6 - ✨ Fiducia


Lascio socchiusa la porta e la guardo seduta sul letto. È consumata da dentro, le forme sottili, la trasparenza della pelle e quella magrezza eccessiva sono il risultato di un tormento che brucia. Si è fatta portare in camera senza un fiato e la sua remissività non mi piace. Lasciare che gli altri le dicano cosa fare sembra per lei un'abitudine e quando lo fa sembra che la vivacità nei suoi occhi si spenga. Diventano opachi e mi dà i brividi. Non è il comportamento normale di una ragazza di diciassette anni, ma io non sono il migliore nel giudicare cosa sia normale e cosa no dal momento che preferisco rifugiarmi nel nulla di una stanza buia, piuttosto che affrontare la breve vita che mi viene concessa. Da quando Lucia è morta, lasciandomi qui con il peso di un patrimonio genetico condiviso e non troppo promettente, non trovo il coraggio di fare finta di niente. Anche oggi il programma era quello di chiudere la porta alle mie spalle e annullarmi nella musica e nel buio, ma c'è Sam e quello che ha fatto sotto i miei occhi. Dire addio alla vita non significa guardare un'altra creatura che se la rovina.

«Aspettami qui. Sam, ti prego. Non fare niente di strano, anzi, non fare proprio niente, finché non torno». Le lancio un'occhiata alla benda sul braccio. «Ti fa male?»

Lei scuote la testa e una ciocca nera le cade su un occhio. La sposta, fissandomi attenta. Mi confonde, così. Cos'è cambiato tra di noi? E quando è successo? Possibile che una stretta di mano stravolga tutto in un attimo? Che sciocchezze. Però oggi è il suo compleanno e deve avere una torta e magari un regalo. Quindi... «Non fare niente di stupido. Torno subito».

Lei mi stordisce con un sorriso. Non lo fa mai, ma quando schiude le labbra così mi rende difficile anche pensare. Che strana che sei, Sam. «Dico sul serio. Se ti succede qualcosa mi metti nei casini». Mi avvicino e mi chino per trovarmi alla sua altezza. Trattiene il fiato. Che problemi hai con il contatto? «E, dopo la doccia, saresti costretta a dormire con me» dico serio.

Non sorride, non accenna neanche a muovere le labbra che, anzi, tremano. Sta tremando. Mi tornano in mente le cinghiate che aveva sulla schiena quando è arrivata, quelle che mia madre fascia ogni sera. Cazzo. Sono un coglione. «Sam, stavo scherzando...»

«Lo so, scusami». Si alza e va alla scrivania.

Decido che devo fidarmi di lei. Corro in camera, infilo un paio di jeans e una maglietta, le prime cose che mi capitano sottomano, con l'ansia di averla lasciata da sola. Non posso dire a mio padre cosa stava facendo in camera, la porterebbe direttamente lui dallo psicologo, ma devo convincerla a seguire le condizioni che la faranno restare da noi per altre due settimane. Con questo obbiettivo in testa, torno in camera di Lucia con i capelli ancora fradici. Ci ho impiegato cinque minuti, convinto che, se mai avesse deciso di uscire dalla stanza prima di me, l'avrei sentita.

Mi blocco con la porta spalancata e la mano stretta sulla maniglia. Il panico mi afferra allo stomaco. Non c'è più. Neanche il borsone con i pochi vestiti che le ha dato mia madre. Lo sguardo corre al comodino, cerco il libro di fiabe. Se è lì significa che non è andata via. Lo porta con sé dappertutto.

Il comodino è occupato dalla lampada da notte che usava Lucy, dall'ultimo libro che leggeva e che non finirà più, da due braccialetti di plastica abbandonati in un angolo. Il libro di fiabe l'ha preso con sé. Se n'è andata davvero.

Scendo le scale di corsa, salto il quarto gradino, e infilo al volo le scarpe. Mamma e papà parlano in cucina, non si sono accorti di niente. Sam è stata dannatamente troppo silenziosa mentre se ne andava e anch'io provo a non farmi sentire. Indugio tra le chiavi della macchina di mia madre, che sono autorizzato a usare, e quelle della moto di papà, che non posso neanche toccare. Prendo la moto.

Sfreccio fuori dal garage senza preoccuparmi di chiudere il portellone. La moto di Zanna è una Aprilia Tuono nera, e non me la fa neanche sfiorare. Cerco di non pensarci mentre prendo velocità e mi concentro. Se finisco fuori strada con questa bestia spero di morire sul colpo, altrimenti mi ucciderà lui. Supero un automobile e torno a lato strada. Costeggio il bosco lungo la strada principale che da casa nostra porta in città, devo intercettarla prima che arrivi al bivio, altrimenti non la troverò più. Deve aver tagliato per i campi quindi è molto più avanti di me. Poco più giù la strada si biforca: a sinistra si arriva all'autostazione e lì qualsiasi direzione è buona per svanire, a destra potrebbe infilarsi in uno dei vicoli che s'intrecciano tra le case del centro. La scorciatoia dovrebbe dare proprio sull'incrocio. Accelero ancora, la moto slitta sul pietrisco a lato strada. La raddrizzo con fatica, questo mostro pesa un accidente. Dal bosco arriva un vento fresco che mi solletica il collo. La troverò, sono sicuro.

