Di martedì

Oggi decido di stare zitta. Ieri il mio capo mi ha fatto una lavata di capo (perdonate il gioco di parole) da far invidia a un parrucchiere e c'è mancato poco che mi strappasse il cartellino a morsi, tanto ringhiava: fortunatamente ho avuto il buon senso di non guardarlo mai negli occhi. Se l'avessi fatto, a quest'ora sarei bell'e licenziata.

Andarmene mezz'ora prima della fine del mio turno, la sera prima, non è stata proprio l'idea del secolo. Alla fine l'ho spuntata io, ma per un pelo e guadagnandomi una massiccia dose di vergogna, umiliazione e rabbia, tre sentimenti che, presi singolarmente, sarebbero bastati ad aggiungere due o tre macigni alla montagna che già sovrasta la mia voglia di vivere: figuratevi l'effetto che mi hanno provocato rovesciandomisi addosso tutti assieme. Avrò dormito sì e no due ore, stanotte.

Risultato: oggi sono a pezzi e mi rifiuto di parlare.

Mi prendo il disturbo solo per dire il prezzo, rigorosamente in euro e centesimi.

All'inizio della giornata ho avuto un po' di problemi con i clienti, o meglio, i clienti hanno avuto un po' di problemi con me, perché da oggi parte la promozione A te la scelta!, secondo la quale ogni cliente può scegliere di applicare cinque volte per ogni spesa uno sconto del trenta per cento a più o meno la metà dei prodotti in vendita.

Per farla breve, questa promozione non era ben chiara a tutti e ogni tanto arrivava il genio di turno che metteva sul nastro sei o più prodotti cui era possibile applicare lo sconto.

Ora, da stronza quale sono, avrei potuto scontare quelli che mi parevano ed era morta lì, problemi loro, arrivederci e addio; tuttavia, per due semplici motivi, l'uno molto meno nobile dell'altro, non ho potuto farlo: il primo era il fatto degli anziani, del gap e, soprattutto, dei sensi di colpa; il secondo era lo sguardo del mio capo che mi fulminava ogni volta che passava davanti alla mia cassa. Per un po', dunque, ho formulato lo stesso periodo semplice: "A quali lo sconto?" (che in realtà non è nemmeno un periodo), ma poi mi sono stancata di essere così poco fedele a me stessa e ho cominciato a chiedere soltanto: "A quali?".

Da quel momento in poi la maggior parte della gente ha cominciato a deviare la sua traiettoria verso la cassa della mia collega, Maria.

Evidentemente sventolargli davanti al naso la pubblicità della promozione nel tentativo di farmi comprendere è stato un gesto che hanno male interpretato.

Ora sono seduta a ricontare per la ventesima volta i cinquecentosessantatré euro e gli ottantotto centesimi che la mia cassa si è mangiata nelle ultime due ore. Ad un certo punto Susanna, un'altra mia collega, mi si avvicina: "Ehi, tutto okay?".

Annuisco. Lei mi sorride come se le avessi risposto che il mio più grande sogno fosse quello di vivere su una nuvola di panna montata trasportata nel cielo da un paio di unicorni volanti e dice: "Sono arrivati i sottaceti. Serve qualcuno che li sistemi".

Il capo passa e mi fulmina. Sorrido controvoglia, mi alzo immediatamente dalla sedia e mi defilo il più in fretta possibile, raggiungendo in un baleno la corsia dei biscotti.

Faccio lo slalom tra i clienti senza quasi accorgermene, lasciandoli di stucco, e sbuco nel corridoio della carne.

Ebbene sì, ho imparato a prevedere le traiettorie dei carrelli. Non è una cosa tanto incredibile: la gente nei supermercati è estremamente prevedibile.

Quando una donna comincia a spingere il suo carrello mentre lancia un'occhiata alla lista è altamente probabile che si fermi di colpo o che torni indietro, guardando solo ed esclusivamente gli scaffali: è quindi sconsigliabile starle alle spalle. Se un uomo senza lista guarda da una parte, è provato che il secondo dopo si girerà dall'altra e devierà il carrello nella stessa direzione: in questo caso bisogna andare esattamente in direzione opposta a quella verso cui punta il suo sguardo. Quando invece è una donna senza lista a guardare da una parte, è certo che il secondo dopo si volterà dall'altra parte lasciandosi il carrello dietro di sé e occupando quindi l'intera corsia: in questo caso si deve sperare di arrivare prima dell'invasione, se ci si trova nei miei panni e non si può far uso della parola. Altrimenti, un mi scusi può bastare.

