Chapter 53
"I'm out of touch, I'm out of love
I'll pick you up when you're getting down
And out of all these things I've done I th-..."
Mi sveglio di soprassalto quando l'auto passa su per una buca incontrata sull'asfalto, facendo scivolare la testa di mio fratello dalla mia spalla sulle mie gambe. Strofino leggermente gli occhi e mi stiracchio, rischiando di rimanere aggrovigliata con i miei auricolari che riproducono una delle mie canzoni preferite di Ed Sheeran.
-Oh tesoro, sei sveglia. Guarda, siamo arrivati.
Mi richiama mia madre, girandosi verso di me dal sedile del passeggero di lato a mio padre, intento ad imboccare una stradina.
Solo al sentire le sue parole mi sporgo verso il finestrino alla mia destra, osservando immense distese pianeggianti, che occupano gran parte della contea del Cheshire. Intravedo da lontano una tenuta molto elegante ma che allo stesso tempo mi dà l'impressione di essere un palazzo antico, circondato anch'esso da una grande distesa di verde.
Scuoto leggermente mio fratello dalle spalle, ottenendo da parte sua degli strani versi.
-Carota, apri gli occhi.
Parlo al ragazzo, mentre mio padre parcheggia in un'area riservata ai clienti dell'hotel.
Louis non intende muoversi, così quando i miei genitori cominciano a scendere, faccio lo stesso anch'io, solo che con più fretta, facendo sbattere il viso di mio fratello sul sedile.
-Elizabeth, cazzo!
Si innervosisce il ragazzo, e un sorriso soddisfatto compare sul mio viso mentre afferro il trolley, regalatomi da Niall, dal cofano dell'auto.
-Louis, quante volte dobbiamo dirti di smetterla di usare certi termini?
Alza leggermente la voce mio padre, mentre recupera personalmente il ragazzo ancora disteso sui sedili.
Appena entrati, mentre i miei genitori si dirigono verso la reception per il check-in, io e mio fratello ci accomodiamo nella sala d'attesa dove veniamo raggiunti da uno strano tipo alto con degli occhiali alla Harry Potter.
-Salve ragazzi, spero che vivrete un piacevole soggiorno presso questo splendido hotel. Volevo raccontarvi qualcosa di questa struttura per intrattenervi. Vi va? - non ci dà il tempo di negare la sua proposta che inizia a parlare senza sosta e con una velocità che nemmeno Eminem conosce - In passato questo palazzo fu sede della famiglia Armistead. Ancora oggi è un rifugio rurale, nascosto in un angolo tranquillo del Cheshire come avrete potuto notare. Fu progettato dal celebre architetto britan-
-Oh Beth, mi sta chiamando zia Gelsomina dall'Italia. Devo rispondere.
Louis estrae improvvisamente il suo telefono dalla tasca e, con un sorriso da falso innocente, inventa una delle sue fesserie per sfuggire all'uomo logorroico in piedi davanti a noi.
-Ma sì, certo, vada. Nel frattempo continuo a parlare con lei.
Affondo, così, la testa nel cuscino al mio lato, rassegnata a sentire le chiacchiere di quell'uomo per dieci minuti.
***
-Elizabeth, io e tua madre andiamo a trovare la famiglia di Hanna, e poi andiamo a Manchester a cena. Vuoi venire con noi?
Mi domanda mio padre non appena gli apro la porta della mia stanza, andando a infilarmi nuovamente sotto il caldo piumone del mio letto.
-No, papà, grazie. Ho un leggero mal di testa. Preferisco restare qui. Ordinerò qualcosa dal ristorante.
Parlo con calma, massaggiandomi le tempie per il mal di testa, dovuto soprattutto al tipo all'ingresso dell'hotel che ha parlato senza sosta per quelli che poi si sono rivelati trenta minuti, anziché dieci.
-Va bene, tesoro. Louis sta dormendo nella camera accanto, poi all'ora di cena state insieme.
Mi consiglia mio padre, mandandomi poi un bacio volante mentre chiude la porta della mia stanza.
Dopo aver perso un'oretta sui vari social, decido di scendere giù nella hall per prendere qualcosa da mangiare e portarla su in camera. Opto alla fine per del pollo e delle patate al forno che dal loro aspetto sembrano davvero deliziosi.