Sono quasi arrivato al bivio quando la vedo, scavalca il fosso dell'appezzamento coltivato ad albicocche e prende verso l'autostazione. La affianco e lei si blocca. «Sali» ordino. Vorrei essere arrabbiato con lei per avermi mentito, ma non ci riesco. E questo mi fa arrabbiare ancora di più. Sento il cuore pompare nelle vene e rimbombare nelle orecchie.

Lei sbianca, si blocca con gli occhi sbarrati. Io inchiodo sulla strada deserta. Sam fruga nella tasca del giubbotto di jeans di mia madre, estrae qualcosa e me lo punta dritto al collo. Deglutisco, incapace di parlare. Sollevo la visiera del casco integrale, lei aumenta la pressione, e la guardo negli occhi. «Sono io, Sam».

Abbassa il coltello confusa, si volta e riprende a camminare.

«Devi salire. Non ti lascerò andare via».

«Perché?»

«È il tuo compleanno. Hai bisogno di un regalo. E di festeggiare».

«Ne ho bisogno?» Ride e mi sta prendendo in giro di nuovo.

Le passo il casco che di solito indossa Vanessa, lei lo infila obbediente. Le sta un po' grande. Samantha è davvero minuta per la sua età, come se non volesse disturbare neanche con la sua presenza. «Facciamo così. Devo fare un giro in città. Tu prendi qualche vestito perché non puoi andare in giro con le tute di mia madre. Per quanto abbia buon gusto, è comunque una donna di quarant'anni».

«Sono bellissime le tute di Vanessa» protesta lei, guardando verso la strada. «Se vuoi farmi davvero un regalo di compleanno, portami alla fermata delle corriere». Sale sulla moto e il suo corpo contro il mio ha il potere di calmare l'agitazione che mi squassa da quando ho trovato la stanza vuota.

«Non posso, Sam, mi dispiace».

Sono un egoista. Questo non lo sai ancora.

«Lasciami andare, Mic. Non lo saprà nessuno. Non mi conosci neppure. Starò bene, lontano da qui».

Lo saprò io. E io sto bene da quando tu sei qui. Scuoto la testa e inverto la moto imboccando la strada che conduce in centro.

«Sei uno stronzo».

Mi scappa una risata. Rido per niente, da quando lei mi gira intorno. È una bella sensazione. «Facciamo un patto. Resti con noi. Vinci le tue paure. Vieni a scuola con me, vai da uno psicologo. Fai quello che i maledetti assistenti sociali vogliono da te. Se tra un mese vorrai di nuovo andare alla corriera, ti ci porterò io».

«Anche se sarò già in una casa famiglia? Anche se per venire da me dovrai fare mille chilometri?Potrebbero mandarmi ovunque. E non dicono a nessuno l'indirizzo, per questioni di sicurezza».

Un groppo in gola mi impedisce di deglutire. Non andrai in una casa famiglia, Sam. Tu hai già una famiglia anche se ancora non te ne rendi conto. «Non andrai da nessuna parte. E comunque riuscirei a trovarti». Accelero e lei si stringe a me.

«Come la rendi semplice. Non è affatto così facile fare quello che dici». Bisbiglia accanto al mio collo.

I brividi corrono veloci lungo la spina dorsale. «Provaci».

Appoggia il viso contro la mia schiena. «Affare fatto».

Mi fermo davanti a un negozio di vestiti. Mia madre le aveva lasciato dei soldi stamattina, li tiene in tasca e li guarda come se non avesse il permesso di usarli. «Vanessa sarà felice di sapere che hai preso dei vestiti per venire a scuola. Per favore, Sam, non costringermi a entrare con te. Odio lo shopping».

Lei guarda il negozio, poi di nuovo me. «Anch'io» mormora. Poi, con la testa bassa, la vedo sparire dentro. Prendo il cellulare in mano e chiamo mia madre. Spero che non vedano che ho lasciato il garage aperto e che la moto è sparita.

«Mic. Tutto bene?»

«Certo. Sono con Sam. Ha detto che accetta le condizioni degli assistenti sociali, ma ti devo chiedere un favore».

🖤🦋 Spazio Fede 🖤🦋

Ciao a tutti,

grazie per esservi fermati sulla storia di Mic. Come ho scritto in prefazione si tratta di una storia vera romanzata. Ho aggiunto personaggi e situazioni diverse, ma la malattia di Mic è esistita davvero, così come le tante azioni che lui ha compiuto, nonostante la sofferenza, per aiutare Sam che veniva da una condizione famigliare disastrosa. L'ha salvata, ma non ha potuto salvare se stesso. Proprio per questo la storia è stata stravolta per arrivare a un finale migliore, qualcosa che possa ringraziarlo per aver scelto, malgrado tutto, di preoccuparsi di Sam e aprirle la strada a una seconda occasione e a una nuova vita.

Facciamo brillare questa storia e, se vi va, arrivate in fondo e portatela più in alto possibile, dove anche lui sia in grado di vederla. Solo voi ne siete in grado.

Con tutto il mio cuore

Fede

Tiktok e IG: Redspiderlily1983

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