Gli uomini con la lista, invece, sono solitamente imprevedibili: potrebbero essere degli sbadati che quando guardano da una parte si girano dall'altra, oppure potrebbero guardare da una parte e andare proprio verso quella parte; già il fatto che abbiano una lista tende a includerli nella seconda categoria, ma non è mai detto con loro. Se c'è una cosa che ho imparato facendo lo slalom di corsa tra le corsie e ascoltando le telefonate segrete di donne in lacrime rifugiatesi nel corridoio dei prodotti per la casa (dove non ci passa mai un'anima, perché esattamente di fronte al supermercato c'è uno spaccio che vende dagli elettrodomestici alle padelle ai putti di porcellana a prezzi stracciati) è che gli uomini sono imprevedibili. Lo hanno imparato le mie orecchie, lo hanno imparato le mie costole e credo che, alla fine, l'abbia imparato anche il mio capo (che è una donna, anche se non ci arrivereste mai se chiudeste gli occhi e provaste a intrattenere una conversazione con lei al bar), a furia di sentirsi spiegare come ci finivo lunga distesa per terra dopo uno scontro poco piacevole con il carrello di uno di loro.

Entro in magazzino e impilo sul carrello a mano diversi scatoloni, poi, prima di uscire, saluto Giorgio, il magazziniere, con un cenno della mano.

Giorgio è una delle poche persone, tra tutte quelle che lavorano qui, che mi stanno simpatiche. È un ragazzo sui trent'anni che assomiglia in tutto e per tutto a Shaggy, il miglior amico di Scooby-Doo, tranne che per il tono di voce, che è basso e rauco. Ogni tanto mi dà una mano con gli scatoloni e fa due chiacchiere con me. La cosa che mi piace di più in lui è che, pur non avendomi mai chiesto perché fossi finita a lavorare qui, non mi ha mai parlato come se fossi una povera e triste sfigata, né l'ho mai visto lanciarmi occhiate indagatrici nel tentativo di capire se avessi dei trascorsi criminali da nascondere. Inoltre, un giorno in cui avevamo la stessa pausa pranzo si è messo a raccontarmi degli aneddoti divertenti riguardanti la sua figlia più piccola e io, dal modo in cui guardava le nuvole fuori dalla finestra, ho capito subito che lo stava facendo non per riempire il silenzio, ma per riempire il mio silenzio. Per tenermi compagnia strappandomi un sorriso.

Insomma, ha proprio l'aria di uno che ha capito che spettegolare è un grande spreco di tempo e questo mi piace.

Le porte scorrevoli del magazzino si aprono e comincio a spingere il carrello tra le varie corsie, a partire da quella dei prodotti per la casa. Mi fermo al termine della corsia, davanti a uno sgabuzzino pieno di secchi, spazzoloni e disinfettanti, di cui custodisco gelosamente la chiave. Entro e prendo uno scaletto, poi riparto.

Non appena raggiungo i miei amati (sono altamente sarcastica) sottaceti, però, la voce di Susanna interrompe la canzone di sottofondo dicendo che sono attesa alla cassa quattro. Mollo tutto davanti agli scaffali e m'incammino, pensando a che genere di problema possa essere capitato stavolta.

Lo vedo non appena imbocco il corridoio che divide a metà le corsie.

È un ragazzo (ebbene sì, è un ragazzo: perdonate l'intuibilità della notizia, ma ho pur sempre diciannove anni e lo degnerei degli stessi sguardi che rivolgo alle migliaia di clienti che vedo ogni settimana se non fosse un ragazzo); è alto, ha i capelli neri e indossa una felpa blu, dei jeans e un paio di Converse.

Viene ogni martedì ed è sempre uguale: probabilmente nel suo armadio c'è un appendino con scritto SPESA, riservato esclusivamente a quel paio di jeans e a quella felpa larga degli Yankees.

È sempre, sempre uguale.

Forse è per questo che mi è rimasto impresso.

Gli passo accanto a testa bassa, trattenendo involontariamente il respiro. Dopo averlo distanziato di un paio di metri rialzo lo sguardo: il mio sesto senso mi dice che si è girato a guardarmi, ma decido di ignorarlo, cosa che, peraltro, sto facendo già da due settimane e quattro giorni, cioè da quando mi ha assicurato che non sarebbe piovuto e, decidendo assurdamente di assecondarlo, sono tornata a casa navigando nei miei stessi vestiti.

