornerai più, Luca se ne sentirà per sempre responsabile. Non voglio essere ipocrita: si è parlato molto di te, nel quartiere, e in molti hanno criticato la scelta che hai fatto, me compresa, certe volte. Ma il tempo è stato più saggio: da madre, adesso, ho capito che in pochi avrebbero avuto la coscienza di fare la tua scelta e che, se ora torni, non sarà invano. So di chiederti tanto, ma, per favore, rifletti prima di decidere.

Spero che tu stia bene, con affetto

Giorgia Caroli


Ripiego il foglio.

Alzo lo sguardo e lo punto fuori, oltre il lampione, oltre le case, non so precisamente dove.

Forse verso dove credo ci sia la mia casa e la casa di Luca.

Mi sembra quasi di vederle entrambe. Come quando ho osservato il volto di Gabriele quella sera e ho distinto i suoi lineamenti senza vederli realmente.

Vorrei essere arrabbiata con i miei, con mia mamma, per aver rivelato dove mi trovassi.

Non ci riesco. Giorgia ha ragione: non molti genitori l'avrebbero tenuto nascosto per così tanto tempo. Così tanto che soltanto ora mi rendo conto di come sia riuscito a cancellare in silenzio, a mia insaputa, senza che potessi, o che volessi, rendermene conto, la speranza che le prime settimane trascorse qui aveva animato i miei pensieri. La speranza che la madre di Luca potesse perdonarmi.

Sono stata stupida, l'ho desiderato troppo presto, e quando il presto si è trasformato in mesi ho pensato non che fosse giusto che ci volesse più tempo, bensì che fosse giusto rassegnarmi al fatto che non avrebbe mai più potuto perdonarmi, che fosse giusto perché non me lo meritavo.

Ma il tempo è stato più saggio...

Quando riabbasso lo sguardo, vedo le mie dita che stringono la lettera ormai stropicciata.

Forse lo penso ancora.

La appoggio sul tavolo. Mi sento improvvisamente stanca, ma, per la prima volta, non solo in senso figurato.

È come se abbia rotto, o quasi, l'equilibrio. Quello che mi impediva di dormire per due notti di seguito. Quello che ho costruito girando a tondo nel mio buio, imparando a valutarne i confini, quello retto da teorie fittizie grazie alle quali ho tentato di tenermi in equilibrio sul filo che è diventata, o che è sempre stata, la traiettoria lungo la quale la mia anima errante ora è ferma, in bilico.

Aspettando di cadere o di volare.

È un peccato che non sappia fare nessuna delle due cose.

Mi sdraio sul letto e mi metto ad ascoltare i rumori a cui non diamo mai importanza.

Il rumore del mio lavandino che gocciola. I tacchi di qualcuno che cammina lungo il marciapiede. Il fievole, ma ininterrotto ronzio del frigorifero.

Vorrei dire a Giorgia che l'unica cosa certa, l'unica cosa che non potrei mai, nemmeno volendo, evitare, è riflettere sulle sue parole. Vorrei dirle che è stata proprio la musica a tenermi lucida in tutti questi mesi, ma che ora anche quella luce si sta spegnendo, e che mi dispiace da morire che quella di Luca si sia spenta così presto.

Ma non sono abbastanza coraggiosa. E le parole, per oggi, mi hanno già stravolta abbastanza.

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