Capitolo III
"Navetta B-42, ambasciata federale, chiedo permesso per l'attracco" si annunciò il pilota della navicella, premendo il tasto del comunicatore.
"Navetta federale B-42, verifica codice identificativo conclusa: permesso accordato. Attraccate al molto inferiore Kai 123," disse di rimando la voce sintetica del computer Oray, senza farsi attendere.
Aleksey sganciò le cinture e fluttuò agilmente accanto alla postazione dell'uomo, ancorandosi alla poltrona del copilota con la mano destra.
"Bella grossa, eh signore?" disse il sottotenente, indicando la stazione sui propri schermi.
Aleksey osservò il ragazzo, fresco d'accademia e originario di Marte a giudicare dell'accento strascicato, poi puntò lo sguardo oltre il tettuccio scrutando Ankhoral con i propri occhi, senza alcun ausilio elettronico: anche a svariate migliaia di chilometri di distanza, riusciva a distinguerla nell'orbita alta di Gauss, un mastodontico gigante gassoso dalle mille sfumature grigio azzurre. Era davvero enorme.
"Ah, non poi così tanto. Parli così perché non hai mai visto una stazione da combattimento mobile dei Razziatori, sottotenente. Quelle sì che sono grosse. E pure parecchio incazzate, fra l'arsenale di cannoni, le navi di scorta e le legioni di intercettori a bordo" disse con un mezzo sorriso.
"Signore, quelle hanno un diametro di soli dieci chilometri. Questa sessanta. Nessuno nega che le stazioni dei Razziatori siano spaventosamente grosse e potenti... però Ankhoral è su un altro livello" sostenne il giovane, quasi volesse difendere il luogo in cui probabilmente viveva da mesi.
"Nah, hanno scudi molto potenti e blindature molto spesse, ma se sai dove colpire non sono così impossibili da distruggere" minimizzò, agitando la mano.
"Già, e lei capitano, è l'unico ad averne distrutte tre in tre diverse occasioni. Un primato che nemmeno l'ammiraglio Allen, con tutta la sua flotta, ha raggiunto" replicò l'altro, sorridendo. "Sa che la tecnica che ha ideato per distruggerle viene studiata all'accademia, ora?" proseguì, con ammirazione quasi reverenziale. Come se Aleksey fosse una sorta di star degli olofilm.
"Solo fortuna, sottotenente" si schermì, sentendosi alla stregua di un fenomeno da baraccone. Poi si osservò di sottecchi le mostrine, ancora incapace di realizzare la sua promozione: capitano a trent'anni, un vero traguardo che ormai disperava di raggiungere.
Ma assieme alla promozione era giunto anche quel trasferimento, assolutamente non gradito. E proprio lì, per giunta: nel covo maledetto in cui gli ipocriti Oray cercavano di dare una parvenza di armonia e concordia fra le razze, quando il loro vero scopo era controllare tutti direttamene o indirettamente che fosse, incatenandoli con i loro codicilli o ammaliandoli con le proprie meraviglie tecnologiche.
Non poté evitare di ripensare a quando aveva ricevuto la notizia:
Cole era in plancia. Cullato dai familiari rumori della sala di comando della Sarissa, stava visionando il rapporto sull'andamento della campagna di riconquista di Sigma Theta, annuendo compiaciuto: con i rinforzi mandati dal comando, le difese orbitali di Sigma Theta IV e Sigma Theta V erano cadute molto rapidamente e le truppe di terra sul secondo pianeta non avevano retto molto a lungo ai cinque reggimenti di assaltatori sbarcati. Ora, il mondo era circondato da una quarantina di navi da guerra e da diverse strutture orbitali in via di costruzione; si parlava già di trasporti con a bordo coloni in possibile arrivo entro tre mesi per tutti e tre i pianeti. Un'operazione coronata da un grande successo, si disse annuendo.
"Comandante, ecco il rapporto finale sui rifornimenti" lo chiamò O'Neill, distogliendolo dai suoi pensieri.
Aleksey gli fece un cenno con l'indice.
"Caccia, munizioni e riparazioni al sessanta per cento. Le fregate Maud e Trinidad vengono assegnate all'unità per rimpiazzare le perdite."
"Molto bene" replicò, congiungendo i polpastrelli. "Sarò nel mio studio, a meno che non si tratti di un'emergenza non voglio essere disturbato," dispose alzandosi dalla poltrona e dirigendosi verso l'uscita.
In tutte le navi federali, l'alloggio dell'ufficiale comandante era nel ponte sottostante alla plancia, non lontano dall'ascensore.
Nel caso di emergenza, era possibile in plancia con una certa rapidità.
Vi giunse in un paio di minuti e pigiò il comando d'apertura della porta, desideroso di alcune ore di riposo. Ma appena fu entrato si accorse che l'illuminazione era attivata e che qualcuno si era seduto alla sua scrivania, intento a consultare il suo computer personale.
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