Chiamo mio fratello Louis ma non risponde alla mia chiamata, perciò una volta finita la mia cena, mi ributto sul letto. Per la mia immensa felicità, mi rendo conto che il televisore è provvisto di Netflix, e dopo aver trascorso quella che è sembrata mezz'ora a scegliere cosa vedere, faccio partire uno dei miei film preferiti in assoluto: "Notting Hill". Rimango ogni volta sempre più ammaliata dalla storia di Anna Scott e William Thacker, interpretati dai bravissimi Julia Roberts e Hugh Grant.
Arrivo con fatica alla scena finale, addormentandomi sulle note di "She", la meravigliosa colonna sonora del film che tanto amo, mentre immagini di William e Anna insieme scorrono sullo schermo, desiderando una storia come la loro.
***
Andare a dormire con il suono rilassante della pioggia proveniente dall'esterno è sempre stata una delle sensazioni più piacevoli, che non ti invogliano per nulla a levarti il caldo piumone da dosso e iniziare un'altra giornata. Oggi, però, mi tocca rinunciare alla mia giornata nel letto a mangiare popcorn davanti la tv. Non appena poggio la pianta dei piedi sul pavimento gelato un brivido mi sale per tutto il corpo, fino a percorrere anche la mia schiena, facendosi strana lungo la mia spina dorsale. Infilo senza pensarci due volte le mie pantofole, afferro una coperta posata su una poltrona di pelle scura, avvolgendomi con essa, e mi avvicino con estrema calma al vetro della balconata che mi separa dal gelo inglese, rimanendo sorpresa nel vedere la distesa di erba della tenuta ricoperta da uno strato sottile di candida neve. Appoggio di istinto una mano sulla vetrata a pochi centimetri da me, che appanno leggermente con il mio respiro. Sento un improvviso vuoto non appena mi viene in mente l'immagine di me ed Harry giocare a pelle di neve fra le strade buie di Londra dopo aver mangiato al McDonald's con i nostri vestiti eleganti per lo spettacolo a teatro.
Ho trascorso gli ultimi giorni ad ignorarlo od offenderlo mentalmente ma la verità è che mi manca. Mi manca il modo con cui mi faceva star bene. Mi manca il modo con cui mi faceva sorridere e ridere; mi rendeva felice. Mi manca anche il solo litigare con lui o il prenderci in giro con le offese più strane. Mi manca persino essere chiamata da lui con il suo solito "ragazzina". Mi manca.
I miei pensieri vengono interrotti dal suono della sveglia che proviene dal mio cellulare. Non mi ero resa conto di essermi svegliata prima del previsto.
Comincio così a prepararmi, non sapendo dove trovare la forza per entrare in quella chiesa e salutare per l'ultima volta quella che è stata per me una seconda mamma per anni. Che buffa la vita: ti fa affezionare alla gente per poi togliertela via per sempre, lasciandoti solo dei ricordi che con il tempo andranno sempre più ad offuscarsi.
Sento qualcuno bussare alla mia porta, che apro subito dopo aver infilato degli stivaletti neri.
-Ehi Beth, noi stiamo scendendo a far colazione. Ci raggiungi, vero?
Mi chiede Louis, con la voce ancora un po' roca a causa del sonno.
-Sì, certo, datemi due minuti e sono da voi.
Senza accorgermene arrivo al momento che più avrei voluto evitare. Quando scendo dall'auto e mi dirigo insieme alla mia famiglia verso l'entrata della chiesa, mi vien la pelle d'oca a pensare a chi stia per salutare per l'ultima volta. Prendo immediatamente gli occhiali da sole dalla mia borsetta, quella che mi regalò Harry, e li infilo senza pensarci due volte, nonostante non ci sia un filo di luce solare ma chili e chili di neve intorno a me.
Troviamo posto in uno degli ultimi banchi in legno, a causa del nostro ritardo di un paio di minuti.
Trascorro la maggior parte del rito a far scivolare lacrime sul mio viso, sentendomi in colpa per non essere andata a visitarla in ospedale quando era ancora in vita.
A causa dei miei pensieri non mi accorgo del termine della messa, e quasi sobbalzo quando vedo tutta la gente alzarsi improvvisamente.
-Elizabeth, tesoro, andiamo ai primi banchi a far le condoglianze alla famiglia di Hanna.
