8 - Un bracciale vuoto

Mi riprende la mano prima che possa domandargli di sua sorella e di quel giardino creato a eterna memoria di un dolore impronunciabile.

«Non è questo che voglio mostrarti».

Ah, no? Cosa può essere più bello di questa distesa celeste che splende sotto la luna? Per me, vissuta tra i rifiuti galleggianti sul fiume, le baracche di legno gonfie di umidità e gente stanca di una vita di miseria, questo angolo di giardino sembra il paradiso. Mic tenta di aprire la porta della serra che cigola e si scosta di uno spiraglio. Sbircio oltre le sue spalle scoprendo un polveroso antro buio e una catasta di vasi di ogni dimensione, alcuni vuoti, altri coperti di steli secchi e gialli. In terra corre un intreccio di edera rossa.

«Non vorrei offenderti, ma se vuoi mostrare qualcosa a una ragazza è meglio il laghetto con i fiori, piuttosto che la serra in decomposizione...»

Lui mi lancia un'occhiata divertita e dà una spallata alla porta, che si spalanca con un cigolio inquietante. Mic entra e io lo seguo. L'odore di umidità rancida ci riempie le narici e iniziamo a tossire.

«Hai ragione. Esci di qui» dice lui. Mi indica la porta spalancata come se fosse l'uscita di emergenza durante un incendio, ma lo fermo con una mano sul braccio.

«Guarda su».

Lui alza gli occhi, poi sorride. Il glicine si arrampica lungo le travi in legno della serra e sale fino al soffitto macchiando di bianco e lilla i vetri opachi. Anche qui, come al laghetto, ogni cosa è permeata da un senso di attesa, di morte apparente. La nostalgia si è fatta solida plasmando un paesaggio selvatico, abbandonato a se stesso, ma non dimenticato. La morte vive anche senza respiro, in questa serra.

«Stai bene?» domanda Mic.

«È tutto così...»

Lui attende paziente che io costruisca parole dalle mie sensazioni, ma è impossibile. Guarda i vasi e stringe gli occhi. «Morto?»

«No». Come si spezza questo stupido incantesimo? Come si può stare in paradiso senza essere felici? Guardo il soffitto. C'è vita in tutto questo, tra le radici secche imprigionate in questi vasi. Forse è proprio lì che la catena che vincola questa famiglia può spezzarsi. «È abbandonata, non è morta».

Mic allunga una mano, prende tra le dita una ciocca dei miei capelli, e li stringe come un talismano in grado di scacciare ogni paura. «Mi vuoi aiutare?»

Sollevo un sopracciglio.

Lui si siede su una panca di pietra in un angolo. «La vuoi sistemare insieme a me?»

Ho un attimo di confusione. Cosa dobbiamo sistemare insieme? La mia vita? La serra? E gli sto fissando le labbra. Qualunque cosa intenda, la risposta è affermativa. Voglio sistemare tutto, ma non da sola. Mic si passa una mano tra i capelli che gli ricadono davanti agli occhi. Annuisco e lui tira fuori una scatola blu dalla tasca. Me la mette in grembo guardandosi le scarpe. «È per te».

La apro e dentro c'è un bracciale. Un semplice filo intrecciato d'argento. «Non posso accettarlo» dico.

«Serve per contare le tue vittorie».

Mi scappa una risata. «Sei matto? Non ho mai vinto niente».

«Lo farai, Samantha. E ogni vittoria potrai appenderla a quel filo».

Lo estraggo dalla scatola e me lo passo intorno al polso, sopra alla fasciatura che mi ha fatto lui questo pomeriggio. «Me lo chiudi?»

Mi passa la mano sul polso. Le dita sfiorano la pelle della mano lasciando una strana sensazione, una bruciatura che non provoca dolore.

«Non sono capace di vincere» bisbiglio.

Mic apre il palmo della sua mano e ci sono due pendenti. Il primo raffigura uno zaino e l'altro un piccolo uccello che spiega le ali. «Queste solo le prime due. Lo zaino rappresenta una vita normale per la tua età». Non perde il contatto con i miei occhi, sembra preoccupato che le sue parole mi possano ferire. Quando sono con lui mi sento una Sam diversa, sconosciuta a me stessa.

«Vedi cosa stringe la colomba nel becco?»

«Una catena?»

«La tua seconda vittoria è la libertà di vivere la tua vita e di poter dire no a chiunque, in qualsiasi momento. Sembra che tu non l'abbia avuta finora».

Mic non sa niente del mio passato. Ho chiesto a Zanna di non parlarne con nessuno. Eppure le sue parole hanno il potere di scavare e scoprire tutto quello che nascondo dentro. Bruciano la mia prigione e mi costringono a reagire. Danno alle mie gambe la forza di correre via.

«Questi li tengo io, per adesso. Vincerai. È una promessa».

Non riesco a rispondere. Questa serata mi ha travolto come un'onda pulita e mi ha fatto vedere qualcosa a cui aspirare. Mi ha mostrato una famiglia solida a cui potrei aggrapparmi, se solo lo volessi.

«A cosa pensi?»

Gli sorrido. «Che è stato il miglior compleanno della mia vita».

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