Mentre raggiungo la cassa, però, non posso impedirmi di immaginare che forse aspetterà di rivedermi prima di andarsene.

La cosa per cui Susanna mi ha chiamato è una stupidaggine: nessuna delle commesse riesce a sbloccare la sua cassa, che sembra impazzita. Io me la cavo con i computer e riattivo il programma in un paio di minuti. Mi ringraziano come se avessi appena fatto piovere centoni, ma non le ascolto più di tanto: mi affretto, invece, senza dare troppo nell'occhio, verso i miei sottaceti.

Non lo vedo nel corridoio e quando arrivo nella mia corsia, la trovo vuota. So cosa mi aspettavo e, proprio per questo, comincio a darmi della stupida mentre faccio slittare i barattoli di pomodorini sott'olio verso il fondo dello scaffale, come se stessi giocando a curling.

Non fatelo mai: è una cosa abbastanza semplice con le tavolette di cioccolata, ma non con dei barattoli di vetro pieni d'olio. Infatti, sbaglio disgraziatamente la traiettoria dell'ultimo vasetto: il malcapitato precipita verso il pavimento, sotto lo sguardo allibito della sottoscritta che lo osserva cadere come se la scena si stesse svolgendo a rallentatore, fino a sfracellarsi al suolo, trasformandosi in un lago di unto che si allarga in men che non si dica.

Sono allo stesso tempo mortificata e annoiata, ma non posso permettermi un'altra sgridata dal mio capo quindi scendo dalla scala e prendo dallo sgabuzzino tutto il necessario per pulire.

Mentre sono accucciata a raccogliere ciò che è rimasto di quel prodotto di una marca sconosciuta, prego affinché nessuno mi veda, perché improvvisamente mi sembra di essere la persona più deprimente sulla faccia della Terra. Il mio sesto senso, nonostante le mie preghiere, mi dice che c'è qualcuno che mi sta osservando, ma, anche questa volta, decido di ignorarlo. Finisco in fretta, ma non sommariamente, di pulire. Poi, come se niente fosse, ripongo la scala tra l'armadio dei disinfettanti e le scope, nello sgabuzzino, e torno alla mia cassa prendendo la strada più corta: corsia del pane e diagonale per i banchi di frutta e verdura.

Lo vedo insacchettare la sua spesa quando sono ancora al banco delle albicocche.

Un signore mi chiede un'informazione, piazzandosi davanti a me: rimuovo in un attimo ciò che mi ha appena domandato e cerco di scansarlo senza troppe cerimonie per liberarmi la visuale.

È troppo tardi: la folla del centro commerciale lo inghiotte. Faccio in tempo a scorgere la sua felpa blu. Il momento successivo, senza capire veramente ciò che sto facendo, mi appoggio a una confezione di pesche in precario equilibrio e le faccio cadere tutte addosso al signore di prima.

Lui mi manda a quel paese: non posso negare che, per una volta, mi piacerebbe davvero andarci, a quel paese, perché di sicuro non ci sarebbe lui e nemmeno la sua stazza, e magari nemmeno stupidi computer che si impallano o stupidi barattoli di pomodorini sott'olio che scivolano malissimo.



N.d.A.

La teoria dei carrelli è una mia classificazione generalizzante del tutto fantasiosa: non credo che funzioni. Però, a farci caso, si scopre che la gente è davvero un po' prevedibile, in un supermercato.

A parte questo, so che per ora la trama è un po' inesistente, ma il mio intento è proprio quello di "sbirciare" nella vita della protagonista a piccole dosi, quasi per caso, in momenti qualunque di giorni qualunque, per poi scontrarmi con la sua storia passata e presente e infine per lasciarla andare, dopo piccoli incontri o piccoli scontri che avrò il piacere e il dovere di ricordare.

Una trama, comunque, ci sarà senz'altro, sebbene, forse, non risulterà proprio brillante...ma a voi il giudizio, come dico sempre (e come ripeterò senz'altro un imbarazzante sacco di volte – scusatemi in anticipo).

Non credo ci sia altro da aggiungere: il ragazzo avrà un ruolo di maggiore importanza nei prossimi capitoli.

Grazie a tutti ;)

A presto!

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