Mi si avvicina mia madre, prendendomi sottobraccio e guardandomi con un sorriso di incoraggiamento in viso, che io ricambio.
Una volta arrivato il nostro turno vedo i miei genitori parlare con una donna con poco meno di cinquant'anni, completamente vestita di nero. Deve essere la figlia, con cui parlai a telefono il giorno di Natale. Al suo lato noto un uomo della sua età e un ragazzo poco più grande di me, che stringono le mani a chi gli si avvicina, in segno di ringraziamento. Poco più in là intravedo un altro ragazzo, di spalle, che parla con un uomo, che poi abbraccia. Sto per scoprire di chi si tratta quando qualcuno mi richiama.
-Elizabeth, lei è Rachel, la figlia di Hanna. Rachel, lei è mia figlia Elizabeth, poi c'è Louis. È molto emotivo per queste cose, perciò è rimasto fuori.
Ci presenta mio padre al mio fianco con un sorriso lieve sul viso.
-Oh che piacere incontrarti finalmente, Elizabeth. Mia madre parlava così tanto di te. Ti voleva bene come se fossi sua nipote. I suoi occhi erano dello stesso colore della tua borsa- constata la donna, e un attimo di silenzio cala fra noi, interrotto poi subito dopo dalla stessa - oh, a proposito, lui è mio figlio Harry.
No, non è possibile. Non può essere.
Deglutisco quando vedo la figura del ragazzo di spalle voltarsi, e perdo un battito quando i suoi occhi verde smeraldo incontrano i miei azzurri. La sorpresa si fa spazio sul volto di entrambi, che rimaniamo a fissarci per infiniti secondi.
-Elizabeth.
Sospira Harry, non riuscendo a dir altro.
-H-harry.
Rimango paralizzata nel guardarlo.
I miei genitori e Rachel continuano a parlare di qualcosa che non capisco dal momento che tutto sembra che si sia fermato. Ecco perché non era al college, e perché è sparito così all'improvviso.
Vengo riportata alla realtà quando la madre di Harry mi richiama, sfiorando il mio braccio, mentre vedo allontanarsi il ragazzo riccio, che seguo con lo sguardo fino all'uscita della chiesa.
-Elizabeth, mia madre prima di lasciarci ti ha lasciato questa – Rachel prende una lettera dalla sua borsa, per poi porgermela – l'ha scritta una settimana fa. Voleva tanto che la leggessi.
Osservo quella busta con malinconia, e con titubanza la afferro.
Mi allontano così dai miei genitori, lasciandoli con quella donna mentre ricordano la sua defunta madre, la mia Hanna. Mi siedo sul primo banco di legno scuro che incontro lungo la navata centrale, sfilo i fogli dalla busta bianca ed inizio a leggere.
Lacrime silenziose cominciano a rigare il mio viso mentre leggo le parole di Hanna, piene di amore e gratitudine nei nei miei confronti, per averle tirato su il morale con la mia allegria e con le mie buffe abitudini o atteggiamenti bizzarri.
Poi, delle parole che non mi sarei mai aspettata di trovare, attirano maggiormente la mia attenzione, facendomi pensare enormemente al loro significato.
"Grazie per essere stata per me una nipote da consolare con un abbraccio o una carezza, viziare con i miei biscotti al cioccolato ed amare, come non ho avuto modo di fare con il mio adorato Harry di cui ti ho parlato tanto. Con te ho provato ad immaginare come sarebbe stato vivere un nipote della tua età; come sarebbe stato parlar con il mio amato ricciolino che mi è mancato più di tutti. Avevo dimenticato quanto fosse meraviglioso. Sai, è quel tipico ragazzo sicuro di sé, riservato e alle volte un po' arrogante, ma dietro quella maschera si cela un uomo dal cuore d'oro, sensibile e che ha paura di essere ferito. Quando arrivai qui a settembre era sempre nervoso e risultava anche antipatico agli occhi di chi non lo conosceva. Non sai quante volte ho pensato "Se Elizabeth fosse qui, gliene urlerebbe di tutti i colori e non smetterebbero mai di bisticciare.". Poi con il passare del tempo l'ho visto sempre più calmo e sereno. Deve aver conosciuto qualcuno di speciale per averlo sciolto. Mi sarebbe piaciuto se te l'avessi fatto conoscere e fossi stata tu quel qualcuno. Sono certa che stareste benissimo insieme. Non so nemmeno perché io mi sia persa in chiacchiere su mio nipote. Perdonami, cara.
Ritornando a..."
Interrompo un momento la mia lettura e chiudo istintivamente gli occhi, cercando di realizzare tutto. Come ho fatto a non capire che quell'Harry era Harry Styles. Hanna, quante cose non sai e non avrò mai modo di dirti su di me ed Harry.
Avrei dovuto insistere con lui, non lasciare che si allontanasse. Avrei dovuto parlargli, non evitarlo ma cercarlo, e non sparire dalla sua vista quel giorno fuori dalla mensa. Avrei dovuto mettere da parte l'orgoglio e affrontarlo, qualunque fossero state le conseguenze. Oggi sarei dovuta essere al suo fianco durante la cerimonia, supportandolo, e non essere un ulteriore peso con il solo vedermi.
Piego distrattamente i fogli nella busta, senza nemmeno terminare di leggere le parole di Hanna, infilandola a stento nella mia borsa. Sono sicura che lei vorrebbe che lasciassi perdere per farmi fare quello che sto per fare.
Mi alzo di scatto e, senza che avverta i miei genitori, mi precipito verso l'uscita della chiesa. Dinanzi al portone ci sono diverse persone che vi sostano, che si scambiano delle parole silenziose.
Cerco Harry tra la folla, mettendomi anche in punta di piedi ma niente, sembra si sia volatilizzato. Chiedo a svariate persone se lo avessero visto ma nessuno mi sa dare una risposta.
Inizio così a girare senza meta intorno all'isolato della chiesa di St. Luke, rischiando molteplici volte di scivolare sullo strato di neve che ricopre tutta la superficie. Probabilmente i miei genitori mi staranno cercando per essermi allontanata improvvisamente, sparendo dalla loro vista ma non mi interessa. Devo trovare Harry.
Dopo una ventina di minuti a girovagare ininterrottamente mi arrendo. Sembra sia svanito nel nulla. Ma è proprio quando sulla strada di ritorno fiancheggio il muretto del retro della chiesa, circondato da un immenso giardino imbiancato, che lo vedo, nascosto mentre se ne sta appoggiato al tronco di un albero ormai spoglio. Sto per andare verso di lui, quando improvvisamente i ricordi di quando lui mi consolò appena chiusi la mia storia con Tyler mi appaiono. Ricordo quel pomeriggio. Si moriva dal freddo, come oggi d'altronde, ma io mi ostinai a restare appoggiata ad un tronco di un albero nel giardino del college. Lui si avvicinò, porgendomi un caldo cappuccino fumante, per poi sedersi accanto a me per un tempo che mi sembrò infinito. Così decido di far lo stesso: a pochi metri da lì, gli prendo un cappuccino in una piccola ma graziosa caffetteria, ricevendo in regalo un paio di biscotti con delle gocce di cioccolato da quella che penso sia la proprietaria, accettandoli volentieri.
Mi avvicino, poi, silenziosamente al ragazzo, rimasto ancora lì, senza riuscire ad evitare, tuttavia, il suono che riproduce la neve compressa dalle suole dei miei stivali. Fortunatamente riesco nel mio intento e arrivo lì senza farmi notare. Deve essere totalmente immerso nei suoi pensieri. Nonostante arrivi dalle sue spalle, so di sorprenderlo quando gli posiziono il cappuccino dinanzi al viso, che immediatamente si rivolge a me. I suoi occhi sono lucidi, e le sue iridi verdi circondate da del rossore. Deve aver pianto.
-Tieni.
Decido di parlare, alludendo al bicchiere di cartone avorio, sperando che colleghi il mio gesto al suo di settimane fa. Capisco che ci ha pensato quando guarda alternativamente me e poi il bicchiere, afferrandolo.
Sto per sedermi accanto a lui quando mi blocca, dicendomi che mi congelerei a causa della neve che ricopre l'erbetta. Lo ignoro completamente, finendo alla sua sinistra, nella sua stessa posizione. Il gelo mi è entrato fin dentro le ossa ma non mi interessa. Piuttosto muoio di ipotermia ma devo chiarire con il ragazzo al mio fianco.
Rimaniamo in quella posizione per un paio di minuti, in cui gli unici suoni che odo sono il suo sorseggiare il cappuccino e i nostri respiri. Nient'altro. Decido però di interrompere quel fastidioso silenzio.
-Che cosa abbiamo combinato, Harry?
Sussurro, abbassando lo sguardo sulle dita delle mie mani che giocano nervose fra loro. Mi giro poi verso di lui, non ottenendo una risposta ma un lieve sorriso comparso timidamente sul suo volto, mandandomi completamente in confusione. Cosa ha da sorridere in tutto ciò?
-Mi è mancato sentire il mio nome pronunciato dalle tue labbra.
Deve avermi letto nel pensiero e chiarisce la cosa in modo diretto, che mi scioglie il cuore nonostante il mio corpo sia completamente congelato. Sorrido al sentire le sue parole, abbassando nuovamente lo sguardo prima di parlare.
-Ascolta, io non ho idea di cosa tu pensi di... noi, ma in questi giorni non fatto altro che a impormi di odiarti, per il dolore e la delusione troppo grandi, ma quando ti ho visto dentro quella chiesa e adesso, davanti a me, con gli occhi che minacciano di far scendere delle lacrime sulle tue guance, ho capito quanto sia stata stupida a non insistere.
Il mio sguardo è alla ricerca del suo, ancora basso, cosa che mi porta ad alzare il suo viso con il mio indice congelato, poggiandolo sotto il suo mento ricoperto da una sottile peluria, e ottenendo finalmente le sue iridi chiare su di me.
-Harry, è vero: amare può far male, può ferire come poco altro può fare. L'amore è un pugnale che ti colpisce alle spalle, inaspettatamente, ma è l'unica cosa che ti evita di morire perché sì, è tutto ciò che se ti uccide, subito dopo ti salva. Ci fa sentire vivi come nient'altro. L'amore è tutto quel che fa nascere un sorriso o una lacrima di gioia. L'amore è quel sentimento di gelosia che ti assale quando vedi quel qualcuno con una persona diversa da te; è mettere il bene di altri prima del tuo. Io non voglio criticare la tua scelta ma, ti prego, pensaci. Voglio solo che tu sappia che io sono pronta a correre quel rischio. Non importa se poi me ne pentirò, in fin dei conti tutto può finire in un attimo, ma almeno non potrò rimpiangere di non averci provato con tutta me stessa.
Concludo il mio discorso trattenendo a stento le lacrime, per poi alzarmi di scatto e allontanarmi da lui, lasciandolo nei suoi pensieri.
Solo quando sono in piedi e ad un paio di metri da quell'albero inizio a piangere, silenziosamente. Mai avrei pensato che avrei detto quelle parole al ragazzo con cui ho rischiato di avere un incidente mesi fa. Quell'arrogante ragazzo con la bandana fra i capelli e degli occhiali scuri sul suo viso.
Sto per arrivare all'uscita del giardinetto, vicino il muretto sulla strada quando sento una mano avvolgersi intorno il mio polso.
Mi volto lentamente, sapendo bene di trovar Harry dietro di me.
I suoi occhi lasciano trasparire un mix di emozioni, dalla tristezza alla paura. Ci continuiamo a guardare per secondi infiniti, fino a quando l'inglese non decide di interrompere il nostro silenzio.
-P-posso essere il tuo Mr Darcy?
Mi chiede timidamente, abbassando lo sguardo. Chi avrebbe mai pensato che uno come Harry Styles avesse questo lato timido, emotivo e dolce? Sorrido alle sue parole, ricordando un suo discorso su degli esempi di amicizia e amori ideali da seguire. I protagonisti di "Orgoglio e Pregiudizio" penso, e spero, abbiano avuto la meglio.
Annuisco fortemente, mostrando senza problemi un sorriso raggiante sul mio viso, avvicinandomi a lui.
-Ed io posso essere la tua Elizabeth Bennet?
Gli domando mentre lo abbraccio, incastrando il mio capo nell'incavo del suo collo.
-No, - dice secco e freddo, mettendomi paura - preferisco l'Elizabeth che mi sta abbracciando all'altra.
Conclude poi dolcemente, mentre mi sistemava una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio, come sua abitudine. Si distanzia da me leggermente, solo per prendere il mio viso fra le sue mani ghiacciate e appoggiare le sue labbra alle mie, come non avveniva da tempo, accendendo qualcosa in noi in questa fredda e bianca giornata d'inverno.
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